5
che un club professionistico di calcio dovrebbe essere in grado di gestire. L’attuale
evoluzione delle imprese sportive si basa sulla volontà di migliorare le proprie risorse,
attingendo alle nuove possibilità emerse dalle esperienze americane, in cui sono ormai
assodati i vantaggi applicativi delle strategie di mercato. Il mantenimento e, soprattutto, il
miglioramento del livello attualmente raggiunto non può prescindere da una seria
programmazione fondata su specifiche strategie operative, sull'utilizzo di particolari
tecniche di marketing e su un adeguato sviluppo economico ed organizzativo. Le
nuove possibilità sfruttabili in un’ottica marketing oriented sono: la gestione diretta dello
stadio, le strategie di co-marketing, sponsorship, merchandising, licensing, la cessione dei
diritti televisivi e le innumerevoli opportunità legate allo sfruttamento delle nuove
tecnologie. In questo contesto la quotazione in borsa può diventare, come nel caso del
club inglese del Manchester United, un mezzo capace di migliorare i risultati economici e
gestionali di una società di calcio professionistica.
La gestione diretta dello stadio, in particolare, alla luce del modello americano e
inglese, si prospetta come una risorsa basilare in un’ottica di sempre più marcata
diversificazione delle entrate che, in un prossimo futuro, assumerà un’importanza
fondamentale anche in Italia. La logica che deve muovere tutte le considerazioni sulla
gestione degli stadi di calcio è quella di massimizzare il potenziale dell’impianto (naming,
pubblicità, sponsorship, merchandising, attività commerciali, partnership), specialmente in
quelle realtà che non beneficiano di proficui contratti televisivi, creando situazioni di
vantaggio per tutti: l’impresa che gestisce l’impianto, le società sportive, gli spettatori, le
aziende, gli sponsor, i produttori di beni e servizi, i media, i promoter, la città stessa che
ospita l’impianto, sviluppando un sistema integrato in cui ogni singolo soggetto faccia la
sua parte per trarne i giusti benefici per qualificarsi, sempre più, in termini professionali, e
raggiungendo un risultato d’immagine in chiave di innovazione e visibilità, entrambi
obiettivi rilevanti per la strategia di marketing di una qualsiasi impresa.
Il presente lavoro si propone un’analisi attenta e comprensiva dei diversi aspetti del
fenomeno, dalla valutazione delle questioni relative alle problematiche economiche e
istituzionali degli stadi italiani all’esame di esempi di eccellenza strutturale e finanziaria di
impianti inglesi e francesi; dallo studio delle molteplici funzioni coinvolte nella gestione di
marketing di uno stadio all’analisi del modello di pianificazione e amministrazione
dell’impianto del futuro, l’Amsterdam ArenA; dall’indagine sul rapporto tra management e
territorio all’esposizione di nuove tendenze, scenari e prospettive future.
6
CAPITOLO 1 “GLI STADI E IL CALCIO”
1.1. “L’evoluzione degli stadi di calcio”
Il calcio europeo costituisce, insieme agli sport professionistici americani, l’unico
settore in cui si è delineata con continuità, negli ultimi anni, una specifica convivenza tra
cultura sportiva e cultura d’impresa, in grado di sviluppare il confronto e l’integrazione tra
due diverse prospettive, quella calcistica e quella manageriale. I club professionistici
devono fare i conti non più solo con il risultato sportivo, ma soprattutto anche con il
risultato economico e con un tipo di gestione societaria che trascende l’ambito del
semplice avvenimento calcistico. L’epoca in cui le società di calcio erano “associazioni
senza scopo di lucro”, dedite esclusivamente al piacere di offrire uno spettacolo a tifosi e
spettatori appartiene al passato.
