I
INTRODUZIONE
Lo spunto per questa tesi nasce durante la formazione del Governo Conte
I, quando all’interno del cd. Contratto di Governo viene inserita una “clausola” in
cui ci si impegnava a “…introdurre forme di vincolo di mandato per i
parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo…”,
facendo espresso richiamo ad altre esperienze europee in questo senso
1
.
Ma che cos’è il trasformismo? E quali sono queste misure per combatterlo
già presenti in Europa?
Per capirlo si è deciso di iniziare questo percorso dalla fonte di molti
ordinamenti giuridici europei, l’età romana. Da qui si partirà, analizzando le
modalità decisionali dei comizi repubblicani, per comprendere se vi sia traccia di
un qualche tipo di rappresentanza politica, necessaria all’esistenza di un mandato
parlamentare.
Superata quest’epoca, si procederà con l’esame delle prime assemblee
medievali, per capirne il funzionamento e come qui si svolgesse il rapporto tra
rappresentante e rappresentato. Il passaggio successivo sarà l’Assemblea
Nazionale rivoluzionaria, che ha segnato un punto chiave nella storia del
parlamentarismo e del vincolo di mandato. Si cercherà a questo punto di
analizzare le dottrine riguardanti la rappresentanza politica emerse durante questo
periodo nel continente europeo.
Compreso così il nucleo storico della democrazia rappresentativa, si
proseguirà indagandone gli sviluppi durante l’epoca liberale e il Novecento. Di
quest’ultimo periodo, in particolare, saranno approfonditi i rapporti tra i partiti
politici e il mandato parlamentare e i cambiamenti che hanno interessato la
rappresentanza politica negli ultimi decenni. Si verificherà, infine, come questo
istituto sia stato declinato in due particolari esperienze: il Fascismo in Italia e il
Comunismo in Unione Sovietica.
Il secondo capitolo verterà sull’analisi del trasformismo parlamentare nel
nostro Paese. Questo tema sarà sviluppato partendo dalle radici storiche del
1
Si veda il punto programmatico n. 20 del cd. Contratto di Governo, all’indirizzo
https://download.repubblica.it/pdf/2018/politica/contratto_governo.pdf.
II
fenomeno per giungere ai giorni nostri, verificando al contempo quali siano le
ragioni statisticamente più frequenti che portano al cambio di partito e quali altri
fattori incentivino questa pratica. Ottenuto così un quadro più completo del
fenomeno, si passerà a verificare quali sanzioni la dottrina abbia ipotizzato per
sanzionarlo e così porvi un argine.
A questo punto, ultimata l’analisi teorica, si andrà ad approfondire la
mobilità parlamentare all’interno dell’ordinamento italiano. Il percorso partirà
dall’art. 67 Cost., spesso indicato come unico “colpevole” di questo malcostume,
analizzato attraverso l’interpretazione dottrinaria all’indomani dell’entrata in
vigore della Costituzione e della giurisprudenza costituzionale successiva.
Si procederà, poi, con l’approfondimento del ruolo dei gruppi parlamentari
nei confronti di questo fenomeno, attraverso la lettura dei regolamenti passati e
presenti di entrambe le camere. Verrà, inoltre, dedicato un apposito spazio alla
riforma regolamentare del Senato del 2017, che ha introdotto alcune novità
riguardo ai gruppi parlamentari. Non mancherà, relativamente a questa parte,
l’approfondimento delle reazioni, positive e negative, suscitate nella dottrina dalla
suddetta riforma. Infine, verrà analizzata la sanzione prevista dagli statuti del
gruppo del Movimento 5 Stelle alle camere contro i parlamentari transfughi.
Concluso così lo studio del caso italiano, si passerà nel terzo e ultimo
capitolo, all’osservazione di alcuni ordinamenti stranieri per verificare come siano
strutturate le eventuali anti-defection law e quale sia la disciplina prevista per i
gruppi parlamentari. Saranno esaminati: India, Israele, Sudafrica, Francia, Spagna,
Portogallo, Germania e Unione Europea. Di questi ordinamenti saranno, inoltre,
delineate le forme di governo e la struttura dei partiti politici, con le relative leggi
in materia, per consentire una migliore comprensione del contesto in cui sono
calate le misure contro il transfughismo.
