5
mostrare che l’appartenenza culturale, anziché essere un intruso all’interno della teoria liberale,
è un fattore implicito nelle sue stesse premesse, che necessità di essere messo in luce.
Questo tipo di approccio consente al Filosofo di affermare l’insufficienza dell’esclusivo
ricorso ai tradizionali “diritti individuali” e la necessità di sostenere certe forme di “diritti
differenziati in funzione dell’appartenenza culturale” (o “diritti collettivi”), di cui Kymlicka è
uno dei più importanti sostenitori. È a questo punto che la sua riflessione, da un livello
filosofico-politico più astratto, si spinge sul campo delle relazioni etniche e culturali, che
rappresentano un adeguato campo di prova, in cui proporre soluzioni basate su principi liberal-
comunitari. Per l’applicazione di questi principi, si rende tuttavia necessario un esame concreto
della situazione nelle società odierne. Per questo motivo, gli interessi di Kymlicka coinvolgono
anche aspetti sociologici – lo studio delle relazioni etnoculturali – e politologici, indirizzati alle
misure concrete adottate (e da adottare).
La compresenza all’interno di uno stesso stato, di diverse popolazioni, con abitudini,
pratiche, lingua e credenze differenti, è la situazione in cui il liberalismo comunitario è
chiamato in causa come possibile soluzione. A testimonianza delle difficoltà da affrontare, basti
ricordare i continui conflitti su base etnica, religiosa, culturale, di cui la storia è piena, venuti
sempre più alla ribalta negli ultimi tempi. Tali scontri avvengono spesso tra popolazioni che
rivendicano l’indipendenza e la sovranità sopra un territorio che sentono come “il proprio”. Le
stesse democrazie occidentali sono sempre più coinvolte da questi fenomeni. I flussi
d’immigrazione, da parte di genti che fuggono situazioni disperate di povertà e guerra,
richiedono, oltre che strutture materiali di accoglienza, strutture concettuali per accettare la
diversità. Si tratta di temi di straordinaria attualità, a cui le tradizionali categorie del pensiero e
della politica liberale – all’insegna della scarsa attenzione alle differenze e
dell’assimilazionismo – non sembrano in grado di far fronte in modo soddisfacente. Kymlicka,
analizzando l’inadeguatezza di tale approccio, afferma la necessità di un suo ripensamento, e
mostra come le liberal-democrazie si siano recentemente orientate in un modo diverso rispetto
al passato, adottando politiche sempre più pluralistiche.
In questo contesto, il ricorso ai diritti collettivi per le minoranze culturali si configura
come una maniera per la realizzazione autentica dei fondamentali principi liberali che, secondo
Kymlicka, non possono essere rispettati senza la tutela del retroterra culturale in cui ogni
individuo sviluppa le proprie capacità e i propri interessi.
6
Il presente lavoro, pur privo di pretese di esaustività, mira innanzitutto a ricostruire la
formazione della concezione liberal-comunitaria kymlickiana, esaminando poi la sua
declinazione in termini di giustizia etnoculturale nelle società odierne, senza trascurare i rischi
e le incognite insite in tale approccio. Per fare questo, nella tematizzazione, non sarà rispettato
il rigoroso ordine cronologico di pubblicazione dei volumi.
Lo scopo è, infatti, mostrare in che modo i diversi filoni – liberale e comunitarista – si
uniscono nel pensiero dell’Autore, fino a sfociare nella teoria dei diritti delle minoranze. Si
esamineranno prima varie argomentazioni che Kymlicka pone a sostegno di una concezione
liberale egualitaria sulla scia dei suoi predecessori, John Rawls e Ronald Dworkin (temi che
emergono soprattutto nella sua seconda opera, Contemporary Political Philosophy. An
Introduction, 1990). Successivamente, si esaminerà il suo atteggiamento critico e interessato
nei confronti del comunitarismo, fino a mostrarne il superamento e la parziale fusione con i
fondamenti liberali (concetti esposti a partire dal suo primo lavoro, Liberalism, Community and
Culture, 1989). Solamente a questo punto, sarà possibile passare ad osservare i principali
concetti proposti nell’ambito del multicultualismo, (affrontati in Multicultural Citizenship,
1995, e nelle opere successive), sulla base del liberalismo comunitario venutosi a configurare.
