6
caratteristiche e componenti. È stato messo in luce il rapporto
di reciproca influenza tra italiano substandard e linguaggio
giovanile.
Nel secondo capitolo il linguaggio dei giovani viene studiato in
relazione alle cinque dimensioni di variazione della lingua:
diacronica, diatopica, diafasica, diastratica e diamesica
spiegando, come già detto, la principale marcatezza in senso
diafasico di questa varietà. Facendo riferimento allo schema
dell’architettura dell’italiano contemporaneo proposto da
Berruto, il linguaggio giovanile viene collocato sull’asse
diafasico; così più che come un vero e proprio linguaggio,
quello giovanile risulta essere un modo di comunicazione “che
rappresenta piuttosto uno stile che subentra nelle modalità
conversazionali” (Sobrero 1992: 52). In altre parole, l’uso della
varietà giovanile di lingua dipende dalle persone coinvolte
nella conversazione e dalle situazioni nelle quali si ritiene
adatto un tale tipo di linguaggio. Nasce, in questo modo, una
vera e propria tradizione di discorso che non è riservata
esclusivamente al parlato, ma che caratterizza anche vari tipi di
testi scritti: tra questi si sofferma l’attenzione sulla stampa per
adolescenti, con particolare riferimento alla stampa femminile.
Il numero di testate rivolto al target teen aumenta di anno in
anno ed i dati sulle copie diffuse mensilmente da parte delle
riviste del settore indicano che si tratta di un segmento di
mercato molto dinamico. Alla stampa femminile a target teen
in Italia sono dedicati il terzo e il quarto capitolo. Nel capitolo
3 l’analisi si concentra sulle testate italiane rivolte alle
adolescenti in uno sguardo d’insieme: vengono analizzate le
tematiche affrontate dalle principali riviste del settore. Dal
punto di vista sociolinguistico ciò che risulta particolarmente
interessante è l’innovazione sull’asse diamesico legata al
linguaggio della stampa a target teen. È stato constatato, infatti,
che per comunicare nel modo più efficace con le giovani
7
lettrici, la stampa ne adotta il linguaggio, comportando
l’ingresso di elementi tipici del linguaggio parlato nella
comunicazione scritta. La nascita di un nuovo tipo di scrittura
avente molte caratteristiche tipiche dell’oralità ha avuto una
spinta determinante in anni recenti con la CMC (Computer
Mediated Communication), in particolar modo chat e e-mail, e
con il diffuso utilizzo degli SMS attraverso i telefoni cellulari.
Attraverso tali strumenti, infatti, gli utenti, molti dei quali
giovani adolescenti, hanno trovato un nuovo modo di entrare in
comunicazione diretta e semi-sincrona, in grado di superare
limiti spazio-temporali, trasferendo alcune caratteristiche
tipiche del dialogo faccia a faccia in una nuova forma di
scrittura. L’esito di tale fenomeno è stato il rafforzamento del
linguaggio giovanile scritto.
Dal punto di vista sociolinguistico, quindi, dall’incontro tra
stampa (medium tipicamente scritto, caratterizzato da un
linguaggio standard) e giovani deriva una grande novità sul
piano della dimensione di variazione diamesica. Con
l’adozione del linguaggio giovanile da parte della stampa,
come si è detto, elementi tipici del parlato entrano nello scritto:
informalità, ludicità, lessico colorito, emotività e figuratività
(elementi tipici del linguaggio giovanile) fanno il loro ingresso
nella stampa.
Come esempio del carattere giovanile del linguaggio della
stampa a target teen, nel capitolo 4, viene affrontata l’analisi
linguistica di un mensile femminile per adolescenti presente sul
mercato italiano, Girlfriend Magazine. Dopo aver selezionato
un corpus di studio, vengono analizzati gli aspetti morfologico,
lessicale, retorico, sintattico e prosodico per ognuno dei quali
vengono colti gli elementi tipicamente giovanili al fine di
mostrare in che modo la stampa faccia proprio il linguaggio dei
giovani.
