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INTRODUZIONE
Il tema dell’esercizio del potere disciplinare nel lavoro pubblico va
analizzato, tenendo conto dell’evoluzione della materia dal d.lgs.
n.165/2001 alla riforma Brunetta, ovvero alla legge delega n.15/2009 e al
d.lgs. n.150/2009. Punti cardine di questa riforma sono: l’incremento della
produttività, la meritocrazia, la lotta all’assenteismo e la responsabilità
disciplinare dei dipendenti e del dirigente.
L’evoluzione della disciplina del potere disciplinare nel lavoro pubblico
risente delle cinque fasi di riforma,che si sono susseguite in tale ambito dal
1992 al 2009.
Nella prima parte della tesi esaminerò la natura del potere disciplinare,
le fonti di tale potere che sono la legge, i codici di comportamento e i
contratti collettivi e in particolare evidenzierò come l’intera materia
disciplinare sia caratterizzata dal passaggio dal predominio della
contrattazione collettiva, a cui nel d.lgs. n.165/2001 era quasi
esclusivamente affidata la disciplina degli illeciti e delle sanzioni,alla
prevalenza della legge nella riforma Brunetta, riservando ormai alla
contrattazione collettiva solo la disciplina del rimprovero verbale.
Analizzerò la funzione della sanzione disciplinare, che non ha natura
risarcitoria, ma di autotutela, nel senso dell’immediato ristabilimento del
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corretto ed ordinato funzionamento dell’organizzazione produttiva e di
lavoro, e preventiva, perché tende a scoraggiare tutti i futuri comportamenti
dei lavoratori che fuoriescono dalle regole poste a tutela
dell’organizzazione dell’ente pubblico. Rispetto al quadro delineato in
materia disciplinare dal d.lgs. n. 165/2001, con l’avvento della riforma
Brunetta si ha una vera e propria rivoluzione in materia di responsabilità
disciplinare e di conseguenza nel sistema delle infrazioni e delle sanzioni
disciplinari. Il d.lgs. n.150/2009 compie il tentativo di rivitalizzare la
responsabilità disciplinare dei dipendenti pubblici e lo fa attraverso un
ampliamento della disciplina legislativa a discapito di quella contrattuale. In
ordine ad illeciti e sanzioni, la regola continua ad essere quella della
definizione contrattuale, ma il d.lgs. n. 150/2009, conformemente alla legge
delega, introduce numerose nuove ipotesi che s’impongono ai contratti
collettivi. Infatti la riforma del 2009 individua nuovi tipi di sanzioni e nuovi
casi di licenziamento disciplinare.
La seconda parte della tesi è incentrata sul nuovo procedimento
disciplinare, delineato dalla riforma Brunetta, sul principio di pubblicità
prima e dopo la riforma e i principi che regolano la responsabilità
disciplinare.
La riforma del 2009 prevede due tipi di procedimento: il primo più
semplice e rapido, si applica alle infrazioni di minore gravità, se il
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responsabile della struttura ha qualifica dirigenziale ed è ad esso affidato; il
secondo tipo si applica alle infrazioni punibili con sanzioni più gravi o ad
ogni tipo d’infrazione, se il responsabile della struttura non ha qualifica
dirigenziale ed è affidato all’ufficio per i procedimenti disciplinari. Per
entrambi i tipi di procedimento,esso si articola in tre fasi: la contestazione
degli addebiti, l’istruttoria in contraddittorio e l’adozione della sanzione. I
termini del procedimento disciplinare hanno carattere perentorio:la loro
violazione comporta per l’amministrazione la decadenza dall’azione
disciplinare,mentre per il dipendente dall’esercizio del diritto di difesa.
Inoltre verranno trattati i rapporti tra procedimento penale e procedimento
disciplinare,che antecedentemente alla riforma del 2009 doveva essere
sospeso fino alla conclusione del processo penale;invece, il legislatore del
2009 ha stabilito che il procedimento, che ha ad oggetto fatti rispetto ai
quali è in corso un’indagine dell’autorità giudiziaria, deve proseguire e
concludersi anche in pendenza del processo penale. Parlerò della tutela
dinanzi al giudice ordinario del lavoro,precisando che il dipendente
pubblico,in seguito alla riforma del 2009, in caso di sanzioni disciplinari
illegittime,per vizi formali e sostanziali, ha come unico rimedio il ricorso al
giudice ordinario del lavoro.
