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risposte; il peso delle caratteristiche dell’intervistato sulla
formulazione della risposta.
La ricerca presentata in questo lavoro ha come obiettivo
metodologico proprio quello di raccogliere informazioni sul modo con
cui gli intervistati reagiscono alle domande di un sondaggio. Le
domande di cui si studierà il processo di formulazione della risposta,
sono quelle usate da Istituti di ricerca accreditati. Per raggiungere gli
obiettivi di ricerca lo strumento usato è stato l’intervista
sull’intervista, che ha permesso di esplicitare i ragionamenti
dell’intervistato normalmente taciti. La ricchezza del materiale
raccolto ha permesso anche un’analisi ermeneutica delle risposte più
illuminanti degli intervistati.
Infine, si è passati al problema della diffusione del sondaggio
sui mezzi di comunicazione di massa; in particolare, sono stati presi
in esame gli articoli di giornale in cui erano pubblicati i sondaggi
studiati, e si è analizzato come le risposte degli intervistati si sono
trasformate in notizia.
Per i preziosi consigli che mi hanno guidato in questo percorso e per il
tempo che mi è stato dedicato desidero ringraziare la Prof.ssa Maria
Concetta Pitrone e la Dott.ssa Gabriella Fazzi.
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1. CENNI STORICI SULL’EVOLUZIONE METODOLOGICA DELLA
FORMULAZIONE DELLA DOMANDA E DEL PROCESSO DI
FORMULAZIONE DELLA RISPOSTA
1.1 Dal behaviorismo al cognitivismo
1.1 Per molto tempo, l’intervista con questionario è stata
considerata una semplice fonte di informazione piuttosto che un
evento cognitivo e comunicativo (vedi ad esempio Sudman, Bradburn
e Schawarz, 1996).
Questa convinzione, probabilmente, è divenuta tale per due
ragioni: sia per il carattere di eccezionalità dell’intervista che, di
conseguenza, rimane una forma artificiale di interazione sociale, sia a
causa dell’influenza del movimento behaviorista il quale considera
l’intervistato semplice rispondente
3
, un magazzino di informazioni cui
accedere in maniera meccanica con uno stimolo standard per tutti (la
domanda) (Bokszanski e Piotrowski 1980, 46). In altri termini, il
behaviorismo considera l’intervista un processo di stimolo-risposta in
3
Le parole “ stimolo” e “rispondente” sono termini che rivelano l’influenza comportamentista nelle
scienze sociali
(Pitrone 1984, 56-57)
10
cui la domanda ha un ruolo preponderante rispetto alla risposta,
semplice reazione a quest’ultima.
L’asimmetria comunicativa descritta, però, mal rappresenta ciò
che accade nella realtà. Traducendo un concetto in domanda si fissa
un quadro di riferimento che spesso corrisponde a quello proprio del
ricercatore, dando per scontato che quel quadro di riferimento sia lo
stesso dell’intervistato (Schuman e Presser, 1981). In realtà ogni
individuo ha un modo personale di percepire la domanda che
rispecchia il suo background esistenziale (vedi ad esempio Boccuzzi
1985).
Queste convinzioni sono sostenute da molte ricerche (ad
esempio Rugg, 1941; Fee, 1979; Razzi, 1992; Palumbo 1992; Groves
et al. 1991; Conrad e Schober 2000) che hanno dimostrato i limiti di
un questionario strutturato e rigidamente somministrato. A questo
proposito, si può ricordare, già negli anni ’60, il tentativo di Schuman
con la random probe (1966): prima fu sottoposto ad un campione di
persone un questionario standardizzato rispettando la prescrizione di
assoluta uniformità testuale. In seguito l’intervistatore, al fine di
rilevare la comprensione delle domande da parte degli intervistati,
somministrava ad un sottocampione estratto casualmente delle
domande in forma aperta. In questa maniera si evidenziarono molte
incomprensioni dovute all’incongruenza tra gli schemi di riferimento
del ricercatore e gli schemi di riferimento dell’intervistato. Spesso, si
costatava l’assenza di quella base comune di conoscenze tacite che
11
rendono accettabile una conversazione ordinaria tra persone nella
vita quotidiana (Lazersfeld, 1935 et al.).
Questa esperienza è rimasta abbastanza isolata e dunque non
ha fatto molta scuola. Piuttosto, i ricercatori, si sono soffermati sui
problemi di formulazione della domanda (Cantril, 1944; Payne, 1951).
