6.2 – L’attività di “soft law” del Mediatore europeo –
Sulla base delle considerazioni appena formulate, è possibile
ricomprendere nel generale concetto di “soft law” anche l’attività del
Mediatore europeo; quest’ultima, infatti, è intrinsecamente “soft”, non
avendo in nessun caso le decisioni del Mediatore un carattere vincolante.
L’attività di “soft law” del Mediatore europeo costituisce una tematica di
grande interesse, poiché questi può spingersi (ed in alcuni casi si è
spinto) significativamente oltre la semplice soddisfazione del singolo
ricorrente, contribuendo a migliorare la vita di tutti i cittadini (e non solo
dei cittadini che a lui specificamente si rivolgono) ed il loro rapporto con
l’amministrazione comunitaria.
E’ chiaro infatti che una raccomandazione o anche una osservazione
critica formulate sulla base di un ricorso individuale concernente una
problematica di carattere generale, è qualcosa che, per la sua stessa
natura, va oltre la risoluzione del singolo caso concreto, perché, se
recepita dal soggetto cui è rivolta, può comportare il cambiamento di
regole e procedure obsolete, creando soddisfazione, così, da un caso
singolo per tanti cittadini.
Del resto, la funzione, per così dire, “legislativa” costituisce uno degli
aspetti dominanti nella tradizione dei mediatori nazionali, se si considera
che in Danimarca, per esempio, le principali norme di diritto naturale
sono frutto della cinquantennale attività del Folketingets Ombudsmand e
che in Svezia l’attività dello Justitie Ombudsmannen è da tempo
applicata sia come fonte descrittiva che prescrittivi del diritto pubblico;
invero, poi, anche i più recenti mediatori parlamentari, come il Defensor
del pueblo spagnolo ed il Mediatéur francese hanno dimostrato di essere
efficaci riformatori delle regole e delle attività amministrative.
Quanto si afferma è poi rafforzato da una considerazione puramente
pratica, cioè dal fatto che, in virtù del principio di equilibrio istituzionale,
la cui intangibilità è sacra, nessuna delle istituzioni comunitarie, al di là
del Mediatore, sembra possedere, nei confronti delle altre, la sovranità e
la credibilità necessarie per un approccio realmente incentrato sulle
riforme, come, ad esempio, il poter disporre di strumenti di negoziazione
e di poteri di iniziativa propria.
Anche il dato normativo, infine, conferma quella che potrebbe, lato
sensu, definirsi la “legittimazione” del Mediatore europeo a svolgere
l’attività di “soft law”, nei termini in cui finora la si è inquadrata. L’art.
195 TCE, infatti, è costruito sullo schema dell’actio popularis, non
essendo necessario, ai fini della ricevibilità, che al ricorso sia sotteso un
interesse diretto del denunciante; in altre parole, una denuncia al
Mediatore può essere presentata anche da chi non sia stato personalmente
vittima del caso di cattiva amministrazione segnalato.
Le considerazioni esposte ci sembrano sufficienti a dimostrare la
importanza di questo aspetto della attività del Mediatore, aspetto che,
invero, non è visto con favore da certa dottrina, la quale, sostenendo che
gli strumenti di “soft law” sono rimessi totalmente alla volontà delle
parti e, per questo, sarebbero caratterizzati da minori garanzie rispetto
alle fonti classiche del diritto comunitario, auspica che essi siano
configurati come eccezione alla regola della “hard law” e non assurgano
al rango di regolamentazione generalmente accettata e deliberatamente
scelta.
Di contro, altra parte della dottrina, alla quale riteniamo di dovere
aderire, sottolinea che questo potenziale inconveniente è in primo luogo
ridimensionato dalla considerazione che l’amministrazione comunitaria
non è certamente obbligata a fare proprie le posizioni del Mediatore,
essendo, anzi, la libertà di rigetto verosimilmente molto più ampia a
livello comunitario che ai livelli della maggior parte degli Stati membri.
Inoltre, pur tralasciando la considerazione poc’anzi formulata, ogni
potenziale inconveniente risulta essere comunque controbilanciato da
reali vantaggi.
