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INTRODUZIONE
ASCOLI NEL 1500
Il Polittico di San Francesco che analizzeremo in questa ricerca è stato realizzato dal pittore
ed architetto Nicola Filotesio detto Cola dell’Amatrice (Amatrice 1480 c. – dopo il 1547) nel
terzo decennio del XVI secolo e si trova esposto nella Sala della Vittoria
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della Pinacoteca
Civica di Ascoli Piceno. L’opera è stata concepita dal pittore per ornare una delle cappelle
della chiesa di S. Francesco, la quale, rappresentava all’epoca il centro della vita spirituale di
Ascoli .
Prima di addentrarci nell’analisi prettamente iconografica e iconologica dell’opera, è bene
capire in quale contesto essa sia sorta. Per questo motivo è necessario fare un piccolo accenno
riguardo la situazione socio-economica, politica e religiosa che vigeva in Ascoli nel XVI
secolo.
Per descrivere Ascoli Piceno nel 1500 dobbiamo andare a ritroso con la nostra mente e
cercare di immaginare, come poteva mostrarsi ai nostri occhi questa splendida “urbs” di
travertino cinquecento anni fa. Essa era una ricca e vitale città rinascimentale dominata dalla
figura del Podestà che, insieme ai magnifici signori Anziani (i capi supremi del Comune e del
Popolo), esercitava il potere in campo politico, economico e amministrativo, e questo grazie
all’autonomia che la città aveva ottenuto dal Papato nel 1482 nella forma della Libertas
Ecclesiastica. Questa era una concessione politico-amministrativa che era stata autorizzata da
papa Sisto IV, e che aveva permesso ad Ascoli di reggersi come una Repubblica indipendente
fino al 1502, anno in cui venne assorbita nello Stato Pontificio
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.
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Cfr. Ferriani 1995, p. 22. La sala fu così chiamata alla fine della I guerra mondiale per celebrare la vittoria degli
italiani. Essa è dedicata alla pittura ascolana del XVI secolo rappresentata da Cola dell’Amatrice e Vincenzo
Pagani (Monterubbiano, Ascoli Piceno, 1490?-1568).
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Fabiani 1958, I, pp. 22-31, 118. Cappelli 1999, pp. 159-161. La Liberas Ecclesiastica ebbe fine quando i guelfi,
sostenitori del potere pontificio, riuscirono a insorgere contro la tirannia del nobile ascolano Astolfo
Guiderocchi. I rappresentanti del Comune furono così costretti a restituire alla Chiesa ogni prerogativa ottenuta.
A celebrazione del ristabilimento dell’ordine dopo l’incarceramento del tiranno, gli ascolani fecero erigere nel
1510, nel portale laterale della chiesa di S. Francesco, il monumento trionfale a papa Giulio II della Rovere per
aver restituito alla città la libertà. In riferimento alla Libertas Ecclesiastica, esiste un’opera realizzata da Carlo
Crivelli (Zampetti 1986, pp. 284-286) nel 1486. Si tratta dell’Annunciazione, conservata alla National Gallery di
Londra. La tavola è stata eseguita per la chiesa dei Minori Osservanti di Ascoli Piceno, ed è dedicata alla
Vergine Annunciata in ricordo di un evento storico legato alla città, e cioè la concessione della Libertas
Ecclesiastica da parte di papa Sisto IV. Probabilmente per iniziativa del cancelliere Grazioso Benincasa, Ascoli
inviò a Roma due cittadini ascolani, allo scopo di ottenerla. Il 22 marzo 1482 in un breve il papa annunciava che
il vescovo di Camerino Silvestro del Labbro era in procinto di giungere ad Ascoli per discutere sul
provvedimento di autonomia amministrativa. I magistrati cittadini interpretarono il testo del breve quasi come
un’anticipazione della concessa “Libertas”. La data della consegna del breve era appunto quella
dell’Annunciazione: il 25 marzo. Quando il commissario papale giunse ad Ascoli trovò la città esultante e i
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Il luogo preposto all’esercizio del potere era il Palazzo dei Capitani del Popolo, cosi
denominato perché nei secoli è stato la residenza del Capitano del Popolo, in età comunale,
poi del Podestà, degli Anziani ed infine dei Governatori Pontifici. La struttura, realizzata fra il
XII e il XIII secolo, sorge dall’accorpamento di tre edifici medievali e di una torre merlata
riadattata a campanile
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. Nel corso degli anni il palazzo è stato oggetto di rifacimenti e
migliorie, fra le quali é importante annoverare la realizzazione della controfacciata (posta in
via del Trivio) nel 1520, grazie al progetto del pittore e architetto Nicola Filotesio, detto Cola
dell’Amatrice. La paternità dell’opera è comprovata da una scritta posta al dì sotto della
cornice dell’edificio, che è riaffiorata con il restauro avvenuto nel 1987 e che riporta la
seguente iscrizione: “COLA AMATRICIUS PICT. ET ARCHT. MDXX”
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.