Nel calcio moderno le nuove priorità sono divenute la massimizzazione del profitto e
la congrua remunerazione degli azionisti, attraverso la ricerca dell’equilibrio finanziario, la
diversificazione delle entrate, lo sviluppo degli investimenti. Lo sfruttamento di una fonte di
introiti basilare, qual è lo stadio di calcio, rientra in questa prospettiva, in questo mutato
ordine di idee, divenendo parte integrante dell’immagine con cui i club si presentano ai
propri avversari e, ultimamente, anche in Borsa. “È in assoluto proprio lo stadio uno degli
‘asset’ più interessanti e validi per poter valutare le potenzialità anche finanziarie di una
società che si quota, o che intraprende la via della ricerca di autonomie finanziarie e
gestionali, slegate dagli avvenimenti esclusivamente di tipo sportivo. Necessariamente si
deve parlare di stadi di proprietà da parte delle società sportive: in tal caso esso
rappresenta una importante risorsa, dal momento che oltre al valore della struttura,
regolarmente ammortizzato e comunque iscritto in bilancio nell'attivo dello stato
patrimoniale, è possibile considerare un valore ‘immateriale’ riconducibile allo sfruttamento
delle infrastrutture, alla gestione della pubblicità interna dell'impianto, alla creazione di
valore in seguito all'utilizzo per fini commerciali dell'area di proprietà. Lo stadio di proprietà
(e la conseguente immagine che esso rappresenta) dovrebbe, inoltre, essere trasformato
nella ‘casa’ della società sportiva in oggetto, divenendo il fulcro di tutte le attività e di tutti
gli aspetti di gestione corrente, dalle conferenze stampa alle presentazioni di atleti, dagli
accordi commerciali ai trofei vinti, dalle iniziative future alle attività di marketing, in pratica
di tutto ciò che rappresenta il core business della società sportiva professionistica”.
1
1
http://www.calcioinborsa.com/StadioBorsa.htm
7
Lo stadio di proprietà deve rappresentare i seguenti cinque elementi per una
società sportiva/azienda:
1. INVESTIMENTO - Un investimento immobiliare rilevante per il patrimonio finanziario del
club;
2. FONTE DI RICAVI - Una fonte di ricavi che prescinda dai risultati sportivi;
3. DIVERSIFICAZIONE - Un elemento che permetta al club di diversificare la propria
attività in quanto azienda sportiva;
4. CONNOTAZIONE - Un elemento fortemente connotato con il nome della società, un
vero e proprio biglietto da visita riconosciuto dal pubblico e dagli avversari;
5. ABBATTIMENTO DEI COSTI - Un elemento che, se amministrato in modo accorto e
proficuo, permette un notevole taglio dei costi nella gestione di una società sportiva.
In Europa tale mentalità è ancora agli albori, se si eccettua l’Inghilterra. Negli Stati
Uniti, una delle chiavi del successo economico dell’Nba, la National Basketball Association
(il nuovo contratto televisivo tra Abc-Espn e Tnt garantirà all’Nba circa 4,8 miliardi di dollari
fino al 2008), è rappresentato dalla proprietà e dalla gestione diretta degli impianti da parte
dei team.
Le vecchie arene erano inadatte alle esigenze di spettacolarizzazione proprie dello
sport moderno, così diversi club dell’Nba hanno progettato e costruito impianti ex novo,
addirittura 14 negli ultimi 8 anni, mentre altri due verranno completati a breve. Chi è
proprietario della struttura, nella maggior parte dei casi gli stessi club, può contare sui
redditi derivanti dalla pratica del naming, dalle concessioni sugli esercizi commerciali
situati all’interno dell’impianto, dalla gestione diretta della pubblicità, con introiti superiori ai
30 milioni di dollari l’anno che possono arrivare a rappresentare anche il 25% dei ricavi
totali per le squadre di vertice.
“Se fino a qualche tempo fa vendere il calcio al mercato significava vendere il
maggior numero di biglietti a partita, ora il calcio è cambiato e con lui il pubblico. E’ inutile
tentare di aumentare gli introiti pesando sui tifosi al botteghino dello stadio: non si
raggiungerebbe l’obiettivo. […] La sfida si gioca su un altro tavolo, quello dei servizi”.
2
2
BAGHERO M., PERFUMO S. e RAVANO T., Per sporte per business. E’ tutto parte del gioco., Franco Angeli,
Milano, 1999, p. 47
8
1.1.1. “L’ambiente economico e legislativo”
Fino alla metà degli anni ’60 l’ordinamento sportivo era organizzato
prevalentemente nell’ambito di associazioni private aventi esclusivamente finalità sportive
e sociali, quali la diffusione e la promozione del calcio. Tale figura giuridica, la cui
caratteristica peculiare era il perseguimento di uno scopo di natura ideale e non
economica, si integrava perfettamente in un contesto sociale in cui non erano rilevanti i
riflessi economici dell’attività sportiva. Fino a tale data, le associazioni sportive erano
gestite per lo più da presidenti mecenati: l’approccio al business era puramente
soggettivo, gli obiettivi del club erano espressione diretta di interessi personali, la struttura
organizzativa si limitava a prevedere le aree strettamente necessarie alla gestione tecnico-
sportiva.