Il primo e più ovvio vantaggio della attività di “soft law” risiede
senz’altro nella elasticità del suo approccio, il quale consente, anzitutto,
una migliore identificazione delle problematiche di carattere generale
(oltre cioè il confine della stretta illegalità); in secondo luogo, un simile
approccio comporta l’aggiornamento di principi e norme preesistenti (si
pensi all’obbligo per la Commissione di motivare la decisione di non dar
luogo ad una procedura di infrazione, risultato conseguito dal Mediatore
a seguito di insistenti pressioni); introduce, infine, un importante fattore
di carattere più sociologico, vale a dire il miglioramento della condotta
dei pubblici ufficiali, i quali sono incoraggiati a pensare in termini di
buona o cattiva amministrazione, piuttosto che secondo i rigidi paradigmi
di legalità.
A ciò si aggiunga che, per quei pubblici ufficiali che già mostrano un
atteggiamento più flessibile, la attività di “soft law” del Mediatore
europeo potrebbe costituire un ulteriore fattore di legittimazione.
Alla luce di quanto si è esposto, riteniamo che non vi siano ragioni per
non accogliere con favore il ruolo di “legislatore di soft law” del
Mediatore europeo e per non auspicare un più ampio esercizio di questa
funzione.
Ciò detto e avviandoci alla conclusione, è necessario individuare gli
strumenti attraverso i quali il Mediatore può esercitare concretamente la
funzione in esame e, soprattutto, i fattori di impatto ai quali deve
ricorrere, in mancanza del potere di emettere decisioni vincolanti, per
conseguire l’obiettivo di una generale osservanza dei suoi punti di vista.
Quanto alla prima questione, tra i possibili esiti di una inchiesta del
Mediatore, sono rilevanti, ai fini della analisi che si sta conducendo, le
ipotesi in cui il Mediatore formula una osservazione critica ovvero un
progetto di raccomandazione, rappresentando essi, di gran lunga, il più
importante strumento per la produzione attiva di norme.
Minore rilevanza, infatti, va riconosciuta alle ipotesi di conciliazione
amichevole, dato l’esiguo numero di casi, dovuto principalmente al fatto
che la maggior parte delle doglianze ha per oggetto questioni relative a
specifici eventi del passato per le quali il Mediatore non è nella
condizione di intervenire (si pensi, per esempio, ai ricorsi relativi agli
esiti di esami di assunzione già terminati).
Quanto poi alle ipotesi in cui non viene rilevata cattiva amministrazione,
poiché è l’istituzione o l’organismo stesso a muoversi nella direzione del
soddisfacimento del ricorrente, risulta difficile valutare il reale impatto
della attività del Mediatore, dal momento che, in questi casi, egli no
chiede direttamente alla amministrazione di mutare la propria condotta,
ma si limita, semmai, ad indicare quale dovrebbe essere, a suo giudizio,
la pratica amministrativamente corretta.
Per quanto concerne la seconda problematica, quella dei fattori di
impatto, va detto che, atteso il carattere non vincolante delle sue
decisioni, il Mediatore ha tentato di operare, talvolta riuscendovi, in
direzione di una generalizzazione dei principi di “soft law”. Per
generalizzazione di un principio si intende, più precisamente, che, se la
istituzione interessata da una inchiesta del Mediatore, riconoscendo la
fondatezza delle sue argomentazioni, ha accettato di modificare il suo
comportamento, non vi è ragione per non fare altrettanto tutte le volte in
cui venga a riproporsi una situazione similare; in caso contrario, occorre
comunque che la istituzione giustifichi in maniera convincente la
differente condotta tenuta nel caso specifico.
Operando in questa direzione, il Mediatore ha reso possibile la
utilizzazione di principi generali di “soft law”, enucleati dai singoli casi
concreti, come strumento per una interpretazione più equa delle
previsioni di “hard law”, sia di natura convenzionale che
consuetudinaria.
Per realizzare questo obiettivo, il Mediatore ha fatto spesso ricorso ad
una sorta di moral-suasion, richiamando argomenti di carattere
fondamentale e sottolineando, tra l’altro, che una parte importante della
sua missione consiste nel miglioramento del rapporto tra
amministrazione e cittadini e che, pertanto, ogni comportamento della
amministrazione che si discosti da questa impostazione è equiparabile
alla violazione di obblighi concordati.
