i sovrani ricercavano continuamente il conforto e l’intesa e che erano tenuti
a dargli il consiglio, quali vassalli, in virtù dei patti feudali”.1
“Tra il sec. XII e il sec. XIV, si assistette alla progressiva modifica di tali
organi da organi di assistenza e consiglio dell’attività sovrana ad organi di
controllo e freno della stessa”,2 il che si traduceva, essenzialmente, nel
controllo dell’impiego da parte del potere regio dei contributi finanziari.
A tal proposito, esemplare risulta essere l’esperienza inglese.
Fu in Inghilterra, infatti, che “(…) il conflitto tra Re e Parlamento assunse
caratteri storicamente più significativi”.3
“La prima limitazione delle prerogative” regie “fu imposta dai baroni a
Giovanni Senza terra (1215) strappandogli la concessione della Magna
Charta”4; documento nel quale veniva, tra l’altro, sancito per il Re il divieto
di imporre nuovi tributi senza il consenso del Consiglio Comune del regno,
formato dai maggiori rappresentanti del clero e della nobiltà.
Tuttavia, la data convenzionale di nascita del Parlamento rappresentativo in
Inghilterra, si fa risalire al 1265, con il Parlamento di Simon De Montfort,
nel quale, per la prima volta furono chiamati a far parte del collegio, non
solo il clero ed i maggiori feudatari, ma anche due cavalieri per contea
(eletti dai proprietari terrieri locali) e due borghesi per ogni città che fosse
provvista di una regolare franchigia. Ciò rese il Parlamento di Simon De
Montfort un importante precedente di quell’assemblea che qualche
decennio più tardi, nel 1297, Edoardo I avrebbe esplicitamente organizzato
come un “Parlamento modello”, fondato sulla doppia rappresentanza dei
nobili e dei borghesi.5
1
AA.VV., Diritto – Le Garzantine, Garzanti Editore, 2001, pag. 940
2
Ibidem, pag. 940
3
AA.VV., Enciclopedia della storia, DeAgostini, 1999, pag. 890
4
Ibidem, pag. 890
5
Cfr. A. Torre, Regno Unito, Il Mulino, 2005
4
“Le assemblee parlamentari come le intendiamo oggi, espressione
dell’uguaglianza tra i cittadini e luogo di formazione della volontà
nazionale, nacquero alla fine del sec. XVIII, prima con la rivoluzione
americana poi con quella francese.”6
Rispetto ai Parlamenti pre-rivoluzionari, “le moderne istituzioni
parlamentari (…) presentano trasformazioni strutturali di rilievo”7; basati
sulla sovranità popolare ed inseriti in sistemi politico-giuridici dotati di
costituzioni scritte, “i moderni parlamenti (…) non sono più le assemblee
di stati di un tempo”, convocate per volontà del sovrano ed in cui ad essere
rappresentate erano le diverse classi sociali (nobiltà, clero, borghesia
cittadina); essi sono, invece, “espressione (…) di una società
potenzialmente di uguali, in cui al criterio cetuale si è sostituito nel sec.
XIX il criterio della rappresentanza”.8
Fu “proprio in Francia, con la convocazione nel 1789 degli Stati Generali
(che erano stati chiamati in causa l’ultima volta nel lontano 1614)”, che
“iniziò la grande stagione parlamentare che si sviluppò nell’800:
l’assemblea del Terzo Stato si autoproclamò Assembla Nazionale, con il
monopolio della funzione legislativa, delineando così un modello seguito
con poche varianti da tutte le costituzioni successive”.9
“In Italia il Parlamento nazionale ereditò le strutture del Parlamento
subalpino, sancito dallo Statuto Albertino (1848): la sua composizione
bicamerale (Camera dei deputati elettiva e Senato di nomina regia) restò
invariata fino al fascismo, che sostituì nel 1939 il Parlamento
rappresentante elettivo di tutti i cittadini con una Camera dei Fasci e delle
Corporazioni non elettiva, rappresentante degli interessi organizzati. Il
6
AA.VV., Enciclopedia della storia, DeAgostini, 1999, pag. 890
7
AA.VV., Diritto – Le Garzantine, Garzanti Editore, 2001, pag. 940
8
Ibidem, pag. 941
9
AA.VV., Enciclopedia della storia, DeAgostini, 1999, pag. 890
5
Parlamento bicamerale, con entrambe le Camere elettive, venne
nuovamente istituito dalla Costituzione repubblicana del 1948”.10
La forma di governo parlamentare si caratterizza per il rapporto di fiducia
che intercorre tra Governo e Parlamento. Il che significa che quest’ultimo
può costringere il primo alle dimissioni revocandogli la fiducia concessa.
