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L’economia va incontro a un continuo processo di “dematerializzazione”
contraddistinto dal primato del know-how sul capitale, che porta con sé due
principali conseguenze: una riduzione dei costi, che si traduce in benessere per la
società nel suo complesso, e la globalizzazione del mercato, favorita dalla facilità
con cui le informazioni, i prodotti e i servizi riescono a circolare rispetto ai beni
fisici. Il calo dei costi e la globalizzazione del mercato implica una spinta
concorrenziale senza precedenti e una graduale diminuzione di importanza dei
confini geografici. Molte organizzazioni hanno sperimentato e stanno
sperimentando che i modelli convenzionali di management non sono più adeguati
nel nuovo contesto strategico, caratterizzato dall’aumento dell’intensità e della
complessità della competizione.
Cambia la natura stessa della competizione, non essendo più sufficiente
l’efficienza se non accompagnata da capacità innovativa, qualità, servizio e
flessibilità.
In un mercato dominato dalle caratteristiche dell’ipercompetizione, dunque, le
imprese si affermano grazie all’originalità e alle capacità innovative: la
differenziazione della propria offerta, la diversificazione tra i prodotti, la presenza
in aree geografiche nuove e distanti. In passato la competizione tra aziende era
basata in larga misura sui differenziali di costo, ma, successivamente, l’ingresso,
sul mercato dei paesi in via di sviluppo con costi di produzione molto più bassi e
una discreta capacità industriale hanno causato un progressivo spostamento
dell’attenzione sui differenziali di competitività e sulla capacità delle imprese di
migliorare i propri prodotti e servizi.
Le imprese dei Paesi avanzati si devono quasi sempre confrontare sul piano
dell’abilità dell’innovare e, per farlo, devono sfruttare nel migliore dei modi i
fattori di “intelligenza”. E’ quindi diventato indispensabile oggi, più che in
passato, gestire e valorizzare il patrimonio di conoscenza organizzativa.
Per soddisfare il fabbisogno di conoscenza dell’impresa occorre realizzare un
sistema di business intelligence che costituisca un efficace risposta per gestire il
cambiamento ed operare con successo nel contesto competitivo.
Il significato di business intelligence è legato alla parola “intelligence” che è
l’abilità ad imparare, a capire una nuova situazione, la capacità ad utilizzare la
ragione, l’abilità ad applicare la conoscenza.
6
In altre parole la BI è un insieme di concetti, metodi e processi per supportare e
migliorare le decisioni aziendali usando i dati e le informazioni provenienti da
sorgenti multiple a cui viene applicata l’esperienza per sviluppare un’accurata
comprensione delle dinamiche del business.
Le aree alle quali è possibile applicare le tecnologie di BI rappresentano la quasi
totalità dei settori aziendali, anche se storicamente il CRM ha visto il maggior
numero di applicazioni sul campo. Tanto più le aziende producono informazioni,
tanto più hanno bisogno di presentarle in maniera armonica per supportare i
processi decisionali; la BI si rivolge principalmente al knowledge worker,
fornendo gli strumenti necessari a prendere decisioni e risolvere problemi. E’
necessario disporre di un funzionale sistema informativo che permetta di
raccogliere i dati provenienti dalle fonti interne ed esterne allo scopo di
trasformarli in informazioni utili per supportare i processi decisionali.
Molte imprese, infatti, anche se carenti di stock di risorse umane, finanziarie e
tecnologiche riescono a competere brillantemente sul mercato in quanto
possiedono ottime capacità in termini di flessibilità, tempi di reazione e capacità
di innovazione. Occorre elaborare politiche, programmi, metodi, strumenti,
prodotti e servizi che tengano conto del cambiamento continuo che caratterizza lo
scenario odierno e che mediante flessibilità e integrazione sappiano gestire
efficacemente la risorsa critica della conoscenza.
In uno scenario complesso e instabile come quello della nuova economia, infatti,
uno degli elementi fondanti è la conoscenza, ciò spiega l’interesse sempre
maggiore delle imprese nei confronti del knowledge management. L’applicabilità
pratica di sistemi per la creazione e gestione della conoscenza è diventata concreta
solo recentemente con il diffondersi di sistemi di accesso all’informazione
automatizzati. I mezzi tecnologici odierni consentono di gestire la conoscenza con
basi di dati più flessibili e facilmente condivisibili, con enormi capacità di
memorizzazione, con accesso multimodale e a costi molto bassi.
Il knowledge management, tuttavia, non riguarda solo un ambito tecnologico, ma
incide, soprattutto, sugli aspetti organizzativi interni all’impresa.
