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1 Cenni storici
L'esigenza di tutelare la sicurezza e di garantire la prevenzione e
l'igiene sui luoghi di lavoro, può dirsi avvertita da subito, al sorgere
delle prime "factories" nell'Inghilterra di re Giorgio IV.
Gli ambienti adibiti dai primi "padroni" all'uso industriale, non
presentavano quelle caratteristiche e quei requisiti tali da permettere
che il lavoro venisse svolto in condizioni accettabili da un punto di
vista igienico sanitario; né tanto meno offrivano garanzie dal punto di
vista della sicurezza sul posto di lavoro. Del resto, coloro che avevano
abbandonato la campagna, spinti dalla povertà, alla ricerca di un
lavoro e quegli artigiani che, continuando a svolgere gran parte del
lavoro manualmente, non potendo sostenere la concorrenza di chi
ormai produceva in modo meccanizzato
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, poco si interessavano della
questione ambientale o della sicurezza, essendo per loro prioritario il
raggiungimento di un salario, che di norma era appena sufficiente per
sopravvivere; si sopportavano, così, anche condizioni di lavoro assai
dure, con orari giornalieri di dodici o quattordici ore, nella certezza
1
Chiudendo la loro bottega e andando a lavorare come operai salariati.
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che se non avessero accettato o avessero protestato, molti altri
sarebbero stati pronti a rimpiazzarli.
L'avvento della industrializzazione, mutò quindi radicalmente e
sempre più le condizioni di lavoro: in passato i lavoratori, più che
altro agricoltori, svolgevano sì un lavoro duro, con aspetti anche
drammatici, quando le carestie rendevano vana la fatica dei contadini;
tuttavia, il ritmo del lavoro era scandito dal succedersi delle stagioni.
Il sole indicava l'orario della giornata, dall'alba al tramonto, ed il
tempo era sempre diverso a seconda dei periodi dell'anno.
L'industrializzazione determinò, invece, l'obbligo di rimanere per
lungo tempo, anche durante l'orario notturno, al chiuso delle
fabbriche, male o poco areate e prive di aperture o finestre, con la
quotidiana fatica scandita non più dal percorso del sole ma dal fischio
della sirena
2
; a ciò si aggiungano gli ambienti malsani delle fabbriche
di cotone, per esempio, per lo più umidi, affinché i fili non si
rompessero; i rumori assordanti e continui delle macchine; per non
parlare delle miniere, dove la crescente richiesta di carbone fece
aumentare a dismisura il numero dei minatori. "Questi operai sono
generalmente costretti a lavorare troppo a lungo in ambienti chiusi,
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spesso per tutta la notte: l'aria che respirano è avvelenata da olio e da
altre sostanze usate per le macchine e ci si preoccupa ben poco delle
loro condizioni igieniche, mentre i frequenti passaggi da un'atmosfera
calda e densa a una fredda e rarefatta sono cause di malattie e
invalidità e in particolare di quella febbre epidemica tanto comune in
queste fabbriche"
3
.
Il passo tratto da una relazione di un medico inglese del 1795,
testimonia come le condizioni di vita e di lavoro degli operai delle
fabbriche furono, almeno all'inizio durissime. Inoltre, contrariamente
agli artigiani non possedevano gli strumenti di lavoro, gli attrezzi
necessari per svolgerlo né sapevano realizzare con le loro mani un
prodotto finito. Di conseguenza, in caso di licenziamento, essi non
avrebbero saputo svolgere alcuna altra attività in proprio e quindi non
avrebbero più potuto guadagnarsi da vivere.
Nelle fabbriche gli operai, anche donne e bambini, venivano adibiti
ad un lavoro condizionato, come accennato, dal ritmo delle macchine,
che comportava gli stessi gesti per l'intera giornata lavorativa e
doveva fornire un rendimento costante e prestabilito. Si lavorava
2
In quanto l'operaio doveva adattarsi alla macchina, al suo ritmo che non conosceva pause.
3
Aikin John, Descrizione della regione da 30 a 40 miglia intorno a Manchester, Il Capitello,
Torino, 1996, p. 98.