Nel primo capitolo, dopo aver parlato del suo approccio normativo, si vedranno i motivi
che spingono Kymlicka verso un orientamento liberale egualitario. In particolare, si mostrerà il
particolare rilievo attribuito al concetto di uguaglianza e le implicazioni forti che l’Autore ne
trae. Prima però, saranno esaminate le sue principali critiche alla concezione utilitaristica
dell’uguaglianza. Critiche che, pur approdando ad esiti simili, non sempre vanno nella
direzione indicata dal filosofo da cui Kymlicka prende il via nella sua riflessione. Si tratta di
John Rawls, di cui si parlerà esaminando i principi che pone a fondamento della sua teoria della
giustizia. Il ruolo di tali principi nel ragionamento kymlickiano è fondamentale per l’esistenza
stessa dell’intero impianto teorico liberal-comunitario. Le critiche e le modifiche apportate alla
teoria rawlsiana, passando per quella di Ronald Dworkin, portano Kymlicka a dare vita ad un
personale approccio, senza comunque uscire dai confini tracciati dai suoi predecessori.
Nel secondo capitolo, sarà esaminata la teoria comunitaristica, affrontando alcune
critiche rivolte alla concezione liberale da esponenti di questa corrente, quali Charles Taylor e
Michalel Sandel. Dopo aver visto in che modo Kymlicka risponde a tali obiezioni, si parlerà
dell’influenza che il comunitarismo esercita sull’Autore. Influenza consistente nell’adozione
del concetto di “appartenenza culturale”. L’utilizzo di tale nozione in chiave liberale, è
permessa dalla reinterpretazione del concetto di cultura. Tale revisione sarà esaminata
7
descrivendo le caratteristiche individuate dal filosofo nella nozione di “cultura sociale”. Solo a
questo punto sarà possibile affrontare e descrivere la conciliazione dell’appartenenza culturale
con i principi di giustizia liberali, fino a parlare di “liberalismo comunitario”.
Il terzo capitolo sarà dedicato a “mettere alla prova” la teoria delineata nelle pagine
precedenti e scenderà sul terreno della giustizia etnoculturale, per descrivere le soluzioni
proposte da Kymlicka nell’ambito delle società multiculturali. Si esamineranno innanzitutto i
vari tipi di diversità etnoculturale individuati dall’Autore. Sarà poi la volta di vedere in che
cosa consistono i “diritti differenziati in funzione dell’appartenenza” e alcune questioni
collegate ad essi.
I rischi che insorgono da tale approccio, legati al rispetto dei diritti umani fondamentali,
sono ben presenti a Kymlicka. Si parlerà del modo in cui egli li affronta, ricorrendo alla
distinzione tra “tutele esterne” e “restrizioni interne”, e ci si chiederà se tale distinzione sia
sufficiente a scongiurare esiti illiberali. Verso la fine del capitolo saranno presi in
considerazione i temi emersi nella produzione kymlickiana più recente. In particolare ci si
concentrerà sul processo di costruzione della nazione – il cosiddetto nation-building – in
rapporto ai diritti delle minoranze. Legata a questi temi, emerge la questione della coesione
sociale, in particolare all’interno degli stati multinazionali, dove sembra più difficile trovarne il
fondamento. Si vedrà su che base, per Kymlicka, è possibile (se è possibile) promuovere una
comune identità civica in grado di favorire il buon funzionamento dello Stato.
8
1. UNA CONCEZIONE FORTE DELL’UGUAGLIANZA LIBERALE
1.1. Introduzione
Non è immediatamente evidente su quale preciso piano si collochi il contributo di Will
Kymlicka
1
alla filosofia poltitica contemporanea, dal momento che la sua riflessione si spinge
1
Will Kymlicka nasce a Winnipeg, in Canada, il 22 ottobre 1962.
Nel 1984 ottiene il B. A. (with Honours, First-class) in Filosofia e Scienza Politica alla Queen’s University di
Kingston (Canada). Nel 1986, in Gran Bretagna, consegue il B. Phil. in Filosofia presso la University of Oxford
dove, un anno dopo, gli è assegnato anche il D. Phil. in Filosofia.
Si aggiudica varie borse di studio della Social Sciences and Humanities Research Council of Canada (SSHRC), e
ottiene l’incarico di Lecturer presso la Queen’s University, la Princeton University (Stati Uniti) e la University of
Toronto.
Nel 1989 pubblica la versione rivista della sua tesi di dottorato – tesi presentata ad una commissione in cui era
presente, tra gli altri, Ronald Dworkin. Il titolo di questa sua prima opera è Liberalism, Community, and Culture,
dove si traccia una teoria liberale dei diritti delle minoranze culturali, in risposta alle soluzioni avanzate dal
“comunitarismo” (ma anche, parzialmente, in continuità con quest’ultimo), accusato di compromettere le libertà
individuali, privilegiando incondizionatamente il “bene comune” legato all’appartenenza culturale. La teoria
proposta da Kymlicka è presentata come un necessario ripensamento della tradizione liberale successiva al 1945, i
cui limiti sono descritti come conseguenze di fattori storici contingenti, più che come lacune della teoria stessa.
