5
fatigantes et [où] le lecteur, tantôt souriant, saisi d’intérêt et d’admiration, tombe tantôt
dans l’ennui et la déception”5.
L’alternarsi, nel lettore del Roman bourgeois, delle reazioni indicate in
quest’ultima citazione deriva, con tutta probabilità, dalla marcata eterogeneità
dell’opera, il cui esempio più vistoso è costituito senz’altro dalla pressoché assoluta
mancanza di legami diegetici fra i due livres in cui è suddiviso il romanzo6.
Curiosamente, persino gli autori dei migliori contributi critici sul Roman bourgeois
hanno trattato in modo superficiale un aspetto del testo così rilevante (e, come vedremo,
così problematico), per giungere inoltre, nella maggioranza dei casi, a leggere nella
discontinuità del romanzo nient’altro che un “défaut de talent”7 dell’autore.
La caratteristica principale del Roman bourgeois, quella che compare e si
impone sin dall’incipit, sembra comunque essere la presenza nel testo di una
contestazione del romanesque (in particolare dei procedimenti tipici del roman
héroïque). Caratteristica, questa, che non rappresenterebbe certo una novità nel
panorama letterario francese (e non solo francese) del XVII secolo. La peculiarità del
Roman bourgeois rispetto a quella ristretta e insolita categoria di romanzi seicenteschi
che potremmo genericamente definire «antiromanzeschi»8 consiste nel fatto che
nell’opera di Furetière la riflessione sul genere romanzesco non si sviluppa soltanto
tramite un impianto parodistico o tramite conversazioni fra personaggi9, ma, in particolar
5
Giacomo Di Girolamo, “Le «Roman bourgeois» dans la critique”, Culture
française XVI, 1969, p. 256.
6
Il fatto che Charroselles, uno dei protagonisti della storia narrata nel Livre
second, sia già presente nel Livre premier non può costituire un legame diegetico
sufficiente fra le due parti. Nel Livre premier, infatti, Charroselles, pur comparendo in
una digressione (il resoconto della conversazione a casa di Angélique), non svolge alcun
ruolo fondamentale nelle vicende di Javotte (benché anch’essa sia presente alla
conversazione), né, tanto meno, può stabilire un collegamento fra la storia di Javotte e la
propria.
7
Jean Serroy, Roman et réalité. Les histoires comiques au XVIIe siècle,
Paris, Minard, 1980, p. 656.
8
Fra i quali possiamo includere, oltre al Berger extravagant di Sorel (il quale
venne ripubblicato, nel 1633, proprio col titolo L’Antiroman), anche il Don Chisciotte
di Cervantes e Le Roman comique di Scarron.
9
Fra i molti esempi, non necessariamente tratti da romanzi definibili come
«antiromanzeschi», si possono citare: la conversazione fra il canonico e il curato nel
capitolo XLVII della prima parte del Don Chisciotte, il dialogo fra Francion e Joconde
all’inizio del Dixiesme livre del Francion, la conversazione nel capitolo XXI della
prima parte del Roman comique e quelle, ben più estese, fra vari personaggi della
Clelie (nel decimo volume) e fra le narratrici delle Nouvelles françoises di Segrais.
6
modo, mediante estesi e frequenti interventi metaromanzeschi da parte del narratore10;
interventi nei quali, oltre a esplicitare al grado zero le ragioni del rifiuto di un certo tipo di
romanzo, viene anche formulata (sia pure in modo non sistematico) una nuova poetica
del romanzo, della quale lo stesso Roman bourgeois parrebbe dover rappresentare una
esemplificazione. Questa poetica, essendo fondata sulla pretesa di trascrivere
“sincerement et avec fidelité”11 una storia data per vera, sarà da me chiamata «poetica
della naïveté», dove “naïveté” ha il significato seicentesco di “verité dite simplement et
sans artifice”12.
Le Roman bourgeois appare dunque, a prima vista, una sorta di pamphlet, di
traité sul romanzo, in cui il narratore, presentando ciò che scrive come un’opera
letteraria destinata alla pubblicazione, si rivolge costantemente al proprio virtuale lettore
nel tentativo di convincerlo ad abbandonare le “tromperies” dei romans héroïques per
apprezzare invece quel “tres-veritable et tres-sincere recit” (R.b., p. 1025) che egli gli
offre.
Una lettura del Roman bourgeois che privilegiasse unicamente l’aspetto
10
I passi nei quali un narratore, abbandonando la sua funzione primaria (il
raccontare una storia), formula dei commenti sul modo in cui sta narrando vengono
solitamente definiti degli interventi metanarrativi, in quanto il racconto (nel senso
genettiano del termine) diventa autoreferenziale. Sono i casi nei quali il narratore
giustifica, ad esempio, la scelta di utilizzare un termine piuttosto che un altro, di
riassumere un dialogo piuttosto che riferirlo per intero, o di anticipare un’informazione
sui successivi sviluppi della storia.
