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INTRODUZIONE
Il Lazarillo de Tormes è la prima novela ascrivibile al genere picaresco della
letteratura spagnola, considerato come il primo romanzo moderno e il più importante
del XVI secolo. La sua comparsa in Spagna ed Europa rappresenta l’ultimo grande
evento letterario del regno che sta per finire; la sua immediata diffusione inaugura un
genere romanzesco che godrà, per lungo tempo, di una fortuna prodigiosa. Vari
quesiti irrisolti circondano quest’opera, quali l’incertezza riguardante le probabili
edizioni perdute, la questione dell’autore anonimo e i dubbi sulla data di creazione.
Tanti punti interrogativi che non hanno condotto i critici a trovare un accordo e che
probabilmente non porteranno mai alla scoperta della verità su quest’opera.
In quanto alle edizioni, le prime che ci sono pervenute della Vida de Lazarillo de
Tormes y de sus fortunas y adversidades sono del 1554, una di Burgos, di Juan de
Junta, una di Anversa, di Martín Nucio , una di Alcalá de Henares, stampata da
Salcedo e l’ultima scoperta nel 1992 a Medina del Campo, dei fratelli del Canto.
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Dell’ ipotetica editio princeps non è rimasta alcuna traccia, ma si suppone che sia
stata pubblicata uno o due anni prima. Diversi critici come A.Blecua e F.Rico
sostengono l'ipotesi che da un primo esemplare X siano derivati due rami, l'edizione
di Burgos e una Y, da quest'ultima deriverebbero poi le edizioni di Anversa e Alcalá,
non includendo dunque l’edizione di Medina del Campo scoperta infatti nel 1992.
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Altri studiosi, invece, come ad esempio Jesús Cañas Murillo, propongono l’ipotesi
che da un archetipo X siano derivate tre diverse diramazioni, l’edizione di Burgos,
quella di Medina del Campo e una Y dalla quale deriverebbero sempre le edizioni di
Anversa e di Alcalá.
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Cfr. Alberto Blecua, La edición del Lazarillo de Medina del Campo (1554) y los problemas
metodológicos de su filiación, Salina, 2003, pp . 59-70.
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Per quanto riguarda l’autore ,il Lazarillo risulta tutt’ora figlio di padre ignoto, nacque
anonimo e tale è rimasto. Il mistero che avvolge l’identità dell’autore ha resistito alle
indagini degli studiosi più attenti. L’anonimato entra nel vivo del romanzo, come una
circostanza che ne svela un’intenzione segreta. L’autore vi è stato spinto
probabilmente dal timore di censure e magari anche dal non voler associare il suo
nome ad una materia “degradante”.
Quello dell’autore è stato un problema a lungo dibattuto: l’attribuzione più antica e
anche più plausibile risale già al 1605, da parte del frate geronimita José de Sigüenza
che, nella storia del proprio ordine religioso, riporta una voce secondo cui il
confratello Juan de Ortega sarebbe stato trovato in possesso del manoscritto di
proprio pugno del libro. Poco dopo, nel 1607, il bibliografo fiammingo Valerio
Andrés Taxandro, nel suo Catalogus clarorum Hispaniae scriptorum lo attribuisce a
Diego Hurtado de Mendoza, poeta e diplomatico tra i più colti poeti del tempo
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.
L’argomentazione a favore di Mendoza, come è stata presentata da Gonzáles
Palencia afferma che lo stile breve e conciso del Lazarillo coincide con quello di
alcune sue lettere e opere in prosa. Quest’attribuzione è stata difesa ancora in anni
recenti.
Alla fine del XIX secolo, un celebre ispanista, Alfred Morel-Fatio, sottolineando lo
spirito anticlericale, propone di cercare l’autore nel circolo erasmista dei fratelli
Valdés, proposta elaborata in seguito da Manuel J. Asensio, che convinto che l’opera
sia stata scritta durante la prigionia di Francesco I, insiste nell’identificazione del
Duca di Escalona a cui sia allude nel primo trattato con Diego López Pachego, il
quale ritirato nella villa di Toledo, in terre familiari all’autore del Lazarillo, riunì
intorno a lui dal 1523, una piccola comunità di “alumbrados” tra i quali si conta Juan
de Valdés.
Inaccettabile sembra invece la proposta di Fonger de Hann che concentrò la sua
attenzione su un certo Lope de Rueda, autore teatrale che nel 1538 faceva parte dei
banditori di Toledo, interpretando il romanzo come la sua autobiografia
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.
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Cfr. F. Rico, Lazarillo de Tormes, Ediciones Cátedra (Grupo Anaya, S.A.), Madrid, 1987,2008, p.36.
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Ivi, p. 40.