Ovviamente, questa strategia ha sortito i suoi risultati migliori quando il
Mediatore l’ha applicata nelle aree più importanti del suo mandato, come
per esempio quella della tutela dello Stato di diritto o del pubblico
accesso ai documenti.
E’ dunque all’esame del contributo fornito dal Mediatore con riguardo a
queste tematiche che ci dedicheremo nel prosieguo della trattazione.
7. La tutela dello Stato di diritto –
7.1 – Lo Stato di diritto e il principio democratico –
[…]
7.2 – I caratteri essenziali della procedura di infrazione –
[…]
7.3 – Il contributo del Mediatore europeo al miglioramento della
procedura di infrazione –
Nell’aprile del 1997 il Mediatore europeo ha avviato una indagine di
propria iniziativa riguardante la possibilità di migliorare qualitativamente
la fase pre-contenziosa della procedura di infrazione.
Il Mediatore, infatti, già nel suo primo anno di attività, aveva ricevuto
numerose denunce indicanti, come ragioni malcontento, la lunghezza e la
segretezza della procedura, la mancanza di sufficienti informazioni
riguardo ai suoi sviluppi ed il fatto che la Commissione non spiegava i
motivi in base ai quali i casi venivano archiviati.
Con riguardo a quest’ultimo punto, il Mediatore suggeriva alla
Commissione di comunicare, caso per caso, ai singoli ricorrenti il proprio
intendimento provvisorio, consento così agli stessi di presentare
osservazioni anteriormente alla assunzione della decisione finale. In
particolare, il Mediatore sottolineava che una tale pratica avrebbe
comportato due principali effetti: in primo luogo, una maggiore
efficienza della amministrazione, essendo offerta, ai ricorrenti, la
opportunità di contestare gli intendimenti della Commissione e, a
quest’ultima, la possibilità di rispondere a tali critiche; in secondo luogo,
un accrescimento della trasparenza e, quindi, della fiducia dei cittadini
della Commissione, essendo loro consentito di partecipare più
pienamente alla procedura e di non svolgere semplicemente il ruolo di
informatori.
La linea argomentativa seguita dal Mediatore per persuadere la
Commissione è stata estremamente semplice e, allo stesso tempo, molto
efficace, da un lato, ribadendo il carattere discrezionale del potere
attribuito alla Commissione ex art. 226 TCE e la facoltà di valutare in
piena autonomia se adire o meno la Corte di giustizia, dall’altro però,
sostenendo con forza la tesi che una eccessiva riservatezza della
procedura si sarebbe tradotta in una disfunzione per il cittadino,
essendogli impedito di conoscere la reazione dello Stato membro nei
confronti della Commissione.
Il Mediatore, peraltro, ha richiamato alla attenzione della Commissione
due principi generali di diritto amministrativo da applicarsi, a suo
giudizio, ogni qual volta ad una istituzione o ad un organo pubblico sia
attribuito un potere discrezionale, vale a dire la facoltà di scelta tra due o
più linee di condotta: in primo luogo, l’obbligo di motivare
adeguatamente la scelta di una certa linea di condotta piuttosto che di
un’altra; in secondo luogo l’obbligo di non oltrepassare i limiti della
propria competenza legale, così come stabiliti dalla giurisprudenza della
Corte di giustizia, secondo cui la amministrazione deve agire in buona
fede ed in maniera coerente, evitando ogni discriminazione e rispettando
i principi di proporzionalità, di uguaglianza, di legittimo affidamento,
nonché i diritti e le libertà fondamentali di ogni cittadino.
A seguito di questi rilievi, la Commissione, riconoscendo il ruolo
essenziale che i cittadini svolgono ai fini della individuazione delle
violazioni del diritto comunitario, ha pubblicato nel 1999 una
comunicazione
1
specificante, tra l’altro, una serie di garanzie
amministrative previste in favore dell’autore della denuncia.