8
1
I GIOVANI E LA LORO LINGUA
“La lingua dei giovani non esiste,
perché non esiste la gioventù come
gruppo socialmente omogeneo”
1
1.1 Sguardo ai giovani
Nel 1988 Coveri definiva il linguaggio giovanile come
la varietà di lingua utilizzata, in maniera più o meno
ampia e costante, ma quasi esclusivamente nelle
relazioni di peer-group, da adolescenti e post-
adolescenti (teenagers). La fascia d’età interessata (11-
19 anni circa) è quella caratterizzata, dal punto di vista
linguistico, dal passaggio del linguaggio infantile alla
competenza linguistica ‘adulta’ e, dal punto di vista
psicologico, dalla costruzione dell’identità di sé, con lo
spostarsi dei modelli di riferimento e di comportamento
dalla famiglia al gruppo dei coetanei”
2
.
1
Scholz (2005a: 69) riporta queste parole che sono tratte da Schlobinski,
Kohl, Ludewigt (1993), Jugendsprache. Fiktion und Wirklichkeit, Opladen,
Westdeutscher Verlag. Partendo da tale affermazione, Scholz accoglie la
tesi secondo la quale “sussistono tante lingue dei giovani quanti sono i
gruppi di giovani che in determinati generi testuali si servono della lingua
con particolari funzioni identificative, delimitative ed altre funzioni testuali
e linguistiche” (Scholz 2005a: 69).
2
Tale definizione viene riportata in Günter Holtus (1993: 110).
9
Una tale definizione accomuna ragazzi appartenenti ad una
fascia d’età in realtà troppo estesa, vista in rapporto alla varietà
giovanile di lingua. In tal senso Banfi e Hipp (1998: 24),
rifacendosi a Livolsi (1992), fanno presente che non esiste
un’etichetta soddisfacente che possa comprendere, in modo
univoco, la categoria «giovani»:
i «giovani», come categoria generale, dal punto di vista
sociologico, non esistono; esistono, piuttosto,
segmentazioni, per fasce d’età, di un continuum socio-
antropologico che abbraccia le fasce d’età poste tra la
prima adolescenza e le soglie dell’età adulta.
In altre parole, come spiegato da Livolsi – Bison (1992: 149),
parlando di ‘giovani’ vengono intese realtà molto diverse tra
loro: un ragazzo di quattordici anni è sicuramente molto
diverso da un ragazzo di diciotto o diciannove anni. A maggior
ragione, precisa Radtke (1993a), bisogna considerare
separatamente i giovani dai cosiddetti post-adolescenti, cioè
ragazzi di 20-23/24 anni. Tale bipartizione, basata su criteri
sociali ed extralinguistici, dovrebbe influire sull’analisi
linguistica: mentre i giovani “si rifanno più alla gergalizzazione
di un cosiddetto in-group” (Radtke 1993a: 5), il linguaggio dei
post-adolescenti, non assorbendo tanto i registri di transizione,
risulta più stabile, ma pur sempre in contrasto con lo standard. I
post-adolescenti usano meno il gergo rispetto ai giovani e
risultano meno orientati verso l’identificazione di un peer-
group. Emerge chiaramente, quindi, che quando si parla di
giovani, bisogna definire con precisione a quale segmento della
generazione giovanile si fa riferimento.
Non c’è dubbio che, soprattutto ai giorni d’oggi, definire “il
giovane” dal punto di vista anagrafico è piuttosto difficile.
10
Diversi studiosi, come Sabina Canobbio (2005: 41), Paolo
D’Achille (2005: 118) e Flavia Ursini (2005: 325), sottolineano
il prolungarsi dell’età definibile come “giovanile”, fenomeno
sociale e culturale, che, particolarmente in Italia, risulta ben
visibile. A tale proposito D’Achille ritiene che si debba
includere nell’analisi del linguaggio giovanile non solo quello
proprio dei teen-agers (la fascia adolescenziale e post-
adolescenziale compresa tra i tredici e i diciannove anni), ma
anche quello usato dalla fascia successiva, per la quale, però, è
possibile indicare il limite iniziale (diciotto/diciannove anni
circa), mentre il confine finale resta problematico. A parere
dello studioso, non è tanto l’età anagrafica a determinare
l’ingresso nel mondo degli adulti, con il conseguente
abbandono di usi linguistici tipicamente giovanili, ma lo stile di
vita: il ritardo con cui, oramai da vari anni, si entra nel mercato
del lavoro, si acquisisce l’indipendenza economica dalla
propria famiglia, si lascia la casa dei genitori per costruire un
nucleo familiare, prolunga la condizione giovanile ed ha
conseguenze linguistiche non trascurabili. Inoltre, anche nel
caso di un effettivo cambiamento di status sociale,
frequentemente è possibile rilevare il mantenimento di tratti
linguistici giovanili, forse anche come desiderio di restare
fedeli alla propria condizione originaria. Aggiunge D’Achille
che probabilmente anche la nostalgia, a volte inconscia,
dell’età giovanile, spiega la disponibilità di alcuni genitori ad
adottare voci e espressioni sentite in bocca ai loro figli.