Fin dagli albori della metodologia, in letteratura c’è stata la
consapevolezza che piccole variazioni nella formulazione della
domanda possono causare differenze sostanziali nelle distribuzioni di
frequenza, soprattutto per quelle domande particolarmente
complicate sul piano sintattico e semantico, e per quelle domande
che toccano dei temi culturalmente nuovi su cui la gente ha riflettuto
poco (Sudman e Bradburn, 1996). C’è stata però, anche l’errata
convinzione che questi problemi non abbiano alcun effetto distorcente
sulle relazioni tra variabili, che sono il fulcro di interesse della ricerca
sociale (Schuman e Presser 1981).
Per questa e altre ragioni, insieme all’affermarsi del modello
standardizzato di questionario, a partire dagli anni ’50, si sono
ignorati la maggior parte dei problemi metodologici (Riesman, 1958;
Benney, 1956; anche Converse, 1986).
In particolar modo, tra gli anni ’50 e ’60, si sono studiate quasi
esclusivamente l’influenza delle caratteristiche dell’intervistatore
(razza, sesso, status sociale, età, aspetto esteriore) sulle risposte e le
reazioni psicologiche dell’intervistato di fronte a particolari argomenti
trattati nelle indagini.
12
Al contrario, hanno ricevuto scarse attenzioni i problemi di
formulazione della domanda e di costruzione del questionario,
problemi che sono rimasti principalmente le componenti di un’arte
che si acquisisce attraverso l’esperienza. E’ mancata una prospettiva
teorica sistemica concentrandosi, in molti articoli, su particolari
effetti causati da particolari domande o parole. Per queste ragioni, gli
studi sono rimasti incerti e non ci si stupisce se molti ricercatori
hanno perso l’interesse per questi argomenti (Sudman, Bradburn e
Schwarz, 1996).
Si è trascurato, inoltre, l’aspetto interattivo dell’intervista, che
avviene in un contesto sociale. Come ricorda Gobo (1997), secondo
una prospettiva di costruttivismo sociale, le cognizioni degli
intervistati giocano un ruolo attivo trasformando il questionario
durante l’intervista stessa.
Solo negli anni ’80, sull’onda della “rivoluzione cognitiva”, è
ritornata l’attenzione per questi aspetti metodologici. Le ricerche degli
psicologi cognitivi si sono basate sulla ricostruzione del filo dei
pensieri dell’intervistato mentre risponde alle domande, riflettendo ad
alta voce: si sono studiati i problemi della memoria, la comprensione
del linguaggio, le forme di ragionamento inferenziale e la formazione
del giudizio.
La collaborazione tra gli psicologi cognitivi ed i ricercatori
sociali cominciò nel tardo 1970; uno dei primi eventi da ricordare fu
un seminario tenuto nel 1978 dal British Social Science Research
13
Council e dal Royal Statistical Society sui problemi riguardanti la
raccolta e l’interpretazione dei dati di memoria nelle interviste (Moss e
Goldstein, 1979). In seguito ci furono altri due eventi importanti negli
Stati Uniti nel 1980: il primo fu un lavoro sostenuto dal Bureau of
Social Science Research in occasione della ricerca nazionale sulle
vittime del crimine, e sponsorizzato dal National Institute of Justice e
dal Census Bureau (vedi Biderman, 1980). Questo lavoro riunì
insieme cognitivisti, statistici e metodologi per discutere quali
contributi la psicologia cognitiva poteva dare nella comprensione dei
problemi metodologici riguardanti il processo di formulazione della
risposta nei sondaggi. Il secondo evento, la creazione di un panel sul
“subjective phenomena”, produsse due volumi che stimolarono
considerevolmente la ricerca su questi problemi (Turner e Martin,
1984).
Un ulteriore impeto per lo sviluppo dell’approccio cognitivo
venne da sei giorni di seminario intitolato “Cognitive Aspects of
Survey Methodology” (Jabine, Straf, Tanur e Tourangeau, 1984)
tenuto nel Maryland, finanziato e sostenuto dal comitato della
National Statistics, fondato dalla National Science Foundation.
In Europa, altri studiosi hanno seguito direzioni parallele: Schwarz e i
suoi colleghi dell’università di Heidelberg e del ZUMA, il centro di
ricerca tedesco per le scienze sociali, cominciano esperimenti relativi
al questionario. Nell’estate del 1984 al ZUMA si tenne un seminario
che coinvolse psicologi europei e ricercatori americani (vedi Hippler,
14
Schwarz e Sudman, 1987). Da questa conferenza vennero fuori
importanti risultati sui compiti e gli obiettivi dell’intervista; e
importanti riflessioni teoriche che suggerirono molti dei lavori
empirici che seguirono (ad esempio Martin, 1987; Tourangeau, 1984,
1988). Nel decennio a seguire lo sviluppo di questi studi fu rapido e
vigoroso; Schwarz e Sudman organizzarono diverse conferenze:
“Context Effects in Social and Psychological Research” nel 1989;
“Autobiographical Memory and the Validity of Retrospective Reports”
nel 1991 e “Methods for Determinig Cognitive Processes used to
Answear Question” nel 1993 (Schwarz e Sudman 1992; 1994; 1996).
