consapevole del fatto che la nozione di osservabilità sia assai vaga, e infatti
buona parte dell’attenzione sarà qui rivolta verso questa problematica.
La posizione sostenuta da Van Fraassen è rappresentata da un empirismo di tipo
“costruttivo”, sottolineando con questo aggettivo lo specifico compito
dell’attività scientifica, ovvero la costruzione di modelli adeguati ai fenomeni
che ci vengono offerti dall’esperienza.
L’articolazione de L’immagine Scientifica si sviluppa attraverso tre linee
principali: la relazione tra le teorie scientifiche e il mondo; il problema della
spiegazione; il significato della probabilità fisica.
Nel presente lavoro verrà privilegiata l’analisi del primo punto, cercando di
contestualizzare il discorso affrontato da Van Fraassen sulla base di alcune delle
principali posizioni rappresentanti il realismo scientifico considerate dall’autore
stesso, e contro le quali viene proposta l’alternativa dell’empirismo costruttivo.
Nel fare questo, verranno affrontati problemi di carattere metodologico ed
epistemologico, per arrivare ad esporre i tratti principali della filosofia della
scienza di Van Fraassen così come appaiono dall’analisi e dallo studio del suo
empirismo costruttivo, sempre in relazione unicamente al suo rapporto tra teorie
scientifiche e mondo fisico.
Data la portata di tale posizione e il consistente interesse generatosi intorno ad
essa in ambito specialistico, nel presente lavoro si cercherà di mostrare alcune
delle principali e più importanti critiche rivolte alla filosofia empirista di Van
Fraassen, a partire da i primi anni successivi la pubblicazione dell’opera fino
alle critiche contemporanee rivolte all’idea di fondo de L’immagine Scientifica.
La reazione in favore del realismo e le accuse rivolte alla posizione di Van
Fraassen hanno portato lo stesso autore ad una risposta in difesa dell’empirismo
costruttivo e ad una maggior chiarificazione del proprio pensiero.
II
Non solo, buona parte dei sostenitori del realismo scientifico si sono trovati di
fronte alla necessità di ripensare e rivedere la propria posizione, proprio alla luce
delle critiche mosse da Van Fraassen.
Da ultimo viene dato uno sguardo alle più recenti incarnazioni e formulazioni
dell’empirismo costruttivo, cercando così di poter offrire un quadro unitario
riguardo una posizione filosofica attualmente ancora viva e soggetta a continui
approfondimenti e sviluppi.
III
- 1 -
CAPITOLO 1 – ARGOMENTI RIGUARDANTI IL REALISMO
SCIENTIFICO
1.1 L’OPPOSIZIONE TRA REALISMO ED EMPIRISMO
Il tema centrale lungo il quale si sviluppa il discorso affrontato da Bas C.
Van Fraassen in L’Immagine Scientifica
1
è sostanzialmente riconducibile al
tentativo di presentare un’alternativa costruttiva al realismo scientifico quale
criterio guida all’interno della pratica di ricerca e indagine scientifica.
Lo sfondo sul quale si articola tale discorso è quello dell’opposizione tra
empirismo e realismo, opposizione dalla lunga tradizione che può vantare
numerosi esempi di episodi tratti dalla storia della filosofia. Senza inoltrarsi
nella trattazione specifica di una problematica imponente e di non facile
risoluzione, è sufficiente ricordare tra i possibili esempi il momento di svolta
segnato nel pensiero scientifico dalla nascita della scienza moderna e dai suoi
primi sviluppi. Gli scienziati filosofi che per primi presero parte a tale
movimento vantavano un certo senso di superiorità da parte della scienza
moderna nei confronti della tradizione aristotelica.
La tradizione era rappresentata allora dall’opposizione tra realisti e
nominalisti. I primi sostenevano che le regolarità nei fenomeni naturali devono
avere una ragione, una causa, e la cercavano nelle proprietà causali, costituenti
ciò che essi chiamavano “forme sostanziali”, o “nature”, delle sostanze che
prendevano parte dei processi naturali. I secondi invece negavano la realtà di
1
Bas C. Van Fraassen, The Scientific Image, Oxford, Oxford University Press, 1980; tr. it.
L’Immagine Scientifica, CLUEB, Bologna, 1985.
- 2 -
queste proprietà e si trovavano quindi a dover rifiutare tali richieste di
spiegazione.
Durante lo sviluppo dei fondamenti filosofici della scienza moderna, i filosofi
sono apparentemente sfuggiti a tale dilemma continuando a spiegare le
regolarità che si osservano in natura senza postulare proprietà causali.