7
Difatti, anche utilizzando le più sofisticate infrastrutture, se non si attivano i
meccanismi organizzativi, i processi interni e, soprattutto, le motivazioni, la
cultura e i valori delle persone che lavorano in azienda e accettano di condividere
la conoscenza, risulterà difficile ottenere una sua efficace gestione.
Le soluzioni di business intelligence flessibili ed integrate rappresentano, dunque,
uno strumento gestionale efficace nei contesti concorrenziali perché permettono di
completare il processo di trasformazione dei dati in informazioni e di queste
ultime in conoscenza, allo scopo di conseguire un vantaggio competitivo
durevole. Molte aziende, tuttavia, sono spesso frenate nell’investire in progetti di
business intelligence, in quanto la valutazione ex ante degli investimenti non è
quantificabile con precisione.
Focalizzando l’attenzione sulla moderna distribuzione è possibile notare che è in
forte espansione nel nostro paese, ma che presenta anche problematiche e
caratteristiche che rendono l’utilizzo della business intelligence indispensabile.
Infatti, le applicazioni analitiche e gli strumenti a supporto delle decisioni
garantiscono ai retailer un’evoluzione in termini di competitività ed efficienza.
La distribuzione, ancor più degli altri settori economici, si trova nella necessità di
gestire un grande quantitativo di dati e ciò spiega l’attenzione degli operatori
verso l’opportunità che la digitalizzazione delle informazioni può offrire.
Il proliferare d’applicazioni gestionali, quali il Customer relationship management
(Crm), il Supply chain management (Scm), l’Enterprise resource planning (Erp),
da un lato ha migliorato l’efficienza e la governabilità dell’azienda, dall’altro lato
produce un enorme quantitativo di dati che rappresentano il risultato dei processi
gestiti. Tuttavia, la capacità di analizzare i dati e trasformarli in informazioni per
far emergere la “conoscenza” non è un’operazione semplice.Da anni la business
intelligence si occupa di questo aspetto e oggi ha raggiunto un livello di
funzionalità ed efficacia tale da rappresentare un asset strategico irrinunciabile.
La business intelligence può, comunque, essere utilizzata in qualsiasi settore in
cui ci si trovi a gestire un grande quantitativo di dati e in cui la tempestività delle
decisioni può determinare la validità delle scelte strategiche d’impresa.
Gestire un’azienda che opera nel retailing con grandi volumi di dati senza disporre
di applicazioni di business intelligence è oggi molto difficile, tant’è che ogni
player di settore si è dotato di una soluzione di questo tipo.
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I grandi fruitori di business intelligence restano le medie e grandi imprese, anche
perché è in queste realtà che la massa dei dati accumulata è sempre più difficile da
interpretare. Questo non vuol dire che le piccole imprese siano tagliate fuori da
questo mercato, ma vanno gestite diversamente. L’impresa che opera con
successo nel proprio contesto sa sfruttare i vantaggi della globalizzazione, estende
i propri confini informativi e culturali, rinforza le relazioni con i propri partners,
opera nei mercati elettronici, in una parola assume sempre più la veste di
“extended enterprise”. L’economia odierna sempre più globale e basata sulla
conoscenza può, dunque, rappresentare sia un’opportunità sia una minaccia per le
imprese, compete alle singole aziende dotarsi di infrastrutture e applicativi in
grado di supportare il management verso le decisioni e le strategie corrette.
La struttura della tesi è articolata in quattro capitoli. Nel primo capitolo si affronta
l’importante distinzione tra dati, informazioni e conoscenza.
Successivamente si analizza il valore dell’informazione e della conoscenza nelle
organizzazioni al fine di tracciare l’importante processo di trasformazione dei dati
in informazioni allo scopo di creare conoscenza organizzativa.
Nel secondo capitolo, viene approfondito il knowledge management (KM), inteso
come sistema composto da elementi strutturali, relazioni e interrelazioni che
caratterizzano e condizionano un’efficace gestione della conoscenza d’impresa.
Il terzo capitolo si sofferma sulla struttura di business intelligence che rappresenta
uno strumento per supportare i processi decisionali e per gestire la risorsa critica
della conoscenza. Il framework di business intelligence scelto consente di
analizzare i diversi tools che compongono, generalmente, una struttura di business
intelligence. Infine, nel quarto capitolo viene effettuata un’analisi della business
intelligence intesa come supporto decisionale per le scelte gestionali delle imprese
commerciali in relazione all’analisi della domanda, dell’offerta e della
concorrenza. In questa sede vengono trattati applicativi gestionali che si legano
fortemente alla business intelligence e al knowledge management e che
scaturiscono dalle esigenze delle imprese commerciali moderne.
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“ La conoscenza non rappresenta il fine supremo dell’uomo,
ma è solo uno strumento per quel fine”.