Se ho scelto invece il termine «metaromanzesco» per definire gli interventi in cui
il narratore del Roman bourgeois riflette sul racconto stesso è perché, nella
maggioranza dei casi, questi interventi non si limitano a evidenziare semplicemente delle
scelte compositive, ma evidenziano anche, se non soprattutto, delle scelte poetiche.
Referente di questi interventi, per essere più chiari, non è semplicemente il racconto in
quanto trasposizione verbale di una storia, ma il racconto in quanto opera letteraria, e
dunque il rapporto fra Le Roman bourgeois e il codice letterario al quale tutti i romans
del tempo facevano riferimento (o dovevano fare riferimento).
11
Antoine Furetière, Le Roman bourgeois, in Romanciers du XVIIe siècle,
Textes présentés et annotés par Antoine Adam, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la
Pléiade», 1958, p. 903. Tutte le citazioni dal Roman bourgeois si intendono tratte
d’ora innanzi da questa edizione, senza altra indicazione che la sigla R.b. seguita dal
numero di pagina.
12
Traggo questa definizione dal Dictionnaire universel dello stesso Furetière. Il
termine «naïveté» è stato adottato, con riferimento alla “volonté de rapporter les choses
comme elles sont” manifestata da Furetière nel Roman bourgeois, anche da Joanna
Miketta (Joanna Miketta, “Quelques aspects du roman comique du XVIIe siècle. Points
de repère pour servir à une étude sur le roman”, Roczniki humanistyczne XI, 4, 1962,
Lublin, p. 101).
7
metaromanzesco e naïf dell’opera verrebbe però a urtare inevitabilmente col
mutamento di prospettive riscontrabile nel Livre second, livre nel quale non soltanto gli
interventi metaromanzeschi diventano molto sporadici (il che sarebbe del tutto
comprensibile: ad una prima parte ricca di riflessioni “teoriche” farebbe seguito una
seconda parte prevalentemente “esemplificativa”), ma è anche palese il prevalere di una
raffigurazione grottesca dei personaggi e delle loro azioni, ovvero il prevalere di una
deformazione caricaturale della realtà. Il lettore, al quale era stata promessa una
riproduzione naïve della realtà, si trova così dinanzi, del tutto inaspettatamente, ad un
testo burlesco.
Eccoci dunque tornare, anche dal punto di vista formale, a quella mancanza
“d’unité et de composition” denunciata da Hartmann e alla “déception” cui accennava
Di Girolamo. Ed eccoci dunque arrivare anche alla domanda: è possibile dare un senso
complessivo al Roman bourgeois?
Punto focale della mia analisi sarà il tentativo di dimostrare che la delusione
suscitata nel lettore dalla discrepanza riscontrabile fra i due livres è, per quanto
singolare ciò possa sembrare, un effetto voluto, il risultato di una specifica strategia
dell’autore, e come essa possa essere interpretata in chiave antiromanzesca. Le Roman
bourgeois si rivelerà quindi un testo nel quale Furetière, contrapponendo alle
disquisizioni di un narratore intrusivo la discrepanza stilistica fra la prima e la seconda
parte, “gioca” intenzionalmente con l’orizzonte di attese del lettore.
Che cosa intendere, però, per “lettore” del Roman bourgeois? Possiamo infatti
distinguere:
1) un lettore reale (o empirico), inteso come membro di quella categoria di
abituali consumatori di romanzi i quali, nella Parigi del 1666, avrebbero potuto divenire
lettori della prima edizione del Roman bourgeois (si potrà così parlare anche di «lettore
sincronico»);
2) un lettore implicito, ovvero un lettore capace di recepire tutti i possibili
significati di un testo. Preferirei però abbandonare l’espressione «lettore implicito» (con
la quale ci si riferisce a una figura del tutto teorica) per parlare, più pragmaticamente, di
un «lettore auspicato», da intendersi come quel lettore il quale, nelle intenzioni di
Furetière, sarebbe stato in grado, fra tutti i potenziali lettori empirici, di cogliere ed
apprezzare le specificità del Roman bourgeois rispetto alla produzione romanzesca
corrente;
3) un lettore incluso nel testo, il «vous» chiamato in causa dal narratore, ovvero il
narratario.
Ora, questo narratario sembra coincidere con l’immagine di un generico lettore
(empirico) di romans héroïques (i romanzi di maggior successo negli anni
immediatamente precedenti la data di pubblicazione del Roman bourgeois), al quale
8
viene chiesto di rinunciare ai topoi e alle convenzioni romanesques per apprezzare una
storia narrata “sincerement et avec fidelité”. Le Roman bourgeois, in pratica,
sembrerebbe poter essere interpretato come un testo nel quale il narratore cerca di
“formare” (nel senso pedagogico del termine), attraverso una precisa strategia
compositiva, un proprio specifico lettore “ideale”, ovvero il lettore auspicato di cui
sopra.
