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Introduzione
Il presente studio si incentra sul rapporto tra eternità e tempo nell’Enneade
III 7 di Plotino. Prima di entrare nel pieno della questione è giusto avere un
quadro generale sul sistema filosofico plotiniano che si poggia sulle tre
ipostasi e comprendere le influenze che lo hanno determinato (cap. I).
Plotino può essere considerato uno degli ultimi grandi filosofi del
Paganesimo. La sua filosofia è di chiara ispirazione platonica anche se in
molti punti si discosta dal pensiero di Platone.
Per il momento dobbiamo tenere presente che Plotino accoglie anche
specifici influssi propri della riflessione parmenidea, di quella
neopitagorica, di quella stoica e di quella aristotelica. L’originalità di
Plotino consiste, in effetti, nell’aver cercato nella tradizione greca,
prevalentemente in quella platonico-aristotelica, gli elementi di una
costruzione razionale per giustificare il passaggio dall'Uno ai molti.
Plotino costruisce il suo sistema metafisico sulla base di tre ipostasi: Uno,
Intelletto e anima. Esse sono per Plotino le tre «ipostasi che sono principi»,
ossia principi metafisici che in virtù della propria natura vanno intese sia
come originari livelli di realtà sia come cause. Scaturisce da essi un’attività
in base alla quale ciascun livello del reale risulta principio di quello
successivo: l’Uno genera così l’Intelletto, l’Intelletto l’anima, l’anima
genera corpi e forme sensibili. Considerato che il Principio viene concepito
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da Plotino come il Primo Dio, si comprende il motivo per cui a partire dal
Principio stesso l'intera realtà risulti in certo modo divinizzata e perché in
questo sistema gli esseri di natura divina giungano fino all’anima.
Plotino viene solitamente considerato come il «filosofo dell’Uno». Plotino
afferma in modo chiaro che il primo Principio non è “essere” bensì al di
sopra dell'essere. Occorre fin d'ora precisare che l’essere autentico,
nell'ottica platonica di Plotino appartiene al mondo intelligibile, infatti esso
è concepito come uno dei generi supremi che determina la struttura
dell’intelligibile. Il mondo dei corpi invece partecipa dell'essere, inteso
come esistere, in modo assolutamente imperfetto e secondo un grado molto
inferiore rispetto all’intelligibile. In sintesi l’Intelletto è il principio
all’interno della totalità del reale, «è la più alta e perfetta tra le cose che
sono».
Dopo aver esposto il sistema filosofico di Plotino che fa da base a tutto il
suo argomentare si passa ad analizzare l’Enneade III 7 e tutti i relativi
problemi tra eternità e tempo e come il tempo sia vita dell’anima e
immagine dell’eternità (cap. II-III).
Il problema del tempo nella concezione plotiniana è affrontato nella
Enneade III 7. Rifacendosi a Platone, Plotino intende il problema del tempo
in stretta connessione con quello dell’eternità, ma, rispetto a Platone, egli
sembra dedicare una specifica attenzione alla riflessione metodologica.
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I concetti di «eternità» e «tempo» costituiscono, secondo Plotino, una unità
dialettica nonostante siano opposti dal punto di vista ontologico. Il tempo,
ovvero ciò che viene a sussistere e si manifesta nell’ambito del divenire,
esiste solo a causa e in virtù dell’eternità, che costituisce il suo autentico,
originario e immutabile fondamento, ed è comprensibile solo a partire da
quest’ultima.
Possiamo considerare l’eternità come punto di partenza della filosofia
plotiniana del tempo, mentre il tempo si presenta nell’esperienza
conoscitiva ed esistenziale dell’uomo. Dal momento che l’anima dell’uomo
è eterna nella sua essenza e temporale in rapporto alle sue attività, l’uomo
giunge a porsi il problema del tempo: attraverso la sua riflessione egli è in
grado di ascendere all’eterno e alla ricerca dell’unità della propria
esperienza conoscitiva.
È proprio su questa dialettica tempo-eternità che insiste Plotino. Alla luce di
ciò si potrebbe dire che l’intera ricerca plotiniana si configura come un
circolo, entro il quale il problema del tempo sorge e prende forma
dall’interno dell’esperienza sensibile dell’uomo.