Anche Banfi, nei primi anni Novanta, fa delle considerazioni
che si rivelano tuttora attuali riconoscendo che si diventa adulti
in tempi sempre più dilatati:
si è spesso costretti a rimanere nella dimensione-
giovani per più tempo: la nota «sindrome di Peter Pan»,
voluta o indotta dalle attuali leggi economiche, sembra
11
essere più una realtà abbastanza diffusa tra chi,
anagraficamente, giovane a pieno titolo non è più.
(Banfi 1994: 153).
Il dato anagrafico è, quindi, insufficiente a chiarire una realtà
socioculturale molto complessa.
Secondo quanto affermato da Livolsi (1992), i giovani possono
essere visti come il prodotto di alcuni fenomeni:
a) “i giovani sono il prodotto di un particolare processo di
socializzazione” (Livolsi 1992: 150). Il gruppo familiare in cui
una persona cresce e viene educata, la classe sociale alla quale
appartiene, l’appartenenza geografica sono tutti fattori
determinanti per definire l’agire sociale di un individuo. La
socializzazione determina profondamente, quindi, il futuro di
un giovane: il tipo di istruzione scelto, l’entrata nel mondo del
lavoro e, soprattutto, il modo in cui intendere il proprio ruolo
nel sociale.
b) Il secondo aspetto importante evidenziato da Livolsi
consiste nel fatto che non è tanto la condivisione di determinati
valori o condizione sociale a determinare la formazione di
gruppi sociali giovanili, quanto l’adesione ad alcuni stili di
vita; in altre parole, il modo in cui i giovani intendono la
propria partecipazione nel sociale. Ciò deriva dal fatto che i
giovani hanno una particolare visione delle cose da conseguire
e dei comportamenti loro richiesti in quanto più funzionali o
più convenienti. La conseguenza di questo aspetto è un
concreto modo di orientare i propri comportamenti, i consumi,
il tempo libero, lo svago. Come spiega Livolsi
nell’abbracciare e nel condividere un certo stile di vita,
entra anche in gioco una specie di ‘soggettività
interpersonale’ che si esprime nel modo in cui il singolo
partecipa al sociale così come’è condiviso dal gruppo
12
delle persone con cui egli si confronta e a cui fa
riferimento. (Livolsi 1992: 150).
Emerge, da quanto riportato, l’importanza del peer-group nel
processo di socializzazione dei giovani: in esso si forma,
infatti, concretamente l’esperienza sociale dei giovani. Gli stili
di vita e l’appartenere ad un determinato gruppo sono, quindi,
fortemente legati nel determinare il tipo di relazioni sociali e il
tipo di rappresentazione sociale in base alla quale vengono
messi in atto specifici comportamenti.
c) Il terzo fattore evidenziato da Livolsi è l’importanza del
ruolo dei mass-madia nel processo di socializzazione giovanile.
A contatto con tali mezzi i giovani passano gran parte del loro
tempo libero, ma, aspetto ancora più decisivo, i mass-media
offrono ai giovani le informazioni ‘centrali’ che determinano le
sub-culture giovanili e di gruppo. In altre parole, attraverso i
mass-media passano le informazioni che determinano i
comportamenti di acquisto, i modi di organizzare il tempo
libero, ma anche particolari stili di consumo multimediali.
Scrive Livolsi:
provengono dai mass-media una serie di segni o di
segnali che sono fondamentali per capire quali sono i
‘tratti culturali del tempo’, quelli cioè che segnano il
vissuto, l’appartenenza dei giovani ad un certo gruppo
sociale caratterizzato da un certo stile di vita. (Livolsi
1992: 151).