Farò anche un excursus sulle peculiarità del potere disciplinare
nell’ambito della sanità pubblica.
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Nell’ultima parte dell’elaborato mi soffermerò sulla figura del dirigente
pubblico, così come delineata dalla riforma Brunetta. Il legislatore della
riforma ha conferito al dirigente un più ampio potere sanzionatorio,
divenendo egli titolare dell’esercizio dell’azione disciplinare, mentre nel
vecchio regime la sua competenza era limitata alla censura e alla sanzione
del rimprovero verbale. Il dirigente pubblico può essere considerato sia
come soggetto attivo del potere disciplinare, in quanto ha l’obbligo di
attivare il procedimento disciplinare in seguito a determinate infrazioni
commesse dal dipendente, e soggetto passivo, poiché viene sanzionato in
caso di mancato o tardivo esercizio dell’azione disciplinare o della sua
ingiustificata conclusione assolutoria.
La riforma del 2009, contestualmente all’attribuzione di una più ampia
sfera di potere sanzionatorio, toglie al dirigente la piena discrezionalità
nell’esercizio di tale potere, obbligandolo a procedere all’azione
disciplinare,con correlata sanzione in caso di violazione dell’obbligo. Il
dirigente può incorrere in due tipi di responsabilità:quella dirigenziale per
mancato raggiungimento degli obiettivi o per inosservanza delle direttive
datoriali, e quella disciplinare per mancato o tardivo esercizio del potere
disciplinare. Assoluta novità della riforma Brunetta in materia di
responsabilità disciplinare dei dirigenti pubblici è l’introduzione di sanzioni
conservative nei loro confronti, mentre nel sistema precedente essi venivano
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puniti con il solo licenziamento, lasciando impunite tutta una serie di
condotte, non sanzionabili per sproporzionalità con la sanzione espulsiva.
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Capitolo 1:
“L’evoluzione della disciplina del potere
disciplinare nel lavoro pubblico”
1.1 Cenni alle cinque fasi della riforma del lavoro
pubblico.
Nell‘ambito del lavoro pubblico possiamo riscontrare cinque tentativi di
riforma posti in essere dal legislatore italiano per adeguare tale disciplina
alle trasformazioni che hanno caratterizzato l’Italia nel suo passaggio da
paese tipicamente agricolo a paese industrializzato.
Il primo tentativo di riforma risale al 1992 con la legge delega
n. 421/1992, in seguito attuata dal d.lgs. 29/1993 e da vari decreti correttivi
di questo emanati entro il dicembre dello stesso anno. Tale tentativo di
riforma è stato ispirato dall’esigenza di modernizzare l’apparato
amministrativo italiano al fine di rendere più efficiente le attività delle
pubbliche amministrazioni. In questa fase si assiste alla privatizzazione del
rapporto di lavoro pubblico, per cui tale rapporto di lavoro, al pari di quello
privato, viene regolato dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro
con le imprese. Come conseguenza della privatizzazione si ha la
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contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico: i rapporti individuali
di lavoro sorgono dal contratto individuale e sono disciplinati oltre che dalla
legge, dallo stesso contratto e dai contratti collettivi stipulati dai
rappresentanti dei lavoratori e delle amministrazioni. Bisogna precisare che
l’intera organizzazione delle pubbliche amministrazioni e i dirigenti di
prima fascia continuano ad essere regolati dal diritto pubblico, mentre i
dirigenti di seconda fascia vengono inclusi nella privatizzazione. Inoltre in
questa fase si assiste ad una separazione tra funzioni di indirizzo politico-
amministrativo e funzione gestionale-amministrativo e all’affidamento delle
controversie riguardanti i rapporti di lavoro alla magistratura ordinaria, ad
eccezione di alcune materie ancora sottoposte alla giurisdizione del giudice
amministrativo.
