Introduzione
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al busto sul quale la stella della Giarrettiera, tenuta in mano da un putto in
volo, diffonde raggi di luce come un sole. Il significato è chiaro: in Inghilterra
sotto il patrocinio reale, la luce del Palladio brilla nuovamente. Le firme sul
frontespizio sono complete: «Sebastianus Riccius inven.» e «B. Picard
delineavit 1716».
È ormai piena la consapevolezza dell’importanza degli insegnamenti del
maestro italiano, in Inghilterra più che altrove, più che in altre nazioni europee
eccetto l’Olanda da dove nel secolo precedente erano giunte tante traduzioni.
Perché mai questa scelta, questa affinità elettiva e qual era l’atteggiamento
britannico verso il resto dell’architettura e dell’arte europea ?
James Thomson nel suo poema Liberty del 1709, rispetto alle altre nazioni
europee e soprattutto verso la Francia, si scaglia con atteggiamento polemico
a causa del suo governo tirannico che produce detestabili forme d’arte, e
sdegnato il poeta esclama:
«Detested forms! That on the mind impressed, corrupt,
confound and barbarize an age».
1
Riferendosi all’Inghilterra così invece la descrive:
« …. happy land. Where reigns alon the justice of the free!».
2
Nel 1700 il panorama artistico europeo era dominato dalla diffusione del
barocco,che spesso si legava a forme di assolutismo polit ico come sua
celebrazione, come fasto splendido ed incantatore: la Francia è solo un
esempio di questo esteso e radicato fenomeno europeo.
L’Inghilterra incarna in quest’epoca valori filosofici e morali in netta
controtendenza. Nel primo settecento inglese molte tematiche d’arte vengono
espresse magistralmente da autori come Alexander Pope nell’ Es s ay on criticism
1711 (Discorso sulla critica), da Anthony Asheley Cooper Conte di
Shaftesbury nel suo Characteristics of Men, Manner, Opinion, Times - Londra 1714
e da Joseph Addison nel celebre giornale Spectator 1711 - 1712 - 1714.
1
«Forme detestabili! Che impresse nello spirito corrompono,
confondono e barbarizzano un’epoca».
2
«…terra felice. Dove regna la giustizia degli uomini liberi!».
Introduzione
5
Tali autori rifuggono dagli eccessi eretici del gusto dei moderni europei e
auspicano la fondazione di regole universali basate non solo sui modelli
antichi, ma anche sugli esempi dei maestri del ’400 e ’500 italiano e allo stesso
tempo sulla più corretta produzione inglese. Palladio è divenuto autorità
indiscussa, nella prima metà del settecento sono pubblicate almeno 3
traduzioni del suo t rat t ato in quat t ro l ibri : quel la di Leoni nel 1716, di Hoppus
e Cole nel 1733 - 1735, di Ware nel 1738 - 1742; con loro relative ristampe. Vi
è poi una celebrazione dell’architetto italiano anche tramite la trattatistica
architettonica inglese. Colen Campbell nel suo Vitruvius Britannicus del 1715,
testo fondamentale che codifica per la prima volta un’architettura nazionale
britannica in modo programmatico, sulla scia degli Antichi, intesi come
eredità classica avente valore di tradizione universale,riferendosi a Palladio
così si esprime:
«We must, in justice, akcnowledge very great obligation to those Restores of
Architecture,which the Fifteen and Sixteen Century produced in Italy. Bramante,
Barbaro, Sansovino, Sangallo, Michaelangelo, Raphael Urbino, JulioRomano, Serlio,
Labaco, Scamozzi and many others, who have greatly help’d to raise this noble art
f rom the Ru ins of Barbar i ty : bu t above al l the great Pal l ad io who has exceeded all
that were gone before him, and surpass’d his contemporaries, whose ingenius labours
will eclipse many, and rival most of the Ancients. And indeed, this excellent
Architect seem to have arrived to a Ne plus Ultra of His Art».
3
Nobili, intellettuali e letterati si affiancano a trattatisti ed architetti nel
riconoscere la grandezza di Palladio addirittura per difenderlo da volgari
imitatori come appare nella IV epistola di Pope “Sul falso gusto” indirizzata a
Lord Burlington:
3
«Noi dobbiamo, secondo giustizia, riconoscere una davvero grande obbligazione nei
confronti dei ripristinatori dell’architettura che il XV e XVI secolo produssero in Italia.
