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INTRODUZIONE
Edgar Morin è una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea, il
cui pensiero tocca con originalità temi filosofici, scientifici, antropologici e sociologici.
Conosciuto come il “filosofo della complessità”, egli indirizza gran parte del suo
pensiero soprattutto alla ricerca di una nuova scienza polidisciplinare, alla riforma
dell’organizzazione dei saperi e alla conseguente riforma dell’educazione e degli
educatori.
La premessa da cui muove questo lavoro è la critica della cultura occidentale che
si contestualizza all’interno del pensiero della complessità di Edgar Morin.
Questa tesi è articolata in tre parti. La prima (“Complessità ed ecologia”) si
sofferma sulle problematiche derivanti dall’affermarsi di una scienza che procede
attraverso la riduzione dell’oggetto di osservazione nelle sue parti elementari. Un
metodo che procede da queste premesse non può che giungere alla creazione di saperi
compartimentati che si propongono di prendere in esame solo ciò che è perfettamente
calcolabile, misurabile e formalizzabile.
Questo metodo mutilante che sta interessando la cultura occidentale da diversi
secoli fa intravedere la necessità di creare un nuovo tipo di sapere che sia in grado di
superare le dicotomie inaugurate dal pensiero cartesiano, il quale tiene separati soggetto
e oggetto, uomo e natura e mente e cervello.
A tale proposito, Edgar Morin, nelle sue opere intreccia una critica della cultura
e una riforma del pensiero basata sul paradigma della complessità. Il pensiero
complesso si propone di superare il paradigma riduzionista della scienza classica per
giungere ad un discorso multidisciplinare, non dottrinario e aperto all’incertezza.
Secondo Edgar Morin, proprio agli inizi del Novecento si sono potute porre le
basi per giungere, attraverso le nuove scoperte scientifiche, a rivoluzionare il campo
della conoscenza. Fondamentale, in tale prospettiva, appare la reintroduzione del
soggetto all’interno del processo conoscitivo. Considerando la realtà non più come un
insieme di oggetti isolati l’uno dall’altro, ma come un insieme di sistemi aperti, il
paradigma della complessità scopre le reciproche dipendenze che si creano tra i sistemi
e il loro ambiente circostante. In questo contesto si introducono le nuove teorizzazioni
derivanti dalla nuova scienza ecologica, la quale considera l’Universo come un insieme
di ordine/disordine/organizzazione.
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La seconda parte di questo lavoro (“La natura dell’uomo”) prende in esame
l’uomo in relazione alle sue componenti biologiche, culturali, individuali e sociali.
Basandoci sulla concezione complessa del genere umano, possiamo prendere in esame
la triade individuo-società-specie proposta da Edgar Morin. Secondo quest’ottica,
l’uomo appare un’unitas-multiplex in cui ogni termine dipende dall’altro e viceversa,
senza nessun ordine gerarchico. Il filosofo francese, nelle opere analizzate in questo
capitolo, si propone di superare l’iperspecializzazione impostasi nel campo scientifico,
la quale ha provocato la mutilazione del carattere trinitario dell’uomo. Prendendo le
mosse da queste teorizzazioni, Edgar Morin porta avanti il riconoscimento del carattere
complesso dell’uomo e, prendendo come esempio i cambiamenti che hanno interessato
le scienze naturali nell’ultimo secolo, si propone di rivoluzionare anche le scienze
umane e storiche.
La terza ed ultima parte di questo lavoro (“Il pensiero dell’etica”), prende in
esame il moriniano discorso sull’etica intrecciato con l’idea di Terra-Patria. L’etica, in
questa prospettiva, riguarda sia le scelte che si effettuano nelle relazioni umane, sia
quelle effettuate nelle relazioni tra uomo e Natura, la quale non è un bene che può
essere sottomesso al dominio dell’uomo, piuttosto una comunità cui l’uomo appartiene.
Considerare l’etica esclusivamente come un insieme di imperativi categorici
indipendenti gli uni dagli altri, contribuirebbe alla separazione, tipica della cultura
occidentale, della triade individuo-società-specie. Di conseguenza, quest’ultimo
capitolo si sofferma sulla necessità, espressa da Edgar Morin, di portare avanti una serie
di riforme che integrino, al contempo, una rigenerazione dell’etica e una rigenerazione
del sistema educativo. Proprio il sistema educativo, per il filosofo francese, è
fondamentale per giungere ad un sapere globale che stimoli la ricerca della complessità
e la capacità di pensare il complesso al fine di connettere l’uomo e il suo ambiente
naturale in un rapporto fisico-socio-antropologico.
In ultima analisi, questo lavoro vuole stimolare la presa di coscienza, attraverso
il pensiero di Edgar Morin, della condizione in cui versa l’uomo contemporaneo. Ciò
che deve emergere attraverso lo sviluppo di una coscienza planetaria è l’universale
comunità di destino cui va incontro ogni individuo.