In realtà, però, l’effettivo destinatario dell’opera, il vero lettore auspicato del
Roman bourgeois, non è il «vous» al quale viene promessa la narrazione naïve di una
storia data per vera, bensì quel lettore il quale sappia riflettere criticamente sul perché
Le Roman bourgeois susciti in lui, ad un certo momento, un sentimento di delusione. Ci
sono, dunque, nel Roman bourgeois, due differenti piani di comunicazione col lettore;
uno diretto e palese, ed uno sotterraneo, nascosto. Solo l’individuazione del rapporto di
comunicazione più nascosto può consentire, a mio avviso, una corretta interpretazione
dell’opera nel suo insieme.
Data la grande importanza che ha, nel Roman bourgeois, il rapporto col lettore,
il mio percorso di analisi non potrà che procedere lungo l’asse sintagmatico del testo.
Nei primi tre capitoli analizzerò quindi rispettivamente: 1) il titolo e il sottotitolo
dell’opera, il che mi consentirà di evidenziare come già l’unione dei termini «roman» e
«bourgeois» frustri le attese di quel generico lettore abituato alla lettura di romans
héroïques, suscitandone al tempo stesso di nuove; 2) l’Advertissement du libraire au
lecteur, nel quale il libraire invita il lettore a leggere Le Roman bourgeois come satira
di vari “defauts ordinaires” (R.b., p. 900); 3) l’incipit del Livre premier, nel quale il
narratore propone al «lecteur» un nuovo (o ulteriore) patto di lettura, presentando ciò
che scrive come un romanzo antitetico rispetto ai romans héroïques.
Nei successivi tre capitoli analizzerò il Livre premier sulla base degli orizzonti di
lettura suscitati nel lettore dal titolo, dall’Advertissement e, in particolar modo,
dall’incipit. Sarà dunque evidenziata la coesistenza, nel Livre premier, di una pars
destruens (la parodia del roman héroïque e, ancor più, la contestazione del
romanesque espressa al grado zero negli interventi metaromanzeschi del narratore), alla
quale sarà dedicato il quarto capitolo, e di una pars construens (la formulazione e
l’esemplificazione di una poetica del romanzo fondata sulla naïveté), alla quale sarà
dedicato il quinto capitolo. Nel sesto capitolo saranno evidenziate alcune incoerenze
riscontrabili nel Livre premier, come, ad esempio, l’utilizzo non parodistico di topoi
romanzeschi.
Il settimo capitolo sarà dedicato all’analisi dell’avertissement che precede il
Livre second. L’ottavo ed ultimo capitolo sarà dedicato al Livre second, nel quale,
dopo aver constatato un mutamento di prospettiva rispetto alla poetica propugnata nella
prima parte dell’opera, sarà infine proposta un’interpretazione complessiva del Roman
bourgeois, capace di dare un senso alla apparente contraddittorietà esistente fra un
9
Livre premier naïf e un Livre second burlesco.
10
1. Le Roman bourgeois: un titolo ossimorico
L’unione, nel titolo del romanzo di Furetière, dei termini «roman» e «bourgeois»
doveva senz’altro apparire insolita, se non addirittura ossimorica, agli occhi di un
potenziale lettore della prima edizione del testo.
Nella Francia del XVII secolo, infatti, il termine «roman» rinviava pressoché
esclusivamente a opere narrative di argomento cavalleresco (come le varie imitazioni e
continuazioni dell’Amadís de Gaula), pastorale (come L’Astrée) o eroico (come la
Cassandre di La Calprenède e Artamène ou le Grand Cyrus di Madeleine de
Scudéry). Opere scritte in uno stile ricercato, destinate a lettori appartenenti alla société
galante del tempo, nelle quali si narravano le avventure guerresche o amorose di
personaggi extraordinares.
Come poteva dunque la borghesia, una parte del Terzo stato, una categoria di
persone legate a professioni che nulla avevano di avventuroso, offrire spunti per una
narrazione romanesque? Per quella legge della separazione degli stili (così netta nel
Seicento francese) secondo la quale “la pittura realistica del quotidiano è inconciliabile
col sublime e trova il suo posto soltanto nel comico”1, la borghesia avrebbe piuttosto
potuto divenire oggetto di trattazione letteraria, relativamente alle narrazioni in prosa, in
una delle cosiddette histoires comiques, ovvero in uno di quei testi narrativi nei quali
era predominante la rappresentazione degli aspetti più concreti della realtà quotidiana e
nei quali trovavano spazio la comicità (spesso scatologica), il burlesco, l’osservazione
satirica, la parodia di tematiche e stili romanzeschi.
I termini «roman» e «bourgeois» dovevano dunque apparire incompatibili nel
1666, in quanto rinviavano, nelle aspettative del lettore, a due categorie narrative
decisamente antitetiche fra loro: da un lato i romans, caratterizzati da una marcata
idealizzazione della realtà, dall’altro le histoires comiques, nelle quali, invece, veniva
raffigurata una realtà “umile”, spesso persino deformata caricaturalmente.