Dopo questa pubblicazione, comincia la collaborazione con varie riviste filosofico-politiche. Tra queste
“Philosophy and Public Affairs” ed “Ethics”, dove espone i concetti che saranno approfonditi e sistematizzati nei
suoi libri.
Nel 1990 vede la luce il suo secondo volume, Contemporary Political Philosophy: An Introduction, tradotto nelle
principali lingue europee. Qui Kymlicka, partendo da una prospettiva liberale egualitaria, presenta un resoconto
della filosofia politica contemporanea, nei suoi sviluppi storici e concettuali. Utilitarismo, liberalismo, liberismo,
marxismo, comunitarismo e femminismo sono descritti e criticati senza atteggiamenti pregiudiziali, con l’attenzione
rivolta ai punti di convergenza e agli spunti di interesse comuni a queste dottrine.
Tra gli interessi dell’Autore, rientrano anche questioni di bioetica, in seguito all’invito della Royal Commission on
New Reproductive Technologies. Si tratta, tuttavia, di un breve periodo, perché il suo interesse continua ad essere
rivolto maggiormente verso i diritti delle minoranze culturali, a cavallo tra liberalismo e comunitarismo.
Dal 1991, in qualità di Visiting Professor , si reca presso svariate Università americane ed europee, tra cui Vienna,
Budapest, Barcellona, Toronto e Ottawa. Svolge inoltre ricerche sulle teorie e le politiche d’integrazione culturale,
su incarico del Governo Canadese.
Nel 1992, presenta le concezioni di vari teorici anglo-americani in materia di giustizia sociale, curando l’edizione di
due volumi miscellanei intitolati Justice in Political Philosophy.
Nel 1995 raccoglie i saggi di diversi autori sui diritti delle minoranze in The Rights of Minority Cultures.
Nello stesso anno viene pubblicato il suo terzo volume, Multicultural Citizenship. Con questo libro, tradotto in tutto
il mondo, Kymlicka ottiene molti riconoscimenti: la Canadian Political Science Association gli attribuisce il
Macpherson Prize e l’American Political Science Association gli assegna il Bunche Award. Quest’ opera può essere
vista come un’affinamento della teoria proposta nel 1989 con Liberalism, Community and Culture. Nel suo nuovo
9
anche a livello sociologico e politologico. I suoi contributi, a partire da Liberalism, community
and culture (1989), si configurano come un tentativo di contemperare intuizioni morali diverse
(e provenienti da differenti scuole di pensiero) all’interno di un approccio, il più possibile
coerente, di stampo liberale egualitario. È nell’introduzione alla sua seconda opera,
Contemporary political philosophy. An introduction (1990)
2
, che K.
3
ci dà modo di cogliere
l’ispirazione che muove il suo pensiero. Non si tratta dell’ambizione di elaborare e difendere
una teoria comprensiva della giustizia. Si tratta dello sforzo di porsi a livello di filosofia
lavoro, Kymlicka espone più dettagliatamente il suo punto di vista sul problema dei diritti delle minoranze culturali,
avanzando giustificazioni teoriche più approfondite a sostegno dei “diritti di gruppo”. I progressi compiuti rispetto
al suo primo lavoro sono indicati dalla presenza di nuove distinzioni teoriche, basate sullo studio empirico di
casistiche concernenti le minoranze, soprattutto in Canada e negli Stati Uniti. Emerge, inoltre, la consapevolezza
dei problemi legati alla difficile conciliazione dei principi liberali della tradizione occidentale con le pratiche di
altre culture (giudicate, a volte, lesive dei diritti umani fondamentali).
Nel 1997, esce Ethnicity and Group Rights, ancora sul tema dei rapporti etnoculturali – volume di cui Kymlicka è
co-editore, insieme a Ian Shapiro; nello stesso anno pubblica anche States, Nations and Cultures, che espone il
contenuto di due lezioni tenute ad Amsterdam, riassumendo le sue teorie.
In Finding Our Way: Rethinking Ethnocultural Relations in Canada (1998), l’interesse dell’Autore si concentra sul
caso canadese, per esaminare gli aspetti e i risultati della politica “multiculturale” adottata da anni nello Stato
nordamericano.
Nel 1998 diventa prima National Scholar alla Queen’s University di Kingston, poi Current Visiting Professor della
Central European University di Budapest, nell’ambito del Nationalism Studies Program (incarico che ricopre
tuttora).