Ciò sembrava possibile ricorrendo a delle spiegazioni di tipo meccanico dei
fenomeni naturali che non richiedessero il ricorso ad ulteriori tipi di cause.
Per fare questo era però necessaria una teoria atomica della materia, la quale
potesse dare una spiegazione di tipo appunto meccanico delle regolarità
postulate nel comportamento delle parti atomiche. Dal momento che gli atomi
non hanno ulteriori parti, nessuna spiegazione atomica sarebbe stata possibile in
tal caso.
L’opposizione precedentemente delineata tra una visione realista e una di tipo
nominalista si ripropone dunque nel tentativo di spiegazione, tramite
l’attribuzione di specifici poteri e proprietà causali, in grado di spiegare perché
determinati atomi agiscono e reagiscono effettivamente in un dato modo, nel
realista, oppure respingere la richiesta di alcuna spiegazione, come vuole il
nominalista. In aggiunta, un nuovo problema era sorto, in quanto parte delle
motivazioni dietro al rifiuto del nominalista di un mondo di poteri, proprietà e
disposizioni professato dal realista aristotelico, erano di carattere
epistemologico. L’osservazione dei fenomeni non indica in modo privo di
ambiguità le supposte connessioni causali che stanno dietro ad essi.
Un problema simile è quello riguardante le ipotesi atomiche: i fenomeni non
decidono della loro verità o falsità, sebbene essi vengano forse meglio spiegati
da un’ipotesi piuttosto che da un’altra. Il risultato fu che gli scienziati
successivi, intenzionati a chiarire su basi filosofiche la propria disciplina,
- 3 -
trovarono anche più difficile riconciliare il proprio empirismo e la loro
avversione per la metafisica con una credenza non qualificata in ipotesi che
descrivono un supposto mondo al di là dei fenomeni.
Una tale situazione ha condotto, negli sviluppi più recenti della storia della
scienza e della filosofia della scienza, alle differenti posizioni rappresentate, nel
diciannovesimo secolo, dal fenomenismo di Ernst Mach
2
, dal convenzionalismo
di Henri Poincaré
3
e dal finzionalismo di Pierre Duhem
4
e, nel ventesimo
secolo, dall’empirismo logico di Hans Reichenbach
5
, l’empirismo di Moritz
Schlick
6
e dal positivismo logico di Rudolf Carnap
7
, posizioni che segnarono
un’ulteriore svolta radicale verso l’empirismo.
Alle origini dell’empirismo contemporaneo si trovano i lavori di Schlick e
Reichenbach, i quali svilupparono la propria posizione sulla base delle più
recenti scoperte e raggiungimenti, rappresentati dalla teoria einsteiniana della
relatività e dalla sua nuova concezione della realtà fisica.
A partire dagli inizi del Novecento, i primi sviluppi del neoempirismo
all’interno del Circolo di Vienna hanno posto le basi per uno sviluppo in diverse
direzioni della nuova concezione empirista della scienza, la quale si
differenziava sostanzialmente dal precedente empirismo inteso nel senso di
Hume o Mach proprio in seguito al nuovo scenario disegnato, all’interno della
scienza, dall’arrivo della concezione relativistica. I nuovi concetti di spazio e
tempo si allontanano definitivamente dall’idea fino allora dominante di stampo
2
E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwickelung historisch-kritish dargstellt (1883); tr. it. a cura di
A. D’Elia, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, Bollati Boringhieri, Torino 1992.
3
J. H. Poincaré, La science et l’hypothèse, Flammarion, Paris 1907; tr. it. di C. Sinigaglia, La
scienza e l’ipotesi, Bompiani, Milano 2003.
4
P. Duhem, La théorie physique: son object et sa structure (1940-1905), Chevalier et Rivière,
Paris 1906 ; tr. it. di D. Ripa di Meana, La teoria fisica, il suo oggetto e la sua struttura, a cura di
S. Petruccioli, Il Mulino, Bologna 1978.
5
H. Reichenbach, Modern Philosophy of Science, London, Routledge and Kegan Paul, 1959; tr. it.
La nuova filosofia della scienza, Bompiani, Milano 1956.
6
M. Schlick, Positivismus und Realismus, in Erkenntnis 3, 1932.
7
R. Carnap, Die Aufgabe der Wissenschaftslogik, Gerold, Wien, 1934.
- 4 -
kantiano, legati alla concezione della geometria euclidea, e che, nella Germania
del secondo Ottocento, aveva vissuto un rinnovato interesse.
