3
Un’esplosione di colori drammaticamente accesi come quello di Fronte del
porto del 1954 che narra rabbie impotenti, sopraffazioni e ribellioni; quello
delicatamente sfumato de La valle dell’Eden del 1955 che racconta un amore
puro o il giallo dominante in Mia sorella Evelina (1955) che marca i segni di
una commedia musicale vivace. Poi mare, tempeste, scogliere, stelle
scintillanti, cieli azzurri, fiori che ci preannunciano un lieto fine. Oppure
battaglie, sangue, galeoni, spade, pistole e cavalli che ci preparano ad un
viaggio avventuroso; titoli incisivi come quelli de La tua bocca brucia del
1952 e Sentieri selvaggi del 1956, arabeggianti come Casablanca (1942) o
passionali come quelli di Via col vento del 1939, o ancora La taverna
dell’oblio (1938) disegnato come fosse stoffa di corda da marinaio.
«Per diventare cartellonisti per il cinema - afferma Anselmo Ballester, autore
di migliaia di manifesti dallo stile semplice e descrittivo, ma ricco di idee e
trovate originali - bisogna possedere facilità di disegno, senso del colore,
immaginativa, percezione del “bello”, bisogna riempire gli occhi e l’anima di
tutto ciò che scorgiamo…, lasciare libera la fantasia di raffigurare qualsiasi
oggetto nel modo più ideale possibile tentando di avvicinarsi alla perfezione. Il
cartellone deve riuscire ad attrarre l’interesse del pubblico e a soddisfare tanto
il gusto delle persone raffinate quanto quello delle più rozze, che sono la
maggioranza»
2
.
Un lavoro, quello del cartellonista, che si fa soprattutto per passione, difficile,
perché richiede tempi di realizzazione molto rapidi, disponibilità assoluta e
spesso anche poca remunerazione.
Anche i manifesti tipografici
3
attribuivano un’importanza fondamentale al
pubblico, menzionandolo per esempio apertamente e frequentemente
nell’enunciato verbale. Spesso si anticipava, ad esempio, il successo di un
film: «…in questa riproduzione la tecnica unita all’arte si imporrà sul pubblico
2
M. Dell’Anno e M. Soccio, Cinema di carta cinquant’anni di manifesti cinematografici, Bastogi,
Foggia 2000, p. 15.
3
Sono manifesti tipografici tutti quelli privi di illustrazioni.
4
che accorrerà entusiasta ad ammirare»
4
; altre volte l’intenzione dell’esercente
era quella di stabilire un rapporto familiare con la clientela, assecondandone
desideri e richieste: «per aderire alle numerose richieste del cortese
pubblico…»; in altri casi lo si voleva semplicemente sorprendere e gratificare.
In questo genere di cartelloni lo scopo principale era quello di attrarre il lettore
e mantenerlo ancorato fino alla fine del testo. Molti manifesti, sul modello dei
bandi e degli avvisi pubblici, iniziano con la parola “Attenzione!”, in grado di
svolgere un’indiscussa funzione di richiamo, oppure usano la seconda persona
o l’imperativo, «Non mancate giovedì e venerdì»; «Frequentate questo
locale…». A volte il richiamo non è diretto ed esplicito, ma utilizza formule
più cortesi, mediate ed elogiative, una sorta di captatio benevolentiae: «La
spettabile clientela è pregata di non mancare di venire ad ammirare questi
capolavori…». Talvolta l’interpellazione poteva essere verso un target
selezionato: «Combattenti! ecco il vostro film»; «Mamme, spose, accorrete in
massa». «Strategicamente il messaggio pubblicitario non toglie a nessuna
tipologia di spettatori la possibilità di sentirsi chiamati in causa, ricorrendo,
così, a strutture testuali biforcali»
5
. Nel caso di un film dichiaratamente
sentimentale, quindi destinato principalmente ad un pubblico femminile, come
per esempio L’età di amare del 1922, il messaggio promozionale richiama
esplicitamente anche il pubblico maschile: «Spettacolo che piacerà molto alle
signore…e non meno agli uomini per il suo originale ed intrecciato soggetto»
6
.
Stesso dicasi per l’antinomia adulti/ bambini «Il buono e colossale
gigante…idolatrato dai piccolo, simpaticissimo per gli adulti»
7
.
Nei manifesti tipografici veniva istituito un modello ideale di spettatore che
poi si dirigeva all’interno del testo organizzato in cinque blocchi:
4
Attila, re degli Unni, Cinema teatro Montagnetta, Milano, 19-20/1/1924.