1
CAPITOLO I
LA RAPPRESENTANZA POLITICA E IL DIVIETO DI MANDATO
IMPERATIVO
1. Le concezioni della rappresentanza politica
Imprescindibile per l’analisi del fenomeno del transfughismo
parlamentare, e del divieto di mandato imperativo a esso connesso, è comprendere
la storia e l’evoluzione della rappresentanza politica. Questo concetto, pur essendo
uno degli elementi fondativi del parlamentarismo moderno, è da sempre
evanescente e al centro di dibattito, tanto da essere definito sinsemantico, cioè
dotato di un significato variabile a seconda del contesto in cui è effettivamente
calato
1
. Appare comunque, in via generalissima, che il nucleo forte dell’istituto
della rappresentanza possa essere identificato, a livello sia pubblicistico sia
privatistico, nel rendere presente qualcosa che non lo è
2
. Da questa situazione
possono essere, quindi, delineate due posizioni, quella del rappresentato e quella
del rappresentante, attorno alle quali vertono tutte le teorie riguardanti la
rappresentanza politica.
Di questo concetto sono state proposte diverse ricostruzioni, tra cui quella
della rappresentanza esistenziale e quella che definisce la rappresentanza una
finzione necessaria. La prima, proposta da Schmitt e Leibholz, afferma che la
rappresentanza politica renda presente qualcosa che non lo è fisicamente, dando al
contempo un quid pluris al rappresentante, che ottiene così un margine di
autonomia maggiore rispetto a quanto avviene nella classica rappresentanza su
mandato
3
. Questa differente posizione del rappresentante, detta rappresentazione,
porta a svalutare il rapporto che intercorre con il rappresentato, che viene
1
H. HOFMANN, Rappresentanza – Rappresentazione, Milano, 2007, p. 26.
2
S. STAIANO, La rappresentanza, in Rivista AIC, 3/2017, p. 4.
3
R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Torino, 2018, p. 65.
2
totalmente assorbito dal primo e perde qualsiasi possibilità di influenzarlo
4
. Allo
stesso tempo, però, la concezione esistenziale consente di individuare nella
rappresentazione l’istituto cardine dello stato moderno, attraverso il quale è
possibile la formazione e l’espressione della volontà del popolo intero
5
. La
Repräsentation così descritta permette di rappresentare valori ideali all’interno
della realtà. Questo processo è, invece, impossibile per la Vertretung, che consiste
nella rappresentanza di diritto privato attraverso la quale si raffigurano interessi
particolari di stampo economico
6
.
La seconda ricostruzione è quella proposta da Hans Kelsen, secondo il
quale la rappresentanza politica è una finzione necessaria derivante dal principio
della divisione del lavoro e dal rigetto della democrazia diretta, per le evidenti
difficoltà che comporterebbe adottarla negli stati moderni. La finzione per Kelsen
sta nel fatto che tramite questo istituto si afferma di attuare la sovranità popolare,
che in realtà non può essere realizzata a causa dell’impossibilità di influenzare il
comportamento dell’eletto, svincolato da ogni imposizione popolare grazie al
divieto di mandato imperativo. Diverso sarebbe se si ammettesse che la
rappresentanza politica fosse necessaria come mezzo tecnico di funzionamento
della macchina statale, a patto di garantire comunque mezzi di espressione diretta
della sovranità popolare
7
.
Ognuna di queste due concezioni dà rilievo a un aspetto della situazione di
rappresentante e rappresentato: la prima evidenzia la situazione del
rappresentante, mentre la seconda pone l’accento sul rapporto che intercorre tra i
due. Dare seguito a una teoria piuttosto che a un’altra ha conseguenze pratiche
rilevanti: tramite la concezione esistenziale si rischia di teorizzare un
4
A. MORELLI, Rappresentanza politica e libertà del mandato parlamentare, Napoli, 2018, p.
47.
5
Ivi, p. 48.
6
G. COLAVITTI, La rappresentanza di interessi tra Vertretung e Repräsentation, in N. ZANON e
F. BIONDI (a cura di), Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità
politica, Milano, 2001, p. 175 e 178.
7
Ivi, p. 51.
3
rappresentante completamente slegato dal suo elettore, avulso dalla società che lo
ha eletto; mentre sostenendo l’elaborazione kelseniana si perviene al risultato
opposto di un legame talmente stretto da risultare “soffocante” per il
rappresentante, che non ha margini di libertà nello svolgimento del suo ruolo
8
.
Pare evidente, quindi, che proprio tra questi due estremi si debba bilanciare
l’istituto della rappresentanza per soddisfare le richieste della democrazia
pluralista attuale.
Un aspetto caratteristico della rappresentanza politica, a prescindere dalla
concezione adottata, è la vaghezza del contenuto del mandato attribuito all’eletto.