Esempio di un primo distacco e di una presa di coscienza dell’impossibilità di
conciliare interamente la visione kantiana ed euclidea con in nuovi modelli
relativistici è rappresentato dall’opera di Ernst Cassirer
8
, secondo il quale
l’intuizione pura di stampo kantiano non può determinare la geometria dello
spazio fisico oggettivo, così come questo appare descritto secondo la teoria della
relatività. Preso atto di questa impossibilità, Cassirer tenta comunque una
riconciliazione tra teoria della relatività e gnoseologia trascendentale.
Ciò sarebbe possibile tramite l’abolizione degli assiomi metrici dell’intuizione
pura e nel riconoscere all’interno delle teorie scientifiche la presenza di principi
costitutivi dell’oggettività scientifica.
Tale tentativo di riconciliazione non viene però riconosciuto valido da Schlick e
Reichenbach, da parte dei quali vi è la totale condanna della teoria kantiana dei
giudizi sintetici a priori. La nuova visione della scienza da essi sostenuta è intesa
come un discorso di natura parzialmente ipotetica e convenzionale che
differenzia l’empirismo contemporaneo dalla sua precedente incarnazione.
Nello specifico, Reichenbach accetta la posizione di Cassirer e il suo tentativo
ma non lo ritiene sufficiente per riconciliare l’epistemologia kantiana con la
teoria della relatività. Quest’ultima infatti mina la certezza in un metodo
trascendentale il quale vuole porre dei limiti all’esperienza credendo nella
validità assoluta di un certo insieme di giudizi. In termini generali, la posizione
di Reichenbach rispecchia il punto di vista del positivismo logico, corrente
8
E. Cassirer, Zur Einsteinschen Relativitätstheorie. Erkenntnistheoretische Betrachtungen,
Bruno Cassirer, Berlino, 1921.
- 5 -
influenzata sia dal pensiero di Mach che da Ludwig Wittgenstein
9
, e secondo
cui in filosofia unico valore va attribuito alle proposizioni che raffigurano la
realtà: in base al principio di verificabilità, il significato di una proposizione, la
sua rispondenza o meno alla realtà, sta nel metodo della sua verificazione.
È questa una veloce rassegna delle principali posizione sviluppatesi tra
diciannovesimo e ventesimo secolo e sorte sulla scia della contrapposizione di
partenza tra empirismo e realismo. Nessuna di esse viene più abbracciata nella
sua totalità dai più recenti sviluppi della filosofia della scienza e le etichette che
le contraddistinguono possono venir abbandonate per concentrarsi su una
questione fondamentale che Van Fraassen vuole porre ad un aspirante empirista
oggi: che tipo di spiegazione filosofica è possibile del fine e della struttura della
scienza?
Dividendo gli studi di filosofia della scienza in fondazionali, concernenti il
contenuto e la struttura delle teorie, e relazionali, dove si analizza appunto il
rapporto tra una teoria, da un lato, e il mondo e l’utente della teoria, dall’altro,
emergono profondi disaccordi circa la struttura generale delle teorie scientifiche
e la caratterizzazione del loro contenuto. Un’opinione corrente e generalmente
accettata è quella secondo la quale le teorie spesso spiegano i fenomeni, processi
e strutture osservabili, postulando altri processi e altre strutture non direttamente
accessibili all’osservazione. Pur accettando tale concezione sulla struttura delle
teorie, molti filosofi dissentono tuttavia sui problemi concernenti le relazioni di
una teoria con il mondo fisico, da un lato, e con i suoi utenti, dall’altro.
Una possibile relazione fra teoria e mondo fisico consiste nell’essere vera, nel
fornire una spiegazione vera dei fatti che essa descrive. Affiancando questa
affermazione con la precedente concezione di quello che le teorie sono, si
9
L. Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus, Routledge & Kegan Paul, London 1961, tr.
it. a cura di A.G. Conte, Einaudi, Torino, 1964.
- 6 -
ottiene come risultato che la scienza mira a trovare una descrizione vera di
processi inosservabili che spieghino quelli osservabili, e anche di quali siano i
possibili stati di cose, non solo quelli attuali.