I segni ai quali si riferisce Livolsi si concretizzano, ad esempio,
in alcune forme di abbigliamento o in consumi culturali
privilegiati (musica, cinema, lettura, etc.). Dai mass-media
derivano anche espressioni e linguaggi che diventano
importanti all’interno dei vari gruppi giovanili al punto da
13
diventarne, in alcuni casi, segnali di identità, che permettono,
cioè, ai giovani che condividono uno stesso stile di vita di
riconoscersi all’interno di un gruppo.
Da quanto appena detto emerge la necessità di parlare non
tanto di una cultura giovanile, quanto di diverse “sub-culture
giovanili” (Livolsi- Bison 1992: 151) in quanto è possibile
individuare stili di vita e stili culturali che sono propri di gruppi
di giovani anche molto ristretti. In altre parole, si definiscono
numerosi gruppi di giovani formati intorno a specifici valori e
stili comportamentali che impediscono di pensare ad un’unica
comunità di giovani. Gli stessi contenuti mediali, infatti,
vengono attentamente selezionati in base a specifici interessi
che possono caratterizzare alcuni gruppi giovanili e non altri: i
giovani scelgono, nella grande offerta mediatica, i contenuti
più vicini ai loro interessi rivolgendosi a prodotti ben precisi.
Quanto detto finora riguardo i giovani può essere chiaramente
riassunto utilizzando le parole di Livolsi – Bison:
i giovani sono molto differenziati tra di loro; hanno dei
consumi che tendono ad un’alta specializzazione;
effettuano delle scelte, più o meno ricche di significato,
per cui l’alluvionale offerta dei mass-media è ‘tagliata’
secondo il proprio gusto personale o come adesione ad
un particolare gruppo con il quale si condividono alcune
particolari rappresentazioni della realtà sociale.
Si ribadisce, così, l’esistenza di sub-culture relative a piccoli
gruppi all’interno del vasto mondo giovanile che si
autodefiniscono in base a segni e segnali per loro
particolarmente caratterizzanti. Il linguaggio è proprio uno di
questi.
Si può ben comprendere, a questo punto, il senso della
citazione riportata ad inizio paragrafo:
14
Il linguaggio dei giovani non esiste, perchè non esiste la
gioventù come gruppo socialmente omogeneo (Scholz
2005a: 69).
Non è possibile, cioè, individuare un unico linguaggio dei
giovani perchè non esiste un unico gruppo di giovani: ogni tipo
di considerazione deve essere fatta al plurale, tenendo conto
delle particolarità dei gruppi presi in considerazione e dei vari
fattori che li caratterizzano; di conseguenza non si può parlare
di un unico linguaggio giovanile, ma di tante diverse varietà
quanti sono i gruppi di giovani.
1.1.1 I giovani: una prospettiva psicolinguistica
La gioventù, come si è detto, è molto difficile da definire: non
ci si può fermare al dato anagrafico, non basta una descrizione
delle diverse situazioni socio-culturali vissute dai giovani. Uno
studio adeguato di tale fenomeno, come sottolineato da Titone
(1995), richiede una visione multidisciplinare che racchiude gli
apporti di diverse visioni; da quella linguistica e socio-
linguistica (le materie nell’ambito delle quali si muove il
presente lavoro) a quella socio-psicologica e psico-linguistica.
In questo paragrafo si riportano brevemente alcune utili
considerazioni sulla psicologia adolescenziale offerte da Titone
che ha sottoposto il linguaggio giovanile ad un esame di tipo
più decisamente psicologico.
“Non è facile definire le caratteristiche della psicologia
dell’adolescenza”, scrive Titone (1995: 7): è un’età, questa,
dominata dalla precarietà, dai condizionamenti storico-sociali,
dai diversi modi di aggregarsi secondo le diverse culture e aree
geografiche. L’adolescenza risente fortemente anche degli
15
influssi della scuola, della famiglia, degli adulti e oggi
soprattutto dei mezzi di comunicazione di massa. Ne deriva
“una psicologia, dunque, incerta, a cui consegue un linguaggio
egualmente – e sintomaticamente – incerto e difficilmente
definibile” (Titone 1995: 7).
Un dato certo, che si ricollega a quanto detto nel paragrafo
precedente in merito al definirsi di diversi e numerosi gruppi
giovanili, è che ad esperienza diversa corrisponderà un
linguaggio diverso.