Bramante, Barbaro, Sansovino, Sangallo, Michelangelo, Raffaello di Urbino, Giulio Romano,
Serio , Labaco, Scam ozzi e tanti altri , che grandemente aiutarono a far rinascere questa nobile
arte d al le Rovine de l la Barbaria: soprattutto il grande Palladio, che eccelse su tutto ciò che era
p r im a d i lu i e so rp assò i su o i con temporanei, il suo ingegnoso lavoro eclisserà molti, e sarà il
m igl io r r ivale degl i Antich i . E, in fatti qu esto eccellente architetto sembrò essere arrivato al
Non plus ultra nella sua arte».
Introduzione
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33 «Then clap four slices of pilaster
34 on’t, that lac’d with of rustic makes a front
35 Or call the winds through long arcades to roar,
36 proud to catch cold at a Venetian door
37 conscious they act a true Palladian part ………».
4
In questa epistola del 1731 il poeta ci indica anche che già esistevano
architetture britanniche ispirate a modelli Palladiani. L’architettura Palladiana
inglese, ormai perfettamente codificata, si doveva difendere da cattive
imitazioni e, data la sua diffusione nella nazione, rischiava un processo di
volgarizzazione. Questa corruzione dello stile e dell’estetica andava evitata
accuratamente poiché nell’architettura Palladiana ormai si identificava il volto
della più illustre Inghilterra, degna di grandezza tramite Palladio, come gli
Antichi.
Questa fase settecentesca è l’apice, la piena consapevolezza del Palladianesimo
inglese, dovuto anche al felice periodo di pace, di ricchezza e di progresso
raggiunti nella nazione britannica; l’origine di questo fenomeno però è
ascrivibile al secolo precedente. Questo movimento architettonico, nuovo
rispetto alle tradizioni inglesi, si diffuse in maniera ufficiosa agli esordi
del ’600 sotto gli Stuart: in particolare partendo da Giacomo I° Stuart con la
nomina di Inigo Jones (1615) a sovrintendente reale delle costruzioni,
dapprima presente a corte come scenografo, in seguito come architetto
dichiaratamente Palladiano dopo i suoi viaggi in Italia (1598-1603-1614).
Nel suo secondo viaggio Jones poté vedere personalmente le opere del
maestro italiano e non solo, “armato” di una copia dei Quattro Libri di
Palladio come di una bibbia architettonica, visitò tutti i monumenti antichi di
Roma e del cent ro-nord d’ It a l i a ci t at i nel t esto e rappresent at i nei rilievi. Tutto
questo annotando scrupolosamente sulla sua copia dei libri del maestro in
4
«Poi vi sbatteranno sopra quattro pezzi di pilastro / questo orneranno con pezzi grezzi,
squadrati , facendo così una facciata / o chiam eranno i venti attraverso lunghe arcate di un
loggiato , / orgogliosi d i prendere freddo sotto una porta veneziana / consapevoli di recitare
una parte veramente Palladiana ».
Introduzione
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seguito allo studio di ogni monumento e di ogni edificio da lui osservati. Ebbe
anche un colloquio con l’ormai vecchio Scamozzi, che era stato allievo di
Palladio.
Tornato in Inghilterra con l’approvazione di Giacomo I, poté dare il via a
questo suo modo di costruire, che egli affermava ispirato a Palladio più che
agli altri architetti italiani da lui peraltro conosciuti. La sua ammirazione, pur
con qualche remora e con qualche critica, per il maestro veneto era addirittura
entusiastica di fronte ai suoi sistemi di proporzionamento delle piante, degli
alzati e degli ordini architettonici. Palladio inoltre era per Jones un accesso a
lui più congeniale degli altri architetti italiani per giungere al modo di costruire
degli antichi Greci e Romani, ma soprattutto di Vitruvio, che Palladio aveva
degnamente illustrato nell’edizione italiana di Barbaro.
Jones naturalmente aveva potuto attuare la sua innovatrice maniera
architettonica grazie a dei fermenti già esistenti e non partendo da una tabula
rasa. Purtroppo non gli fu concesso di procedere nello sviluppo di queste idee
nascenti di questa sua ricerca architettonica e, a causa degli avvenimenti
storici, la sua attività subì un brusco arresto. Egli morì in povertà con il
seguito di un solo allievo: John Webb che cercò di divulgare l’architettura di
Jones, ottenendo un tiepido successo poiché considerato più che altro un suo
imitatore.