Questa indeterminatezza è dovuta al fatto che non è possibile determinare a priori
la posizione del rappresentante su tutto ciò che affronterà durante il mandato
9
. Un
altro aspetto piuttosto elastico di questo istituto è la sanzione prevista in caso di
mancata soddisfazione dell’elettorato. L’unica pena possibile, infatti, è la mancata
rielezione del rappresentante
10
, che viene però imposta in maniera non oggettiva
né automatica dall’elettorato.
2. La rappresentanza politica nella Roma repubblicana
Lo studio di questo istituto può partire dalla Roma Repubblicana. Questo
periodo, secondo la tradizione storiografica antica, ha inizio con la cacciata
dell’ultimo re etrusco, Tarquinio il Superbo, per opera di Bruto e Collatino nel
510 a. C.
11
. L’ordinamento romano era stato retto fino a quel momento da una
magistratura unica e vitalizia, il rex, con competenze principalmente in ambito
militare e religioso e limitati poteri in campo civile e penale
12
. L’ordinamento
8
Ivi, p. 54.
9
S. SICARDI. La rappresentanza politica ai tempi dell’avatar. Scenari tormentati e future
incognite, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2019, fascicolo speciale, p. 725.
10
Ivi, p. 726.
11
G. SCHERILLO, A. DELL’ORO, Manuale di storia del diritto romano, Milano, 1987, p. 98.
12
Le competenze giurisdizionali civili del rex si esaurivano nell’intervento come arbitro delle
liti tra cittadini. In campo criminale il rex poteva perseguire solamente i delitti percepiti come
lesivi degli interessi dell’intera comunità di cui era il capo: il parricidium, cioè l’eliminazione
4
costituzionale della Roma monarchica era completato dalle gentes, dalla plebe, dai
comizi curiati e dal Senato. Le gentes erano a loro volta suddivise in familiae e
raggruppavano tutti quei soggetti che si consideravano discendenti da un
determinato personaggio storico o mitico e recavano lo stesso gentilizio sul piano
onomastico. Gli appartenenti alle gentes formavano i comizi curiati, cioè l’organo
assembleare che in epoca regia aveva alcune prerogative di governo
13
. In questo
periodo è probabile che l’assemblea non avesse dei veri e propri compiti di
proposta e deliberazione, ma fosse chiamata ad aderire in modo piuttosto passivo
a quanto le era sottoposto dal re
14
. La plebe, invece, comprendeva tutti quei
soggetti che non appartenevano alle gentes e che quindi erano, almeno
inizialmente, esclusi dal governo della città. L’ordinamento si completava, infine,
con il Senato, cioè il consiglio degli anziani, formato dai capi delle gentes patrizie.
Quest’organizzazione statuale muta con il passaggio dall’età regia a quella
repubblicana e raggiunge una certa stabilità nel III sec. a.C.. Tra la cacciata dei re
e questo periodo si verificano lotte interne tra patrizi e plebei, che portano questi
ultimi ad essere ammessi alle magistrature cittadine e all’istituzione della figura
del tribuno della plebe, con il compito di tutelare tale categoria dai possibili
soprusi perpetrati dai magistrati patrizi. Anche i comizi subiscono cambiamenti in
seguito ai conflitti intestini e si assiste all’istituzione, oltre ai già esistenti comizi
curiati, di altre tre assemblee: i comizi tributi, i comizi centuriati e i concilia
plebis tributa. Questi organi hanno composizione differente
15
, ma sono
fisica di un capofamiglia, e la perduellio, consistente nel tradimento della comunità. Ogni altro
illecito, in particolare i delicta, era, invece, lasciato alla repressione “privata” del capofamiglia. Ivi,
pp. 77-78.
13
Secondo gli storici tra le competenze dei comizi curiati sarebbe rientrata la nomina del
nuovo re. Uno degli indici della partecipazione al procedimento di nomina regia sarebbe l’istituto
della lex curiata de imperio, retaggio dell’epoca monarchica, attraverso la quale in età
repubblicana quest’assemblea era chiamata a confermare i nuovi magistrati. M. TALAMANCA,
Lineamenti di storia del diritto romano, Milano, 1989, p. 4
14
Ibidem.
15
I comizi centuriati, che nel tempo assumeranno un’importanza sempre maggiore, riunivano i
cittadini suddivisi per classi di censo con riferimento alla consistenza del patrimonio, prima
5
accomunati dalle competenze loro attribuite: elettorale, legislativa e giudiziaria. È
da rilevare come, nonostante la diversa composizione delle assemblee, l’effettivo
potere all’interno di queste fosse detenuto sempre dalle classi più agiate, i cui
interessi convergevano, portando all’adozione di provvedimenti loro favorevoli.