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anche 14 ore al giorno; l'igiene e la sicurezza erano scarse e spesso si
verificavano incidenti, anche mortali. I rumori delle macchine erano
fortissimi, e sovente causa di sordità, il fumo o le esalazioni
all'interno delle fabbriche potevano causare intossicazioni e
avvelenamenti. L'alimentazione insufficiente, la mancanza di riposo,
la scarsa igiene dei locali, gli infortuni frequenti contribuivano a
rovinare la salute di questi operai, che spesso, dopo molti anni di
lavoro, avevano il fisico debilitato, deformato, talora mutilato
4
.
In virtù della teoria liberista, che considerava il lavoratore che cedeva
il suo lavoro come ogni altro venditore di merce, il salario, che in
questo caso misurava il prezzo del lavoro dell'uomo, si determinava
nella libera trattativa tra i singoli lavoratori e i singoli proprietari delle
imprese. Inizialmente gli operai trattavano separatamente, uno per
uno, con il datore di lavoro: così facendo si trovarono in una
situazione di estrema debolezza, spesso costretti a subire i salari e le
condizioni che venivano loro imposti. Chi voleva ottenere qualcosa di
più rischiava di venire mandato via e sostituito con un disoccupato,
che aveva minori pretese. In alcune fabbriche gruppi di lavoratori
4
Per non parlare, poi, delle conseguenze ulteriori: aumento esponenziale dell'alcolismo, notevole
incremento della prostituzione, rapida crescita delle città con condizioni di vita molto difficili,
specie per i lavoratori spesso costretti a vivere in cantine o nelle soffitte.
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riuscirono a strappare al datore di lavoro condizioni e trattamenti
migliori, ma rimangono pur sempre casi isolati e sparuti, dovuti
probabilmente alla benevolenza di qualche imprenditore "illuminato".
Ma l'errore, o se vogliamo il limite di questo modo di proporre
istanze, risiede proprio nella mancanza di compattezza ed unitarietà
manifestata dai prestatori di lavoro e dalla trattazione delle questioni
solo all'interno della medesima fabbrica, all'interno, perciò, del
dualismo singolo imprenditore-proprio gruppo di operai: veniva sì
individuato un rappresentante del gruppo, un portavoce che
manifestasse le richieste per tutti; ma questo processo di sintesi e
compattamento terminava lì, privo di ogni sguardo verso l'esterno alla
ricerca di analoghe problematiche da poter condividere e contrattare
all'unisono; non va dimenticato, inoltre, l'assenza di intervento, e
conseguentemente di legislazione, da parte dei Governi, che avevano
fatto proprie ed attuavano, in particolar modo nel Regno Unito, la
dottrina del liberismo economico, così come elaborata dall'economista
e filosofo scozzese Adam Smith, secondo cui lo Stato rispetta la
libertà economica di ciascuno e non pone ostacoli (c. d. "laissez
faire"), in modo che chi esercita un'impresa, cercando di ottenere il
massimo profitto, grazie alla teoria della "mano invisibile", farà non
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solo il proprio interesse, ma anche quello del consumatore e del
Paese. Ad un atteggiamento remissivo e rassegnato da parte dei
prestatori di lavoro, determinato in prevalenza dalla forza economica
del padrone, che si concretizzava, dall’altra parte in una sudditanza
materiale e psicologica
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, ma soprattutto economica dei lavoratori nei
confronti del "padrone", si venne man mano sostituendo un
atteggiamento più consapevole da parte degli operai, che, visti gli
scarsi risultati ottenuti con forme di protesta come il luddismo
6
, o di
isolati gruppi di operai, conclusisi con immediati licenziamenti, ed
intuita l'unica vera forza di cui disponevano, che stava nel loro
numero, iniziarono ad organizzarsi ed a riunirsi in apposite
associazioni, in modo da contrattare insieme le proprie richieste.
Trattando tutti uniti con il datore di lavoro nessuno avrebbe più
accettato condizioni troppo misere.