Il passaggio da un concetto di sport di tipo elitario ad uno di massa venne
accelerato dalla costante e progressiva diffusione delle televisioni e dei mezzi
d’informazione e da un significativo aumento della dimensione economica del mercato. Il
rapido e costante aumento degli interessi economici legati allo sport e la conseguente
necessità di dare più trasparenza ai bilanci dei club, portò all’emanazione della legge
81/81 che, tuttavia, non sciolse i dubbi relativi alla natura giuridica di queste società: se da
un lato veniva sancito che esse dovevano essere costituite nella forma di SpA o Srl,
dall’altro, il loro atto costitutivo doveva prevedere il totale reinvestimento degli utili nella
società per il perseguimento esclusivo dell’attività sportiva impedendo al club la
distribuzione di un eventuale utile agli azionisti; la finalità del club rimase di tipo no profit e
il suo management dovette continuare ad anteporre il risultato sportivo a quello finanziario.
Ma la progressiva crisi dei soggetti economici che conferivano il capitale a pieno
rischio, il continuo incremento dei costi di gestione e le sempre più numerose opportunità
di business offerte dal mercato, hanno imposto al legislatore l’equiparazione delle società
sportive a società di capitali con fine di lucro. L’introduzione dello scopo di lucro per le
società sportive, previsto dalla legge 586/96, che seguì e virtualmente completò la
precedente legge 91/96, la quale, sostanzialmente, attribuì alle società sportive le
responsabilità della gestione economica delle società stesse sottoponendole al controllo
finanziario della FIGC per delega del CONI, sancì il passaggio del mondo del calcio
professionistico ad un sistema business oriented. Le conseguenze dirette di questa
rivoluzione implicarono la necessità di remunerare il capitale investito con politiche
d’impresa volte a fronteggiare i costi, a mantenere l’equilibrio finanziario e a garantire la
9
solidità patrimoniale del club nel medio/lungo periodo. Le conseguenze indirette imposero
alla società sportiva di aziendalizzarsi attraverso un rinnovamento del management in
grado sia di valorizzare le diverse funzioni aziendali, sia di sfruttare tutte le aree
strategiche d’affari della società, con l’obiettivo fondamentale del perseguimento della
redditività nel lungo periodo. Le società professionistiche sono diventate, ormai, realtà
aperte verso l’esterno e proprio dall’interazione con il territorio, con il pubblico e con gli
attori del settore sportivo, trovano la propria dimensione economica e sociale.
3
1.1.2. “Le differenti tipologie di gestione di uno stadio”
Se si analizzano le diverse forme di gestione in relazione alla proprietà possono
distinguersi impianti di:
- proprietà e gestione pubblica (gestione in economia);
- proprietà pubblica ma affidata in gestione convenzionata a privati (gestione in
concessione);
- proprietà privata in gestione convenzionata con i Comuni o altri soggetti pubblici;
- proprietà e gestione privata.
4
I diversi soggetti proprietari sopra elencati possono intervenire singolarmente nella
gestione degli impianti o attuare convenzioni tra loro, concordando modalità di
utilizzazione, finanziamenti e responsabilità. Nei casi di affiancamento tra un Ente pubblico
e un soggetto privato è essenziale chiarire alcuni aspetti dei rapporti tra i due attori, tra cui
l’oggetto della concessione (concessione uso dell’area, obbligo del privato a costruire
specifici impianti e così via), la proprietà degli impianti (il problema sussiste se la proprietà
è dell’Ente pubblico: in tal caso si deve stabilire se, alla scadenza del termine di
concessione, essa scada automaticamente o se sia rinnovabile tacitamente), le modalità
di gestione con oneri a carico del privato. Altri aspetti altrettanto importanti su cui fare
chiarezza sono il divieto di sub-concessione della gestione dell’impianto a terzi; la
risoluzione unilaterale della concessione, da parte dell’Ente pubblico, per inadempimenti
posti in essere dal privato; la responsabilità del concessionario privato verso terzi; i poteri
ispettivi dell’ente sia sull’esecuzione sia sulla gestione dell’impianto.