Già Le Roman comique di Scarron, pubblicato non molti anni prima del Roman
bourgeois, si era presentato (a partire, anche in questo caso, dal titolo stesso) come
una commistione fra queste due diverse categorie narrative, alternando delle scenette
burlesche esposte con un linguaggio colloquiale, quali l’episodio in cui la Rancune
rovescia il contenuto di un pot de chambre sul volto di un suo compagno di stanza2, a
peripezie romanzesche narrate in stile ricercato, di cui sono esempio non solo le quattro
nouvelles inserite nel testo, ma anche le vicende di Léandre e di Destin, in particolar
1
Erich Auerbach, Mimesis, Torino, Einaudi, 1964, t. I, p. 27.
2
Paul Scarron, Le Romant comique, in Romanciers du XVIIe siècle, op. cit.,
pp. 544-546.
11
modo quando questi due personaggi si fanno narratori omodiegetici3.
Anche un titolo come Le Roman bourgeois avrebbe così potuto suscitare, in un
potenziale lettore sincronico, l’attesa di un testo nel quale sarebbe stato proposto un
tentativo di conciliazione fra narrativa romanesque e narrativa comique; più
precisamente, l’attesa di un testo nel quale, malgrado la presenza di personaggi
borghesi, sarebbero comunque state narrate anche vicende definibili come romanzesche.
L’immagine riprodotta sullo stesso frontespizio della prima edizione dell’opera
non sembrava però avvalorare un’ipotesi del genere. In quella immagine, infatti, alcuni
personaggi chiaramente appartenenti, per la foggia dei loro abiti, alla borghesia erano
raffigurati nell’atto di compiere banali azioni domestiche, come il dipanare una matassa
di lana o il cavalcare un manico di scopa per divertire un bambino4. Che cosa poteva
esserci di più lontano dal romanesque che un simile ritratto di vita privata di personaggi
di bassa o mediocre condizione sociale?
Le Roman bourgeois, in base al contenuto di questa immagine, sembrava
dunque dover consistere in un semplice susseguirsi di scenette bouffonnes, attraverso le
quali, presumibilmente, sarebbe stato sviluppato un discorso satirico nei confronti di vari
“personaggi-tipo” appartenenti alla borghesia. Un’ipotesi, questa, che il sottotitolo
Ouvrage comique, inserito nel vero e proprio frontespizio dell’opera, sembrava
stavolta convalidare.
Che senso aveva allora intitolare «roman» una narrazione che pareva dover
rientrare, a tutti gli effetti, nel novero delle histoires comiques? Era forse un modo per
preannunciare un testo parodistico, esplicitamente antiromanzesco, nel quale la
quotidianità di mediocri borghesi sarebbe stata contrapposta alla eccezionalità delle
vicende di personaggi romanzeschi?
E’ troppo presto per dirlo. Per il momento mi limiterò a constatare che
l’ossimoricità del titolo e la sostituzione, nel sottotitolo, del termine «ouvrage» (così
generico, così “aperto”...) al termine «histoire» (consolidato invece dall’uso)5, potevano
costituire due primi indizi di una originalità (certamente ancora tutta da definire) del
Roman bourgeois rispetto alla produzione narrativa precedente la data del 1666, sia
3
Una ulteriore novità del Roman comique, come è noto, consisteva nel fatto
che il romanesque di Scarron si richiamava non ai romans héroïques, bensì alle
nouvelles spagnole, giudicate “plus selon la portée de l’humanité” (Paul Scarron, op.
cit., p. 645), ovvero più verosimili.
4
A posteriori, è chiaramente riconoscibile in questa immagine la scena del Livre
premier in cui Vollichon sale appunto a cavallo di un manico di scopa per giocare col
figlioletto Toinon, mentre Javotte, aiutata dal servizievole Nicodème, avvolge un
gomitolo di lana e Laurence ha, suo malgrado, un “entretien bourgeois” (R.b., p. 963)
con Mme Vollichon.
5
A partire dal successo dell’Histoire comique de Francion di Charles Sorel.
12
romanesque che comique.
Proprio in ragione dell’importanza dei rinvii intertestuali del Roman bourgeois
(espliciti o impliciti che essi siano) sarà opportuno, prima di passare all’analisi
dell’Advertissement du libraire au lecteur, definire con maggior precisione che cosa
Furetière e i suoi potenziali lettori potessero intendere, dal punto di vista della «poetica
del racconto», per «roman» e per «histoire comique».
Abbiamo già detto che il termine «roman», nel XVII secolo, si riferiva
unicamente a opere narrative di argomento cavalleresco, pastorale o eroico. Di fatto,
all’inizio degli anni ‘60, fatta eccezione per l’Amadís e l’Astrée, ancora molto amati dai
lettori e dunque frequentemente ristampati6, i romanzi cavallereschi appartenevano ormai
al passato (la prima traduzione francese dell’Amadís era stata pubblicata nel 1540) e
anche il filone pastorale, dopo qualche mediocre tentativo di imitazione del capolavoro
di d’Urfé, si era praticamente esaurito. Grandissimo era stato invece, negli anni ‘40 e
‘50, il numero di romans héroïques offerti al pubblico, e grandissimo il successo che
queste opere avevano ottenuto, a tal punto che il termine «roman» avrebbe potuto quasi
essere percepito semplicemente come un sinonimo dell’espressione «roman héroïque».