Per Plotino il motivo essenziale che caratterizza la storia del concetto di
tempo nella filosofia greca sia la connessione problematica del tempo con il
movimento. I predecessori presi in considerazione da Plotino concepiscono
il tempo identificandolo con il movimento o con l’ente che è in moto,
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oppure come attributo del movimento. Plotino critica questi punti di vista
perché finiscono per ridurre il tempo al movimento.
Possiamo affermare ora che per Plotino l’identificazione tra tempo e
movimento viene negata. Il movimento si svolge nel tempo, di conseguenza
il movimento non si identifica col tempo. Quindi anche se il movimento si
interrompe, il tempo continua a scorrere.
Alla luce di quanto è possibile comprendere per Plotino in che modo il
tempo sia stato prodotto dall’eternità.
Plotino per fare ciò esplicita la questione prima in forma narrativa facendo
entrare in gioco l’anima come creatrice del tempo e del mondo, definendo il
tempo come vita dell’anima che si attua come immagine dell’eternità.
Il tempo rappresenta l’attività con cui l’anima, che permane nella sua
essenza come eterna, si muove, ossia si orienta alla generazione del mondo
e produce il tempo. Plotino definisce il tempo come vita dell’anima. Questa
definizione è molto significativa perché in base ad essa possiamo
comprendere bene il senso e la direzione della propria riflessione. Il
soggetto teoretico è chiaramente l’Anima del mondo che pone attraverso il
suo atto i singoli momenti di tempo e li mette in relazione tra loro
trascorrendo dall’uno all’atro. In questo modo l’Anima crea la successione:
un fondamento unitario come condizione del succedere e una molteplicità
di momenti che si succedono. Risulta quindi chiaro che a creare la
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successione dei momenti di tempo è l’atto dell’Anima che si moltiplica e si
differenzia.
La successione temporale risulta così “una nella continuità” e il fondamento
dell'unità del tempo è l’essenza dell’anima. Se l’eternità è indivisibile ed
una, il tempo è l'immagine di questa unità che è garantita dalla sua
continuità. Dal canto suo, l’atto dell’Anima del mondo non può essere
diviso perché esso non si svolge nel tempo, ma è l’atto che origina la
successione temporale. Così l’Anima del mondo è fonte di unità e al
contempo di differenza nella successione temporale; d'altra parte, l’anima
dell’uomo divide il tempo a partire dal presente distinguendo una parte di
tempo che è passata e una parte di tempo che è futura.
A questo punto è opportuno riportare le ultime righe del capitolo
undicesimo dell’Enneade III 7, in cui Plotino cerca di chiarire ulteriormente
il rapporto sussistente tra eternità, propria del mondo intelligibile, e tempo,
proprio dell'universo sensibile:
Se infatti l’eternità è vita nella stabilità e nell’identità ed è
compiuta ed infinita, il tempo deve essere immagine
dell’eternità conformemente alla relazione che questo
universo intrattiene con quello intelligibile. (Enn. III 7, 11,
45-47)
In questo passo è possibile cogliere il rapporto che per Plotino esiste tra
l’eternità come vita del Nous e il tempo come vita dell’Anima. Inoltre qui è
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possibile comprendere in che modo Plotino rilegge la dottrina di Platone
secondo cui il tempo è «immagine mobile dell’eternità».
Per comprendere ancora meglio il problema del tempo in Plotino occorre a
questo punto delineare le fondamentali differenze fra la sua prospettiva
filosofica e quella genuinamente platonica. Occorre comunque ricordare
che Plotino si ritiene mero interprete di Platone e che dunque egli non
ritiene di inserire innovazioni all'interno della riflessione platonica.
L’interpretazione plotiniana riprende, in effetti, fondamentali elementi
presenti nel Timeo, che vengono però riorganizzati e rielaborati in una
prospettiva teoretica assai diversa da quella platonica.
