Dall’indagine risulta come attraverso le sentenze della Corte costituzionale
(soprattutto dalla sent. n. 105 del 1972) e nonostante i diversi filoni dottrinali,
quello individualistico da un lato, quello funzionale dall’altro, il profilo attivo
dell’informazione (inteso come la libertà concessa a qualsiasi soggetto
responsabile della diffusione delle notizie, di informare su determinati fatti o su
soggettive opinioni), così come quello passivo (cioè il destinatario
dell’informazione), vengano considerati entrambi diritti soggettivi e, in quanto
tali, tutelati all’interno dell’articolo 21 Cost. Dalla garanzia costituzionale della
libertà di manifestazione del pensiero ne discende la necessità, ribadita attraverso
varie sentenze dalla Corte costituzionale (sentenza n. 105 del 1972, sent. n. 826
del 1988, sent. n. 348 del 1990, sent. n. 112 del 1993 sent. n. 420 del 1994), di
salvaguardare quel valore del pluralismo interno ed esterno ad esso strettamente
connesso. La distinzione tra pluralismo interno ed esterno è stata delineata
soprattutto dalle sentenze della Corte (la n. 826 del 1988 e la n. 420 del 1994), da
cui è emerso come il pluralismo esterno rappresenti la possibilità offerta
all’interno di un qualsiasi mercato (privato o misto) di ingresso del maggior
numero possibile di voci limitatamente alle potenzialità tecniche, mentre il
pluralismo interno (che si concretizza nel principio di imparzialità e
nell’obbligatorietà di rappresentare tutte le realtà sociali presenti nella comunità) è
una caratteristica propria di un mezzo di comunicazione posto sotto il controllo
pubblico. In particolar modo, con le sentenze n. 148 del 1981 e n. 826 del 1988, si
incominciano ad individuare tutte quelle problematiche, come la mancanza di
specifiche norme antitrust, che impediscono nel sistema radiotelevisivo, la piena
attuazione del valore costituzionalmente riconosciuto e che saranno in parte sanate
9
dalle successive leggi di settore, la legge n. 223 del 1990 e la recente n. 249 del
1997.
Nel secondo capitolo, si ripercorrono sinteticamente le tappe storiche e
normative che hanno disciplinato il settore radiotelevisivo, sia nella sua fase di
monopolio che nella fase cosiddetta “mista”, analizzando più da vicino gli organi
competenti in materia e gli specifici obblighi ad essi attribuiti.
Nel terzo capitolo si individuano invece le principali norme antitrust a cui
l’ordinamento italiano fa riferimento, la legge n. 223 del 1990, la recente legge n.
249 del 1997, le indicazioni del codice civile nonché la legge n. 287 del 1990 e i
compiti delle due principali autorità competenti in materia, l’AGCOM e l’AGCM.
Infine nel quarto capitolo, introducendo in parte l’oggetto di indagine
ampiamente sviluppato nella Seconda Parte della mia tesi, si propone una breve
analisi delle nuove proposte di legge, tra cui naturalmente la proposta di legge
Gasparri, alla luce dall’attuale stato di concentrazione dei media e dei recentissimi
dibattiti svoltisi in sede nazionale e comunitaria.
Nella Seconda Parte, costituita da tre ampi capitoli, il principio del pluralismo è
rintracciato all’interno di tutti quegli atti comunitari che ne hanno permesso il
pieno riconoscimento e la piena attuazione.
Nel quinto capitolo, tra i molti documenti internazionali e comunitari
analizzati, vanno segnalate le poco note, ma di eccezionale interesse, Risoluzioni
del Consiglio d’Europa: la Declaration on the freedom of expression and
information adottata nel 29 aprile 1982 la Declaration on media in a democratic
society adottata nel 1994, nonché l’importantissimo articolo 10 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
10
In merito a quest’ultimo è necessaria una premessa se è vero che, nel diritto
comunitario, quando si parla di informazione, ci si riferisce notoriamente all’art.
10 della CEDU.
La futura Costituzione Europea (la cui ratifica da parte dei 25 futuri paesi
membri è prevista per il 2006), prevede nel suo progetto l’integrazione in un
nuovo trattato unitario delle singole carte dei diritti già esistenti nei diversi paesi
europei, tra cui, naturalmente, è compresa anche la Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU, firmata a
Roma il 4 novembre 1950) già parte dei principi sui cui si fonda l’Unione Europea
(art. 6 TUE), a seguito del Trattato sull’Unione europea, emanato col Trattato di
Maastricht (firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993).
Se quindi la Convenzione europea sui diritti dell’uomo, rientrava già a pieno titolo
nella nozione di acquis communautaire, in futuro essa costituirà parte integrante
delle norme comunitarie.
