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CAPITOLO I: IL LINGUAGGIO METAFORICO
1.1 L’evoluzione del concetto di metafora
Sulla definizione di metafora si sono interrogati molti studiosi, secondo
prospettive e discipline differenti. È una questione antica, che nel corso dei secoli ha
generato molte interpretazioni ed è tutt’oggi una tematica al centro di intensi studi e
dibattiti. Lo scorrere dei secoli ha permesso un’importante evoluzione attorno a questo
concetto; ad oggi, infatti, non riguarda più solo la disciplina poetica ma è oggetto di studi
di vari settori della linguistica, della psicologia del linguaggio e della pedagogia. Nel
tentativo di esplorare questo concetto in modo esaustivo, comincerei dal prendere in
considerazione le prime storiche definizioni.
Tra i primi a dare una complessa descrizione della metafora c’è Aristotele. Il
filosofo greco ci fornisce una prima definizione, tanto linguistica quanto filosofica, nella
Poetica, successivamente approfondisce l’argomento nella Retorica. In queste grandi
opere viene analizzato e approfondito il valore della metafora nel parlato quotidiano e nel
linguaggio poetico. Si tratta di una spiegazione sicuramente complessa, secondo la quale
«”Metafora” è […] l’applicazione di un nome estraneo, passando dal genere alla specie,
dalla specie al genere, dalla specie alla specie oppure per analogia» (Poetica, 21, 1457b,
5-10). Dove “dal genere alla specie”, significa, prendendo come esempio la frase “quivi
si ferma la mia nave”: la nave si trova ancorata e ciò equivale, in un certo senso, al
generico “stare”, essere fermo. “Dalla specie al genere”, nel caso di: “davvero diecimila
valorose imprese Odisseo compì”; il termine “diecimila” viene utilizzato come ad
indicare l’aver compiuto molte imprese valorose. “Dalla specie alla specie” è, per
esempio, nel caso di: “con il bronzo avendo sottratto l’anima e avendo tagliato con
affilato bronzo”; viene definito il togliere la vita attraverso il termine sottrarre, e viene
utilizzato poi il termine tagliare, tramite la spada. In entrambi i casi si rievoca, in un certo
senso, l’idea di “togliere”
1
.
L’idea aristotelica vede nella metafora un confronto tra il significato proprio di
un nome e un significato attribuito in modo figurato, non letterale. Viene definita come
una figura retorica utile a legare due termini che altrimenti sarebbero scollegati. La chiave
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(Corno, 2011) in “Enciclopedia dell’italiano”
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dell’approccio di Aristotele però è il suo intendere la metafora come analogia (Bottone &
Rourke, 2008). Aristotele ci fornisce una definizione che la intende come una sorta di
similitudine, in cui l’accento è posto essenzialmente sulla sostituzione di significato.
La teoria aristotelica è sicuramente molto articolata e complessa, motivo per cui
nelle discussioni che si sono formate a riguardo durante il corso degli anni si sono create
più linee interpretative. La tradizione poetica e letteraria successiva a lui procederà ad
utilizzare la metafora secondo un criterio puramente letterale, associando la metafora
all’espressione di somiglianze e analogie ed escludendo qualsiasi possibile significato
cognitivo. L’approccio aristotelico porrà le basi per la creazione della tradizione classica
che, almeno fino al Medioevo, continuerà a farne un uso strettamente poetico
2
.
Secondo Brilli (2010) le definizioni retoriche medievali sul linguaggio figurato
riprendono quelle della retorica classica e riconoscono alle formulazioni metaforiche un
valore esclusivamente ornamentale, non conoscitivo. La metafora non veniva usata come
uno strumento per scorgere somiglianze inattese, ma era luogo di perpetuazione della
tradizione fungendo da garanzia di appropriatezza e decoro. Un’attenzione, seppur breve,
va sicuramente riservata agli sviluppi della metafora in questo periodo. Secondo Brilli
(2010), interrogarsi sulla natura della metafora nell’epoca medioevale significa «situarsi
sul piano di una faglia a venire, da cui letteratura e filosofia (ma anche scienza) moderne
usciranno divise» (Brilli 2010, p. 199). La spaccatura di cui si parla, nel Novecento, sarà
ciò che permetterà la scoperta di un importante valore cognitivo del linguaggio figurato.