Di questa nuova forma romanzesca Georges de Scudéry aveva tracciato, nella
Préface dell’Ibrahim (pubblicato nel 1641), una rigida codificazione fondata su regole
desunte dalle caratteristiche dei poemi epici dell’antichità greco-latina e delle opere
narrative tardo-elleniche (prima fra tutte Le Etiopiche di Eliodoro). In realtà Georges
de Scudéry non aveva scritto una sorta di esplicito “manifesto” del roman héroïque: la
sua Préface, con la quale egli tentava di dare dignità di genere letterario al romanzo7,
parlava del romanzo tout court. Di fatto, però, le regole che, secondo Scudéry, un
romanzo doveva rispettare per poter essere definito come tale (ovvero per poter essere
definito un “poema epico in prosa”), avrebbero trovato la loro più perfetta applicazione
proprio nei romans héroïques.
Appurato dunque che per un lettore di romanzi dell’inizio degli anni ‘60 del XVII
6
Si noti, fra l’altro, che l’Amadís e L’Astrée sono gli unici due romanzi ad
essere citati, quali esempi caratteristici del genere romanzesco, da tutti e tre i dizionari
seicenteschi della lingua francese (ovvero dai dizionari di Richelet, dell’Académie e dello
stesso Furetière).
7
Malgrado il gran numero di opere romanzesche pubblicate a partire dal 1590
circa e malgrado il grande successo di pubblico che molte di queste opere ottenevano,
al romanzo non veniva riconosciuta dignità di genere letterario. Il romanzo, in particolar
modo nella prima metà del XVII secolo, era considerato futile in quanto momento di
pura evasione per il lettore, immorale per la scabrosità che poteva toccare parlando
d’amore e, soprattutto, privo di valore artistico in quanto non ascrivibile fra i grandi
generi letterari codificati sin dall’antichità greco-latina.
13
secolo il termine «roman» suscitava perlopiù l’attesa di un roman héroïque, vediamo
allora quali erano le caratteristiche delle opere definibili appunto come tali.
Un romanzo, per Georges de Scudéry, doveva iniziare in medias res (perché
così iniziavano l’Eneide e Le Etiopiche), rispettare le tre unità aristoteliche di azione, di
tempo e di luogo8, osservare le regole della bienséance9, rispettare la verità storica10 e
non allontanarsi comunque mai dal verosimile11, essere scritto in stile ricercato
(«précieux», si sarebbe detto di lì a pochi anni) e avere finalità edificanti12.
Sempre ad imitazione delle Etiopiche di Eliodoro, un romanzo doveva narrare la
storia di due giovani amanti di alta condizione sociale, costretti a superare una lunga
serie di vicissitudini prima di potersi unire in matrimonio13. In base a questo schema
narrativo veniva ad essere di conseguenza costante il ricorso ad una serie di topoi
romanzeschi (tempeste, naufragi, rapimenti, incontri fortuiti, travestimenti...) che
potessero consentire di ritardare e complicare con estrema libertà l’azione principale e
di inserirvi agilmente degli intrecci secondari. Proprio l’abuso del ricorso a questi
topoi14, assieme alla presenza di anacronismi nella ricostruzione dello sfondo storico e
8
Con opportuni adattamenti per quanto riguardava l’unità di tempo (la storia
narrata non doveva superare la durata di un anno).
9
“[...] je n’ay rien mis en mon Livre que les Dames ne puissent lire sans baisser
les yeux et sans rougir” (Georges de Scudéry, Préface all’Ibrahim, cit. in Henry
Coulet, Le roman jusqu’à la Révolution, Paris, Colin, 1967, t. II, p. 47).
10
“[...] j’ay voulu que les fondemens de mon Ouvrage fussent historiques, mes
principaux personnages marquez dans l’Histoire veritable comme personnes illustres, et
les guerres effectives” (Ibid., p. 46).
11
“Ce n’est pas que je pretende bannir les naufrages des Romans; je les
approuve aux Ouvrages des autres, et je m’en sers dans le mien. [...] Mais comme tout
excés est vicieux, je ne m’en suis servy que moderément pour conserver le vray-
semblable” (Ibid.).
12
“[...] icy la vertu paroist toûjours recompensée, et le vice toûjours puny [...]”
(Ibid., p. 47).
13
Per certi versi potremmo così anche parlare di romanzi héroïco-galants, in
quanto ad un determinato statuto dei personaggi si univa la predominanza di una
tematica amorosa, piuttosto che guerresca. Non a caso, ad esempio, il primo aggettivo
con cui, nel Cyrus, viene definito il protagonista è quello di “amoureux” (Georges de
Scudéry, Artamène ou le Grand Cyrus, t. I, p. 7), ed una delle critiche principali
rivolte da Boileau a Mlle de Scudéry nel Dialogue des héros de roman sarà proprio
quella di aver trasformato i più illustri personaggi della storia in svenevoli innamorati.