Il fatto centrale del “fenomeno pubertario” (Titone 1995a: 11) è
la scoperta e l’affermazione dell’“io” personale. A differenza
del bambino che, come spiega Titone, non distingue ancora
nettamente le persone dalle cose e queste dal proprio “io”, il
pubescente scopre improvvisamente questa realtà insospettata
che è l’“io” personale. In conseguenza di tale scoperta coglie il
carattere “personale” degli individui che lo circondano e
deduce l’“impersonalità” e l’inferiorità ontologica delle cose
dell’ambiente. La scoperta e lo sviluppo del proprio “io”
pongono altre questioni che il pubescente e l’adolescente
dovranno risolvere: i rapporti dell’“io” con gli altri uomini,
l’influenza di questi sull’individuo, l’ingresso e
l’incorporazione dell’individuo nella società, l’affermazione
dell’“io” mediante la parola e l’azione. La principale
conseguenza della scoperta dell’“io” personale è, però,
l’emergere impulsivo della “volontà di potenza”. Con tale
espressione viene intesa
la tendenza a collocare il proprio “io” in una posizione
di prestigio, di forza, di considerazione nel mondo degli
uomini (Titone 1995a: 11).
Questa tendenza “dinamico-egocentrica” (Titone 1995a: 11)
dominerà e influenzerà il comportamento giovanile e anche il
16
linguaggio assumerà specifiche caratteristiche “in funzione
auto-affermativa” (Titone 1995a: 12).
Precisa Titone che l’auto-affermatività del linguaggio dei
giovani è maggiormente connotato dalla particolare tonalità
affettiva che lo pervade. “La dialettica sentimentale
dell’adolescente è, infatti, il derivato di una logique de
sentiments espressa in un langage de sentiments” (Titone
1995a: 12). Parlando l’adolescente tende ad affermare il suo
personale pensiero, il quale è a sua volta strettamente legato al
suo personale modo di sentire. “Egli è un deciso affermatore
delle sue raisons du coeur” (Titone 1995a: 12).
La psiche dell’adolescente è, dunque, mossa da due opposte
tendenze: da un parte la tendenza a seguire le suggestioni della
sua sentimentalità immaginativa e, dall’altra, la tendenza ad
affermare dei puri rapporti logici tra le idee. Queste due
tendenze, però, spiega Titone, non si oppongono, ma si
fondono nella “logica sentimentale” di cui si è detto sopra, “la
quale fa sì che il giovane, pur credendo di affermare
l’universale validità di un concetto, non fa che dare sfogo ad un
impulso sentimentale larvato di rigore logico” (Titone 1995a:
12). Titone conclude la sua analisi precisando, a questo punto,
che la scoperta e la presa di coscienza dell’“io” personale, di
cui si è detto ad inizio paragrafo, nel pubescente e poi
specialmente nell’adolescente, si manifestano come
“sentimento dell’io” (Titone 1995a: 12). Dal “sentirsi distinto”
nasce il bisogno di un’affermazione esteriore, di fronte al
mondo, di questo sentimento di distintività personale. Lo
strumento attraverso il quale il giovane tenta di soddisfare tale
bisogno è l’originalità. Spiega Titone che questa si muove in
due direzioni:
da una parte si manifesta come gusto dell’eccentricità e
in questo senso altera grottescamente il comportamento
17
giovanile; dall’altra si pone come culto dell’io,
corrispondente all’affermazione del soggetto sul piano
della coscienza. Nel comportamento – inteso come la
somma delle attività peculiari del soggetto – rientra
evidentemente anche il linguaggio. Per cui, oltre
all’eccentricità del vestire, del camminare ecc., è dato
scorgere – in modo più o meno appariscente e
paradossale – una «originalità» nel parlare, uno
«snobismo» del linguaggio.
Accanto al bisogno di affermare il proprio “io”, la psicologia
adolescenziale è caratterizzata anche da un certo senso di
inadeguatezza. Delacroix, scrive Titone, osservava che
una parte solamente della vita affettiva sfocia nel
linguaggio. L’altra va verso l’ineffabile. E tuttavia il
linguaggio tenta di riafferrarla con la magia dell’arte e i
mezzi affettivi di cui dispone
3
.