Il palazzo è situato nella scenografica Piazza del Popolo. La piazza, di assetto regolare, tipico
dello stile rinascimentale, è stata realizzata interamente con conci di travertino disposti a
crociera, è arricchita da ampli portici, e assume l’aspetto attuale proprio nei primi anni del
1500. Essa costituiva il cuore pulsante della città, poiché, oltre ad essere il centro politico, era
anche il centro economico e religioso
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. Se ipoteticamente saremmo giunti quì al tempo di
Cola dell’Amatrice (che sicuramente si trovava già in Ascoli il 9 settembre 1509), nel giorno
del mercato, ci saremmo imbattuti in una gran folla di persone: donne, uomini, giovani,
anziani, tutti intenti a comprare, barattare o discutere con i venditori. Oltre i cittadini ascolani,
non mancavano di certo i forestieri, come i tedeschi, gli albanesi, ma soprattutto gli ebrei,
presenti in Ascoli già dal 1297; quest’ultimi li avremmo visti interessarsi in maniera
particolare a merce riguardante la tessitura o la tintura dei panni, poiché, fra le tante attività
che svolgevano in città, erano anche specializzati nella lavorazione e nel commercio di questa
mercanzia.
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Le botteghe, le baracche o i banchi di fortuna, che si affacciavano sulla piazza esponevano di
tutto: dalla carne di alta e bassa macelleria, marchiata dagli ufficiali addetti con cera rossa,
verde o bianca per distinguerne la qualità, e controllata dai gabellotti per impedirne ogni
frode; al pane, che veniva disposto in apposite bacheche di legno, ai panni di lana, e ai vasi di
gabellieri pontifici allontanati. Sisto IV, avendo dei rapporti privilegiati con la città, fu costretto ad accettare il
fatto compiuto.
Nell’opera, a ricordare l’evento, sono stati inseriti dall’artista alcuni elementi, quali, una scritta a caratteri
lapidari “LIBERTAS ECCLESIASTICA” posta nella zona inferiore della tavola, e tre stemmi che precedono,
scandiscono e chiudono le parole: quello di Ascoli Piceno, del pontefice Innocenzo VIII, e quello del vescovo
della città Prospero Caffarelli. Questo fatto storico viene ricordato anche da un’altra Annunciazione, dipinta da
Pietro Alemanno nel 1483, esposta nella Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno.
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Cappelli 1999, p. 146.
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Ghisetti Giavarina 1991, pp. 218-219.
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Fabiani 1957, I, pp. 12-15.
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Id., p.16; Moscati Benigni 1996, p. 48.
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terracotta. I berrettai, i sarti, i pellicciai, gli orefici lavoravano all’aperto, in via del Trivio, ed
esponevano le loro merci sui banchi disposti davanti le loro abitazioni. Infine, una curiosità:
gli ortaggi, per questione di decoro, non li avremmo trovati in piazza del Popolo, ma nella
vicina piazza di San Pietro Martire, nella quale si trova ancora oggi una chiesa, dedicata al
santo e realizzata verso la metà del 1200, il cui portale laterale è stato progettato nel 1523 da
Cola dell’Amatrice.