Tale rapporto può sussistere, nel caso di parlamenti bicamerali, con
entrambe le Camere, come avviene nel nostro ordinamento, oppure con una
soltanto di esse, la c.d. “Camera politica”, come si verifica in Francia.
Sposando la tesi sostenuta da De Vergottini, sia l’Italia che la Francia
rientrano in questa forma di governo, appunto per la presenza del rapporto
di fiducia, che abbiamo visto essere l’elemento caratterizzante la forma di
governo parlamentare.
Va comunque detto che la maggior parte della dottrina è solita definire la
forma di governo francese come “semipresidenziale”, in quanto la
Costituzione del 1958 delinea una forma di governo che concilia istituti
tipici della forma di governo parlamentare con altri tipici, invece, della
forma di governo presidenziale; quali, ad esempio, la presenza di un
Presidente della Repubblica direttamente eletto dal popolo, irresponsabile
nei confronti del Parlamento e dotato di ampi poteri svincolati dall’obbligo
di controfirma.
Di fronte a questo indubbio rafforzamento della posizione del Presidente
della Repubblica rispetto al ruolo che quest’ultimo si vede normalmente
attribuito nelle forme di governo parlamentari, De Vergottini ritiene più
corretto definire quella delineata dall’ordinamento francese una forma di
governo parlamentare “a tendenza presidenziale”.
Nella forma di governo parlamentare, dunque, al Parlamento viene
attribuita, a fianco della funzione legislativa, consistente nella produzione
10
Ibidem, pag. 890
6
di norme giuridiche solitamente generali ed astratte, un’importante
funzione d’indirizzo e controllo politico, volta a far valere la responsabilità
politica del Governo nei suoi confronti; la quale può sfociare nella
votazione di una mozione di censura che costringa il Governo a dimettersi.
Questa funzione di indirizzo e controllo viene svolta, in determinate
occasioni, tramite la stessa legge; pensiamo alla legge di approvazione del
bilancio o alla legge di ratifica dei trattati internazionali.
Vi sono poi strumenti appositi di cui il Parlamento dispone per svolgere al
meglio tale funzione, quali le interrogazioni, le interpellanze, le
commissioni d’inchiesta, che consentono al Parlamento di ragguagliarsi
sull’attività governativa in ordine a specifici problemi.
Oltre a ciò, il Parlamento può essere chiamato a svolgere una funzione
giudiziaria, che può limitarsi ad una competenza di accusa del Presidente
della Repubblica, riservandosi ad altra istanza il giudizio, come succede in
Italia, dove il giudizio vero e proprio spetta alla Corte Costituzionale,
oppure riguardare anche l’aspetto del giudizio, come avviene in Francia,
dove il Presidente della Repubblica, messo in stato d’accusa dalle due
Assemblee, viene giudicato dal Parlamento costituito in Alta Corte.
7
1. LA STRUTTURA E LE FUNZIONI DEL PARLAMENTO
IN ITALIA
1.1 Bicameralismo perfetto
L’art. 55 della Costituzione italiana statuisce che il Parlamento della
Repubblica si compone della Camera dei Deputati e del Senato della
Repubblica.
Si tratta, dunque, di un Parlamento a struttura bicamerale.
Il bicameralismo italiano rappresenta attualmente un caso unico al mondo e
ad esso ci si riferisce di solito con uno dei seguenti aggettivi: perfetto,
eguale o paritario; in quanto, “(…) entrambi i rami del Parlamento
esercitano gli stessi poteri e gli atti parlamentari sono il frutto del
necessario accordo delle due Camere”11.