5
R. Della Torre e E. Moscono, I manifesti tipografici del cinema. La collezione della fondazione
cineteca italiana 1919- 1939, Il Castoro, Milano 2001, p. 120.
6
L’età di amare, Cinema Teatro Franco- Americano, Milano data incerta.
7
Le avventure di Fracassa, Cinema Teatro S.Cristoforo, Milano 11/2/1925.
5
ξ Presentazione dello spettacolo, il cui valore risiede nell’essere diverso
da quello degli altri cinematografi (Spettacolo artistico; eccezionale,
unico…).
ξ Presentazione generica del film, valorizzazione degli spettacoli che
vengono descritti con precisione (colossale dramma tragico
avventuroso; potente dramma di avventure sensazionali…).
ξ Specificazione della novità
ξ Specificazione dell’esclusività della proiezione.
La grafica di questi manifesti “letterari” è approssimativamente sempre la
stessa, a volte personalizzata attraverso l’uso di una particolare cornice o di un
speciale tipo di carattere. La loro funzione estetica è totalmente subordinata a
quella comunicativa: l’attenzione del lettore è attratta dal messaggio piuttosto
che dal suo contenitore. È la parola scritta che deve essere capace di evocare la
suspance, la gioia, la paura, la sorpresa, il viaggio, il desiderio e anche
l’immagine concreta dell’attore-personaggio e del suo corpo. Così si punta ad
inquadrare gli attori nella serie delle loro interpretazioni passate: lo spettatore
è invitato a ricordare, ad attivare conoscenze acquisite in precedenza. Il
pubblico attraverso i manifesti si assicura che non sarà tradito dai suoi attori
preferiti e non ci saranno sgradevoli sorprese. In questo modo non potendo
servirsi delle immagini, il manifesto tipografico, utilizza varie strategie
comunicative di grande impatto diretto: l’uso del superlativo, «Tom Mix il
grande e indiavolato attore americano…», il richiamo esplicito ai passati film
dell’attore e ancora la similitudine tra due interpreti l’uno non famoso, l’altro
si. Altre volte lo spettatore riconosce e inquadra attori capaci di passare da un
genere ad un altro. Ne è un grande esempio Greta Garbo diventata un’icona
pur interpretando diversi personaggi: «non si impegna in nessun esercizio di
travestimenti; è sempre la stessa, sotto la corona o sotto i grandi feltri
6
abbassati porta senza finzione lo stesso viso di neve e di solitudine»
8
. Di
conseguenza il film con Greta Garbo diventa il film di G. Garbo!
La funzione di richiamo esercitata dai nomi degli attori tende stabilire un
rapporto fiduciario con lo spettatore, che si presupponga sia competente, che
possieda un bagaglio di conoscenze di tutto il materiale paratestuale che
affianca la visione di un film.
Quanto detto vale anche per il manifesto illustrato che al contrario di quello
tipografico, basato su frasi, esclamazioni e parole “ad effetto” possiede una
grande carica visivo - emotiva. Lo scopo è lo stesso: rispecchiare i sogni del
pubblico e raccontare una storia a chi lo guarda.
I modelli iconografici a cui si ispirano i manifesti cinematografici sono quelli
della pittura illustrativa e delle stampe popolari basati essenzialmente sulle
“scene madri” che riassumono i momenti chiave del film.
Il cartellone pubblicitario «ha il compito di imporsi immediatamente, di
affermarsi come un punto esclamativo e di costringere subito il passante a
trasformarsi in volenteroso spettatore, di recarsi a vederla con animo fiducioso
e ben disposto in quanto gli si è promesso attraverso l’invito alettante»
9
.
Deve esser immediato, facilmente riconoscibile, deve smuovere il desiderio
perchè destinato soprattutto ad un pubblico di massa: il cliente deve
riconoscere il genere di un film al primo sguardo. Così il disegno raffigurerà
una guerra, un amore, un dramma o una caricatura e ci saranno il buono e il
cattivo, il primo raffigurato in una posa simpatica e sorridente, il secondo
perfido e ghignante; la donna fatale e quella angelica; la mamma e la
prostituta; l’eroe generoso e solitario, il sex simbol, il grassone comico.