3
Cfr. Ivi p. 98-102
4
Cfr. ASCANI F., Sport management, Sperling & Kupfer, Milano, 1998, p. 281-288
10
La tipologia di gestione più diffusa in Italia è la gestione in concessione, che si ha
quando l’ente pubblico affida a terzi la gestione di uno o più servizi, attraverso la
definizione di un contratto e riservandosi il potere di indirizzo e controllo sui risultati
raggiunti. E’ una forma di gestione che potrebbe risultare valida sia sotto l’aspetto
funzionale che economico, anche se, tuttavia, i casi di eccellenza sono pressoché assenti,
permettendo di sollevare l’Amministrazione da una serie di problemi organizzativi cui
spesso non è grado di provvedere.
La gestione tecnica è operata direttamente dal Comune ed è affidata a terzi la sola
gestione organizzativa, compresi eventualmente una parte degli oneri della manutenzione
ordinaria. L’affidamento a terzi deve essere regolato da opportune convenzioni stipulate
tra il privato e il Comune o un altro Ente pubblico, che specifichino gli oneri a carico
dell’una e dell’altra parte. Nella Convenzione può anche essere stabilito che la piccola
manutenzione sia a carico di coloro che gestiscono l’attività, mentre la manutenzione
straordinaria o comunque la più rilevante viene assunta dal Comune, ovvero che tutti gli
oneri siano a carico del Comune.
Il soggetto proprietario per eccellenza, almeno in Italia, dell’impianto sportivo è il
Comune. Il legislatore, fin dal 1977, individuò in esso l’organo costituzionale principe a cui
demandare la gestione dell’impiantistica sportiva sita sul territorio da esso amministrato.
1.2. “Il problema della sicurezza”
Nel calcio moderno due must che, necessariamente, richiedono particolare
attenzione e investimenti da parte dei club di tutto il mondo sono costituiti dalla safety e
dalla security degli spettatori presenti allo stadio. In Italia, se si eccettuano Como, che ha
effettuato lavori circa un anno fa per rispondere alle esigenze di capienza della serie A, e
Modena, che ha ristrutturato il vecchio stadio portando la capienza a 20.500 posti contro i
17.000 della scorsa stagione, la quasi totalità delle strutture della massima serie non
registra da anni lavori di restauro e adattamento alle nuove norme di sicurezza.
Il “Renato Curi” di Perugia non subiva interventi da circa 20 anni (il presidente
Gaucci, l’anno scorso, aveva minacciato il Comune di andare a giocare a Firenze se non
ci fossero stati interventi di rinnovamento, portati a termine, comunque, all’inizio
dell’attuale stagione).
11
Il regolamento della Lega calcio prevede alcune norme fondamentali per gli stadi di
serie A. In particolare:
1) la capienza non deve essere inferiore ai 20.000 posti, anche se il numero consigliato è
di 30.000;
2) l'impianto deve avere solo posti a sedere e non sono ammesse, salvo deroghe, tribune
provvisorie;
3) devono essere garantiti 100 posti per la tribuna stampa, oltre ad una serie di
disposizioni specifiche per la sala stampa e per le postazioni televisive;
4) ci sono diverse norme di sicurezza da rispettare, sia per il pubblico che per i giocatori,
tra cui: la recinzione del campo non deve essere inferiore ai 2.20 metri; deve essere
presente il tunnel o il sottopassaggio per difendere i giocatori; il fossato intorno al campo di
gioco deve avere una profondità minima di 2.50 metri.
La direttiva europea 57/92 in materia di sicurezza, aveva già evidenziato, più di
dieci anni fa, il ruolo del soggetto organizzatore o meglio del titolare dell’attività,
delegandolo quale responsabile della sicurezza. Tale indicazione dell’Unione Europea, pur
recepita dalla legislazione nazionale, è stata disattesa nella realtà dagli stadi italiani,
progettati e realizzati senza programmi di gestione e senza mai interpellare le società
sportive. I dati sono allarmanti: “ […] il 19% degli stadi dalla A alla C risulta agibile salvo
delega; il 38% agibile con prescrizione; solo il 43% è in regola. […] Mancano recinti,
divisori, un rifacimento dei sistemi di accesso a spalti e campo, un’area di pronto soccorso,
senza dimenticare le vie di fuga non sempre rispettate per i disabili. Una situazione
insostenibile, concausa dell’aumento degli episodi di violenza e di teppismo: in totale +
260% nella stagione 2001/2002, soprattutto nelle serie inferiori”.