Sarà anche l’inizio di una serie di controversie che, come vedremo, si pongono tutt’oggi
al centro del dibattito.
Nel periodo medioevale si registra una generale scarsa attenzione al concetto di
metafora, probabilmente assimilata ad un significato più allegorico o simbolico, con un
riferimento ad una retorica decisamente diversa da quella aristotelica. A tal proposito si
esprime anche uno dei maggiori intellettuali italiani, Umberto Eco. In un capitoletto
pubblicato ne “L’Aristotele latino”, Eco (2008) osserva che traduzioni latine della
Retorica e della Poetica sono apparse decisamente molto in là nella cultura latina
medioevale. La prima traduzione appare solo nel 1278 grazie a Guglielmo di Moerbeke.
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Viene comunque riconosciuta l’importanza della metafora nel parlato comune. La tradizione latina infatti
vede nella metafora anche una figura per l’abbellimento del discorso in quanto è capace di creare circuiti
di significato inattesi (Corno, 2011).
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La totale mancanza di traduzioni ha impedito la diffusione dell’articolato pensiero
aristotelico sul tema. La conoscenza di quest’ultimo avrebbe probabilmente dato spazio
anche a quel tipo di interpretazione che ne riconosceva una valenza cognitiva,
permettendo più attenzioni attorno a questa materia.
La riflessione di Eco è sicuramente utile per comprendere a pieno l’evoluzione
storica della metafora. Il percorso del linguaggio figurato parte da una visione classica,
che da sempre lo associa ad una sfera rigorosamente poetica, relativa ad un linguaggio
pensato, in qualche modo elevato, fino ad arrivare all’epoca contemporanea dove la
concezione di linguaggio metaforico cambia radicalmente, diventando oggetto di
moltissimi campi di studio.
L’approccio al linguaggio figurato si rivoluziona dai primi decenni del Novecento,
cambia il modo di posizionarlo nella comunicazione e se ne rivaluta la sua stessa natura.
Alla metafora viene riconosciuto un ruolo centrale, come parte integrante e fondante del
parlato comune. Quello che si sostiene, per la maggior parte dei casi, è che non è solo
un’espressione linguistica ma oggetto costante della nostra quotidianità e del nostro modo
di pensare
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. Certo che, ancora una volta, i diversi approcci sostengono tesi differenti, a
tratti forse contrastanti. Un’interessante osservazione a riguardo viene da Antelmi (2005)
secondo cui:
«La ricerca sulla comprensione del linguaggio figurato, iniziata negli anni ’70, ha
dato luogo a differenti modelli esplicativi, sintetizzabili in due posizioni contrapposte:
una fondata sulla sequenzialità (il significato letterale di una espressione metaforica
è il primo attivato nel processo di comprensione; Searle 1979), l’altra fondata sulla
contemporaneità (esiste un solo meccanismo di elaborazione del linguaggio, ed il
significato non letterale viene processato direttamente; Gibbs 1984).».
1.2 Teorie del Novecento
Nel Novecento, più precisamente a partire dagli anni ’70, si vanno a delineare
diverse linee teoriche del linguaggio figurato, ognuna delle quali riconosce il ruolo
fondamentale e cognitivo alla metafora. Tali approcci teorici vengono solitamente distinti
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È stato stimato che ci sono all’incirca 5 metafore (di diverso tipo) per 100 parole di testo (Bambini et al.,
2011)
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in tre principali tipologie: le teorie di stampo semantico, pragmatico o psicologico-
cognitivo.