Secondo il semiologo e matematico, Abraham Moles, il manifesto è chiamato
ad assolvere a sette funzioni:
8
R. Barthes, Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974, pp. 63-54.
9
A. Ghedini, La fantasia sui muri in Dell’Anno e Soccio, Cinema di carta, cit, p 171.
7
1. Informativa
2. Seduttiva
3. Economica
4. Educativa
5. Ambientale
6. Estetica
7. Creativa
La funzione informativa si riferisce al registro verbale che spesso, se si vuole
dare più importanza al titolo del film o ai nomi degli attori, rende meno
efficace il registro visivo. Ciò non toglie, però, che attraverso l’uso dei colori
e di particolari caratteri tipografici si possa creare uno speciale parallelismo
tra parola e immagini dove l’una rinvia all’altra e viceversa.
La seduzione è l’arma più penetrante della comunicazione cartellonistica: miti
di attrici o attori i cui volti riempiono l’intero spazio pubblicitario. Gli
archetipi sono quelli della vergine o della vamp; soprattutto dagli anni Trenta,
quando inizia a farsi strada l’immagine della donna emancipata che conquista
il suo ruolo sociale al di fuori della famiglia o della vita sentimentale, fino a
diventare negli anni Quaranta, una criminale che con il suo potere seducente
riesce ad aggirare gli eroi. Esemplare è il mito di Marilyn Monroe, simbolo
sessuale per eccellenza, una via di mezzo tra la pin-up da calendario e
l’ingenua e indifesa ragazzina che ogni uomo vorrebbe proteggere,
caratteristica questa che ha reso la sua fama immortale.
La funzione ambientale (piazza, sotterranei, strada…) fa da sfondo a
manifesto. Questa deve essere percepita dal fruitore molto rapidamente, ecco
allora colori forti e violenti, la smisurata grandezza delle parole,
l’immediatezza delle immagini.
La funzione estetica è ottenuta dalla composizione di linee, colori e immagini.
Il manifesto si compone di una parte verbale e una iconica, così va visto e
studiato come un «neo-linguaggio “logoiconico” dove i due registri (verbale e
8
visivo) si fondono in un unicum inscindibile»
10
; capita a volte che addirittura
le parole perdono il loro valore semantico per farsi esse stesse immagini, per
esempio Gigi del 1949 disegnato da Silvano Campeggi, dove le lettere
capeggiano sull’intero foglio trasformandosi in immagini del film. Così le
immagini si pongono come narrazione e le scritte avranno il compito di dare
una specifica identificazione e una chiave di lettura.
Le immagini si fanno parola e le parole immagine. Per diventare parola
l’immagine deve diventare emblematica: i grattacieli in Giungla d’asfalto,
1950, dicono all’osservatore che il film si svolgerà a New York, In Un’
americano a Parigi, 1951, sarà presente sullo sfondo la Tour Eiffel; o ancora
il pugnale annuncia un film giallo, la spada il film storico, la freccia quello
avventuroso, la rivoltella il malavitoso; strumenti musicali preannunciano un
film dove si canta e si balla, mazzi di fiori uno dove non mancheranno baci e
abbracci, e forse anche qualche lacrimuccia.
Viceversa la parola si trasforma in immagine per esempio in Bolidi 1961,
dove le grafie sfreccianti intendono sottolineare la velocità, elemento chiave
del film; o ancora, il su citato, Gigi dove le parole che alludono a nuvolette o
riccioli di una capigliatura, ricalcano il tema della leggerezza e il brio di una
donna. Anche il colore del titolo ha una forte valenza, basta pensare al rosso
predominante in alcuni cartelloni di Campeggi (Malesia, 1949, Il passo del
diavolo, 1950 Dodici metri d’amore, 1954…) che vuole trasmettere il senso
del contenuto profondo cioè la nota emotiva e passionale dominante nel film.
Le grafie di un certo tipo hanno anche requisiti psicologici che colpiscono
l’emotività dello spettatore: si avranno così caratteri arcaizzanti per suggerire
antichità, caratteri ispirati a scritture geroglifiche, primitive, greche,
etrusche… per evocare esotismo e mistero e lontananza nel tempo. Di
conseguenza Veli di Bagdad, 1953, sarà intitolato con una scritta che rimanda
all’ “arabicità”, mentre Fiori di loto del 1962 suggerirà ideogrammi cinesi. Il
10
E. Mucci,Il cinema nei manifesti di Silvano Campeggi 1945-1969, Giunti Opus libri, Firenze
museo Mediceo 18 marzo - 16 aprile 1988, p. 9.