La guerra civile fra il Parlamento e la Corona con i suoi lati anche sanguinosi
(1641-1649) portò addirittura alla morte Carlo I Stuart e alla formazione di
una Repubblica (1649-1660), dominata politicamente dai puritani, facendo sì
che mancasse quella base necessaria per la diffusione dell’architettura
Palladiana di Jones, ossia l’appoggio della Corona per la possibilità di costruire
grandi cantieri.
L’Inghilterra era in fermento a causa della ricerca di principi democratici, di
un aggiustamento delle trasformazioni sociali in seguito alla rivoluzione
economica e soprattutto in preda all’intolleranza religiosa fra anglicani,
puritani, cattolici e altre sette estremiste protestanti (quaccheri e levellers). Fu
l’inizio di un’equa distribuzione delle ricchezze, soprattutto per i nuovi ceti.
Introduzione
8
Figura 2
“Petition of Right” 1628 - Carlo I e il Parlamento
La soluzione si ebbe definitivamente, dopo l’altra breve rivoluzione (1688-
1689) seguita alla restaurazione del 1660, con l’Atto di Tolleranza che
ufficializzava il pluralismo democratico religioso facendo sì che il sistema
sociale trovasse un giusto assetto.
È per questo che soltanto agli esordi del ’700 la vera e propria architettura
Palladiana poté diffondersi ampiamente sia sull’esempio di Palladio che su
quello di Inigo Jones, considerato come caposcuola inglese e vanto nazionale:
la Gran Bretagna era divenuta terreno più fertile avendo finalmente risolto le
sue lotte intestine e le sue contraddizioni interne trasformandosi in uno dei
paesi più ricchi, civilizzati e democratici d’Europa.
Proprio nel 1700 si cercherà di individuare la linea più pura palladiana che
risale a Jones, escludendo tutte le contaminazioni barocche italiane,
fiamminghe e francesi degli altri architetti che gli sono succeduti. Il Barocco e
il Gotico erano considerati una barbaria del gusto, disprezzati sia nell’estetica
Introduzione
9
che nel significato: una ampollosità fastosa e degradante assolutamente al di
fuori dell’apprezzamento dell’intelletto.
Lo stesso Jones del resto non apprezzava gli architetti romani del ’600,
preferiva loro gli antecedenti architetti del Rinascimento, arrivando addirittura
a disprezzare la figura di Michelangelo.
L’edificio doveva essere un tutto organico come nella migliore trattatistica
italiana del ’400 e del ’500, per questo individuava gli errori e gli abusi rispetto
agli Antichi degli architetti centro-italiani, soprattutto Romani, a lui
contemporanei poiché si discostavano troppo dalla ricerca di valori universali,
cadendo così nell’eccessivo soggettivismo.
10
L’alba del Palladianesimo
L’Inghilterra Elisabettiana: l’evoluzione della nazione e della società
Qual era il panorama architettonico, il clima sociale e culturale che permisero
al Palladianesimo di penetrare in Gran Bretagna perché poi Jones per primo
riuscisse a codificarlo?
È fondamentale comprendere questa scelta che non avvenne in modo così
rivoluzionario come sostenevano i critici inglesi del ’700, ma al contrario
nacque progressivamente; Jones stesso avrebbe operato in direzione diversa
se non ci fossero già stati fermenti culturali e sociali in questo senso.
Inigo Jones nacque nel 1573 come figlio di un operaio tessile e pare che il
nome “Enigo” derivi dal latino Ignatius. Nel 1585 già risiedeva accanto alla
parrocchiale di St. Benet a Londra. Siamo sotto il regno di Elisabetta Tudor,
conosciuto come gloriosa età, proprio per la rottura definitiva della struttura
dello stato, della società e della cultura con il Medio Evo. Questo processo di
liquidazione medioevale, feudale ed ecclesiastica iniziatosi con lo scisma
anglicano di Enrico VIII giunge con Elisabetta al suo compimento.
Attraverso il trapasso di proprietà dei beni ecclesiastici e di quelli di gran parte
dell’antica nobiltà rovinata vi è un disgregamento dell’economia agricola
tradizionale, che trasforma l’agricoltura inglese da estensiva ad intensiva
mentre si allarga il ceto dei piccoli proprietari e dei fittavoli desiderosi di
mettere a coltura nuove terre per aumentare i guadagni. Si forma il nuovo
ceto della piccola nobiltà contadina “Gentry” e dei piccoli proprietari non
nobili “Yeomanry” che costituiscono, insieme ai mercanti, agli imprenditori e
alla gente di mare, il nerbo della nuova Inghilterra.