Questa una possibile definizione di quello che l’empirismo si propone di fare
come guida filosofica nello studio della natura. L’empirismo richiede alle teorie
di dare una spiegazione vera di ciò che è osservabile; per servire ai fini della
scienza non è necessario che i postulati siano veri, tranne in ciò che essi dicono
intorno a quello che è attuale ed empiricamente attestabile. È questo un punto di
una certa importanza nella definizione dell’empirismo, nel quale si vuole evitare
la reificazione della possibilità o della necessità, collocate nell’ambito delle
relazioni tra idee, tra parole, come espedienti per facilitare la descrizione di ciò
che è in atto. Quando l’empirismo logico rappresentava questo punto di vista
empirista, vi si aggiungeva una teoria del significato e del linguaggio e un
generale orientamento linguistico. A questa forma di empirismo si oppone il
realismo scientifico, il quale respinge tutte le concezioni empiristiche appena
descritte.
Nella propria personale difesa dell’empirismo dagli attacchi del realismo
scientifico, Van Fraassen è convinto della correttezza dell’empirismo ma non
così come esso compare nella forma linguistica che gli diedero i positivisti
logici. Pensare che diverse perplessità filosofiche, fraintese come problemi
ontologici ed epistemologici, in realtà fossero solamente problemi intorno al
linguaggio, era sicuramente un atteggiamento corretto da parte dei positivisti
logici, in particolare per quel che riguarda i problemi concernenti la possibilità e
la necessità. Il linguaggio della scienza, in quanto parte del linguaggio naturale,
rientra evidentemente tra gli oggetti della filosofia generale e della logica del
linguaggio. Ciò significa soltanto che certi problemi possono venir messi da
- 7 -
parte in filosofia della scienza, ma non che i concetti filosofici debbano venir
tutti esplicati linguisticamente. L’errore sorto da questa concezione e perpetrato
dagli eredi dei positivisti logici è stato quello di trasformare problemi di natura
filosofica in problemi circa il linguaggio.
Dall’altra parte, il realismo scientifico si troverebbe nell’errore di reificare tutto
ciò che non può venir liquidato tramite una definizione. Nelle discussioni
riguardanti la relazione tra una teoria e il mondo emerge il problema di cosa
significhi accettare una teoria scientifica. Tale problema possiede una
dimensione epistemica, che risponde alla domanda quanta credenza comporta
l’accettazione di una teoria?, e una dimensione pragmatica, ovvero, cos’altro
essa comporta oltre alla credenza?
Nella concezione che viene sviluppata da Van Fraassen la credenza insita
nell’accettare una teoria scientifica è relativa solo al fatto che essa “salvi i
fenomeni”, ovvero che descriva correttamente ciò che è osservabile.
Occorre però distinguere attentamente tra “accettazione” e “credenza” e non
cadere nell’errore di identificare le due nozioni. Non è infatti mai possibile
secondo Van Fraassen accettare una teoria onnicomprensiva, completa in ogni
suo dettaglio: accettare una teoria piuttosto che un’altra implica anche un
preciso impegno nei confronti di un programma di ricerca, quello di continuare
il dialogo con la natura nella cornice di uno schema concettuale piuttosto che un
altro. Anche se due teorie sono empiricamente equivalenti, e l’accettazione di
una teoria comporta soltanto la credenza che essa sia empiricamente adeguata,
può ancora esservi una grande differenza nell’accettare l’una invece che l’altra.
E questa differenza è di tipo pragmatico, ovvero relativa a che cosa di altro
comporta, oltre alla credenza, l’accettazione di una teoria.
- 8 -
Le virtù pragmatiche non ci danno alcuna ragione oltre all’evidenza dei dati
empirici per pensare che una teoria sia vera. Su questa base e sulla distinzione
fatta tra accettazione e credenza in una teoria, Van Fraassen argomenta in difesa
di una posizione empirista in opposizione al realismo scientifico e che si
distingue a sua volta dall’empirismo ametafisico dei positivisti, sul quale i
realisti credono di aver avuto ragione definitivamente.
La posizione scientifica così sviluppata e difesa da Van Fraassen assume il
nome di “empirismo costruttivo”, intesa come lo sviluppo di un’alternativa
costruttiva al realismo scientifico sui punti principali che dividono le due
posizioni, in particolare la relazione fra teoria e mondo.
L’aggettivo “costruttivo” sta ad indicare l’opinione propria di Van Fraassen
secondo cui l’attività scientifica debba essere un’attività di costruzione piuttosto
che di scoperta; costruzione di modelli che devono essere adeguati ai fenomeni,
e non scoperta della verità concernente l’inosservabile.
La volontà di battezzare con un titolo scientifico la propria posizione sta ad
indicare inoltre la volontà da parte di Van Fraassen di reagire al fatto che i
realisti scientifici si siano appropriati per sé stessi di un nome estremamente
persuasivo: è infatti posizione condivisa quella di essere scientifici e realisti per
poter operare in questo ambito.