La seconda fase della riforma viene introdotta con la legge delega
n. 59/1997 attuata con una serie di decreti legislativi che si sono succeduti
fino all’ottobre 1998, intervenuti ad integrare e a modificare il d.lgs.
n.29/1993. A questa fase si deve l’emanazione del d.lgs. n.165/2001, che,
anche se non si può considerare un vero è proprio testo unico del lavoro con
le pubbliche amministrazioni, ne ha svolto la funzione, poiché grazie ad
esso è stata riunificata e riordinata la disciplina emanata nel corso delle
prime due fasi della riforma e su di esso sono stati effettuati tutti gli
interventi modificativi e integrativi avvenuti nel corso delle successive fasi
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di riforma. In questa fase si assiste ad una riforma del decentramento
amministrativo, con la quale funzioni e compiti dello Stato centrale vengono
affidati a Regioni, Province e Comuni allo scopo di snellire e semplificare le
procedure amministrative per avvicinare le pubbliche amministrazioni alle
esigenze dei cittadini-utenti. Inoltre si ha un’ estensione della
privatizzazione agli atti di micro-organizzazione e ai dirigenti di prima
fascia. Viene introdotto il principio dello spoils system, ovvero la
cessazione automatica degli incarichi dirigenziali di livello apicale decorsi
novanta giorni dal voto di fiducia al governo e la possibilità per le
amministrazioni di ricorrere ai contratti di lavoro c.d. flessibile.
La terza fase ha inizio con l’emanazione della L. n. 145/2002, che
modifica profondamente il d.lgs. n.165/2001 nella parte relativa alla
disciplina del rapporto dirigenziale. Si può parlare di controriforma, con cui
il potere politico ha ambito a riacquisire il controllo sulla dirigenza e a
incidere in senso fortemente limitativo sulla spesa pubblica. I tratti salienti
di tale controriforma si possono individuare nell’attribuzione degli incarichi
dirigenziali ad un provvedimento unilaterale, mentre al contratto con il
dirigente rimane riservato il solo trattamento economico; nell’introduzione
di una responsabilità dirigenziale in caso di inosservanza delle direttive
dell’organo politico e nell’eliminazione del termine minimo di due anni di
durata dell’incarico. In questa fase oltre alla L. n.145/2002, è molto
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importante per la materia del lavoro pubblico la riforma costituzionale
avutasi con la L.cost. n.3/2001 che ha introdotto nel nostro ordinamento un
sistema di tipo federalista.
La quarta fase della riforma, che si è sviluppata fino al 2008, è
caratterizzata da una serie di provvedimenti volti a modificare in molte parti
il d.lgs. n. 165/2001. Il primo intervento attiene alla materia degli incarichi
dirigenziali: per quanto riguarda la loro durata viene fissato un limite
minimo di tre anni e un minimo massimo di cinque anni. Un secondo tipo di
intervento riguarda la contrattazione collettiva e un terzo riguarda
l’introduzione anche nel settore pubblico di contratti di lavoro subordinato
di tipo temporaneo e di lavoro autonomo, nella forma delle collaborazioni
coordinate e continuative.
Ed è nella quinta fase, autorevolmente sostenuta dal ministro della
funzione pubblica Renato Brunetta, che si afferma la nuova ideologia della
riforma del lavoro pubblico, tutta incentrata sulla meritocrazia e
rappresentata legislativamente dalla legge delega n. 15/2009 e dal d.lgs.
n.150/2009. Punti cardine della riforma sono: l’incremento della
produttività, la meritocrazia, la lotta all’assenteismo e la responsabilità
disciplinare dei dipendenti e del dirigente. Il ministro Brunetta si pone come
obiettivo primario quello di migliorare la produttività del dipendente
pubblico, subordinando la sua prestazione ad una più accurata valutazione,
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che ha come conseguenza da un lato l’erogazione di incentivi e premi e le
progressioni economiche e di carriera e dall’ altro l’erogazione di sanzioni
disciplinari. Bisogna quindi premiare i dipendenti più capaci e meritevoli e
punire quelli fannulloni e assenteisti. Per perseguire tali obiettivi, vengono
intensificati i controlli delle assenze per malattia, introducendo una
normativa più restrittiva in materia di certificazioni mediche, di visite
domiciliari e di fasce orarie di reperibilità.