Il riferimento all’art. 10 della CEDU è stata quindi la generale premessa
attraverso la quale la Comunità europea è potuta intervenire in merito ad una
competenza di notoria appartenenza dei singoli Stati membri, qual’è la disciplina
del settore radiotelevisivo, al fine di tutelare il più generale principio del
pluralismo riconosciuto quale fondamento dell’intero sistema comunitario.
Nel quinto capitolo si ripercorre inoltre il lungo iter legislativo (sviluppatosi
principalmente a seguito dell’emanazione di documenti e di sentenze da parte
della Corte di giustizia) che ha legittimato de iure l’intervento comunitario nel
settore radiotelevisivo (non essendoci all’interno del Trattato istitutivo un
esplicito riferimento all’oggetto d’analisi).
11
Nel sesto capitolo si è proceduti all’analisi delle principali norme antitrust
comunitarie, contenute soprattutto nel Libro Verde sul pluralismo e
concentrazione dei mezzi di comunicazione di massa nel mercato interno del
1992, nella Comunicazione della Commissione sulla Definizione del mercato
rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di
concorrenza, negli artt. 81 e 82 CE (ex artt. 85 e 86 CEE) ed infine nelle
disposizioni contenute nel regolamento n. 4064/89 (modificato dal nuovo
regolamento n. 1310/97).
Il settimo capitolo affronta infine i sistemi nazionali francese, inglese e
tedesco. In particolare sono state analizzate le norme a tutela del pluralismo,
quelle che introducono specifici limiti antitrust ed infine le autorità e gli organi
competenti in materia.
12
PARTE PRIMA
PROSPETTIVE DEL DIRITTO DELL'INFORMAZIONE
NELL'ORDINAMENTO ITALIANO
1. IL PLURALISMO DELL’INFORMAZIONE
1.1 “IL PLURALISMO NELL’INFORMAZIONE” (IL MESSAGGIO DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CIAMPI ALLE CAMERE DEL 23
LUGLIO 2002)
“Onorevoli Parlamentari, la garanzia del pluralismo e dell'imparzialità
dell'informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una
democrazia compiuta; si tratta di una necessità avvertita dalle forze politiche, dal
mondo della cultura, dalla società civile.
Il principio fondamentale del pluralismo, sancito dalla Costituzione e dalle
norme dell'Unione Europea, è accolto in leggi dello Stato e sviluppato in
importanti sentenze della Corte Costituzionale. Il tema investe l'intero sistema
delle comunicazioni, dalla stampa quotidiana e periodica alla radiotelediffusione,
13
e richiede un'attenta riflessione sugli apparati di comunicazione anche alla luce
delle più recenti innovazioni tecnologiche e della conseguente diffusione del
sistema digitale.
Il mondo appare sempre più un insieme di mezzi e di reti interconnesse, che
abbracciano l'editoria giornalistica, la radiotelevisione, le telecomunicazioni. Per
quanto riguarda il settore della stampa, la legge 5 agosto 1981, n. 416, fissa limiti
precisi alle concentrazioni e detta norme puntuali per la loro eliminazione ove
esse vengano a costituirsi. Secondo i dati forniti dal presidente della Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni nella sua Relazione annuale sull'attività svolta,
presentata il 12 luglio scorso, i limiti posti dalla legge alle concentrazioni in
materia di stampa risultano rispettati. Per quanto concerne l'emittenza televisiva,
dopo la sentenza n. 826 del 1988, nella quale la Corte Costituzionale affermava
che il pluralismo ''non potrebbe in ogni caso considerarsi realizzato dal concorso
tra un polo pubblico e un polo privato", il Parlamento approvò la legge 6 agosto
1990, n. 223, per disciplinare il sistema radiotelevisivo pubblico e privato. Si
tratta della prima legge organica che, nel suo articolo 1, dopo aver affermato il
preminente interesse generale della diffusione di programmi radiofonici e
televisivi, definisce i principi fondamentali del sistema: ''il pluralismo,
l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'informazione, l'apertura alle
diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto della
libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione".
La successiva legge 31 luglio 1997, n. 249, ha istituito l'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni e ha dettato norme con le quali ha precorso, con
lungimiranza, il tema della cosiddetta ''convergenza multimediale", tra
14
telecomunicazioni e radiotelevisione, attribuendo all'Autorità indipendente
competenza su entrambi i settori. Dato essenziale della normativa in vigore è il
divieto di posizioni dominanti, considerate di per sé ostacoli oggettivi all'effettivo
esplicarsi del pluralismo.