5
All’escalation di violenza
registrata negli anni passati in Italia, si è cercato di porre un freno con due decreti legge, il
336/2001 e il più recente 28/2003, nuova edizione del precedente. Il primo decreto aveva
dato buoni frutti nel 2001, ma in sede di conversione di legge, il testo era stato modificato
in quanto sospettato di incostituzionalità, rischio evitato dal Governo nel secondo decreto
adottando una definizione più puntuale di “flagranza differita”, che scatta qualora vengano
acquisiti elementi dai quali emergano gravi, precisi e concordi indizi di colpevolezza: in
pratica per le forze dell’ordine, è possibile, in occasione di eventi sportivi, arrestare i
violenti entro 36 ore (il 336/2001 ne prevedeva 48) dal compimento del reato.
5
MARANI M., Grandi stadi, è ora di aprire i cantieri privati, in IlSole24OreSport, n. 3 anno 4, p. 5
12
In questo intervallo di tempo le prove del reato commesso possono essere acquisite
tramite filmati, foto, testimonianze o altri elementi e consentire l’arresto dei colpevoli
processabili per direttissima.
Per superare tale impasse è necessario lavorare sulla cultura di chi segue il calcio
facendo formazione nelle scuole e fare dello stadio un punto di ritrovo accogliente e
funzionale, ma soprattutto sicuro. Ma un paese come l’Italia è ancora all’inizio di questa
battaglia se si guarda all’Inghilterra, vero e proprio modello di efficienza in questo campo,
che è riuscita ad arginare con fermezza l’annoso problema degli hooligans, quanto meno
in patria. In Inghilterra i club, grazie a un appropriato sostegno legislativo, hanno tagliato i
ponti con la tifoseria violenta. Dopo le tragedie nell’85 dell’Haisel e a Bradford e nel 1989 a
Hillsborough, un giudice indipendente promosse un rapporto, il “rapporto Taylor”, in cui si
affermava che il motivo principale di quelle catastrofi era stata la vecchiaia del fenomeno
calcistico: il pubblico era trattato sempre più come un possibile pericolo. Migliorare lo
spettacolo significava migliorare le condizioni di accesso allo stadio e di fruizione della
partita. Il rapporto inizialmente incontrò molto scetticismo e opposizione, ma in seguito,
come suggerito dal rapporto, tutti i posti divennero sedere e, di conseguenza, la situazione
migliorò decisamente. Il “rapporto Taylor” cambiò totalmente il significato del pubblico
calcistico: oggi si parte dai principi che chi va allo stadio è una persona civile e che lo
stadio è pieno di persone civili.
6
Il rapporto fu seguito dalla legge Taylor che, nel 1991,
prevedendo la ristrutturazione di tutti gli stadi inglesi, destinò 952 miliardi di lire in totale al
rinnovo delle strutture dal 1988 al 1996; da tale anno, concluso il sostegno finanziario
governativo in questo campo, i club inglesi sono stati costretti a coprire interamente in
proprio i costi per l’ordine pubblico negli stadi. Un esempio delle operazioni di sicurezza in
un impianto inglese è dato dall’Arsenal nello stadio di Highbury: all’interno della struttura,
durante la partita, vengono utilizzati circa 370 stewards ed un numero variabile di poliziotti,
fino a un massimo di 60 per gli incontri di cartello. Gli stewards (i quali, essendo pagati dai
club e non avendo la qualifica di organi di polizia, non pesano sui contribuenti), sono
sottoposti a 5 corsi di formazione che trattano diversi argomenti (procedure generali per i
biglietti, pronto soccorso e aspetti legali per bloccare e espellere i tifosi). L’Associazione
dei Gestori per la Sicurezza del Calcio, in collaborazione con i club, ha definito un
programma nazionale minimo per qualificare gli operatori come formati. Tramite questo
approfondito e completo iter formativo, gli stewards sono in grado di garantire non solo il
mantenimento di un corretto comportamento da parte dei tifosi, ma anche informazioni e
6
Cfr. LANFRANCHI P., Stadi aperti contro la violenza (Convegno organizzato dalla Lega Nazionale dei
Professionisti della F.I.G.C.), in SpazioSport Mese, dicembre 1997, p. 17
13
supporto al pubblico in caso di difficoltà. Grazie a questa formazione di ampio respiro, il
numero dei poliziotti negli impianti inglesi è diminuito in modo considerevole, costituendo
dal punto di vista dei costi una soluzione molto vantaggiosa.