Le principali garanzie attengono alla protezione dei dati personali del
denunciante (ove questi desideri che non venga divulgata la sua identità),
al termine entro il quale la Commissione deve pronunciarsi sul merito
della pratica (possibilmente nei dodici mesi successivi alla data di
registrazione della denuncia), alla informazione del denunciante circa la
volontà di archiviare la pratica o, in caso contrario, circa l’andamento
della eventuale procedura di infrazione.
Dette garanzie sono già sufficienti a dimostrare il valore del contributo
fornito in questo campo dal Mediatore, il quale, tuttavia, è andato oltre,
proseguendo sulla strada di una ancora maggiore trasparenza della
procedura, funzionale alla concretizzazione del diritto ad una buona
amministrazione, riconosciuto al cittadino europeo dalla Carta di Nizza.
1
Comunicazione della Commissione pubblicata in GUCE C 119/1999
Infatti, prendendo spunto dalle ulteriori denunce pervenutegli,
2
nel 2001
il Mediatore ha chiesto alla Commissione di considerare la possibilità di
introdurre un chiaro codice procedurale non dissimile da quelli già
esistenti in materia di concorsi, disciplinante il trattamento da riservarsi
ai denuncianti nel caso in esame.
Dando seguito a tali rilievi, la Commissione ha adottato nel marzo del
2002 misure volte a migliorare la situazione, in particolare chiarendo gli
aspetti procedurali della fase amministrativa precedente alla decisione
finale di emettere un parere motivato, che conclude la fase pre-
contenziosa.
Tutto ciò conferma ancora una volta come la attività di “soft law” del
Mediatore europeo possa fare realmente la differenza; questa
conclusione, peraltro, assume tanto più valore se si considera che,
quando il Mediatore ha incominciato ad interessarsi della problematica,
le possibilità di potere influenzare la Commissione fino al punto che
abbiamo descritto erano ben lungi dall’essere evidenti, sia per la sua
intrinseca debolezza (non avendo il potere di emettere decisioni
vincolanti), sia per la mancanza di “alleati” (ad esempio la Corte, il
Parlamento o, più in generale, la dottrina) che sostenessero una sua
legittimazione in tal senso.
2
Tra tutte, è di particolare rilevanza quella relativa all’affare “Thessaloniki Metro” rif.
995/98/OV
8. Il principio di trasparenza e l’accesso ai documenti delle
istituzioni comunitarie –
8.1 – Il rapporto tra il principio di trasparenza e il diritto di accesso –
[…]
8.2 – L’evoluzione del quadro di diritto positivo –
[…]
8.3 – La giurisprudenza –
[…]
8.4 – Il Trattato di Amsterdam e il Regolamento 1049/2001-
[…]
8.5 – Il contributo del Mediatore europeo –
Tracciato il quadro generale della disciplina dell’accesso ai documenti
delle istituzioni comunitarie, bisogna ora dare conto del contributo del
Mediatore europeo alla progressiva affermazione di esso e del più
generale principio di trasparenza.
Al riguardo, va detto che, attraverso una preziosa opera di
sensibilizzazione, il Mediatore è stato l’organo che maggiormente sì è
adoperato in favore della trasparenza, più volte definita come
componente essenziale della democrazia.
Già nel giugno del 1996 (suo primo anno effettivo di attività) il
Mediatore promosse una indagine di sua iniziativa sull’accesso del
pubblico
3
ai documenti delle istituzioni e degli organi comunitari diversi
dal Consiglio e dalla Commissione, avendo queste ultime istituzioni già
adottato disposizioni interne, pubblicamente disponibili, sull’accesso ai
documenti da esse detenuti.
In particolare, il Mediatore chiese alle istituzioni ed agli organi
interessati se avessero già emanato (o se comunque intendessero farlo)
norme generali facilmente disponibili per il pubblico, nonché istruzioni
per il personale interno circa le problematiche dell’accesso e del suo
contemperamento con le esigenze di riservatezza. Numerose denunce
pervenute al Mediatore lamentavano, infatti, che il personale delle
istituzioni e degli organi comunitari non era sempre adeguatamente
3
Si fa riferimento alla indagine 616/PUBAC/F/IJH
istruito sulle modalità di trattamento delle richieste di accesso e che
spesso i documenti erano resi pubblici soltanto dopo un considerevole
lasso di tempo.