14
Si noti ad esempio l’incremento di duelli, tempeste, naufragi e rapimenti
passando dall’Ibrahim al Cyrus: nell’Ibrahim si possono contare tre duelli, quattro
tempeste, due naufragi e quattro rapimenti; nel Grand Cyrus si hanno invece
quarantaquattro duelli, nove tempeste, quattro naufragi e dodici rapimenti, oltre a tre
agnizioni, quattordici annunci di morte di un personaggio (seguiti, sistematicamente, da
14
alla stilizzazione dei personaggi, avrebbe finito però col negare quella verosimiglianza
della rappresentazione che per Scudéry doveva essere una delle caratteristiche principali
e irrinunciabili del romanzo15.
Del successo dei romans héroïques (e, conseguentemente, della Préface di
Scudéry) si trova conferma nella Lettre à M. de Segrais sur l’origine des romans di
Pierre-Daniel Huet, primo esempio di ampio traité sul genere romanzesco, pubblicato
nel 1669 con la prima parte di Zayde, ma già diffuso nei salotti letterari, sotto forma di
opuscolo, sin dal 1666 (e dunque coevo alla prima edizione del Roman bourgeois).
Huet, esaltando Le Etiopiche come il capolavoro romanzesco dell’antichità ed
affermando che “aujourd’hui [...] ce que l’on appelle proprement romans sont des
histoires feintes d’aventures amoureuses, écrites en prose avec art, pour le plaisir
et l’instruction des lecteurs”16, legittimava in modo abbastanza esplicito il roman
héroïque come il più degno rappresentante, in epoca moderna, del genere romanzesco.
Se ciascun roman héroïque corrispondeva, in generale, alla codificazione
proposta da Georges de Scudéry nella Préface dell’Ibrahim, le opere narrative definite
histoires comiques sembravano invece essere caratterizzate da un’assoluta mancanza
di regole, da una marcata libertà espressiva e tematica. Unica loro caratteristica comune
sembrava essere, a parte ovviamente la ricerca di un effetto “comique”, la
rappresentazione di avvenimenti e personaggi appartenenti ad una realtà umile o
mediocre e l’uso di un linguaggio dimesso, non artefatto (privo, ad esempio, del rispetto
della bienséance). Ne conseguiva, per certi versi, una maggiore verosimiglianza delle
storie narrate nelle histoires comiques rispetto alle idealizzazioni dei romans.
A questo proposito Charles Sorel, in una variante al Dixiesme Livre della
versione del 1633 del Francion, aveva scritto:
“N’est il pas vray que c’est une tres agreable et tres utile chose
que le stile comique et satyrique. L’on y void toutes les choses dans leur
naifveté. Toutes les actions y paroissent sans dissimulation, au lieu que
una smentita) e sei episodi in cui un personaggio salva un altro personaggio da morte
certa (René Godenne, Les romans de Mademoiselle de Scudéry, Genève, Droz,
1983, pp. 142-143).
15
Cfr. la nota 11 del presente capitolo.
16
Fabienne Gégou, Lettre-traité de Pierre-Daniel Huet sur l’origine des
romans, Paris, Nizet, 1971, pp. 46-47.
“Avec art” deve essere inteso come un rispetto delle regole indicate da Georges
de Scudéry. Richelet, alla voce «roman» del suo dizionario della lingua francese
(pubblicato nel 1680), richiamandosi alla definizione data da Huet, specificherà che un
romanzo deve essere scritto “selon les règles du Poëme Epique”.
15
dans les livres serieux il y a de certains respects qui empeschent de parler
de cette sorte, et cela fait que les Histoires sont imparfaites et plus
remplies de mensonge que de verité.”17
Per Sorel un’histoire comique si definiva dunque per contrapposizione rispetto
ai “livres serieux” (ovvero rispetto ai romans) non solo per la differenza di reazioni da
suscitare nel lettore, ma anche per il diverso grado di “naïfveté” delle narrazioni. Un
“livre sérieux”, per Sorel, era infatti essenzialmente una “dissimulation”, un “mensonge”;
un’histoire comique offriva, al contrario, una rappresentazione naïve della realtà18.