7
Alcune società inglesi hanno
perfino gestito partite con folle di dimensioni ragionevoli senza nessuna forza di polizia in
campo: la situazione italiana è lontana anni luce dalla realtà inglese se si considera che, a
seconda delle circostanze vengono impiegati da 8.000 a 12.000 fra poliziotti, carabinieri e
finanzieri per una normale giornata di campionato (il costo medio giornaliero di un
operatore di polizia è di circa 200 euro; ogni agente ha diritto ad una indennità aggiuntiva
di 15 euro per il servizio allo stadio). Ci sono incontri a rischio con lo spiegamento di oltre
1500 elementi: si tratta di uno sforzo eccezionale che comporta, fra uomini, mezzi di terra
ed elicotteri, una spesa pari a circa 65 milioni di euro all’anno. Ma la violenza si combatte
soprattutto cambiando la cultura dello stadio: non più luogo settimanale di scontro, ma
punto permanente di incontro.
1.3. “La situazione in Italia…”
L’Italia è, tra i Paesi più evoluti in termini calcistici, la Nazione che ha la capacità di
assorbimento del mercato più bassa, ossia scarsità di servizi e stadi sovradimensionati
rispetto al pubblico cui si rivolge. L’epoca di costruzione del 33% degli impianti di A e B è
compresa tra il 1920 e il 1937; un 27% è stato realizzato tra il 1950 e il 1970 e il restante
33% tra il 1972 e il 1990, anno dell’edizione italiana dei Mondiali di calcio. Solo gli stadi di
Padova e Reggio Emilia, le cui squadre militano in serie C, sono di recentissima
costruzione. Tale dato è significativo della situazione strutturale degli stadi nel nostro
paese nonché della necessità di notevoli interventi di manutenzione ordinaria e
straordinaria. Il 50% degli impianti di serie A e B è dotato di piste di atletica leggera e, per
quasi l’80% di essi, la pista viene utilizzata solo in rarissime occasioni e con scarsa
presenza di pubblico, con l’evidente conseguenza che solo in pochi casi l’abbinamento
pista di atletica/stadio rappresenta una giusta scelta progettuale e gestionale. Il 50% degli
edifici è ubicato in zone ad elevata densità abitativa delle città e solo il 30% è dotato di
spazi sottotribuna utilizzati per uffici o strutture sportive.
8
La gestione dello stadio è,
7
Cfr. BEATTIE J., Stadi aperti contro la violenza (Convegno organizzato dalla Lega Nazionale dei Professionisti della
F.I.G.C.), in SpazioSport Mese, dicembre 1997, p. 9
8
Cfr. MANDETTA S., Stadi aperti contro la violenza (Convegno organizzato dalla Lega Nazionale dei Professionisti
della F.I.G.C.), in SpazioSport Mese, dicembre 1997, p. 3
14
spesso, praticamente assente: lo stadio viene vissuto per appena 70 ore l’anno, e questo
comporta per le società “ […] maggiori costi (spese di gestione, canone di locazione, costi
di complessità, ecc.) e minori ricavi (impossibilità di una profittevole gestione degli spazi
interni ed esterni all’impianto), non coerenti con logiche economico aziendali od
imprenditoriali”.
9
Gli stadi da sempre rappresentano un costo non indifferente nella gestione
finanziaria di un club, a causa dei canoni di locazione cui spesso si sommano sia le spese
di manutenzione che i mancati guadagni derivanti dalla non-gestione diretta della
pubblicità. La capienza media degli impianti italiani è troppo elevata per soddisfare le
esigenze di un club incline ad attuare una strategia tesa alla diversificazione dei ricavi. In
occasione dei Mondiali di calcio del 1990, molti dei più importanti stadi italiani sono stati
profondamente ristrutturati ovvero costruiti ex-novo: il nostro Paese ha perso
un'opportunità storica, non riuscendo a sfruttare un’occasione ideale per creare impianti
con caratteristiche tali da far incrementare sensibilmente il livello dei ricavi delle società.