Sulla base delle informazioni fornitegli, risultò che un solo organo
4
aveva già adottato norme in tal senso e che la maggior parte delle altre
istituzioni ed organi, ma non tutti, intendevano fare altrettanto.
Il Mediatore, pertanto, concluse l’indagine con la decisione adottata il 20
dicembre 1996. In tale decisione, ricordando che la Corte di giustizia è
l’autorità suprema relativamente alle questioni attinenti al diritto
comunitario e tenendo, quindi, in conto la sua giurisprudenza, affermava
che non adottare o non rendere facilmente accessibili al pubblico norme
sull’accesso ai documenti costituiva un caso di cattiva amministrazione.
Infatti, rilevava il Mediatore, che l’accesso del pubblico ai documenti
non solo assicura il controllo sull’operato dell’amministrazione
comunitaria, ma, permettendo al cittadino di conoscere le motivazioni in
base alle quali vengono prese le decisioni, gli consente di meglio tutelare
i propri interessi che ne risultino incisi.
Per tali motivi, il Mediatore rivolgeva ad istituzioni ed organi interessati
progetti di raccomandazione, affinché provvedessero in tal senso; in
particolare, per quel che concerne la Corte di giustizia ed il Parlamento
europeo, il Mediatore precisava che le dette raccomandazioni erano da
intendersi come riferite esclusivamente ai documenti amministrativi.
5
Conformemente a quanto previsto da art. 3 par. 6 dello Statuto
6
, nei tre
mesi successivi pervenivano al Mediatore i pareri circostanziati delle
istituzioni e degli organi interessati sai suoi progetti di raccomandazione.
Di tali pareri, è d’uopo menzionare, per la particolare rilevanza, quelli
del Parlamento europeo e della Corte di giustizia: con riferimento al
primo, il Parlamento informava il Mediatore di aver adottato le richieste
disposizioni con decisione del 10 luglio 1997, sottolineando che esse
4
Si trattava dell’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno.
5
E’ noto, infatti, che la funzione giurisdizionale della Corte è esclusa dalle competenze
del Mediatore come definite dall’art 195 TCE e che il concetto di “cattiva
amministrazione non ricomprende l’attività politica del Parlamento
6
Art. 3 par. 6 St. M.E: “Il Mediatore, quando ha individuato un caso di cattiva
amministrazione, ne informa l’istituzione o l’organo interessato, proponendo, se del
caso, progetti di raccomandazione. L’istituzione o l’organo interessato è tenuto a
trasmettergli entro tre mesi un parere circostanziato”.
erano da considerarsi applicabili a tutti i documenti e non solo a quelli di
natura amministrativa, così come si era limitato a chiedere il Mediatore,
in virtù delle riserve previste alla sua competenza; con riferimento al
secondo, la Corte di giustizia comunicava al Mediatore che, sebbene
avesse incontrato difficoltà estreme nel definire una chiara distinzione tra
i documenti relativi alla sua funzione giurisdizionale ed i testi di altro
tipo, aveva comunque incaricato la Commissione per il regolamento di
esaminare tutte le questioni attinenti all’accesso ai documenti giudiziari e
che esisteva la forte probabilità che tale esame potesse tradursi in
proposte di modifica al suo regolamento, sottolineando, tuttavia, che non
era possibile prevedere una data per il completamento dei lavori.
In risposta a tale ultimo parere circostanziato, il Mediatore europeo, nella
relazione speciale trasmessa al Parlamento, ai sensi dell’art 3 par. 7 dello
Statuto
7
, sollecitava quest’ultimo a richiedere maggiori informazioni al
riguardo, stante l’impossibilità di formulare raccomandazione nei
confronti della Corte, il cui ruolo è sottratto alle competenze del
Mediatore.
Per quel che concerne gli altri pareri circostanziati, da essi emergeva che
quasi tutte le istituzioni ed organi comunitari avevano elaborato le
rispettive disposizioni sulla falsa riga di quelle fissate dal Consiglio e
dalla Commissione, così rispettando integralmente i progetti di
raccomandazione del Mediatore europeo. Infatti, lo stesso Mediatore
sottolineavano nella relazione speciale presentata al Parlamento europeo,
come le disposizioni adottate rappresentassero un significativo passo
avanti nella direzione di una maggiore trasparenza dell’amministrazione
comunitaria, conformemente alle legittime aspettative dei cittadini.