Insieme a Wayne Norman, nel 2000, cura l’edizione di Citizenship in diverse society, dove sono affrontate le
questioni relative ai rapporti tra cittadinanza e diversità nelle società pluralistiche.
Nel 2001, vede la luce una raccolta di 18 saggi kymlickiani, dove si espongono le questioni in gioco e le soluzioni
proposte, in ambito di relazioni etnoculturali, inserendole in un contesto più ampio, comprensivo i problemi su
nazionalismo, cittadinanza democratica, processi politici e globalizzazione. Il titolo di questa raccolta è Politics in
the Vernacular: Essays on Nationalism, Multiculturalism and Citizenship, dove Kymlicka risponde anche ad alcune
critiche rivolte alla sua teoria dei diritti delle minoranze culturali, arricchendola ulteriormente.
Dello stesso anno sono altri due volumi miscellanei. Il primo, Alternative Conceptions of Civil Society, è curato
insieme a Simone Chambers ed esplora il concetto di società civile da diverse prospettive etiche: liberismo, teoria
critica, femminismo, diritto naturale, Cristianesimo, Islam, egualitarismo liberale, Ebraismo e Confucianesimo. Il
secondo volume miscellaneo del 2001 è Can Liberal Pluralism Be Exported? Western PoliticalTheory and Ethnic
Relations in Eastern Europe, editato in collaborazione con Magda Opalski. Il testo affronta il problema dei diritti
delle minoranze nei Paesi reduci dal crollo dell’ Unione Sovietica; Kymlicka descrive il modello occidentale di
pluralismo liberale e si chiede se e come sia possibile esportarlo altrove (in questo caso, nell’Europa Orientale).
Saggi di altri autori, su questo tema, completano l’opera.
Nel 2002, viene pubblicata la seconda edizione di Contemporary Political Philosophy: An Introduction, riveduta ed
ampliata con due nuovi capitoli sulla teoria della cittadinanza e sul multiculturalismo.
Alan Patten collabora all’edizione di Language Rights and Political Theory, raccolta di 13 saggi di vari teorici della
politica e scienziati sociali, pubblicata nel 2003, riguardante la collocazione dei diritti linguistici e della diversità
linguistica all’interno della teoria politica. Sempre nel 2003, ottiene la Canada Research Chair in Political
Philosophy alla Queen’s University – occupazione che ricopre tuttora.
Nel 2004, esce Ethnicity and Democracy in Africa, altro volume miscellaneo realizzato da Kymlicka, con Bruce
Berman e Dickson Eyoh, dove si affrontano le tematiche viste finora, rapportate al caso africano.
Muticulturalism in Asia: Theoretical Perspectives, curato con Baogang He, è l’ultima opera pubblicata fino ad ora
(datata 2005), a cui l’Autore ha partecipato, dove è la situazione dell’Asia ad essere studiata.
Kymlicka è attualmente presidente dell’American Society for Political and Legal Philosophy – carica che riveste
dal 2004.
2
Tradotto in italiano con il titolo Introduzione alla filosofia politica contemporanea (1996), Feltrinelli, Milano
1996.
3
D’ora in poi, per convenzione, sarà usata la sigla “K.”, ad indicare “Kymlicka”.
10
politica normativa e, da lì, partire, per valorizzare gli spunti interessanti che le teorie più recenti
sulla società giusta, libera o buona ci offrono. Alla base di questo sforzo, c’è la convinzione che
le categorie tradizionali con cui si valutano le teorie politiche sono inadeguate. Questa
inadeguatezza riguarda, a detta di K., l’immagine tradizionale con cui si guarda alla politica.
L’atteggiamento, cioè, di collocare il valore dell’uguaglianza sull’estremo sinistro di una
immaginaria linea continua della politica, e il valore della libertà sull’estremo destro. Secondo
questo schema, i difensori del primo valore – l’uguaglianza – sono i socialisti, mentre i liberisti
4
rappresentano i paladini della libertà. In posizione intermedia si collocano i liberali
5
, nel
tentativo di conciliare uguaglianza e libertà tramite la creazione di un welfare capitalistico.
Perciò, per descrivere i principi politici di un uomo sarebbe sufficiente individuare un punto
della linea immaginaria su cui collocarli.
L’inadeguatezza di questa visione è manifestata dal fatto che trascura alcune questioni
importanti. Innanzitutto ignora la rilevanza delle faccende legate ai ruoli sociali, per quanto
riguarda l’uguaglianza sessuale (ad esempio, sia a destra che a sinistra si discute sulla giustizia
nelle sfere a dominanza maschile del governo e dell’economia, trascurando le sfere femminili
della casa e della famiglia). In secondo luogo, questa visione non tiene conto dei problemi
legati al contesto storico e al radicamento culturale delle persone. Collocare tali questioni sulla
linea destra-sinistra risulta inadeguato.
