INTRODUZIONE
LA STORIA DI UN PROBLEMA.
La riflessione filosofico-giuridica si propone come strumento indispensabile per scendere in profondità
e valutare le strutture fondamentali delle società, secondo standards razionali, orientati e giustificati da
argomenti di principio universalistici che vestono significato normativo. Per questo motivo è
caratterizzata in primo luogo dalla sua specifica pluralità di trattazioni e argomentazioni: se non fosse
colorata da più voci e posizioni, la riflessione teorica non sussisterebbe come tale, cioè aperta alla
critica, perché verrebbe investita di valore normativo diretto. E’ una situazione che va presupposta
variegata e articolata, e non necessariamente armonica. I modelli normativi elaborati dalle diverse
dottrine politiche -che a seguito analizzerò- non sono tuttavia incompatibili, non del tutto almeno. La
comparazione e il confronto sono possibili, non perché gli autori condividano un set di credenze
religiose, filosofiche o antropologiche (alcuni sì), ma perché, oltre a condividere una razionalità logica
di fondo, ogni modello teorico si pone come metro di valutazione e critica delle istituzioni sociali
esistenti, in relazione al raggio di libertà possibile dell’uomo (o di determinati gruppi). Non
dimentichiamo infatti che la riflessione teorico-giuridica, nella sua vasta struttura concettuale e
pluralità di opzioni e proposte diverse, si volge sempre verso quell’orizzonte pratico dove soggetto e
fine è specificatamente l’individuo.
La definizione del rapporto tra diritto e morale è tema impegnativo e controverso nel dibattito
filosofico, e rappresenta in realtà, una problematica ben più ampia e complessa di quanto possa
emergere da questo elaborato. Si tratta di un’analisi forse superficiale e schematica in alcuni punti, ma
comunque essenziale per comprendere e interpretare l’attenzione dedicata alla percezione e allo
spessore normativo dell’omosessualità in ambito giuridico. La rilevanza politica che ha costantemente
accompagnato problematiche inerenti la vita sessuale degli individui deriva dal fatto che "tali questioni
si sono sempre ben prestate quali esempi di 'harmless immoralities', di 'victimless crimes': per
infrangere il milliano principio del danno e interferire in una sfera così privata della vita degli
individui, ovvero per negare protezione giuridica a determinati individui quali potenziali obiettivi di
discriminazione, è necessario mettere in gioco il potere normativo di una determinata concezione del
bene umano, è necessario cioè legittimare un effettivo e diretto impatto della morale sul diritto"
(Zanetti, 2004). La ricerca è improntata infatti sulla traccia dell’intensa discussione sul rapporto fra
diritto e morale: strumento orientativo sarà il vivido dibattito sul cosiddetto Legal Enforcement of
Morals, vale a dire sull’opportunità o meno che il diritto imponga coercitivamente, cioè attraverso il
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codice penale, la morale. Di capitolo in capitolo mi occuperò quindi di casi e situazioni particolari di
confronto/scontro tra morale sessuale e realtà istituzionale, risalendo ai quadri teorici di riferimento, a
quei modelli concettuali retrostanti la cui funzionalità ha di fatto avuto impatto evidente sugli
ordinamenti giuridici occidentali e sulle decisioni politiche. La filosofia del diritto esercita infatti
un’influenza diretta su questioni normative concrete: l’operatività e la “militanza” è carattere proprio
costitutivo della riflessione teorico-istituzionale, essendo il diritto stesso calato nella realtà.
Dagli anni Sessanta a oggi l'esplosione dei movimenti per la rivendicazione e il riconoscimento dei
diritti individuali e la circolazione di temi e questioni prima tabù (come l'aborto, contraccezione,
eutanasia, omosessualità) ha mutato profondamente il panorama non solo politico e sociale, ma anche
morale e culturale, incidendo profondamente sulla tensione che la validità del diritto intrattiene con
giudizi morali. Varie interpretazioni diverse sono sorte a riguardo, ciascuna assumendo come
presupposto teorico una data immagine dell'uomo da cui trarre significati e argomenti normativi.
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CAPITOLO I
TRA PATERNALISMO E POSITIVISMO GIURIDICO: LA DISPUTA TRA DEVLIN E HART.
1.1 “MILL'S REPRISE”: THE WOLFENDEN REPORT
La nota disputa tra H.L.A. Hart e Lord P. Devlin ha origine da un documento del 1957 che presentava
importanti modifiche del codice penale inglese, nello specifico dalla questione sull'opportunità della
repressione penale delll'omosessualitù e della prostituzione. La commissione nominata, preseduta da J.
Wolfenden, The Wolfenden Commitee Report, si espresse negativamente, raccomandando il mancato
intervento dello stato in questioni riguardanti l'omosessualità e la prostituzione come aspetti della vita
privata dei cittadini.