1.2.1 Le teorie semantiche
Tra le teorie semantiche più rilevanti c’è sicuramente la teoria del paragone di
Miller (1979). Sostenitore di una versione della visione tradizionale del linguaggio
figurato, Miller (1979) ritiene che le metafore non sarebbero altro che similitudini
incomplete, alle quali viene eliminato il predicato di similarità. Il pensiero che nasce da
una metafora è, nella sua teoria, analogo a quello necessario per l’interpretazione delle
similitudini e delle analogie. Leggere un’espressione metaforica significa metterla in
relazione con qualcosa che già si sa, secondo un tipo di pensiero che Miller chiama
“appercezione”. A riguardo infatti scrive:
«Per Herbart (1898), “appercezione” si riferiva in generale a quei processi mentali
attraverso cui un’esperienza viene messa in relazione con un sistema concettuale già
acquisito e familiare. […]. Se intendo Herbart correttamente, la sua idea generale è
che le novità vengono apprese attraverso la loro messa in relazione con il già
conosciuto […]. A mio parere, gran parte dell’interesse scientifico di un’analisi della
metafora dipende dal modo in cui essa potrebbe contribuire a una teoria
dell’appercezione che sia adeguata ai concetti psicologici ed educativi del ventesimo
secolo.»
Secondo Miller quindi, nel processo di comprensione di un brano, le nuove
informazioni vengono messe in relazione sia con le conoscenze generali (la “massa
appercettiva”) sia con la rappresentazione interna del brano stesso. Si innesca un processo
secondo cui le nuove conoscenze diventano parte delle vecchie, alle quali, a loro volta,
possono essere aggiunte nuove informazioni. La metafora si basa sul concetto di analogia
ma omette l’espressione della relazione di somiglianza. Miller (1979) scrive che
comparazioni della forma “x è come y” possono essere convertite in metafore sostituendo
“è come” con “è”. Così, nell’esempio a seguire, le comparazioni letterali:
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1. L’amore è come una fiamma (similitudine)
2. L’amore è una fiamma (metafora)
Miller (1979) riconosce che possano sorgere dei dubbi in merito a certe asserzioni
comparative. A tal proposito riporta l’esempio della frase “I ricchi devono godere dei
propri comodi come i poveri devono eseguire il proprio dovere”. In questo caso è
necessario un cambiamento più drastico della semplice rimozione del termine “come”,
dove una possibile soluzione sembra essere solo, scrive, “I ricchi devono eseguire i propri
comodi”.
La sua teoria prevede inoltre una distinzione tra tre tipologie di metafore. Prime
sono le metafore nominali, del tipo “questo è lo y di x”. Data un’espressione tipo “Questa
è la gamba del tavolo”, l’ascoltatore deve identificare quali sono le proprietà simili a “x”
(tavolo) e “y” (gamba). Basandosi su comparazioni analogiche, le metafore nominali
rappresentano casi perfettamente chiari di relazione tra metafora e pensiero analogico. La
seconda tipologia è quella delle metafore predicative, ovvero quando un concetto
predicativo viene espresso attraverso un sintagma predicativo (verbo, sintagma verbale o
aggettivo predicativo) usato metaforicamente. Il soggetto deve quindi costruire un altro
predicato e un’altra entità in modo da individuare due proposizioni da paragonare. Un
esempio, nell’espressione: “Il signor Rossi avanza a gonfie vele all’acquisto del giornale”;
il ruolo dell’interprete diventa quello di produrre una similitudine del tipo: “L’avanzata
del signor Rossi all’acquisto del giornale è come l’avanzata di una nave a gonfie vele”.
Le metafore frasali sono il terzo e ultimo caso proposto da Miller (1979). Una metafora
di questo tipo avviene quando è l’intero concetto frasale a dover essere interpretato.
Poniamoci ad esempio in un contesto in cui viene chiesto “Come stava il capo?” e la
risposta che viene data è “Il leone ha ruggito”. È chiaro che l’intera espressione di risposta
va interamente reinterpretata, ad esempio: “Il ruggire del leone è come la manifestazione
di rabbia del capo”.
La teoria di Miller viene disapprovata da molti. Una delle obiezioni più condivise
alla teoria del paragone si riferisce al fatto che non tutte le metafore possono essere
considerate come originate da similitudini per cancellazione del predicato di similarità.
Un’altra critica da molti sostenuta è che di fatto non è possibile essere certi della