L’applicazione della psicologia cognitiva alla ricerca sociale è
oggi ormai ben radicata e contribuisce a migliorare l’affidabilità dei
dati raccolti. Inoltre, si rivela uno strumento sempre più prezioso
nella fase di interpretazione dei dati. Nei maggiori centri di ricerca
sono stati creati dei laboratori di psicologia cognitiva per lo sviluppo
del questionario; i corsi di laurea in metodologia della ricerca sociale
4
,
inoltre, offrono dei corsi in psicologia cognitiva e psicologia sociale
(Bradburn, Schwarz e Sudman, 1996).
4
University of Maryland e the University of Michigan Joint Program in Survey Methods (Bradburn,
Schwarz e Sudman, 1996).
15
1.2 L’intervista come evento cognitivo e comunicativo
1.2 All’intervista come fonte di informazione alcuni ricercatori
contrappongono l’idea dell’intervista come tipo particolare di
conversazione: essa ha dei ruoli che le sono propri e norme sociali
che la distinguono, ad esempio, da una semplice conversazione tra
amici. Si ha una concezione interattiva dell’intervista, secondo cui le
risposte dell’intervistato possono essere comprese solo alla luce delle
situazioni sociali che le sollecitano (Gobo, 1997).
Questo approccio non è nuovo: tra i primi, a collocare
l’intervista nella prospettiva interattiva è stato Cicourel (1964). Egli
considerava il comportamento sociale guidato da regole di base e
regole di condotta. Le regole di base sono convenzioni implicite tacite
sulle quali vige un tacito consenso di tutti quelli che partecipano ad
una data situazione sociale; al contrario, le regole di condotta sono
norme esplicite, sancite dalla comunità.
Cicourel considera l’intervista, oltre che un evento
comunicativo, anche un evento cognitivo. Considerata dal punto di
vista cognitivo, l’intervista focalizza l’attenzione su tutti i processi
mentali che guidano la comprensione della domanda ed il processo di
formulazione della risposta. I processi cognitivi ed i processi
comunicativi di un’intervista, però, non possono essere divisi ed
analizzati indipendentemente l’uno dall’altro, perché entrambi sono
momenti di una stessa interazione tra intervistatore ed intervistato;
16
quindi, pur con la consapevolezza dell’arbitrarietà delle classificazioni
(Marradi 1990), la distinzione tra le due dimensioni è mantenuta per
pure necessità analitiche: in particolar modo i processi classificati
come cognitivi sono quelli che caratterizzano solitamente tutte le
interviste, mentre i processi classificati come comunicativi o culturali
sono quelli che si manifestano solo in determinate occasioni (Jabine,
Straf, Tanur e Tourangeau 1984).
La decisione di riservare pari attenzione agli aspetti
comunicativi ed agli aspetti cognitivi è abbastanza innovativa rispetto
alla visione tradizionale certamente influenzata dal behaviorismo.
Come abbiamo appena visto (Cicourel, 1964), solo dagli anni ’80 in
poi, con la svolta cognitivista, si è concentrata l’attenzione sui
ragionamenti degli intervistati e successivamente anche sull’influenza
che hanno su essi le relazioni che si instaurano durante
un’intervista.
17
1.3 L’intervista come conversazione
1.3 Un’intervista si svolge in un contesto sociale in cui una
persona (l’intervistatore) fa una domanda ad un’altra persona
(l’intervistato); la domanda tipica, inoltre, di solito è scritta,
precedentemente e in separata sede, da un terzo individuo, il
ricercatore. Binghman e Moore (1959) l’hanno definita una
“conversation with a purpose” che sfrutta le competenze linguistiche
di ogni partecipante.
Bisogna dire però, che l’intervista ha delle caratteristiche
sostanziali che la distinguono dalla conversazione ordinaria: essa è
una transazione tra due persone che devono seguire norme speciali;
l’intervistatore non giudica le risposte dell’intervistato che devono
rimanere strettamente confidenziali. Nella conversazione ordinaria,
inoltre, noi possiamo ignorare domande delicate e possiamo dare
risposte irrilevanti; nell’intervista invece è difficile evadere le domande
perché il “bravo intervistatore” le ripete e cerca di sondare quelle
risposte ambigue o irrilevanti. In definitiva, l’argomento centrale della
conversazione, è fissato nei dettagli dal questionario (Sudman e
Bradburn, 1982).