Pur tuttavia, considerando la impossibilità di estendere il suo esame al
merito di tali disposizioni e rilevando che esse apparivano, in linea
generale, piuttosto limitative rispetto alle norme disciplinanti l’attività di
alcune amministrazioni nazionali, sollecitava il Parlamento a verificare,
7
Art. 3 par. 7 St. M.E.: “Il Mediatore trasmette quindi una relazione al Parlemento
europeo e all’istituzione o all’organo interessato. Egli può corredarla di
raccomandazioni. Il Mediatore informa il ricorrente sul risultato delle indagini, sul
parere formulato dall’istituzione o dall’organo interessato nonché sulle eventuali
raccomandazioni che egli ha proposto”
in forza dei suoi poteri, se le disposizioni approvate assicurassero
sufficientemente il grado di trasparenza richiesto dai cittadini europei.
Va inoltre segnalato che una ulteriore indagine è stata avviata dal
Mediatore nell’aprile 1999 nei confronti di quattro organi
8
non ancora
istituiti al tempo della precedente inchiesta, per verificare il loro
adeguamento al principio di trasparenza.
Altra significativa modifica al regime dell’accesso ai documenti, sulla
quale il Mediatore europeo ha particolarmente insistito, ritenendola
essenziale per garantire nei fatti oltre che nella forma l’accesso del
pubblico
9
, ha riguardato la predisposizione di registri dei documenti in
possesso delle istituzioni.
La questione era di particolare rilevanza con riguardo alla attività dei
Comitati istituiti ai sensi della decisione “comitologia” del 1987
10
;
svolgendo, infatti, questi ultimi, un ruolo fondamentale nella adozione
degli atti di esecuzione da parte della Commissione, l’accesso ai relativi
atti appariva evidentemente di grande importanza.
Anche e soprattutto a seguito delle insistenti pressioni del Mediatore,
protrattasi sin dal 1997, con la decisione 468/99 è stato previsto, in primo
luogo, l’obbligo, a carico di questi comitati, di adottare propri
regolamenti di procedura (ovvero di modificare quelli eventualmente
esistenti) che recepissero i principi e le condizioni relativi all’accesso del
pubblico ai documenti, così come fissati per la Commissione, e, in
secondo luogo l’obbligo di istituire un registro contenente i riferimenti di
tutti i documenti trasmessi al Parlamento, ai sensi della decisione in
questione; a tale istituzione, si è pervenuti nel corso dell’anno 2001.
Ma, invero, l’attività del Mediatore con riguardo all’accesso del pubblico
ai documenti è andata ben oltre i termini fino ad ora riferiti; essa, infatti,
si è estrinsecata anche attraverso l’esame, istituzionalmente affidatogli,
dei ricorsi dei privati per pretesi casi di cattiva amministrazione e
8
Si tratta dell’Ufficio comunitario delle varietà vegetali, dell’Agenzia europea per la
sicurezza e la salute sul lavoro, dell’Europol e della BCE.
9
Si consideri che, prima della risoluzione di questo problema, i cittadini, spesso, non
chiedevano l’accesso a documenti di loro interesse, non essendo in grado di indicane gli
estremi con sufficiente precisione, così come richiesto, sia dal Codice di condotta, che
dall’art. 2 della dec. 93/731.
10
Si fa riferimento alla decisione 87/373 del Consiglio.
attraverso il tentativo, spesso riuscito, di convincere le istituzioni a
demordere da atteggiamenti ostruzionistici.
A titolo esemplificativo, si vuole riferire di due casi di diniego di accesso
ai documenti del Consiglio risoltisi positivamente grazie all’intervento
del Mediatore.
Nel primo caso (1996), il Consiglio aveva rifiutato la richiesta di accesso
ad alcuni documenti presentata da Statewatch, un gruppo con sede nel
Regno Unito dedito al monitoraggio sul rispetto delle libertà civili
nell’Unione europea, motivando che, alla luce di una attenta valutazione,
gli interessi alla segretezza delle deliberazioni del Consiglio risultavano
prevalere sull’interesse del denunciante ad accedere ai documenti
richiesti.