Elisabetta favorisce anche l’espansione commerciale dei suoi sudditi cercando
di conquistare ai prodotti inglesi i mercati più lontani. Dopo la perdita di
Calais e diventati difficili i commerci tramite le Fiandre Spagnole, per poter
Capitolo I
11
esportare i propri prodotti di lana l’Inghilterra deve cercare nuovi mercati. In
seguito alla sconfitta della Invincibile Armada nella Manica (1588), alla
fondazione del 1584 della prima colonia Inglese nell’America Settentrionale
(la Virginia), la nazione Britannica rinuncia anche alla mediazione delle
compagnie Veneziane e Genovesi con il levante. Inizia l’espansione marittima
tramite la costituzione di compagnie privilegiate, alle quali è garantito
l’esercizio del commercio in una determinata sfera, escludendo la concorrenza
ad altri, in regime di monopolio. Nel 1555 esisteva già la Muscovy Company
che commerciava con la Russia tramite il Baltico e attraversandola giungeva
sino all’impero persiano dei Salvevidi. Nel 1579 si forma una nuova
compagnia privilegiata la Eastland Company, sempre sul Baltico, in
concorrenza con gli Anseatici che porterà alla chiusura del fondaco dei
tedeschi nella città di Londra. Più tardi nel 1581 sorge anche una Levant
Company per il traffico con l’Impero Turco. Nel 1591 viene armata la prima
spedizione per l’India e nel 1600 è costituita la Compagnia delle Indie
Orientali. A queste compagnie parteciperanno spesso, come azionisti, i
personaggi più influenti della corte, addirittura la sovrana stessa, rafforzando
così i legami di cointeressenza fra lo stato e i privati.
Figura 3
Nave degli Argonauti e modello di Fregata inglese
Capitolo I
12
Questo espansionismo marittimo alle normali operazioni commerciali
alternava qualche bel colpo piratesco con la mitiche figure di Francis Drake,
Walter Raleigh e Hawkins facendo trasparire così tutta la forza
antitradizionale britannica. Queste compagnie segnano uno slancio
economico e con il loro regime di monopolio diminuiscono i rischi ed
aumentano i profitti. Si creano nuovi ceti cittadini ed imprenditoriali, che a
differenza di altrove non sono separati dai ceti campagnoli, dato che il
gentiluomo di campagna è spesso azionista di una società commerciale e il
mercante di città investe altrettanto spesso il suo denaro in “terre”. Vi è in
tutto questo un forte legame fra questi ceti, la Corona e l’Anglicanesimo.
La rinascita della cultura, delle lettere, delle arti, del teatro come
presupposto di una nuova architettura
Gli orizzonti non si ampliano poi solo negli oceani, ma anche la cultura
rinascimentale esce dal limite della cerchia di eruditi di corte del tempo di
Erasmo e poi di Thomas More, filtra dal chiuso degli studi nel teatro e nella
strada, si avvicina in un certo modo al popolo. La Bibbia e il mondo
dell’Antichità Classica non rimasero più il monopolio di poche persone colte.
Il miglioramento dell’istruzione del clero e del laicato fu dovuto in gran parte
alle “scuole di grammatica” e alle università. L’importante carattere
medioevale dei centri di Oxford e di Cambridge in mano a monaci e frati, subì
uno sfortunato periodo durante i torbidi religiosi tra il 1530 e il 1560. Ciò che
rivisse sotto Elisabetta e fiorì così straordinariamente fino allo scoppiare della
guerra civile furono delle più nuove e secolari Oxford e Cambridge.
Una maggiore proporzione degli studenti si preparava ora a carriere laiche. Vi
era un nuovo atteggiamento delle classi dirigenti di fronte alla cultura. Un
gentiluomo, specialmente se aspirava a servire lo stato, ora terminava sempre
la sua educazione in una delle colte università, dove generalmente usciva con
la conoscenza del latino, della mitologia classica, con uno spolvero di greco e,
in varia misura, nozioni di matematica e di filosofia. Nacque la struttura a
collegio, in luogo del vecchio ostello, che si presentava più rassicurante e nel
complesso questo sistema educativo privato funzionava bene.