Per quanto riguarda invece la vita spirituale, il centro del potere religioso era rappresentato
dalla chiesa di S. Francesco. In questo edificio aveva sede uno dei tre ordini mendicanti più
importanti: quello francescano, che si adoperò alla costruzione della chiesa in piazza del
Popolo nel 1258, e si concluse, poi, nel 1549. Gli altri due ordini presenti in città erano:
quello domenicano e quello agostiniano. Al primo si collega la chiesa di S. Pietro Martire,
sopra accennata, e quella di S. Domenico, con annessi conventi, e al secondo la chiesa e il
convento di S. Agostino.
Non bisogna, comunque dimenticare un altro importante edificio, centro anch’esso della vita
religiosa: la Cattedrale di S. Emidio, dove si venera il corpo di Sant’ Emidio, che “fo et è
difensore et gubernatore del populo d’Asculo”
7
. Essa già era esistente in età paleocristiana,
nel corso dei secoli ha subito delle trasformazioni, e in una di queste ritroviamo ancora una
volta l’ingegno di un artista poliedrico, qual è stato Cola, che ne ha disegnato la facciata nel
1529. La Cattedrale si affianca al palazzo del Comune, e questo al Palazzo dell’Arringo o
dell’Arengo, due edifici che, in epoca medievale, rappresentavano il potere cittadino, poiché
in essi avevano luogo le adunanze popolari
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.
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Cfr. Sella-Zdekauer 1910, p. 109.
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Cappelli 2000, pp. 15-17.
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CAPITOLO I
IL POLITTICO DI SAN FRANCESCO: STORIA MATERIALE, STATO
DI CONSERVAZIONE, FORTUNA CRITICA E LETTURA STILISTI -
CA.
1.1 Storia materiale
Il Polittico il 18 maggio 1862 è stato consegnato dalla Congregazione di Carità , che ne era
proprietaria, al Comune, a causa della soppressione delle Corporazioni religiose e delle
Collegiate della regione Marche, avvenuta in seguito all‟unità d‟Italia nel 1860, disposta col
Decreto n.705 del 3 gennaio 1861, dal Regio Commissario Generale Straordinario per le
Marche, Lorenzo Valerio
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.
In dispetto di questa disposizione legislativa, sono stati prelevati dalle chiese, dalle case degli
ordini religiosi e dalla locale Congregazione di Carità, tutti gli oggetti d‟arte. Gli edifici a loro
volta sono stati confiscati, divenendo proprietà dello Stato. Molti di questi beni sono stati
affidati al Comune di Ascoli Piceno, che ne ha preso la custodia, scegliendo, come sede per la
loro conservazione, uno dei palazzi più imponenti della città: il Palazzo dell‟Arengo. Da
questo primo nucleo ha avuto origine la Pinacoteca Comunale, che è stata allestita nel piano
nobile del suddetto palazzo, sito in piazza dell‟Arengo (meglio conosciuta come piazza
Arringo)
6
.
Il polittico di Cola dell‟Amatrice risulta tra le prime opere depositate che la Congregazione di
Carità rilascia al Comune. Esiste a questo proposito una lettera dell‟8 giugno 1862, scritta dal
Presidente della Congregazione, Giacomo Pelilli, nella quale propone di affidare al Municipio
la custodia di tante Tavole e Quadri dipinti dai classici autori come all‟unita distinta […]
7
.
Nella distinta unita alla lettera, è riportata la descrizione di tutti gli oggetti d‟arte che vengono
consegnati, fra i quali risulta anche l‟opera di Cola, che si dice essere costituita da otto tavole
dipinte a tempera, lesionate al livello delle connessure e danneggiate dai chiodi che vi sono
stati infissi per unirle, ma, fortunatamente, immuni da restauri e ritocchi
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.
5
Cfr. Gagliardi 1988, p. 15.
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Della sistemazione delle opere se ne sono occupati due artisti ascolani: il pittore e critico d‟arte Giulio
Gabrielli, che ne divenne il direttore, e lo scultore Giorgio Paci. L‟inaugurazione ufficiale è avvenuta il 4 agosto
1861, alla vigilia della festa del patrono della città che è Sant‟ Emidio.
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La lettera e la distinta sono state pubblicate da Giannino Gagliardi in La Pinacoteca di Ascoli Piceno (1988, p.