Quindici anni dopo, nell’Advertissement aux lecteurs del Polyandre
(pubblicato nel 1648), Sorel tentò di formulare una vera e propria codificazione
dell’histoire comique, come per darle una sorta di dignità letteraria speculare a quella
che Georges de Scudéry aveva cercato di dare al roman. Commentando il sottotitolo
della propria opera (per l’appunto Histoire comique) Sorel affermava:
“Nous remarquerons qu’il ne faut pas entendre par là que ce
doivent estre icy des narrations pleines de bouffonneries basses et
impudiques, pour aprester à rire aux hommes vulgaires, parce que la
vraye Histoire Comique selon les preceptes des meilleurs Autheurs ne
doit estre qu’une peinture naive de toutes les diverses humeurs des
hommes, avec des censures vives de la pluspart de leurs deffaux, sous la
simple apparence de choses joyeuses, afin qu’ils en soient repris lors
qu’ils y pensent le moins, et la pluspart de cecy peut estre écrit, si l’on
veut, d’un stile facetieux, [...] et tel [...] que cela puisse [...] servir
d’instruction et de divertissement à ceux qui font profession de sagesse et
de vertu.”19
Un’histoire comique, per Sorel, doveva dunque essere caratterizzata dalla sua
finalità satirica (la comicità non doveva essere fine a se stessa) e dalla naïveté della
rappresentazione. Relativamente alla tematica e allo statuto dei personaggi delle
histoires comiques Sorel, sempre in aperta contrapposizione con i romans, scriveva:
“[...] l’on a peut estre fait en France depuis cinquante ou soixante
ans plus de dix mille volumes d’inventions d’esprit, où il n’y a qu’une
17
Charles Sorel, Histoire comique de Francion, in Romanciers du XVIIe
siècle, op. cit., p. 1321.
18
Cfr., relativamente al significato del termine «naïveté» nel XVII secolo, supra,
p. 6.
19
Charles Sorel, Polyandre, cit. in Henry Coulet, op. cit., t. II, p. 61.
16
seule des actions de la vie qui soit representée principalement, qui est
celle de faire l’Amoureux, et ces Livres s’apellent Romans [...]; l’on
pretend [...] que cela est ravissant de ne voir là que des affaires de Roys
et d’Empereurs, de Princes et de Princesses, et que les grands
evenemens qui leur arrivent, doivent remplir l’esprit d’une satisfaction
nompareille: Mais il y a d’autres gents qui ayment mieux voir de petites
avantures d’une visite de Paris ou d’une promenade, telles qu’il en
pourroit arriver à eux ou aux personnes de leur connoissance, parce que
cela leur parest plus naturel et plus croyable”20.
Ed infatti il Polyandre, seguendo il protagonista nei suoi incontri mondani,
raffigurava (satiricamente e avec naïveté) delle situazioni e dei personaggi della Parigi
borghese di metà secolo.
L’insuccesso del Polyandre negò però a questo avertissement qualunque
valenza normativa nei confronti delle successive histoires comiques. Anche Scarron, ad
esempio, come già accennato, si sarebbe praticamente rifatto, per il versante comique
del proprio romanzo, alla tradizione “basse et impudique” dei contes facétieux,
tradizione dalla quale Sorel, come visto, voleva prendere le distanze. E’ dunque lecito
supporre che, per un lettore del 1666, un’histoire comique non corrispondesse
necessariamente alla definizione che ne aveva dato Sorel21. Un’histoire comique
rimaneva, nelle aspettative di questo lettore, un genere narrativo estremamente aperto,
nel quale potevano coesistere, magari all’interno di un singolo testo, la comicità più
triviale e il ritratto satirico, la parodia letteraria e l’esposizione di una filosofia “libertina”,
il burlesco e la mimesi di realtà.
20
Ibid., pp. 62-63.
21
Sorel, malgrado l’insuccesso del Polyandre, ripropose la propria personale
poetica dell’histoire comique anche nella Bibliothèque françoise (1664) e nella
Connoissance des bons livres (1671). Nella Connoissance, ad esempio, Sorel
continuò a definire i romans e le histoires comiques in base all’opposizione
mensonge/vérité, condannando di conseguenza i romans per la loro inverosimiglianza,
per il loro “langage enflé et fardé”, e giudicando invece le histoires comiques “des
Tableaux naturels de la Vie humaine” (Charles Sorel, De la Connoissance des bons
livres, Roma, Bulzoni, 1974, pp. 125 e 152).
18
2. L’Advertissement du libraire au lecteur
La prima edizione del Roman bourgeois uscì anonima: né il frontespizio, né il
Privilège du Roy (concesso al libraire Claude Barbin)1 indicavano infatti alcun nome
d’autore.
Nell’Advertissement du libraire au lecteur il libraire (ovvero, si sarebbe
dovuto supporre, lo stesso Barbin) spiegava che Le Roman bourgeois era stato scritto
molto tempo prima (“il y a longtemps”) da un “autheur” (del quale continuava a
mantenere celata l’identità) “qui s’[était] diverty à le composer en sa plus grande
jeunesse” (R.b., p. 902). Essendo poi questo “autheur” passato a delle “occupations
[...] plus sérieuses”, Le Roman bourgeois aveva potuto essere pubblicato solo grazie
all’“infidelité de quelques-uns à qui il [l’autore] l’avoit confié” (Ibid.).