C’è un altro elemento che K. trova sbagliato nella visione del continuum destra-sinistra.
È la convinzione che le varie teorie politiche abbiano diversi valori fondanti a cui fare appello
in ultima istanza (“uguaglianza” per il socialismo, “libertà” per il liberismo, “utilità” per
l’utilitarismo, “bene comune” per il comunitarismo, “androginia” per il femminismo, “accordo
contrattuale” per il liberalismo di Rawls, etc.). In questo fermento di valori inconciliabili, un
confronto fecondo tra le diverse teorie risulterebbe impossibile. Per questo, K., seguendo un
suggerimento avanzato da Ronald Dworkin, è dell’idea che sia possibile rintracciare un unico
valore di fondo comune alle teorie politiche moderne. Questo valore è l’”uguaglianza”. Per
uguaglianza, si intende “l’idea, più astratta e fondamentale che tutte le persone devono essere
4
Il termine ‘liberista’ è usato per tradurre l’inglese ‘libertarian’, nonostante i due termini non siano perfettamente
sovrapponibili. Ci si riferisce, generalmente, alle concezioni filosofico-politiche che si oppongono all’intervento
statale nelle politiche sociali, giudicato intrinsecamente ingiusto.
5
Anche il termine ‘liberale’ è traduzione imperfetta dell’inglese ‘liberal’. In italiano, ‘liberale’ designa oggi
soprattutto le forze politiche favorevoli all’iniziativa privata in economia. L’inglese ‘liberal’ indica invece
soprattutto le correnti politiche ‘progressiste’ di sinistra moderata. È in quest’ultimo senso che qui si adotta.
11
trattate ‘da uguali’.”
6
. Le maniere di interpretare questa nozione fondamentale sono varie e su
questo si dividono le diverse teorie. Tutte, però, sono accomunate dal riferimento all’uguale
importanza di tutti i membri della società, all’uguale sollecitudine, all’uguale rispetto. In altre
parole, all’uguale considerazione. Mentre a sinistra si individua l’uguaglianza del reddito e
delle risorse come precondizione dell’uguale trattamento, a destra ci si basa sull’uguale diritto
degli individui alla proprietà. In ogni caso, il riferimento comune all’idea astratta di
uguaglianza, non viene meno di fronte ai diversi modi di intenderla. Nel mondo moderno, le
teorie prive di questo riferimento, per K., verrebbero immediatamente respinte. Dunque, il
suggerimento avanzato da Dworkin, e accolto da K., è
l’idea che le teorie politiche moderne non abbiano valori di fondo differenti. Secondo Dworkin, tutte
le teorie politiche plausibili hanno il medesimo valore ultimo, l’uguaglianza.
7
Riconoscere questa “piattaforma egualitaria”, sottostante alle diverse teorie, porta K. ad
un tentativo di conciliazione di quelli che ritiene i due elementi caratteristici della filosofia
politica contemporanea: la “diversità” e l’”unità”. Da qui scaturisce il suo “liberalismo
comunitario”.
Ma in che modo avviene questo tentativo di conciliazione? Avviene nella convinzione
che ci sia continuità tra filosofia politica e filosofia morale. Per l’Autore, la seconda stabilisce i
confini della prima. La filosofia morale, cioè, sta sullo sfondo della filosofia politica. Per
questo, la legittimità della coercizione statale dipende dall’ammissibilità delle proibizioni
morali su cui la prima si fonda. Gli obblighi morali reciproci, a volte, riguardano la sfera
pubblica e sono leggi promulgate dalle istituzioni pubbliche (filosofia politica). Altre volte, si
riferiscono alle semplici relazioni interpersonali e si configurano come regole di condotta
individuale (filosofia morale). Dunque, alla base sia della responsabilità pubblica, sia della
responsabilità individuale stanno dei principi morali. È questa la convinzione di K.. Da qui,
viene che le teorie politiche devono saper occuparsi sia delle relazioni interpersonali sia di
quelle istituzionali.
Il senso di “responsabilità” delle persone si configura come un altro elemento
fondamentale, comune a tutte le teorie politiche moderne. Tali teorie possono essere
riformulate in termini di responsabilità personale e responsabilità collettiva. Come per
6
KYMLICKA W., Introduzione alla filosofia politica contemporanea (1990), trad. it. Feltrinelli, Milano 1996, cit.
p. 12.
7
Ivi.