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Capitolo I
Complessità ed ecologia
1.1 Il metodo complesso
Il termine Complessità deriva dal verbo latino complector, ossia cingere,
abbracciare, associare più elementi interdipendenti o complementari. Nel linguaggio
comune ci sono due differenti accezioni del termine complessità: una che si riferisce
alla caratteristica di un oggetto; e una che fa riferimento ad una proprietà relazionale di
un oggetto o di un sistema. Tuttavia tale termine è stato quasi esclusivamente utilizzato
per descrivere ciò che era complicato o contrapposto alla semplicità. Normalmente si
ritiene di poter contrapporre i termini “semplice” e “complesso”, immaginando che tale
dicotomia possa esaurire tutta la casistica di fenomeni ed eventi possibili indicando cosa
può essere definito semplice e cosa complesso. Tuttavia, la complessità non si può
definire in modo semplice e sbrigativo.
La Teoria della complessità si sviluppa tra gli anni Cinquanta e Sessanta del
Novecento a partire dai paradossi che paralizzano il pensiero lineare.
L’assetto cartesiano che ha dominato per più di tre secoli, postulava l’esistenza
di un cammino conoscitivo prestabilito che potesse far giungere il ricercatore ad una
verità ultima riguardo la conoscenza del mondo. Oggi, le teorizzazioni dei filosofi della
complessità hanno evidenziato l’impossibilità di esorcizzare il dubbio, l’errore, il
disordine, in quanto elementi costitutivi del reale stesso.
Il successo di tale teoria è dovuto, in parte, alla crisi epistemologica che ha
investito le scienze tradizionali, in parte alla necessità di trovare strumenti capaci di
spiegare la complessità del reale. Il problema del paradigma della complessità non
riguarda la quantità di conoscenza che è possibile acquisire, ma riguarda la qualità e il
tipo di organizzazione di tale conoscenza.
«Coloro che riflettono sull’atto di nascita della scienza occidentale in genere ne individuano la
genesi nel “momento” in cui Galileo Galilei ha contrapposto alla tradizione aristotelica medioevale
l’originalità e la “concretezza” del nuovo metodo sperimentale. Il quale, proprio perché “sperimentale”,
sarebbe fondato espressamente solo su ciò che è osservabile e misurabile e segnerebbe quindi il
superamento definitivo di ogni riferimento metafisico nella conoscenza della natura. […] Tutto questo è
formalmente e storicamente corretto, ma incompleto».
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G. GEMBILLO, A. ANSELMO, G. GIORDANO, Complessità e formazione, Enea, 2008, p. 16
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La teoria della complessità nasce in contrapposizione alle teorizzazioni della
scienza classica la quale, fondatasi sin dai tempi di Galileo, Cartesio e Newton sotto il
segno dell’oggettività, tendeva a considerare l’universo come un insieme di oggetti
isolati e misurabili al fine di dominare e prevedere il reale.
«Forti di queste convinzioni, i fondatori della scienza moderna “passavano” a un nuovo atto di
riduzione che risultava veramente decisivo ai fini della connotazione metodologica della scienza e che, tra
l’altro, segnava un ulteriore allontanamento dall’aristotelismo; la riduzione delle quattro cause dei
fenomeni alla sola causa efficiens».
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Il paradigma di semplicità si propone di mettere ordine nell’Universo e
scacciarne il disordine. Era diffusa l’idea che, attraverso l’eliminazione dell’errore, si
potesse progressivamente giungere a delle leggi fisse e determinate che spiegassero ogni
aspetto della realtà.
La scienza classica intravedeva, sotto la complessità del reale, una semplicità
esprimibile attraverso teorie universali e deterministiche. Di questo paradigma fa parte
anche «la riduzione del concetto, anch’esso aristotelico, di mutamento a quello,
esclusivo, di movimento meccanico di corpi rigidi, regolato, appunto, dalla sola causa
efficiens».
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Al contempo il successo dell’applicazione delle leggi matematiche e
dell’isolamento dell’oggetto nel campo fisico ha portato gli studiosi a credere che tale
metodo potesse essere esteso ad ogni branca del sapere. Ovunque si imponevano
l’ordine, il principio di separabilità, di riduzione, la verificazione logica e la
verificazione empirica.
Sono stati proprio i teorici della complessità a comprendere che, per costruire
una conoscenza globale, non basta portare alla luce quelle leggi che, secondo una
visione positivista, sarebbero già intessute nella realtà.
Il metodo scientifico che ha dominato per più di tre secoli ha portato ad un
riduzionismo diffuso in ogni ambito di ricerca. Tale metodo postulava l’esistenza di
una conoscenza oggettiva dell’Universo e la possibilità di giungere ad essa attraverso la
ricerca.
L’uomo è stato contrapposto alla natura. Il dualismo cartesiano tra res cogitans e
res extensa ha fatto si che si giungesse alla separazione tra il soggetto e l’oggetto, tra il
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Ivi p. 19
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Ivi p. 20