Nacquero, così, in Inghilterra le prime organizzazioni operaie (Trade
Unions), permesse dalla legge nel 1824. Le organizzazioni dei
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E’ quasi inutile ricordare come nei primi anni della cosiddetta rivoluzione industriale, lo
sfruttamento operaio fosse notevole e senza scrupoli; l’obiettivo principale del capitalista era
quello di ottenere utili più elevati possibili, trascurando le condizioni di lavoro ed anche di vita
della controparte operaia. Possiamo affermare che alla servitus di romanistica memoria, se ne
venne a sostituire un’altra, nella quale l’operaio era completamente asservito alla produzione; e, di
fronte ad una sua mancanza o defezione, poteva essere tranquillamente sostituito, incurandosi il
datore di lavoro della situazione del prestatore.
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lavoratori riuscirono a svincolare le proteste operaie da una
dimensione particolare, permettendo a quelle istanze di uscire dai
cancelli della singola fabbrica, facendo loro acquistare una valenza
più generale, tale da poter riguardare ed interessare tutto il mondo del
lavoro; cercarono, anche in ragione dell'aumento del potere
operaio, sia all'interno che all'esterno delle fabbriche, di conquistare
non soltanto salari più alti, ma in generale di migliorare le condizioni
di lavoro, di ottenere una migliore igiene e sicurezza nelle fabbriche,
un orario di lavoro più umano.
Queste associazioni, antenate dei moderni sindacati, dovettero
superare gli ostacoli e i divieti che, più o meno a lungo, tutti i governi
di ispirazione borghese cercarono di imporre alla loro attività, ma in
seguito le condizioni migliorarono
7
.
Comunque, prima che come persona, l'operaio industriale è stato
protetto in quanto soggetto sociale, ma ciò è avvenuto proprio perché
6
Dall’inglese luddism, derivato dal nome di un operaio del Leicestershire, Ned Ludd, che nel 1799
avrebbe infranto per protesta dei telai per maglieria.
7
Risale, di fatti, al 1833, la prima legge sul lavoro che significò un discreto successo: in Gran
Bretagna si vietò l'impiego dei fanciulli di età inferiore ai nove anni, si limitò a nove ore la giornata
di lavoro dei fanciulli inferiori a tredici anni, a dodici ore quella dei giovani di meno di diciotto
anni, si proibì per queste categorie di operai il lavoro notturno, ed impose il controllo delle
condizioni sanitarie nelle fabbriche da parte di ispettori statali; di seguito, nel 1842 l'impiego delle
donne e dei fanciulli nelle miniere britanniche venne proibito. Una legge del 1844 estese la
protezione legale alla donna (giornata di dodici ore) e infine, nel 1847 venne approvata la giornata
lavorativa di dieci ore per le donne e i fanciulli; di certo conquiste, che però non risolvevano tutti i
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i suoi diritti di persona erano messi in pericolo dalla sua condizione
materiale e sociale.
Questi primi interventi legislativi miranti a contrastare le forme più
acute di sfruttamento delle fasce deboli della manodopera, a
cominciare dai fanciulli, hanno rappresentato, a dire il vero, il nucleo
fondativo di tutto il diritto del lavoro in quanto diritto protettivo:
emerge, così, come la materia abbia cominciato a percepire la propria
anima pubblicistica come una delle componenti essenziali del suo
statuto giuridico e culturale.
Guardando a questi importanti argomenti dall'angolo visuale
dell’ordinamento italiano, va immediatamente rammentato come
l'obiettivo della tutela dell'integrità fisica (e poi anche morale) del
lavoratore, sia stato tenuto presente dal legislatore sin dalle origini.
Verso la fine del secolo decimonono, in coincidenza con il definitivo
decollo della rivoluzione industriale in Italia, nel Nord del Paese, che
infatti conobbe un rapido ed intenso sviluppo, il legislatore provvide
emanando una serie di leggi e decreti
8
, per la tutela di varie categorie
problemi: nulla garantiva gli operai contro gli infortuni sul lavoro, le malattie, la temuta possibilità
del licenziamento improvviso.