Queste stesse ragioni venivano addotte sette anni più tardi per motivare il
diniego d’accesso ad alcuni documenti richiesti da un dottorando,
durante la preparazione della sua tesi, proprio sull’argomento della
pubblicità degli atti giuridici del Consiglio.
In entrambe i casi, tuttavia, il Consiglio ha riconsiderato le decisioni
iniziali, in virtù delle argomentazioni addotte dal Mediatore, il quale,
ritenendo che il Consiglio non avesse ottemperato all’obbligo di
motivare specificamente il diniego, così come interpretato dalla
giurisprudenza comunitaria e così come fissato, per ciò che concerne il
secondo caso citato, dal Reg. 1049/2001, sottolineava l’importanza di
salvaguardare il più ampio accesso possibile dei cittadini europei alle
informazioni e la necessità di rispettare le norme sul diritto di accesso.
In conclusione, sebbene il Mediatore abbia portato a termine numerosi
altri casi in favore dei cittadini europei, crediamo, tuttavia, che già da
quanto detto emergano inconfutabilmente l’ampiezza e l’importanza del
suo contributo nell’assicurare una amministrazione trasparente e più
responsabile.
9. Altre aree di intervento del Mediatore europeo –
La tutela dello Stato di diritto e la promozione di un maggiore accesso
del pubblico ai documenti delle istituzioni hanno, probabilmente,
costituito fino ad oggi i settori in cui più forte si è manifestata la
influenza del Mediatore europeo.
Va detto, tuttavia, per completezza, che numerosi altri settori sono stati
interessati dalle iniziative del Mediatore tendenti a consolidare la
responsabilità politica delle amministrazioni, rafforzando i diritti dei
cittadini.
Particolarmente rilevante, in quest’ottica, è stato il contributo del
Mediatore con riguardo alle procedure di assunzione, di cui spesso
veniva lamentata la scarsa trasparenza.
A seguito del lavoro svolto dal Mediatore, è stata decisa la pubblicazione
(prima non prevista) degli elenchi di riserva dei candidati vincitori e la
possibilità per questi ultimi di verificare i propri elaborati di esame
corretti e di conoscere la composizione della commissione giudicatrice;
inoltre, sempre a seguito delle pressioni del Mediatore, la Commissione
ed il Parlamento europeo hanno abolito con effetto immediato l’utilizzo
dei limiti di età nei procedimenti di assunzione. Queste innovazioni
hanno senz’altro contribuito ad accrescere la fiducia dei candidati
rispetto alle procedure di assunzione e, pertanto, in termini più generali a
migliorare la impressione complessiva che i cittadini hanno delle
istituzioni comunitarie.
Meritano inoltre di essere menzionate le iniziative del Mediatore tendenti
ad un generale miglioramento del servizio offerto dalle istituzioni. Le
denunce pervenute al Mediatore hanno, infatti, contribuito a porre in
evidenza procedure inefficaci, metodi obsoleti e pratiche discriminatorie
nelle istituzioni. Per effetto dei suoi interventi, per esempio, la
Commissione ha adottato un approccio più flessibile per evitare i ritardi
nei pagamenti che, soprattutto per le piccole e medie imprese
costituiscono questione di sopravvivenza o fallimento; spesso poi,
l’opera del Mediatore ha favorito il rispetto degli obblighi contrattuali; ed
ancora, se taluno scrive ad una istituzione o ad un organo comunitario, ha
il diritto di attendere una risposta nella propria lingua. Trattasi, insomma,
di interventi che hanno contribuito a rendere la amministrazione più equa
ed efficiente.
Il lavoro del Mediatore, infine, ha prodotto significative conseguenze
anche nell’ambito della tutela dei diritti del personale delle istituzioni.
Egli, infatti, è riuscito a risolvere con successo numerose controversie
sottoposte alla sua attenzione che spaziavano dalle asserzioni di
licenziamento arbitrario, alle questioni inerenti alla copertura
previdenziale per i coniugi, fino ai regimi di assicurazione supplementare
per gli agenti in trasferta.