Per Plotino, a differenza di Platone, l’origine della plasmazione del mondo
sensibile spetta all’anima cosmica che, in forma di immagine, trasferisce
nel mondo sensibile i contenuti che il Nous le fornisce. Quindi in Plotino il
tempo va considerato come l'effetto dell'azione dell’Anima del mondo e il
succedersi del tempo è la modalità in cui il cosmo sensibile, attraverso
l'azione dell'Anima del mondo, imita frammentariamente, come
un'immagine rispetto al proprio modello, l'eternità assolutamente unitaria
del cosmo intellegibile.
Un aspetto assolutamente fondamentale per comprendere meglio la natura
della riflessione ontologica proposta da Plotino, è sicuramente la dottrina
parmenidea (cap. IV). L’eleatismo ha di fatto determinato il procedere del
pensiero greco nelle sue varie forme di riflessione sulla natura dell’essere.
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Plotino, in effetti, riconosce a Parmenide un ruolo fondamentale nella
riflessione sull’essere, soprattutto in quanto egli avrebbe colto l’autentica
natura della realtà intellegibile considerata come unità di essere e pensiero.
Plotino definisce questa identità di essere e pensiero come Noûs che
rappresenta una delle tre ipostasi plotiniane.
Nell’ottica di Plotino, l’essere proprio in virtù del legame che lo connette
strettamente al pensiero, insieme al quale, nell'ambito dell'intelligibile, esso
viene a costituire una "identità dinamica", al contrario di Parmenide non
possiamo concepirlo come immobile. Da ciò risulta evidente come per
Plotino il pensare implichi in sé una sorta di movimento. Bisogna chiarire
comunque che mentre per Parmenide essere e pensiero sono
originariamente identici, secondo Plotino sussiste una dualità originaria.
Dunque la realtà intelligibile costituisce originariamente la realtà connotata
come Uno-molti.
Parmenide ha condizionato Plotino anche sulla concezione dell’eternità.
Plotino con le sue affermazione sull’eternità, soprattutto nel terzo capitolo
dell’Enneade III 7, si accorda sia dal punto di vista terminologico che
funzionale con le affermazioni espresse da Parmenide sull’essere nel suo
frammento 8.
Plotino riprende l’ontologia parmenidea escludendo dalla dimensione
dell’Essere il passato e il futuro.
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CAPITOLO PRIMO
I.1. Cenni sulla vita e opere di Plotino.
Plotino nasce nel 205 d.C. a Licopoli, in Egitto. A 28 anni entra a far parte
della scuola di Ammonio Sacca
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ad Alessandria e successivamente si reca a
Roma, dove apre una propria scuola. In un primo momento tiene lezioni
senza scrivere nulla, però, dopo che altri discepoli di Ammonio Sacca,
Erennio e Origene il Pagano vengono meno alla promessa di non divulgare
il pensiero di Ammonio, Plotino inizia a scrivere trattati nei quali affronta i
temi trattati nelle sue lezioni
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Anche se Plotino tende a presentare i suoi scritti sostanzialmente come
commenti e interpretazioni di Platone, essi propongono una complessa ed
articolata rielaborazione filosofica dell’intero pensiero antico, ed al
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Ammonio Sacca è considerato il fondatore del Neoplatonismo. Ne sappiamo molto
poco, se non che ha fondato una scuola ad Alessandria tra il II e III sec. d.C. Educato
al Cristianesimo, dopo essersi dedicato alla filosofia diventa pagano. Non ha scritto
nulla in quanto le sue lezioni erano destinate solamente ai suoi discepoli. (cfr. G.
Reale- D. Antiseri, Storia della filosofia, Vol. I, Dall’antichità al medioevo, Ed. La
Scuola, Brescia, 1997).
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Il discepolo Porfirio edita e ordina questi trattati, che sono cinquantaquattro,
divedendoli in sei gruppi di nove. Ogni gruppo è definito Enneade, pertanto abbiamo
sei Enneadi. I temi trattati sono: questioni di etica (I Enneade), fisica e cosmologia
(II Enneade), cosmologia in senso più ampio e qui Plotino prende in considerazione
anche il problema del tempo e dell’eternità (III Enneade), anima (IV Enneade),
Intelletto, Essere, e Idee (V Enneade), l'Uno ed il Bene (VI Enneade).