Capitolo I
13
Per strada dagli “in foglio” si diffusero le ballate. La gente comune in
Inghilterra tanto in città che in campagna era avvezza ad ascoltare in poesia
racconti, trattenimenti, storie e notizie di incidenti e di fatti contemporanei più
o meno sensazionali. Le ballate venivano vendute e moltiplicate a migliaia;
ripetevano racconti della bibbia, o miti classici e brani storici, leggende
medioevali o eventi del giorno. L’antica vita ebraica e quella del mondo
classico, resuscitate dal sepolcro di un lontano passato per la magia della
ricerca erudita, furono ora aperte alla comune comprensione degli Inglesi, a
cui non apparivano come morto materiale archeologico, ma come nuovo
campo per la fantasia e per la rinata attività degli spiriti da sfruttare
liberamente a scopo moderno. In queste condizioni, vent’anni prima che si
rappresentassero le prime opere di Shakespeare, era sorto d’improvviso un
nuovo dramma con una nuova scuola di autori di cui Marlowe fu il capo.
Questo mestiere si era aperto la via della ricchezza e dell’onore. Le compagnie
stavano sotto il patronato di aristocratici letterati nei cui castelli e manieri
erano accolte come ospiti graditi, fornendo le loro prove nelle nobili aule o
gallerie. Sorgevano anche i teatri a Londra sulla riva di Southwark, dove
accorreva il vario e critico pubblico della capitale dal semplice cittadino al
cortigiano, che con la barca era sceso da Whitehall, il palazzo reale.
Nasce così l’immortale figura di William Shakespeare che ancora oggi offre
uno specchio fedele dell’epoca. Autore di 38 drammi e commedie,tra cui
Hamlet, Re Lear, Otello, Sogno di una notte di mezza estate, Romeo e Giulietta, Molto
rumore per nulla, ispirate a varie correnti culturali europee e con soggetti
europei, scrisse anche 154 sonetti creando un’opera in cui vitalità, possenza e
virtuosismo sono all’apice. Shakespeare non fu però uno scrittore
“intellettuale” o élitario come poi sarà Voltaire. Il suo mondo avevo come
perno Stratford e Londra e la ricca varietà della sua esperienza legata anche al
quotidiano è forse il motivo principale della sua universalità; indubbiamente
nell’opera di Shakespeare non c’è traccia di bigotteria o snobismo intellettuale.
I testi di Shakespeare riflettono a pieno la società elisabettiana, il “mondo
nuovo” era simboleggiato dal Globe Theatre di Shakespeare a Londra, dove
Capitolo I
14
l’impatto della riforma protestante si univa alla crescente raffinatezza della vita
cittadina per dare forma particolare alla più alta drammaturgia dell’Inghilterra
moderna. Autoespressione, individualismo e soliloquio erano gli sviluppi
culturali che si accompagnavano alla diffusione dell’istruzione e
dell’alfabetizzazione, alla nascita della coscienza non conformista e al crescere
di atteggiamenti cosmopoliti. La melanconia di Amleto ha una connessione
profonda con la filosofia occulta, caratterizzata dalla magia, dall’intento di
penetrare nelle sfere profonde della conoscenza e dell’esperienza, sia
scientifica che spirituale e accompagnata dal timore dei pericoli di tale ricerca
e dalla fiera opposizione cui essi andavano incontro.
Il filosofo emblematico dell’età elisabettiana fu John Dee la cui
prefazione matematica alla traduzione inglese di Euclide (1570) inizia con
un’invocazione al “divino Platone” e cita Enrico Cornelio Agrippa rispetto
ai tre mondi: la prefazione di Dee è opera di un neoplatonico
rinascimentale . Dee cita Pico della Mirandola riguardo al numero e segue
Pico, Reuchlin e Agrippa nel dare pregnanza alla dimensione pitagorica e
matematica del movimento; la sua prefazione a “matematica” ed in generale la
sua dottrina, ebbero un’immensa influenza nello stimolare il rinascimento
scientifico elisabettiano. «Attraverso i numeri si procede all’indagine e alla
comprensione di ogni realtà conoscibile». Tramite questa citazione del 1570 si
nota come la matematica di Dee ebbe applicazioni in campo pratico per via
delle sue istruzioni e consulenze a navigatori, artigiani, tecnici; egli affermò
anche degli elementi di teoria matematica astratta,in particolare della teoria
della proporzione secondo la lezione contenuta sull’architettura dell’architetto
romano Vitruvio. La prefazione riporta molte citazioni da Vitruvio, e Dee lo
segue nell’idea dell’architettura come regina delle scienze ed unica a cui tutte le
altre discipline matematiche sono correlate. Accanto a Vitruvio sulla teoria
della proporzione è interessante confrontare sullo stesso argomento Agrippa e
Dürer. La sua intera filosofia è contenuta nella Monas hieroglyphica del 1564
dedicata a Maximiliano II dove Kabbalah e alchimia unite in una concezione
intensamente religiosa implicava un pio accostarsi a tutte le scienze basate sul
Capitolo I
15
numero. In Inghilterra aveva come perno la regina Elisabetta I, rappresentata
dalla Monas, nella direzione di una idea riformatrice “imperiale britannica”.