8
Ricordiamo, tra gli altri, la l. 11 febbraio 1886, n. 3657, che limitò ad otto ore la giornata
lavorativa per i minori di anni dodici ed anche la l. n. 30/1898, che introdusse l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni.
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di lavoratori. Il più importante tra questi fu il R. D. 18 giugno 1899, n.
230, ossia il Regolamento generale per la prevenzione infortuni;
questo regolamento, seppur limitato nella sua applicazione a
determinati settori ed ambiti, sanzionava penalmente gli imprenditori
che si fossero resi inadempienti agli obblighi prevenzionali; inoltre,
erano imposte agli stessi contravvenzioni, che seppure apprezzabili
negli intenti, erano di modesta rilevanza, in linea, per altro, con il
codice penale del Regno, e ciò non aiutava sicuramente a garantire il
rispetto delle regole stabilite in materia di prevenzione degli infortuni.
Sarà solo con il codice penale Rocco, con la previsione che
"Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati
a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li
danneggia, é punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni"
9
,
coarterà ad una rigida osservanza delle norme prevenzionali.
Ancora, a seguire, si ebbero altri importanti provvedimenti: nel 1907,
la legge n. 489, introdusse il riposo settimanale obbligatorio, mentre
per il riconoscimento del diritto alle ferie annuali bisognerà attendere
il 1924 (R.D. n. 1825), peraltro limitato ai soli impiegati. Si
introdusse, poi, perfezionandolo e sviluppandolo negli anni, un
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sistema organico di assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali
10
, in virtù del quale, tutti i lavoratori
che fossero stati addetti alle lavorazioni indicate come potenzialmente
pericolose o nocive, avevano il diritto di essere assicurati contro gli
eventi dannosi, lesivi della attitudine psico-fisica al lavoro, che
possono derivare al lavoratore, indipendentemente dalla colpa, e
dell'imprenditore, e del lavoratore stesso
11
.
La disciplina di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, si
mostra la parte più "pubblicistica" del diritto del lavoro, come è
dimostrato dalla forte interazione con l'attività di organismi pubblici,
nonché dal largo, ma forse esagerato, impiego della sanzione penale.
Tutte queste disposizioni attengono, al profilo della riparazione, del
risarcimento del danno, conseguente al verificarsi di un rischio del
lavoratore “che tendeva a qualificare ancora come extra-contrattuale
la responsabilità dell’imprenditore per infortunio sul lavoro, negli
spazi non coperti dalla ormai generalizzata assicurazione
obbligatoria”
12
; dal punto di vista della prevenzione, e, rispettosi
9
Art. 437, c. p.
10
Partendo dal T. U., 31 gennaio 1904, n. 51 fino al R. D. 17 agosto 1935, n. 1765.
11
Per questa parte, confronta Ghera E., Diritto del lavoro, Cacucci Editore - Bari - 1996.
12
Suppiej G., Il diritto dei lavoratori alla salubrità dell'ambiente di lavoro, in RIDL, 1988, I, p.
443.
15
dell'ottica evolutiva delle norme nella quale ci si è posti, la norma più
significativa, destinata a diventare l'architrave della disciplina
prevenzionistica dell'ambiente di lavoro nel nostro Paese, appare nel
1942, in coincidenza con l'emanazione del nuovo codice civile.
16
1.2 L’articolo 2087 del codice civile
La norma codicistica é unanimemente considerata il pilastro
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su cui
ha poggiato e tuttora poggia la disciplina per la tutela della salute dei
lavoratori. L'articolo in questione, difatti, garantisce una tutela di
ampio respiro, tale da essere indubbiamente considerata come l’incipit
del complesso del cosiddetto "diritto prevenzionale", anche rispetto
alla successiva normativa. Ma la dottrina e la stessa giurisprudenza
pratica presero atto della portata innovativa della norma con grande
pigrizia.