In altre parole, i due rami del Parlamento si equivalgono sia per ciò che
riguarda la competenza legislativa che per ciò che concerne la funzione di
indirizzo e controllo sull’operato del governo.
“Di conseguenza, ciascuna Camera può deliberare la concessione o il ritiro
della fiducia al Governo (art. 94 Cost.), mentre la formazione di una legge
richiede che ciascuno dei due rami del Parlamento adotti una deliberazione
avente ad oggetto il medesimo testo legislativo ( la funzione legislativa è
esercitata collettivamente dalle due Camere, afferma l’art.70 Cost.)”.12
Va rilevato che originariamente la nostra Costituzione prevedeva una
durata in carica differente per le due Camere, 5 anni per la Camera dei
Deputati e 6 per il Senato, il che avrebbe potuto potenzialmente far sì che i
due rami dell’organo legislativo fossero espressione di equilibri politici
11
P. Caretti, U. De Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, G.Giappichelli Editore, 2000, pag. 192
12
R.Bin, G. Pitruzzella, Diritto Costituzionale, G. Giappichelli Editore, 2004, pag. 195
8
diversi. Tuttavia, questa differenza è venuta meno con l’approvazione della
legge cost. 3/1963, che è andata a modificare l’art. 60, il quale attualmente
stabilisce che “La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono
eletti per cinque anni”.
1.2 Elettorato attivo e passivo, cause d’ineleggibilità e d’incompatibilità
L’art. 48 della nostra Carta Costituzionale stabilisce che “sono elettori tutti
i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”, dunque i
diciotto anni, specificando, all’ultimo comma, che “il diritto di voto non
può essere limitato se non per incapacità civile, per effetto di sentenza
penale irrevocabile o nei casi d’indegnità morale indicati dalla legge”.
Per poter partecipare all’elezione dei senatori bisogna aver superato il
venticinquesimo anno di età (art. 58 Cost.).
Sono eleggibili alla carica di deputato tutti gli elettori che abbiano
compiuto i venticinque anni (art. 56 Cost.), mentre possono essere eletti
alla carica di senatore gli elettori che abbiano compiuto il quarantesimo
anno di età (art. 58 Cost.).
Per poter validamente rivestire la carica di parlamentare non devono
sussistere cause d’ineleggibilità o d’incompatibilità.
L’articolo della Costituzione cui bisogna fare riferimento è in questo caso
l’art. 65, il quale rimanda alla legislazione ordinaria la determinazione di
tali cause.
L’ineleggibilità consiste in un impedimento giuridico a costituire un valido
rapporto elettorale per chi si trova in una delle cause ostative previste dalla
legge.
9
Tra tali cause rientrano, a titolo di esempio, le ipotesi in cui si sia titolari di
cariche di governo di enti locali (come presidenti di giunte provinciali,
sindaci di comuni con più di 20.000 abitanti), funzionari pubblici (come
capi e vice capi di polizia) o alti ufficiali, o, ancora, l’ipotesi in cui si sia
diplomatici, consoli, concessionari di pubblici servizi, dirigenti e consulenti
di aziende sovvenzionate dallo Stato, ecc.
L’ineleggibilità mira principalmente a garantire la parità di chances tra i
candidati, in modo che il processo elettorale si svolga correttamente senza
indebite influenze sulla competizione, evitando, in altri termini, che
determinati soggetti possano approfittare della carica da loro ricoperta per
esercitare una captatio benevolentiae sugli elettori, incidendo sulla par
condicio dei candidati.
Le cause di ineleggibilità hanno natura invalidante e determinano la nullità
della stessa elezione.
“Dall’ineleggibilità va tenuta distinta l’incapacità elettorale passiva, che
discende dalla sussistenza di quelle cause che fanno venire meno lo stesso
elettorato attivo, il cui godimento è il presupposto dell’elettorato passivo.
L’incapacità elettorale impedisce la stessa iscrizione nelle liste elettorali e
la partecipazione alla competizione elettorale; è rilevabile dagli stessi uffici
elettorali; non può essere rimossa per volontà dell’interessato”.13
L’incompatibilità è quella situazione giuridica per cui un soggetto,
validamente eletto, non può cumulare la funzione di parlamentare con altra
carica. Essa mira ad assicurare che l’esercizio delle funzioni elettive venga
svolto in modo imparziale e che non sia minacciato da conflitti d’interesse.