9
titolo è libero, non appartiene soltanto all’opera, scende nelle strade, invade la
vita quotidiana, tappezza i muri e riecheggia tra la gente. Il titolo ha come
destinatario lo spettatore che crea già nella sua mente un immagine di quello
che potrà essere lo spettacolo. «Il titolo - diceva Proust - come icona è spesso
un vaso già pieno di profumi, suoni, emozioni e non di rado il film nella
memoria vive più per suggestione di un’immagine di un manifesto o di una
sola inquadratura che per la complessità e l’originalità ella sua struttura».
Un’importantissima regola da seguire nell’ideazione del manifesto è il
rispetto del sistema dei generi. Il pubblico poteva essere in parte ingannato
con situazioni, personaggi e scene diverse da quelle che poi avrebbe
incontrato nel film, ma difficilmente l’inganno si estendeva fino al punto di
alterare l’appartenenza ad un genere: macrostruttura narrativa in base alla
quale lo spettatore effettuava la sua prima scelta e selezione.
Molto diffusi e altamente connotati sono i generi come il melodramma e la
commedia. Per quanto riguarda il primo il manifesto esso evidenzierà la
coppia degli amanti o il triangolo (se c’è) su uno sfondo di guerra o fuoco,
poiché la trama del film si svolge intorno ad un intreccio amoroso, rapporti
sentimentali mitizzati a causa di un ostacolo che spesso porta a conclusioni
tragiche: in Via col vento, la Leigh sta in braccio a Gable, sullo sfondo di un
grosso incendio che parte dal basso dalle immagini piccole della battaglia e
fuga da Atlanta; mentre la presenza di Tara al centro passa inosservata pur
avendo invece molta importanza. Lo stesso fuoco e la stessa guerra di
secessione fanno da sfondo al manifesto di Nano de L’albero della vita, 1957,
dove Liz Taylor sta al centro, con ombrellino e abito bianco, tra Montgomery
Clift e la Eva Marie Saint che si guardano, segno evidente di impedimento
alla loro felicità. Mentre in Sayonara (1957) strisce nere orizzontali, come
fosse una grata, sul volto della ragazza giapponese alludono all’impossibilità
di un amore, per differenze razziali, tra lei e un Marlon Brando accigliato in
bianco e nero.
10
Si ritrova la coppia anche nei manifesti relativi alla Commedia. Coppie felici
e sorridenti come in L’impareggiabile Godfrey, 1957, dove una Allyson
sorridente tira per la coda del frac un cameriere (Niven) allibito dopo che lui
le ha portato la colazione a letto. A prima vista lo spettatore potrà notare che
il frac sta ad indicare l’ambiente sofisticato della commedia, mentre il giallo
sullo sfondo e il rosa del letto evidenziano i toni leggeri di questo genere. Per
Come sposare una figlia del 1958, Nano sintetizza la vicenda del film,
esasperando gli effetti comici e usando la caricatura con una vignetta che
traduce metaforicamente il titolo: padre e madre muniti di canna da pesca (ad
uno degli ami c’è il biglietto con la scritta dote) cercano di prendere i
giovanotti che passano sotto di loro, mentre la figlia seduta aspetta che
qualcuno “abbocchi”. Per Monsineur Cognac, 1964, Nano sintetizza in chiave
realistica la situazione del plot: un matrimonio quasi andato a monte per le
troppe cure che la ragazza aveva per il suo cane. Il disegno raffigura la
Kaufman a letto mentre lusinga e riempie di complimenti il barboncino
mentre Curtis, suo marito, in pigiama, la guarda notevolmente seccato. A
volte l’autore del manifesto può invece smorzare gli effetti buffoneschi
rispetto al film come accade in A qualcuno piace caldo, 1959, dove al fianco
di Monroe, Lemmon e Curtis sono travestiti solo per metà, cioè hanno tacchi
e vestito da donna, ma il loro volto normale; probabilmente per fare in modo
che la riconoscibilità degli attori sia mantenuta per il pubblico e rafforzata
dall’impatto del nome.
Colori caldi e piuttosto accesi per il Musical come quelli di Ballester per
Shirley Temple, 1939. Un altro elemento connotativo di questo genere sono le
stelle: Un giorno a New York, 1949, raffigura la coppia danzante (lo si
desume dalla posizione delle gambe) Kelly- Ellen su un fondo blu trapuntato
da miriadi di stelle. In West side story, 1961, Silvano Campeggi, in arte Nano,
tende invece a sottolineare la drammaticità della trama dal finale tragico,
sicuramente ispirato alla storia di Giulietta e Romeo, con l’immagine dei due
innamorati che si rincorrono, mentre gli scontri tra le bande rivali sono