Innanzi tutto, deve essere sottolineata la totalità del suo campo di
applicazione; secondo la lettera della norma solo "l'imprenditore è
tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che sono
necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro"; stando alla lettera della norma, ciò
significherebbe che solo il datore di lavoro che riveste anche la figura
di imprenditore, è vincolato a predisporre tali misure: questa teoria, fa
leva, inoltre, sulla non inclusione della norma nella previsione
13
Cfr. Balandi G. G., Individuale e collettivo nella tutela della salute nei luoghi di lavoro: l'art. 9
dello statuto, in Lavoro e Diritto, n. 2, 1990, p. 220.
17
dell'articolo 2239 del c. c. e sull'argomentazione che solo nelle
imprese vigono quelle condizioni di pericolosità e nocività nelle quali
si trovano ad operare i lavoratori, da cui scaturisce la necessità che gli
stessi siano tutelati. Nonostante questa tesi restrittiva, ormai l'articolo
si applica
14
ovunque, quindi anche ai rapporti di lavoro "domestico" e
"a domicilio”
15
, in ragione del coordinamento con l’art. 2 della legge
877 del 1973, che pone una rigida alternativa: o il lavoro è “sicuro” o
il contratto è nullo, senza possibilità di richiedere che quella
lavorazione insalubre venga resa sicura; ed alle Pubbliche
Amministrazioni
16
, in ragione della importante finalità che svolge e
del valore che sottende.
A ben vedere, in un primo momento si escludeva l’applicabilità del
suddetto articolo, in quest’ultimo settore, perché in quel caso
avremmo avuto lesione di un diritto assoluto, fonte di responsabilità
extracontrattuale ex art. 2043.
14
Sull’estensione dell’art. 2087 anche a questi rapporti, vedi Natullo G. , La tutela dell’ambiente
di lavoro, UTET, Torino, 1995, p. 9.
15
Cfr. Smuraglia C., La sicurezza del lavoro e la sua tutela penale, III ed. , Giuffrè , Milano ,
1974. A dire il vero, la tutela della sicurezza del lavoro è specificatamente prevista dalle norme che
regolamentano quei rapporti di lavoro. Per il lavoro domestico, v. art. 6, l. n. 339 del 1958, che
obbliga a fornire “un’ambiente che non sia nocivo all’integrità fisica e morale del lavoratore
stesso”; per il lavoro a domicilio, v. art. 2, comma 1, l. n. 877 del 1973, che non ammette
“l’esecuzione di lavoro a domicilio per attività le quali comportino l’impiego di sostanze o
materiali nocivi o pericolosi per la salute o la incolumità del lavoratore e dei suoi familiari”.
18
Poi, è divenuto preminente l’orientamento favorevole alla
applicabilità della norma in commento: a parte il semplicistico
elemento che suggerisce come “la ratio che presiede alla norma è la
stessa per qualunque attività lavorativa”
17
, la riforma del Pubblico
impiego, con il d. lgs. n. 29 del 1993, uniformando la disciplina del
rapporto di lavoro, ha previsto l’applicazione al primo anche dell’art.
2087 (art. 2 , comma 1).
Poi, è imposta a carico del datore di lavoro, una vera e propria
obbligazione, che é tenuto ad applicare, nella sua qualità di debitore
di sicurezza, non trattandosi di un generico dovere negativo, giacche’
altrimenti la norma sarebbe del tutto inutile: deve rispettare e
predisporre non solo i limiti e le condizioni imposte e vigenti in tema
di sicurezza, ma anche quelle "necessarie" a tutelare l'integrità fisica e
pure alla personalità morale del prestatore di lavoro, tenendo in
considerazione una serie di parametri esterni.
16
“…. Quando rivesta analoga qualità….”, vedi Cass., 13 aprile 1973, n. 1055 in Rep. Foro it.,
1973, 2228, 88. In dottrina, confronta Zoli G., Amministrazione del rapporto e tutela delle
posizioni soggettive dei dipendenti pubblici, Giorn. dir. lav. rel. ind.,1993, nn. 59-60, 633.
17
Smuraglia C., La sicurezza del lavoro, op. cit., p. 54.