Quello descritto da Delacroix è il piccolo dramma
dell’adolescente che Titone piega così:
egli si sforza di cogliere le sfumature misteriose del suo
mondo interiore per esprimerle quanto più può
adeguatamente; donde la cura che egli pone nel
ricercare parole d’ogni genere, specialmente fuori dal
comune, le quali valgono in qualche modo – ma spesso
illusoriamente – ad esprimere quel che sente dentro di
sé (Titone 1995a: 16).
3
Titone (1995a: 16) cita queste parole riportando che sono tratte da
Decroix, Le langage et la pensée, Alcan, Paris, 1930, p. 392.
18
L’adolescente tenta, quindi, di adeguare le sue espressioni a ciò
che sente dentro; spesso, però, non vi riesce. Lo sforzo di
adeguazione è talmente cosciente nell’adolescente, spiega
Titone rifacendosi ai risultati di una ricerca condotta da Van
Niele nel 1953 su 288 soggetti (italiani e olandesi) dall’età di
14 a 22 anni, da divenire talvolta tormentoso. L’adolescente
cerca di portare ‘impressione’ (cioè ciò che sente dentro), ed
‘espressione’ (il modo in cui esprime le sue sensazioni, la sua
affettività) sullo stesso livello affettivo. A differenza del
fanciullo, l’adolescente è in grado di attuare un processo di
comparazione tra impressione ed espressione grazie al grado di
riflessione cui è giunto all’inizio dell’adolescenza. Quando un
adolescente dichiara di non essere riuscito ad esprimere le
proprie impressioni, non significa che manchi delle parole
riguardanti l’argomento di cui deve trattare, ma piuttosto che le
parole che possiede non lo soddisfano
4
. Un tratto fondamentale
del fenomeno di espressività, o meglio, di «auto-espressività»
è, quindi, “l’inadeguatezza dell’espressione di fronte
all’impressione ed il conseguente senso di insufficienza”
(Titone 1995a: 17). Continua Titone rifacendosi ancora a Van
Niele, che le ragioni fondamentali per cui gli adolescenti
credono di non riuscire nell’espressione sono, da una parte, il
fatto che le parole non corrispondono agli stati interiori, e
dall’altra, il fatto che tali stati interiori risultano spesso
inafferrabili, vaghi e incerti. Ulteriori studi di Van Niele hanno
dimostrato che tale esperienza negativa non è un fatto raro
4
Questa considerazione accolta da Titone per descrivere il senso di
inadeguatezza che caratterizza, a suo giudizio, la psicologia dell’adolescente
attuale, deriva dagli studi fatti da Van Niele nel 1953 e pubblicati, come
riporta Titone, in A. Van Niele, Adolescenza e linguaggio, punti di indagine
psicologica teorico-sperimentale. Contrib. dell’Istituto di Psicologia
Sperimentale, Pontificio Ateneo Salesiano, Torino 1953.
19
nella vita dell’adolescente, ma che sia una situazione
persistente in questo momento della vita.
Vi sono soggetti, scrive Titone, che lamentano che l’analisi
linguistica mutila gli stati interiori, così da volerla evitare, pur
esprimendosi. Riporta Titone le parole di un adolescente:
In me sento tante cose, tanti sentimenti, vorrei dire tutto
con una frase, con una parola. (Titone 1995a: 18).
Sia che i soggetti dicano di esprimersi, di esprimere a se stessi
o ad altre persone confidenti, torna sempre il lamento che le
parole sono inadeguate:
[…] descrivere il sentimento è impossibile, […] sfugge
alla parola […]. (Titone 1995a: 18)
Accanto al desiderio di esprimersi, esiste sempre, o quasi,
nell’adolescente il sentimento di inadeguatezza tra il proprio
mondo interiore e la sua espressione. A tale proposito Titone
riporta ancora le parole di Van Niele:
La inadeguatezza quindi tra vita interiore – e
l’adolescenza si caratterizza per la ricchezza e la novità
della vita interiore ed affettiva – e parola, non è vissuta
dall’adolescente in un senso soltanto passivo: egli la
“subisce” in un certo senso “attivamente” e prende
posizione di fronte ad essa. Questa presa di posizione
può tradursi in una forma di inaccessibilità voluta e
talora goduta. Il giovane si apre soltanto con colui di cui
“sa” che lo comprende: questa persona quindi, ed essa
sola, gode della sua fiducia e gli fa da complemento
nella sua insufficienza (Van Niele in Titone 1995a: 18-
19).