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Nel 1867 José María Asensio notò alcune somiglianze “hasta en alguna de las
expresiones”
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nella Representación de la historia evangélica del capítulo nono de
San Joan, di Sebastián de Horozco in cui compare un “mozo” chiamato Lazarillo. In
seguito anche Julio Cejador, in un’edizione per i classici La Lectura [1914],
appoggiò la tesi di Asensio, teoria che sarà contestata da Emilio Cotarelo [1915] che
iniziò la pubblicazione del Libro de proverbios o Refranes glosados di quest’autore.
Quarant’ anni più tardi, tuttavia Márquez Villanueva [1975] la ripropose, sostenendo
che ciechi, scudieri, imbroglioni e frati sono personaggi presentati nell’ opera di
Horozco con una fisionomia che somiglia molto a quella dei protagonisti del
Lazarillo. Inoltre sottolinea anche che quest’ultimo conosceva molto bene
Salamanca, Toledo così come il percorso tra le due città, e nota una familiarità nel
linguaggio e nei processi giuridici. Bisogna ricordare infine che Juan de Junta,
stampatore dell’edizione di Burgos del Lazarillo, due anni più tardi, pubblica il Libro
del número septenario, solo inizialmente di autore anonimo, poiché verrà in seguito
legittimamente attribuito a Sebastián de Horozco. Conclude quindi Márquez, che
siamo di fronte al più qualificato aspirante alla paternità del Lazarillo. Pur senza
proporre una possibile paternità, A.F.G. Bell suggerì che la nostra opera è stata
composta da un umanista della Spagna del Rinascimento, un intellettuale che sarà poi
identificato da Arturo Marasso [1955], con Pedro de Rúa, il dotto contraddittore del
frate Antonio de Guevara.
Più recentemente, A.Rumeau [1964], spulciando nella splendida produzione di
Hernán Núñez de Toledo, uno dei maggiori filologi dell’epoca e il più illustre
discepolo di Nebrija, ha esaminato la ripetuta apparizione di una citazione con
paralleli nel prologo della nostra opera: “la honra cría las artes y todos nos
incitamos por codicia de la gloria”, “ como sea hombre y no mejor que mis
vecinos…”.
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Infine, nel XXI secolo c’è chi come Rosa Navarro, ritiene Alfonso de Valdés,
segretario di Stato di Carlo V, l’autentico autore del Lazarillo de Tormes.
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Cit. José María Asensio, Sebastián de Horozco. Noticias y obras inéditas de este autor dramático
desconocido, Sevilla, 1867, p. 46, n. 1.
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Cfr. F. Rico, Lazarillo de Tormes, , pp. 35-43.
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Quest’ultima, che condurrà un’indagine di tre anni, rendendosi conto di una fusione
dell’ultimo paragrafo del prologo con il primo dell’inizio dell’opera, afferma che è
stata stracciata una pagina nella quale l’autore spiegherebbe la trama e l’intenzione
del testo, vale a dire una critica di origine erasmista alla Corte e alla Chiesa.
Affermando quindi che l’Erasmismo è presente in tutta l’opera, come si può notare
dai vizi illustrati di tutti i padroni di Lázaro appartenenti alla chiesa, è fermamente
convinta che l’autore appartenga a questa corrente. Inoltre, analizzando il marco
temporale scelto per narrare la storia, ossia la sconfitta di Gelves (1510) di Fernando
il Cattolico e l’entrata dell’imperatore Carlo V a Toledo nel 1525, per celebrare le
Cortes, sostiene che lo scrittore deve essere un fedele servitore di Carlo V. Per di più
afferma che siamo di fronte ad un cortigiano, poiché dopo aver attaccato i vari
padroni, introduce lo scudiero, vanitoso e ipocrita, un nullatenente che non vuole
lavorare, ma di buon animo, l’unico verso il quale Lázaro proverà compassione.
In conclusione Rosa Navarro Duran sostiene che un’opera con tale complessità
narrativa deriva da una grande quantità di letture. Difatti analizzerà i vari testi letti da
Valdés, trovando molte tracce di questi ultimi nel Lazarillo.
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Tuttavia, nessuno di queste attribuzioni è stata comprovata, l’indagine ha solo portato
a congetture più o meno abilmente motivate che destinano l’opera a rimanere
nell’anonimato.
Un’altra incognita della nostra opera è la data di creazione. Si è tentato di
identificarla attraverso i riferimenti storici presenti nel romanzo, quantunque questi
ultimi non siano del tutto chiari. Se come già detto il Lazarillo arriva alla stampa alla
metà del Cinquecento, diverse sono le supposizioni riguardanti il momento in cui è
stato scritto. Le osservazioni fondamentali sono due: la critica più antica lo situa
intorno al 1525-30, mentre dalla seconda metà del secolo XX molti hanno
approssimato la data di scrittura intorno a quella della prima edizione.
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Cfr. Novela Picaresca I [Edición y prólogo de Rosa Navarro Durán], Ediciones de la Fundación José
Antonio de Castro, Madrid, 2008, pp. XIV-LXIX.