La Commissione Wolfenden sostenne la depenalizzazione delle relazioni omosessuali tra adulti
consenzienti e della prostituzione rifacendosi al principio di J.S. Mill (Harm Principle) per cui
“L’unico scopo per il quale il potere può essere giustamente esercitato nei confronti di un membro di
una comunità civile è quello di impedire il danno ad altri. […] Su sé stesso, sul proprio corpo e sulla
propria mente, l'individuo è sovrano”.
Riguardo i comportamenti non offensivi per il prossimo (self regarding actions), non deve esserci
interferenza da parte del diritto, che deve riguardare invece solo gli atti che recano danno a terzi. Mill
esclude l’uso del diritto al fine di rendere coercitiva una determinata concezione del bene, una morale,
e tende ad evitare il ricorso alla legge per imporre ai cittadini il loro stesso bene, in ipotesi conosciuto
meglio dal legislatore che dagli individui stessi (paternalismo giuridico).
Secondo Mill, ripreso e revitalizzato poi dalla Commissione, compito della società e delle sue
istituzioni legislative è la concessione e la tutela della libertà individuale; il diritto ha solo il compito di
garantire una pacifica convivenza, rimanendo in una posizione neutrale riguardo le questioni morali,
limitandosi così a intervenire solo nella misura in cui un comportamento reca un danno agli altri
membri della società.
“There must remain a realm of private morality and immorality, which is, in brief and crude terme, not
the law business" (Wolfenden Commitee Report, 1957) esiste una sfera privata, morale o immorale, che
non è affare del diritto; la legge non riguarda e non deve riguardare le scelte e gli stili di vita
individuali, ma può interferire solo con gli atti che recano danni al prossimo. Dal momento che i
rapporti omosessuali quindi non producono alcun danno verso nessuno, poiché sono azioni che
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riguardano il personale e non gli altri, secondo il rapporto Wolfenden l’omosessualità non può essere
considerata illegale.
Un atto sessuale fra adulti consenzienti può essere proibito solo se si assume che scopo del diritto sia
anche la prevenzione del male morale di per sé stesso non dannoso. Il moralismo giuridico si schiera da
questa parte della linea.
1.2 LA MORALITA’ NORMATIVA DI LORD DEVLIN.
La disputa tra Hart e Devlin, vortice centrale del dibattito anglosassone sul rapporto tra diritto e morale
dalla fine degli anni Cinquanta e per tutti gli anni Sessanta, come si è visto, prende l’input dalla
possibilità di fare dei principi morali norme giuridiche valide, ovvero se il diritto penale debba far
proprie le valutazioni della morale dominante, supportandole attraverso la sanzione giuridica. Otto anni
dopo la pubblicazione del rapporto Wolfenden, nel 1965 Lord Patrick Devlin si oppose in modo
risoluto a Hart e alla sua difesa del principio milliano e della Commissione, presentando “The
enforcement of morals”, con l’intento di argomentare e legittimare, appunto, l’imposizione giuridica
della morale.
Secondo Devlin, infatti, è proprio la morale condivisa a costituire il tessuto collettivo sociale, lo
scheletro e il mastice essenziale fondamentale che sottostà alla società, tenendola unita e stabile. La
comunità non viene dunque concepita come semplice aggregato di individui, ma è tale in funzione dei
principi morali comuni: il valore e l'identità di una società sta nella sua uniformità, nei valori condivisi.
E’ la comunione e la compartecipazione alla morale positiva a costituire il criterio normativo
condizionante dei costumi e di ogni condotta individuale. La società non è tenuta insieme da qualcosa
di fisico, ma dal filo invisibile del pensare comune: è il codice morale che lega gli individui tra loro.
La protezione dell'integrità della morale attraverso l’apparato legislativo e la coercizione legale è
necessaria per l’esistenza stessa della società. Per questo non esistono limiti al potere dello Stato: suo
compito e competenza è l’organizzazione sistematica della vita comunitaria, non solo a livello sociale e
politico, ma coltivando l’individuo tanto nel suo slancio associativo-collettivo quanto in ambito privato,
attraverso la promozione di una determinata concezione del bene, di modelli definiti di comportamento,
e il conseguente annientamento giuridico di ogni immoralità, fonte di pericolo per l’intera società.
Agli antipodi di quanto sostenuto da Mill e dalla Commissione, agli occhi di Devlin non esiste una
sfera privata di moralità che può ignorare il controllo della legge, inaccessibile al diritto: le questioni di
moralità e immoralità non sono un fatto privato ma, anzi, il diritto deve intromettersi per vietare e
sconfiggere il vizio allo stesso modo in cui interviene per proteggere l'individuo da un'aggressione, da
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