1.2 ALCUNE DEFINIZIONI DI REALISMO SCIENTIFICO
Nel corso del Novecento, la prima filosofia della scienza dominante fu
quella sviluppata nell’ambito del positivismo logico. Il realismo scientifico si è
formato sulla base delle critiche rivolte al positivismo logico in quanto reazione
nei confronti di questa concezione, ma in grado di potersi sviluppare
- 9 -
autonomamente e garantire un proprio status indipendente. Per poter introdurre
gli aspetti qui di maggior interesse (rapporto teorie e mondo) della posizione
definita “empirismo costruttivo” e sostenuta da Van Fraassen, è prima
necessario analizzare quale sia la definizione di realismo scientifico in
opposizione alla quale si sviluppa L’Immagine Scientifica partendo da alcune
posizioni generali sostenute da diversi pensatori su questo argomento.
Il termine “realismo scientifico” denota una precisa posizione sulla questione di
come si dovrebbe intendere una teoria scientifica e di come effettivamente sia
l’attività scientifica. La questione del realismo scientifico è tornata recentemente
al centro della riflessione epistemologica sia per il rinnovato interesse suscitato
da parte dei sostenitori, sia per l’opposizione rappresentata dalle tesi cosiddette
“antirealiste”, delle quali l’empirismo costruttivo di Van Fraassen costituisce
uno dei molteplici esempi. Una trattazione approfondita di quello che si intende
con “realismo” richiederebbe un interesse e uno studio a sé stante, vista la
complessità dell’oggetto in esame, a partire da una sua definizione. In termini
generali si può dire che il realista pensa che la scienza fornisca (o debba fornire)
la descrizione di una realtà extrateorica, indipendente dalla mente, dal
linguaggio o dagli schemi concettuali. A questa visione si oppongono, sulla basi
di diverse motivazioni, gli approcci che possono essere definiti appunto come
“antirealisti” e che possono nello specifico prendere le più svariate etichette,
come strumentalismo, nominalismo, idealismo, pragmatismo ed empirismo.
Tra le definizioni prese in considerazione da Van Fraassen di realismo
scientifico, particolare attenzione meritano le posizioni di Michael Dummett,
Hilary Putnam e Wilfrid Sellars
10
.
10
Altre definizioni, tra cui quelle di Richard Boyd e Brian Ellis, vengono considerate e prese in
esame da Van Fraassen ne L’Immagine Scientifica; per portata e implicazioni, solo alcune di
esse vengono qui prese in esame.
- 10 -
Michael Dummett
11
propone una formulazione del realismo in termini
semantici: egli afferma che il realista difende i principi logici di bivalenza e
terzo escluso, secondo cui esistono solo due valori di verità e ogni enunciato
significante è determinatamente o vero o falso. A ciò egli oppone un approccio
di tipo neoverificazionista secondo cui la questione della verità e della falsità di
un enunciato non si pone mai indipendentemente da quella delle sue condizioni
di asseribilità. Ecco la sua definizione di realismo:
Io caratterizzo il realismo come la credenza che le asserzioni della classe di
cui si discute posseggono un valore di verità oggettivo, indipendentemente
dai nostri mezzi di conoscerlo: essi sono veri o falsi in virtù di una realtà
che esiste indipendentemente da noi. A ciò l’antirealista oppone la
concezione secondo cui le asserzioni della classe in discussione debbono
essere comprese soltanto attraverso il riferimento al tipo di cosa
consideriamo come prova per un enunciato di quella classe
12
Quello che emerge da una tale definizione, nella quale la questione del realismo
rientra nell’ambito della teoria del significato, è il modo in cui il realismo appare
come una posizione del tutto naturale e, implicitamente o esplicitamente, un
gran numero di scienziati sembra assumere tale atteggiamento nella propria
attività professionale. Risulterebbe infatti alquanto difficile negare che esista un
mondo che ci circonda là fuori, indipendentemente da quello che noi ne
sappiamo. Ma a partire da Kant, le fortune filosofiche di questa prospettiva sono
state altalenanti. Quello che predomina nella filosofia del Novecento è una
visione proiettiva della conoscenza che pone una serie di problemi al realismo.
Negli ultimi decenni il realismo si è trovato a dover fare i conti con una pluralità
di metodi e approcci, giudicati tal volta tra loro incommensurabili, tale da
rendere dubbia l’affermazione di un oggetto comune.
11
M. Dummett, Truth and Other Enigmas, Duckworth, London 1978.
12
M. Dummett, Truth and Other Enigmas, op. cit. p. 146.