La giurisprudenza costituzionale, sviluppatasi nell'arco di un quarto di secolo,
ha trovato la sua sintesi nella sentenza n. 420 del 1994, nella quale la Corte ha
richiamato il vincolo, imposto dalla Costituzione al legislatore, di assicurare il
pluralismo delle voci, espressione della libera manifestazione del pensiero, e di
garantire, in tal modo, il fondamentale diritto del cittadino all'informazione.
Questi principi hanno avuto conferma nell'aprile scorso nella sentenza n. 155
del 2002 della stessa Corte che, richiamando i punti essenziali delle precedenti
decisioni, ha ribadito l'imperativo costituzionale, secondo cui il diritto di
informazione garantito dall'art. 21 della Costituzione deve essere ''qualificato e
caratterizzato, tra l'altro, sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e
notizie - così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni
avendo presenti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti - sia
dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza,
dalla correttezza e dalla continuità dell'attività di informazione erogata".
Tale sentenza è particolarmente significativa là dove pone in rilievo che la sola
presenza dell'emittenza privata (cosiddetto pluralismo ''esterno") non è sufficiente
a garantire la completezza e l'obiettività della comunicazione politica, ove non
concorrano ulteriori misure ''sostanzialmente ispirate al principio della parità di
accesso delle forze politiche" (cosiddetto pluralismo ''interno").
15
I principi e i valori del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione nel
settore delle comunicazioni elettroniche sono stati richiamati e hanno trovato
sistemazione organica in quattro recenti Direttive del Parlamento Europeo e del
Consiglio dell'Unione Europea, che dovranno essere recepite dai Paesi membri
entro il luglio del 2003. Il contenuto di queste Direttive è in sintonia con la Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che, nel secondo comma dell'articolo
11, sancisce espressamente il rispetto del pluralismo e la libertà dei media. Nelle
premesse di tali Direttive sono indicate le finalità di una politica comune europea
in materia di informazione. Viene, in particolare, definito il concetto di libertà di
espressione, precisando che questa ''comprende la libertà di opinione e la libertà di
trasmettere informazioni e idee, nonché la libertà dei mezzi di comunicazione di
massa e il loro pluralismo". In particolare, nella Direttiva denominata ''Direttiva
quadro":
- viene specificato che ''la politica audiovisiva e la regolamentazione dei
contenuti perseguono obiettivi di interesse generale, quali la libertà di espressione,
il pluralismo dei mezzi di informazione, l'imparzialità, la diversità culturale e
linguistica, l'inclusione sociale, la protezione dei consumatori e la tutela dei
minori";
- si fa obbligo agli Stati membri di ''garantire l'indipendenza delle autorità
nazionali di regolamentazione in modo da assicurare l'imparzialità delle loro
decisioni";
- è riservato grande spazio all'assetto del mercato e all'esigenza di assicurare un
regime concorrenziale.
16
Nel volgere di pochi anni anche l'Italia disporrà delle nuove possibilità che
l'evoluzione della tecnologia mette a disposizione dell'emittenza radiotelevisiva.
Questo sviluppo produrrà un allargamento delle occasioni di mercato e
rappresenterà un freno alla costituzione o al rafforzamento di posizioni dominanti,
pur nella necessaria considerazione delle dimensioni richieste dalle esigenze della
competizione nell'ambito del più ampio mercato europeo e mondiale.
La legge 30 marzo 2001, n. 66, prevede, in proposito, che ''le trasmissioni
televisive dei programmi e dei servizi multimediali su frequenze terrestri devono
essere irradiate esclusivamente in tecnica digitale entro l'anno 2006''.
E, tuttavia, il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione non potranno essere
conseguenza automatica del progresso tecnologico. Saranno, quindi, necessarie
nuove politiche pubbliche per guidare questo imponente processo di
trasformazione. È questo un problema comune a tutti i paesi europei, oggetto di
vivaci dibattiti e di proposte innovative.
Onorevoli Parlamentari, la prospettiva della nuova realtà tecnologica, il quadro
normativo offerto dalle recenti Direttive comunitarie e le chiare indicazioni della
Corte Costituzionale richiedono l'emanazione di una legge di sistema, intesa a
regolare l'intera materia delle comunicazioni, delle radiotelediffusioni,
dell'editoria di giornali e periodici e dei rapporti tra questi mezzi. Nel redigere tale
legge occorrerà tenere presente, per quanto riguarda la radiotelevisione, il ruolo
centrale del servizio pubblico. II trattato di Amsterdam, che vincola tutti i paesi
dell'Unione Europea, muove dal presupposto ''che il sistema di radiodiffusione
pubblica negli Stati membri è direttamente collegato elle esigenze democratiche,
17
sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo
dei mezzi di comunicazione".
Nell'atteso testo normativo dovrà trovare coerente sistemazione la disciplina
della tutela dei minori, troppo spesso non tenuta nella dovuta considerazione nelle
programmazioni delle emittenti televisive.