Tutte le proprietà degli impianti di serie A e B sono dei rispettivi Comuni (pratica che
risale al periodo fascista), eccetto lo stadio Olimpico, di proprietà del demanio statale, e il
“Giglio”, di proprietà della A. C. Reggiana. Tale situazione è, tuttavia, un’anomalia che si
riscontra solo in Italia: in Premier League 20 club su 20 sono proprietari dello stadio in cui
giocano, nella Liga 7 società su 20, nella Bundesliga 2, in Francia 1. Se in serie A lo stadio
è gestito direttamente dai club in 14 casi su 18, anche se in meno della metà dei casi la
convenzione è ultradecennale, in serie B la gestione diretta avviene solo in 8 casi su 20 e
in pochissimi casi la convenzione risulta essere ultradecennale. La mancanza di
investimenti in infrastrutture e servizi, di una visione di lungo periodo e di un management
in grado di comprendere con acutezza tale situazione, hanno comportato una gestione
fallimentare degli stadi di calcio italiani protrattasi per anni, divenendo, senza dubbio, una
delle principali cause del vistoso calo di spettatori riscontrato in Italia nell’ultimo decennio
(grafico 1), anche se molti addossano ancora alla televisione il ruolo di killer della
presenza di spettatori live. “L’incremento della quota dei ricavi provenienti dai diritti
televisivi aveva inizialmente fatto prevedere una costante riduzione dei prezzi dei
biglietti”
10
, previsione, in sostanza, mai avveratasi: la lievitazione dei costi di gestione delle
società ha messo in forte evidenza il problema dei prezzi dei biglietti che, nonostante
9
BAGHERO M., PERFUMO S. e RAVANO T., op. cit. p. 190
10
CHERUBINI S. e CANIGIANI M., Media e co-marketing sportivo, Franco Angeli, Milano, 2000, p. 91
15
l’incremento delle entrate provenienti dai diritti televisivi, sono aumentati costantemente e
si attestano in cima alla classifica dei campionati europei.
11
“
Negli ultimi 4 anni gli incassi al botteghino sono diminuiti del 29%, in particolare per
quanto riguarda gli abbonamenti”.
12
Se fino alla metà degli anni ’90 il campionato italiano
di serie A era il più seguito, dalla stagione 1994-1995 è stato scalzato dalla Germania e,
dal 2000, anche dall’Inghilterra, affermatasi come la Nazione in cui si è riscontrato
l’incremento maggiore di pubblico negli ultimi dieci anni (il 48,5%), conquistando anche la
leadership europea. Ancora più dirompente il boom francese che dal 1990 ad oggi ha
aumentato le presenze sugli spalti del 116%. In Italia si nota una diminuzione nelle
presenze allo stadio nell’ordine del 20% dal 1990 ad oggi, mentre in Spagna, dopo quattro
anni di costante flessione, c’è stata una decisa inversione di tendenza dalla stagione
1999/2000. Ancora più negativi i dati italiani se, invece delle presenze medie, si
analizzano l’indice di riempimento dello stadio, dove l’Italia risulta all’ultimo posto.
13
Questi dati sono molto esemplificativi del problema degli stadi e della loro gestione in
Italia: a fronte di impianti moderni e gestiti direttamente dalle società ad esclusivo
interesse del tifoso/cliente, propri del modello inglese, i nostri club contrappongono
strutture dagli altissimi costi di gestione, spesso vuote e non adatte ad essere gestite in
maniera privata e manageriale.
A questo fenomeno si danno diverse motivazioni: incontri poco spettacolari, un
numero troppo elevate di partite, stadi poco confortevoli e sicuri. L’unica via di fuga da
questo circolo vizioso sembra essere un radicale cambiamento del modus operandi di tutti,
dagli addetti ai lavori ai tifosi. I vincoli urbanistici di molti impianti ne impediscono l’impiego
a tempo pieno; esistono poi delle difficoltà di intervento da parte delle società sportive a
dare precise garanzie per ottenere finanziamenti agevolati da parte del Credito Sportivo, in
quanto lo stadio non è un bene commerciabile, per l’univocità del rapporto di concessione.
Le garanzie, in questo caso, potrebbero basarsi sul valore degli interventi progettati e
prospettati, in quanto si tratterebbe di interventi produttivi. In tal senso il CONI potrebbe
collaborare nella pianificazione e nella programmazione degli interventi, divenendo il link
istituzionale in grado di far interagire in modo profittevole club, FIGC, amministrazioni
comunali e le altre discipline sportive eventualmente presenti negli stadi.
11
Cfr. http://www.settoretecnico.figc.it/newsletterdettaglio.asp?cod=116
12
DELOITTE & TOUCHE, Rapporto sul calcio italiano: analisi economico-finanziaria stagione 2001/2002, giugno
2002, p. 22
13
Cfr. http://www.settoretecnico.figc.it/newsletterdettaglio.asp?cod=66