Figura 4
Frontespizio della Monas hieroglyphica di John Dee 1564
La Monas e Kabbalah cristiana saranno fondamentali per il movimento
europeo dei Manifesti Rosacrociani. La figura di Dee verrà vista con timore
sotto Giacomo I, cadrà in disgrazia e verrà interpretata come l’inquietante e
nero Doctor Faustus del celebre dramma di Marlow e ( rappresentato dal 1594 al
1597, stampato nel 1604). Da Shakespeare, Dee viene rivalutato nella
Tempesta (in scena nel 1611-1612, stampata nel 1631) con la figura di
Prospero, mago buono e dotto che usa la sua scienza e la sua biblioteca per
fini utopico nella sua isola incantata.
Inigo Jones, primo vero architetto “moderno” ed anche “Homo Universalis”,
potrebbe essere stato influenzato dalla poliedrica figura di Dee o meglio
Capitolo I
16
ancora indirizzato verso il neoplatonismo, la matematica, ma soprattutto
verso l’architettura “regina delle scienze” e Vitruvio.
Sicuramente noto a Jones era Edmund Spenser, che con la sua attività
l e t t e r a r i a a v ev a i sp i r a t o l e sc ene e i t e st i de l l e su e r appre sent a z i on i teatrali; non
solo, Spenser aveva condizionato il teatro di corte, ma aveva influenzato parte
della cultura elisabettiana. Spenser è considerato anch’egli un neoplatonico, la
sua impeccabile maestria di ritmo, tempo e tono non furono “mera imitazione
degli Antichi”. Il Calendario del pastore (1579) costituì grazie alla sua melodiosità
una perfetta espressione di dolori e gioie della vita pastorale. Ancora più negli
Hymnes pubblicati nel 1596 si ispira a mondi di bellezza: essi abbondano di
riferimenti a Platone, e il culto che esprimono dell’amore celeste e della
bellezza risponde a una concezione platonica. Nel Hymne of Heavenly Beaty il
poeta si eleva attraverso i tre mondi: il mondo elementare, il mondo celeste
che ruota “disseminato di stelle scintillanti” con cui Dio ha circondato questo
tutto, il mondo intellettuale dove le idee platoniche si fondono con le
gerarchie angeliche. Nel Hymne of Heavenly Love egli discende attraverso i tre
mondi, cominciando dalla sommità dove la trinità regna risplendente su una
schiera di angeli. Gli Hymnes culminano, tra effusioni di devozione cristiana,
con una traduzione in linguaggio poetico della storia del Vangelo. Negli
Hymnes è evidente l’influenza del francescano italiano Giorgi con il suo De
harmonia mundi.
Il capolavoro di Spenser è The Faerie Queene (La regina delle fate), un poema
epico allegorico che illustrava con una sorprendente varietà di forme la natura
e i meriti della politica tardo-elisabettiana, secondo le forme insieme gotiche e
rinascimentali. Il fatto che si tratti di un’allegoria è evidente nell’epistola
dedicatoria a Sir Walter Raleigh, «in quella Regina delle fate celebro la gloria in
senso generale, ma in senso particolare mi riferisco all’eccellentissima e gloriosa
persona della nostra sovrana, la Regina, e al suo regno nella terra delle fate». In alt re
parole aveva intenti in parte moraleggianti ed edificatori, in parte narrativi,
senza che fosse percepibile la corrispondenza tra i due piani. The Faerie Queene
fu concepito e in parte scritto durante il primo periodo di Dee quando egli era
Capitolo I
17
un punto di riferimento così importante, favorito dalla regina. Il poema si lega
alla leggenda di Artù, ad una riforma in termini di vittoria degli influssi
benefici dei pianeti sul male, nel quadro della sua epopea della cavalleria
riformata ora in Elisabetta, prima in Artù. Vi è dunque questa sacra
discendenza britannico-imperiale dei Tudor con la cavalleria arturiana.
Figura 5
Ritratto di Elisabetta I di Nicholas Hilliard 1575
Olio su tela - Tate Gallery - Londra