È fondamentale, inoltre, che la nuova legge sia conforme al Titolo V della
Costituzione, che all'articolo 117 ha assegnato alle Regioni un preciso ruolo nella
comunicazione, considerando questa materia ricompresa nella legislazione
concorrente insieme a quella della promozione e dell'organizzazione di attività
culturali, che ne costituisce un logico corollario. Secondo la riforma
costituzionale, spetta allo Stato di determinare i principi fondamentali in dette
materie, mentre alle Regioni è conferito il compito di sviluppare una legislazione
che valorizzi il criterio dell'articolazione territoriale della comunicazione come
espressione delle identità e delle culture locali.
Nella definizione di tali principi fondamentali, lo Stato svolge la sua essenziale
funzione di salvaguardia dell'unità della Nazione e della identità culturale italiana.
Essi costituiscono la più valida cornice entro la quale trova esplicazione il
pluralismo culturale, ricchezza inestimabile del nostro Paese, sorgente di libera
formazione della pubblica opinione.
La cultura - questo è mio convincimento profondo - è il fulcro della nostra
identità nazionale; identità che ha le sue radici nella formazione della lingua
italiana e che, negli ultimi due secoli, si è sviluppata in una continuità di ideali e
di valori dal Risorgimento alla Resistenza, alla Costituzione repubblicana.
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Nel preparare la nuova legge, va considerato che il pluralismo e l'imparzialità
dell'informazione, così come lo spazio da riservare nei mezzi di comunicazione
alla dialettica delle opinioni, sono fattori indispensabili di bilanciamento dei diritti
della maggioranza e dell'opposizione: questo tanto più in un sistema come quello
italiano, passato dopo mezzo secolo di rappresentanza proporzionale alla scelta
maggioritaria.
Quando si parla di ''statuto" delle opposizioni e delle minoranze in un sistema
maggioritario, le soluzioni più efficaci vanno ricercate anzitutto nel quadro di un
adeguato assetto della comunicazione, che consenta l'equilibrio dei flussi di
informazione e di opinione.
Anche a tal fine, la vigilanza del Parlamento, in coordinamento con l'Autorità
di garanzia, potrebbe estendersi all'intero circuito mediatico, pubblico e privato,
allo scopo di rendere uniforme ed omogeneo il principio della ''par condicio".
Parametri di ogni riforma devono, in ogni caso, essere i concetti di pluralismo e
di imparzialità, diretti alla formazione di una opinione pubblica critica e
consapevole, in grado di esercitare responsabilmente i diritti della cittadinanza
democratica.
Riassumo le considerazioni fin qui svolte, dalle quali emergono alcuni obiettivi
essenziali:
- specificazione normativa - tenendo conto delle variazioni introdotte dalle
innovazioni tecnologiche in continua evoluzione - dei principi contenuti nella
legislazione vigente e nella giurisprudenza della Corte Costituzionale;
- attuazione delle Direttive comunitarie che l'Italia dovrà recepire entro il luglio
del 2003; definizione di un quadro normativo par l'attivazione della competenza
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concorrente delle Regioni nel settore delle comunicazioni, secondo quanto
previsto dall'articolo 117 del nuovo Titolo V della Costituzione;
- perseguimento dello scopo fondamentale di meglio garantire, attraverso il
pluralismo e l'imparzialità dell'informazione, i diritti fondamentali
dell'opposizione e delle minoranze.
Onorevoli Parlamentari, ho voluto sottoporre ai rappresentanti eletti della
Nazione queste riflessioni, perché avverto che sta a noi tutti provvedere per il
presente e, al tempo stesso, guardare al futuro, prefigurando e preparando con
lungimiranza un sistema di valori e di regole che salvaguardi e sostenga la vita e
l'azione delle nuove generazioni.
Lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e delle reti di comunicazione è
qualcosa di più di un avanzamento tecnico: configura un salto di qualità; muta il
contesto nel quale si esplica la vita culturale e politica dei popoli; apre
straordinarie possibilità di conoscenza, di nuovi servizi, di partecipazione, di
crescita individuale e collettiva.
Dobbiamo vivere questo momento di transizione con consapevolezza e fiducia.
Un processo di innovazione affidato alle forze della società, promosso e
accompagnato dall'azione pubblica in una appropriata cornice normativa, è la base
per una nuova stagione di sviluppo morale e materiale della Nazione.
È questa una sfida che coinvolge tutte le istituzioni: saper tradurre
l'innovazione in una grande opportunità di formazione per i cittadini.
Non c'è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell'informazione: sono
fiducioso che l'azione del Parlamento saprà convergere verso la realizzazione
piena di questo principio.
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