Per il resto, il libraire, dichiarando di aver “tiré” le affermazioni contenute
nell’Advertissement “d’une longue préface que l’autheur mesme avoit mise au devant
du livre” (Ibid.), precisava di non aver fatto altro, nel presentare Le Roman bourgeois,
che riferire le dichiarazioni di intenti dello stesso autore, assumendo dunque il ruolo di
semplice portavoce.
Appare evidente, oggi, come questo libraire sia una figura fittizia, non
identificabile con chi effettivamente pubblicò la prima edizione del Roman bourgeois,
una figura dietro la quale non poteva, ovviamente, che nascondersi lo stesso Furetière.
Alla medesima conclusione dovevano giungere, presumibilmente, anche i lettori
sincronici più attenti, essendo ad esempio inusuale che un libraire scrivesse una
prefazione più lunga di qualche semplice riga.
A stretto rigore, però, tutto, nella prima edizione dell’opera (la mancanza del
nome dell’autore sia sul frontespizio che nel Privilège, l’attribuzione
dell’Advertissement al libraire e le affermazioni in esso contenute)2, sembrava
congegnato per ingannare il lettore, per far apparire Le Roman bourgeois come un
testo effettivamente pubblicato all’insaputa dell’autore e l’Advertissement come una
vera e propria prefazione allografa.
Che atteggiamento dobbiamo assumere allora nei confronti di questo
1
Barbin scelse di condividere il privilège di pubblicazione con altri quattro
libraires parigini (Thomas Jolly, Louis Billaine, Théodore Girard e Denis Thierry). Le
Roman bourgeois fu dunque pubblicato contemporaneamente, il 5 novembre 1666, da
cinque diversi editori.
2
E, possiamo aggiungere (venendo meno, per una volta, alla sintagmaticità del
nostro percorso di lettura), il fatto che il libraire si rivolga al lettore dandogli del «tu»,
mentre il narratore-autore si rivolge al narratario-lettore usando il «vous».
19
avertissement? Dobbiamo leggerlo con gli occhi di un lettore ingenuo (o semplicemente
in buona fede) che si lascia ingannare, o dobbiamo piuttosto leggerlo con gli occhi di un
lettore smaliziato?
In realtà, stabilire se un lettore del 1666 avesse più possibilità di percepire il
libraire dell’Advertissement come persona reale piuttosto che come figura fittizia ha
un’importanza del tutto relativa. Infatti, anche nel caso in cui il lettore avesse intuito la
presenza dell’autore, egli sarebbe stato comunque indotto, in nome del cosiddetto
«patto finzionale», a leggere l’Advertissement come un testo effettivamente scritto dal
libraire
3
ed a prestar fede a tutto ciò che questo libraire affermava.
Poiché ciò che mi interessa non è individuare le ragioni per le quali Furetière
scelse di non firmare la propria opera e di inventare la storiella del manoscritto giunto
casualmente fra le mani di un libraire, bensì stabilire quale contributo alla delineazione di
un orizzonte di lettura del Roman bourgeois potesse offrire la prefazione, sceglierò
anch’io di farmi ingannare (o, se vogliamo, di “far finta” di farmi ingannare), analizzando
l’Advertissement du libraire au lecteur come se esso fosse realmente una prefazione
allografa (nel quale, tuttavia, le indicazioni di lettura dovranno essere attribuite
all’anonimo autheur).
Questa scelta mi porterà anche, d’ora innanzi, ad indicare col termine generico
di autheur (con grafia seicentesca) l’autore del Roman bourgeois, salvo quei casi in cui
venga abbandonato il percorso di lettura del lettore sincronico.
Il libraire presentava Le Roman bourgeois come un testo eminentemente
satirico, nel quale, proponendosi l’autore di “instruire”, prima ancora che di “divertir”
(secondo il consueto topos del docere delectando)
4
, sarebbero stati censurati una serie
di “defauts ordinaires” (R.b., p. 900) attribuibili alla media borghesia parigina del XVII
secolo. Protagonisti dell’opera (e cibles della satira) sarebbero dunque stati gli “esprits
bourus”, gli “importuns”, gli “avares”, gli “chicaneurs”, i “fanfarons”, i “coquets” e le
“coquettes”, ovvero tutte quelle persone che quotidianamente commettevano “des
petites fautes” (R.b., p. 901). In breve, Le Roman bourgeois avrebbe offerto una
galleria di “portraits de plusieurs sortes de sots”, nei quali il lettore avrebbe potuto
riconoscere “quelqu’un de [s]a connoissance” (R.b., p. 902) o persino se stesso.
3
Così come, per fare un esempio più noto, il lettore delle Liaisons
dangereuses, un secolo dopo, avrebbe dovuto fingere di credere che l’Avertissement
de l’éditeur e la Préface du rédacteur anteposti al testo fossero effettivamente stati
scritti dall’editore e dal curatore dell’opera.
4
La maggior parte degli scrittori di romans (ma anche degli scrittori di histoires
comiques) cercavano di nobilitare le proprie opere subordinando il piacere fine a se
stesso della lettura alla presenza di generiche finalità didattiche.