Le cause d’incompatibilità sono caducanti, cioè producono la decadenza
del titolare della carica elettiva qualora questi non faccia venire meno la
13
Ibidem, pag. 137
10
causa d’incompatibilità; in altre parole tali cause possono essere rimosse
attraverso l’opzione tra le due cariche da parte dell’interessato.
Alcune cause d’incompatibilità sono direttamente previste in Costituzione,
altre vengono indicate dalla legge ordinaria. “Per ciò che riguarda le prime,
si tratta dell’incompatibilità tra deputato e senatore (art. 652 Cost.), tra
Presidente della Repubblica e qualsiasi altra carica (art. 842 Cost.), tra
parlamentare e membro del Consiglio superiore della magistratura (art.
1047 Cost.), tra parlamentare e consigliere regionale (art. 1222 Cost.), tra
parlamentare e giudice della Corte Costituzionale (art. 1356 Cost.).
Il gruppo più importante di quelle previste dalla legislazione ordinaria è
contenuto nella legge 60/1953, che prevede incompatibilità con la titolarità
di uffici pubblici o privati derivanti da nomina o designazione governativa
(art.1), con cariche in enti o associazioni che gestiscono servizi per conto
dello Stato (art.2) ed infine incompatibilità per le cariche direttive ricoperte
negli istituti bancari o in società per azioni con prevalente esercizio di
attività finanziarie (art.3)”.14
“Le cause d’ineleggibilità che sopraggiungono nel corso del mandato
elettivo prendono il nome d’ineleggibilità sopravvenute. Esse si
trasformano in cause d’incompatibilità seguendone il relativo regime
giuridico. Di conseguenza (…) obbligano l’interessato ad operare una
scelta tra le due cariche”.15
Spetta a ciascuna Camera, come stabilisce l’art. 66 Cost., giudicare dei
titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte
d’ineleggibilità e di incompatibilità.
14
Ibidem, pag. 138
15
Ibidem, pag. 138
11
1.3 Lo status di parlamentare
Tradizionalmente i membri delle Assemblee parlamentari godono di uno
status giuridico particolare, volto ad assicurare loro un livello di autonomia
tale da consentirgli di poter svolgere liberamente le proprie funzioni.
“Si fa risalire all’esperienza parlamentare inglese l’affermazione del
principio della libertà di parola e della libertà dagli arresti” consolidatesi
nel corso del “(…) secolo sedicesimo, mentre il Bill of Rights del 1689,
all’articolo 9, confermava il principio dell’irresponsabilità per le opinioni
espresse in Parlamento. Successivamente, la costituzione francese del 1791
(…) garantiva la libertà personale dei rappresentanti della nazione in
mancanza di una delibera dell’assemblea, con una formula che ancora oggi
è ripresa dalla maggior parte dei testi costituzionali”.16
Quelle che di solito vengono definite prerogative parlamentari sono,
dunque, istituti che, in deroga al diritto comune, mirano a salvaguardare il
libero esercizio delle funzioni parlamentari, ponendole al riparo dai
condizionamenti che altri poteri dello Stato potrebbero esercitare. “Pertanto
le prerogative non sono privilegi dei singoli, ma garanzie dell’indipendenza
del Parlamento, con la conseguenza che sono irrinunciabili e indisponibili
da parte del singolo parlamentare. In particolare, esse dovrebbero servire a
tutelare la libertà di opinione dei parlamentari, che sta alla base di un
corretto svolgimento della vita parlamentare, ed a porli al riparo da azioni
della magistratura penale che siano pretestuose in quanto dirette solamente
a condizionarne l’operato politico”.17
Le prerogative parlamentari sono disciplinate dall’art. 68 della nostra
Costituzione, il quale prevede due distinti istituti:
16
G. De Vergottini, Diritto Costituzionale comparato- volume 1, Cedam, 2004, pag. 410
17
R.Bin, G. Pitruzzella, Op. cit., pag 207
12