Avveniva, infatti, che nei comizi centuriati si votasse in ordine di centuria,
partendo dai cavalieri più ricchi fino ad arrivare all’ultimo ordine: se le prime
classi più abbienti erano concordi e si raggiungeva la maggioranza, non si
consultavano nemmeno i successivi ordini
16
. La divisione delle centurie era
appositamente pensata per garantire questo risultato: delle 193 centurie esistenti
98 erano attribuite alle classi più abbienti, così da assicurare ai ceti più forti, in
caso di voto concorde, la maggioranza
17
. Un risultato simile si otteneva all’interno
dei comizi tributi, in cui la preponderanza dei voti era attribuita alle tribù rustiche,
formate da piccoli e medi proprietari terrieri, contrapposte a quelle urbane,
composte dal proletariato
18
. Questo status quo era, inoltre, garantito dal fatto che i
magistrati eletti dai comizi, non volendo inimicarsi il Senato, poiché aspiravano a
farne parte in seguito alla scelta dei censori, ne cercavano l’appoggio, facendosi
così influenzare dalla classe patrizia in esso predominante
19
.
Per quanto riguarda la funzione elettorale, ogni assemblea aveva il
compito di eleggere determinati magistrati, maiores o minores. Le magistrature
erano divise in ordinarie e straordinarie e comportavano per i loro titolari compiti
terriero, e poi monetario. I comizi tributi raggruppavano i cittadini in base alla suddivisione
territoriale di appartenenza. I concilia plebis tributa contenevano inizialmente i soli plebei. G.
SCHERILLO, A. DELL’ORO, op. cit., pp. 159-162.
16
G. GROSSO, Lezioni di storia del diritto romano, Torino, 1965, p. 211. Le votazioni si
svolgevano nel seguente modo: le centurie entravano in recinti dai quali uscivano, uno per volta, i
loro componenti, esprimendo il voto a un apposito funzionario. Il risultato di ogni centuria era
pubblicamente proclamato alla conclusione della votazione, andando così a influire indirettamente
sulle centurie seguenti. M. TALAMANCA, op. cit., p. 214.
17
M. TALAMANCA, op. cit.¸p. 215.
18
G. GROSSO, op. cit., p. 219-220.
19
G. SCHERILLO, A. DELL’ORO, op. cit., pp. 171 e 202.
6
di carattere esecutivo, che andavano da funzioni militari a quelle finanziarie,
nonché in qualche caso come quello delle leges datae (sulle quali v. infra), anche
funzioni riferibili all’esercizio del potere legislativo.
La funzione legislativa era attribuita ai comizi in modo indifferenziato,
salvo alcune competenze specifiche
20
. L’iter legis iniziava con una proposta, detta
rogatio, che i magistrati avanzavano davanti ai comizi, a cui si chiedeva di
esprimersi in merito. In questo procedimento interveniva anche il Senato
attraverso il suo potere consultivo. I magistrati, infatti, prima di proporre una
legge, chiedevano ai patres un parere, che prima era facoltativo, ma con il passare
del tempo diverrà una prassi costituzionale vincolante. Questa funzione consiliare
del Senato culminava con l’adozione di un senatoconsulto
21
, e col tempo diverrà
la principale e più importante attività di quest’organo, attraverso la quale esso
poteva incidere profondamente sulla vita della repubblica
22
. Oltre alla lex rogata,
analizzata fin qui, esisteva la lex data, che consisteva in un atto legislativo emesso
dal Senato o da un magistrato su autorizzazione dei comizi, in modo simile a
quanto avviene ora, mutatis mutandis, con il decreto legislativo
23
.
Con il passaggio dalla Repubblica al Principato, in seguito all’epoca
cesariana e alle guerre civili, si assiste al mantenimento dei comizi centuriati e di
quelli tributi, gli unici sopravvissuti allo scorrere del tempo e ai mutamenti sociali,
privati però della competenza giudiziaria
24
. La progressiva estensione della
20
Nonostante i magistrati potessero proporre una lex indifferentemente a una o all’altra
assemblea, in epoca repubblicana la competenza legislativa generale sarà attribuzione quasi
esclusiva dei comizi tributi. Rimarranno, invece, prerogativa dei comizi centuriati le leges ad essi
riservate, come quella de bello indicendo e quella de potestate censoria. Questo esito appare quasi
un compromesso tra la classe degli aristocratici e quella media di spartizione del potere della
Repubblica, così da garantire a entrambe una parte del potere pubblico. M. TALAMANCA, op. cit.,
pp. 225-226.