72).
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Nell‟elenco, oltre la descrizione del soggetto di ogni tavola, è riportata anche la loro collocazione all‟interno
del polittico. A tal proposito rimando a p. 7 dello stesso capitolo.
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La prima tavola citata è quella raffigurante l‟Andata al Calvario, presentata come la tavola di
mezzo, contenente 30 figure; la seconda raffigura una porta non intiera, il resto rappresenta
un cielo annuvolato, e si dice essere collocata al di sopra della tavola centrale; alla terza
corrisponde il profeta David; alla quarta una Sibilla con un libro sulle mani intenta a leggerlo;
nella quinta tavola sono rappresentati due Angeli portacroce, così come nella sesta, e
presentano le stesse dimensioni. Alla settima tavola corrisponde la figura di un‟altra Sibilla
che è seduta con un libro nella mano sinistra, e con la destra accenna verso la tavola di
mezzo, mentre all‟ottava le figure di Abramo e di suo figlio Isacco. Tutte le tavole
presentano il bollo regio in cera lacca rossa, meno la seconda, che, in seguito, è andata
dispersa.
Questo è lo stato del Polittico di San Francesco nell‟anno 1862. Prima di questa data, esso è
stato soggetto a molteplici vicissitudini che rischiavano di comprometterne la sua
conservazione, ma ancora oggi i nostri occhi possono vedere, anche se non integra di tutte le
sue parti, questa monumentale macchina d‟altare.
L‟opera proviene dalla chiesa di S. Francesco, ma la sua collocazione originaria all‟interno
del tempio è incerta, come sono scarse le notizie riguardo la committenza e la data di
esecuzione. A ciò si aggiunge l‟inesistenza di un contratto di collaborazione tra l‟artista e il
committente, che probabilmente venne stipulato, visto che era una pratica usuale del tempo.
Da un documento redatto l‟8 febbraio 1602, riportato alla luce da Giuseppe Fabiani
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, si
apprende che una cappella, che si trovava nella chiesa di S. Francesco, ospitava il Polittico.
Questa cappella presentava sul muro, dalla parte dell‟altare, una lapide che riportava la
seguente iscrizione: Hoc suum sacellum aurato laqueri, ceterisque Corporis Christi
Fraternitas exornavit MDXXXI
10
. Dunque, si può ben capire che, questa era la cappella di
pertinenza della Confraternita del Corpus Domini. Sempre dal medesimo documento, si ricava
che la cappella era abbellita da una tavola rappresentante la figura di Cristo che porta la croce
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Nato ad Ascoli Piceno nel 1897, Giuseppe Fabiani nel 1927 divenne parroco nella chiesa ascolana di S.
Giacomo apostolo. Fu studioso di arte, storia e paleografia. Grazie a fortunate ricerche compiute nell‟Archivio
Storico Comunale e Notarile della città pubblicò il volume Gli ebrei e il Monte di Pietà in Ascoli, nel 1942,
mentre dalle informazioni prelevate dall‟ Archivio Vaticano nacquero altri due lavori, Ascoli nel „400, nel 1950 e
Ascoli nel „500, nel 1952. Fu anche ispettore onorario dei monumenti e scavi del territorio ascolano (Gabrielli
1954, pp. 52-56).
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trad: Questo sacello con soffitto dorato, e con le restanti cose è stato ornato dalla Confraternita del Corpus
Domini nel 1531. Il documento contenente tutte queste informazioni riguardo la cappella del Corpus Domini e
la sua decorazione è stato stilato in occasione della visita alla chiesa di S. Francesco del governatore di Ascoli e
del vescovo nel 1602, i quali vi giunsero per sanare la controversia tra i frati di S. Francesco e la Confraternita
del Corpus Domini, scatenatasi perché entrambe le parti reclamavano il diritto di proprietà sulla cappella. In
realtà i confratelli nel 1516 avevano stipulato dei patti con i frati ottenendo la cessione provvisoria della cappella
che a quel tempo venne intitolata a San Girolamo. Cfr. Fabiani 1952, pp. 51, 171-172.