Tra ricercatori e studiosi c’è chi considera l’approccio
conversazionale un punto di forza e c’è chi, più fedele alla tradizione
comportamentista, lo considera una possibile fonte di distorsione (ad
esempio Groves, 1991). In particolare, i comportamentisti pensano
18
che le risposte siano totalmente comparabili solo se alla base c’è una
totale standardizzazione della domanda: quindi considerano i
possibili interventi dell’intervistatore una grave fonte di errore. E’ per
questo che si istruisce l’intervistatore a non dare spiegazioni agli
intervistati che le chiedono. Ne consegue che non si riesce in alcun
modo a raggiungere una proficua intesa tra intervistato e
intervistatore. L’intervistatore può seguire ragionamenti che riflettono
a loro volta una non-comunicazione (Schwarz, 1996).
E’ anche per questo che ricercatori critici (vedi ad esempio
Conrad e Schober, 2000) nei confronti del comportamentismo
sostengono che la negoziazione dei significati, che avviene durante
una conversazione, stia alla base della comprensione di una
domanda perché uno stimolo uguale per tutti mal si adatta alle
particolarità di ogni individuo.
Con queste premesse, cominciano a rivestire un’importanza
nuova il ruolo dell’intervistatore e quello dell’intervistato attraverso
diversi tipi di proposte: c’è chi (ad esempio Conrad e Schober, 2000),
in una posizione estrema, crede che l’intervistatore dovrebbe essere
invitato a collaborare già nella fase di elaborazione del questionario; e
c’è chi, in una posizione più ragionevole, dice che sia necessario
rivalutare il ruolo dell’intervistatore al fine di minimizzare tutti i rischi
di infedeltà riconducibili a risposte che non rispecchiano il pensiero
dell’intervistato sulla proprietà che interessa il ricercatore,
19
semplicemente perché l’intervistato ha compreso la domanda in altro
modo (anche Lazersfeld 1935).
Poiché le domande e le risposte dell’intervistato derivano dalla
conversazione che ha luogo durante l’intervista, si presume che la
comprensione dei partecipanti sia anch’essa essenzialmente
interattiva, basata su una relazione tra intervistato ed intervistatore
che si svolge su un “terreno comune” (Clark e Marshall, 1981).
Questo “terreno comune” (common ground
5
), è composto innanzitutto
da tutte le norme sociali che si adottano durante un tipico incontro
comunicativo; dalle esperienze individuali dei partecipanti, che poi
durante la conversazione si fondono; ed infine da tutte quelle
convinzioni che ognuno ha sull’altro; e da tutto ciò che si crede di
conoscere sulla propria comunità. Secondo una prospettiva
costruttivista e secondo il principio cumulativo
6
, questo “terreno
comune”, è in continua evoluzione durante tutta la conversazione, e
influenza in maniera considerevole tutto il processo di comprensione
dell’intervistato (Cicourel, 1964; Schaeffer, 1991).
Paul Grice (1975), filosofo del linguaggio, ha studiato la
comprensione della domanda in relazione alla prospettiva
conversazionale (Clark e Schober, 1992; Schwarz e Hippler, 1991;
Shwarz 1996; Tourangeau, Rips e Rasinski, 2000). Secondo l’analisi
5
Per chiarire meglio il concetto di common ground Clark e Schober (Sudman e Bradburn 1982, 17)
scrivono: “As a simple example, take what Veronica could mean by “ two please”. At a cinema ticket
window on the right night, she could mean, “ I’d like two adult tickets to Animal Crackers.” How? By
relying on the common ground she assumed she shared at the moment with the ticket seller.”
6
Principle of accumulation: “ In a conversation the partecipants add to their common ground each
time they contribute to it successfully” (Sudman, N. Bradburn 1982 p. 19).
20
di Grice, affinché ci sia una conversazione è necessario agire secondo
il principio di cooperazione che si compone di quattro massime. La
massima della “qualità” induce il parlante a non dire ciò che egli
crede falso o non dimostrabile; la massima della “relazione” spinge
l’interlocutore a dare un contributo rilevante alla conversazione ed a
chiarire il significato di una espressione collegandola al contesto
relazionale; la massima della “quantità” chiede al soggetto di dare un
contributo né più né meno informativo rispetto a ciò che gli è
richiesto. Infine la massima della “maniera” prescrive un contributo
che sia chiaro e, quindi, permetta a chi ascolta di capire il messaggio
studiandone le caratteristiche.
Secondo il principio di cooperazione, dunque, i soggetti, in una
conversazione, saranno sinceri, diranno cose rilevanti, forniranno
informazioni e saranno chiari. Questi presupposti hanno importanti
implicazioni anche nella ricerca sociale e nel contesto di un’intervista
dove si assume che si instauri tra intervistatore ed intervistato una
sottile collaborazione che faciliti lo scambio di informazioni (Schwarz,
1996).
Naturalmente molti sono gli ostacoli a che queste premesse
implicite si realizzino, con conseguenze sulla qualità delle
informazioni raccolte.