21
G. SCHERILLO, A. DELL’ORO, op. cit., pp. 200-202.
22
G. GROSSO, op. cit., p. 202-203.
23
G. SCHERILLO, A. DELL’ORO, op. cit., p. 199.
24
M. TALAMANCA, op. cit., p. 403.
7
cittadinanza romana, che all’epoca di Augusto comprendeva l’intera Penisola,
aveva, tuttavia, iniziato a minare il loro funzionamento, a causa della materiale
impossibilità per gli aventi diritto al voto di partecipare alle deliberazioni delle
assemblee
25
. La loro funzione legislativa prosegue comunque in l’età augustea,
durante la quale si concentra soprattutto sulle riforme che il princeps andava
progettando, ma declina rapidamente con il passaggio in capo all’imperatore
dell’attività normativa
26
.
È chiaro come in un contesto così strutturato il potere legislativo fosse
nelle mani di una frazione della società, composta dai cittadini, e che fosse
esercitato direttamente all’interno dei comizi cui appartenevano. Si può, quindi,
affermare che il mondo romano non abbia conosciuto l’istituto della
rappresentanza politica, come viene da noi attualmente intesa. Questo
meccanismo, infatti, non era necessario in una società ancora ristretta, che
consentiva ai cittadini di partecipare alla vita pubblica tramite la democrazia
diretta. Solo molti secoli più avanti sarà necessario, in seguito all’introduzione
dell’economia di mercato e alla complessità raggiunta dagli enti statuali,
abbandonare questa modalità di esercizio dell’attività politica in favore del
modello rappresentativo
27
.
A livello lessicale, inoltre, il termine representatio non viene mai utilizzato
per indicare un istituto o un fenomeno analogo alla rappresentanza moderna o lo
stare al posto di qualcuno o il sostituire qualcuno
28
. Nella lingua latina, anzi,
questa parola viene utilizzata per indicare un elemento presente e, spesso,
concretamente visibile, contrariamente a quanto accade modernamente quando ci
si riferisce alla rappresentanza in generale e a quella politica in particolare
29
.
25
Ibidem.
26
Ivi, pp. 408-409.
27
R. BIN, G. PITRUZZELLA,, op. cit., p. 75.
28
H. HOFMANN, op. cit., p. 33-34.
29
Ivi, p. 41-43.
8
3. La rappresentanza politica e il mandato imperativo in Europa durante il
medioevo e l’età moderna
L’età medievale inizia convenzionalmente con la caduta dell’Impero
romano d’Occidente, avvenuta nel 476 d.C., e termina nel 1492 con la scoperta
delle Americhe per opera di Cristoforo Colombo. In questo periodo il continente
europeo ha affrontato enormi cambiamenti e con esso il diritto e gli ordinamenti
delle varie entità che occupavano gli attuali stati europei.
Durante il V secolo d.C. l’Impero romano d’Occidente era entrato in uno
stato di crisi profonda, anche a causa della pressione esercitata dalle popolazioni
barbariche sui suoi confini settentrionali. Questo fenomeno aveva col tempo
portato alla costituzione dei regni romano-barbarici, cioè comunità statuali, più o
meno stabili, in quelli che precedentemente erano i territori provinciali, quali
Gallia, Spagna e Nord Africa. L’unità politica e territoriale viene in parte
ristabilita dall’imperatore Giustiniano durante il V – VI sec. d.C.. Alla morte di
quest’ultimo si assiste a un nuovo disgregamento territoriale, che porterà dopo
vari avvenimenti alla creazione del Sacro Romano Impero. In seguito alla
scomparsa di Carlo Magno e alla divisione del suo impero si ha la nascita dei
primi regni feudali, all’interno dei quali hanno origine i pre-parlamenti, di cui si
tratterà successivamente. Dopo questi eventi inizierà tra il X e l’XI sec. la
formazione dei primi embrioni di stato nazionale, soprattutto nel Nord Europa. Al
centro del continente si assiste, intanto, alla creazione del Sacro Romano Impero
Germanico. Tra quest’ultimo e la Chiesa di Roma si avrà, poi, un periodo di lotte,
che indeboliranno l’autorità imperiale, consentendo la creazione in Italia dei
comuni. Queste realtà, dopo essersi scontrate vittoriosamente con l’Impero,
durante il XIII sec. si trasformeranno in signorie sotto la guida di una famiglia
predominante, mantenendo inizialmente un formale ordinamento repubblicano e
divenendo poi principati ereditari. Il tredicesimo secolo vede, invece, nel resto
d’Europa il definitivo tramonto del modello feudale in favore dello stato
nazionale, che andava sempre più affermandosi in Francia e Inghilterra
30
.
30
A. BRANCATI, T. PAGLIARINI, Il nuovo dialogo con la storia, Milano, 2007, vol. II.