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La narrazione avviene tra due avvenimenti storici della stessa età: la disastrosa
spedizione di Gelves (1510) nella quale morì il padre del protagonista (come afferma
la madre), e le Cortes celebrate a Toledo dall’imperatore Carlo V, che corrispondono
al momento finale in cui il banditore, sposato con la domestica dell’arciprete, estaba
en [su] prosperidad y en la cumbre de toda buena fortuna
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.
Prendendo come punto di partenza gli otto anni che Lazaro dichiara di avere quando
muore suo padre, la cronologia interna ci permette di calcolare che il protagonista
alla fine del racconto aveva pressappoco venticinque anni. Le Cortes di Toledo a cui
si allude dovrebbero quindi essere quelle del 1525, pertanto il romanzo sarebbe stato
scritto successivamente. Questa datazione risulterà però poco convincente man mano
che si avanza nel racconto, poiché appaiono avvenimenti e riferimenti associabili ad
una realtà posteriore, che induce a datare la fine della storia intorno al 1540, e il
proprio atto di scrittura dell’autore intorno al 1550. Le Cortes di Toledo, quindi
potrebbero essere quelle del 1538-39: a queste farà riferimento anche il continuatore
del Lazarillo, nella seconda parte del 1555.
Inoltre, nel capitolo III, Lázaro allude alla carestia del grano e all’ordine di
espulsione dei mendicanti forestieri promulgato dal comune di Toledo e sebbene il
problema della mendicità abbia le sue radici in un tempo anteriore, non sembra
possibile comprendere fino in fondo la situazione narrata nel Lazarillo se non alla
luce delle disposizioni effettive adottate dal 1540 in poi.
Ciò che sembra invece più o meno accertata è l’area di provenienza: cioè quella del
colto Umanesimo castigliano o forse, e una cosa non esclude l’altra, quella suggerita
da A. Castro, dei cristianos nuevos, cioè di quegli ebrei convertitisi forzatamente al
Cristianesimo dopo l’editto d’espulsione del 1492. Lo proverebbe l’anticlericalismo
che pervade tutto il libro e la raffinata cultura classica che traspare nel Prólogo.
Il Lazarillo de Tormes vede la luce durante il regno di Carlo V (1517-1556), in un
momento nel quale la Spagna, elevata già dai Re Cattolici al rango di gran potenza,
raggiunge l’apogeo dell’imperialismo.
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Cfr. F. Rico, Lazarillo de Tormes, p.135.
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Ciò nonostante, questo Paese all’inizio del Cinquecento è simile ad un edificio
dall’apparenza splendente, in quanto non mancano gravissimi problemi che danno
inizio ad un processo di disgregazione politico-economica che porterà alla decadenza
nel secolo successivo.
La Spagna si trova in un periodo di agitata politica internazionale. Il Re nei primi
anni dovrà affrontare molteplici ostilità quali: la guerra tra le comunità di Castiglia,
la Francia che aspirava all’egemonia, i protestanti, i turchi e in alcune circostanze il
Papato.
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Le guerre religiose e i costi della politica imperialistica portano povertà e miseria. Il
dramma del nuovo Stato è proprio quello di trovarsi alla testa di un immenso impero
senza possedere le strutture adeguate a mantenerlo. La conquista dell’America e lo
sfruttamento delle sue ricchezze servirà solo a finanziare le campagne belliche e
inoltre il conflitto delle caste che porterà alla rottura dell’equilibrio che permetteva la
convivenza tra musulmani, cristiani ed ebrei, incrementa il declino, poiché la
monarchia spagnola, in nome dell’integrità ideologica e razziale, non esita ad
espellere musulmani ed ebrei, il solo nucleo etnico capace di un’attività economica
fiorente.
Per quanto riguarda la sfera religiosa, molti cristiani erano delusi e preoccupati dal
fanatismo e dall’uso politico della religione. Vi era in Spagna un fermento
riformatore, piuttosto vago e confuso, diviso in gruppi difficilmente distinguibili. La
corrente più diffusa era quella degli alumbrados (illuminati), la cui pratica religiosa
andava verso forme di misticismo.
Anche all’interno degli ambienti cristiani più colti e meno sospetti di deviazioni
nell’ortodossia era profonda l’esigenza di una riforma. In questo contesto trova
terreno fertile il pensiero di Erasmo che sembra interpretare i sentimenti dei molti
cristiani (conversi in prima fila) delusi. Erasmo propone una religiosità vissuta
interiormente, svalutando le sue manifestazioni esteriori quando hanno un carattere
ritualista e abitudinario, o quando sconfinano nella superstizione. Condanna
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Cfr. Samonà/Mancini/Guazzelli/Martinengo, La letteratura spagnola dei secolo d’Oro, Sansoni –
Accademia, Firenze, Milano, 1973, p. 8.