P. Martinetti
Capitolo I
La trasformazione dei dati
in informazioni per creare
conoscenza organizzativa
10
1.1 Dati, informazioni e conoscenza: un processo di
distinzione e di sviluppo
La distinzione tra conoscenza, informazione e dato rappresenta solo un primo
passo verso la comprensione delle caratteristiche e dei processi di diffusione della
conoscenza.
I dati rappresentano gli output, privi di significato, di una qualsiasi operazione.
Sono la rappresentazione simbolica di numeri, lettere, fatti, immagini e il mezzo
attraverso cui le informazioni e la conoscenza sono immagazzinate e trasferite
(Ahmed, Lim e Loh, 2002).
I dati indicano fatti individuali che si trovano, dappertutto, in un’azienda. Questi
fatti possono essere rintracciati facilmente mediante l’ausilio dei nuovi mezzi
elettronici. I dati sono insignificanti da soli, è necessario per renderli attinenti
attribuire una meta agli stessi. I dati vengono trasformati in informazioni
attraverso l’interpretazione, la contestualizzazione e la strutturazione; le
informazioni, dunque, sono dati dotati di una struttura, di un’organizzazione, di
una sintesi. Huber (1991) definisce l’informazione come quel dato che ha un
significato in quanto riduce l’ambiguità o l’incertezza; secondo Davenport e
Prusak (1998), l’informazione è quel dato al quale è stato aggiunto un significato,
un valore; è quel dato che “fa la differenza”.
I dati sono grezzi. Sono, per esempio, il singolo record del cliente Rossi che ha
acquistato una lavatrice al prezzo di 400 EU.
Le informazioni sono dati accompagnati, in una certa misura, da un contesto e da
un significato economico. Ad esempio, potrebbe essere la lista dei prodotti
acquistati nell’ultimo anno dal cliente Rossi, il numero di lavatrici vendute
nell’ultimo anno, e così via.
La conoscenza, rappresenta il prodotto complesso dell’apprendimento, che deriva
dall’interpretazione d’informazioni e di credenze su relazioni di causa-effetto,
dall’applicazione delle informazioni.
11
La conoscenza è fatta di credenze, giudizi, prospettive, interpretazioni, aspettative,
ha una natura personale ed intangibile (Ahmed, Lim e Loh, 2002). La conoscenza
è il risultato dell'interazione tra informazioni e l'esperienza personale.
La produzione della conoscenza, infatti, implica un processo di rielaborazione
dell’informazione, processo sul quale influiscono le caratteristiche cognitive degli
attori.
Secondo Nonaka e Takeuchi (1995) ciò che distingue la conoscenza
dall’informazione è il suo essere connessa all’azione umana e legata al contesto in
cui si sviluppa. La conoscenza, a differenza dell’informazione, è funzione delle
credenze, dell’impegno, della dedizione, dell’intenzionalità degli attori.
Inoltre, essa è dotata di significato e coinvolge sempre l’azione, in quanto diretta
ad un determinato fine. Questa definizione evidenzia la natura intrinsecamente
dinamica e relazionale della conoscenza, che si differenzia profondamente dalla
natura statica ed atomistica dell’informazione (Rullani, 1994).
L’informazione è statica in quanto si compone di un insieme di dati riguardanti gli
stati del mondo e le conseguenze da questi derivanti; atomistica perché considera
gli individui indipendentemente dal loro contesto e dalla loro storia. La
conoscenza ha invece una natura dinamica in quanto mantiene il suo valore solo
se viene continuamente rigenerata ed ampliata attraverso processi
d’apprendimento, e relazionale nella misura in cui nasce da un lavoro
d’interpretazione che, collocando il singolo fenomeno in una rete concettuale di
schemi, aspettative, memorie, sedimentate nell’individuo e nei sistemi sociali, gli
assegna un significato in relazione ad esperienze precedenti, alla specificità dei
loro contesti di azione, alla comunicazione che si svolge per socializzare tali
esperienze (Rullani, 1994).
La distinzione tra dati, informazioni e conoscenza è fondamentale non soltanto
perché in letteratura è, ormai, consolidata ma soprattutto perché incorpora al suo
interno un processo di sviluppo oltre che di distinzione.
Tale processo consiste nella capacità da parte di una organizzazione di trasformare
i dati in informazioni e le informazioni in conoscenza al fine di conseguire un
vantaggio competitivo il più possibile duraturo.
12
L’obiettivo finale è la conoscenza organizzativa costituita dall’insieme delle
competenze individuali e dei principi organizzativi attraverso i quali le relazioni
tra individui, gruppi, e membri di un network sono strutturati e coordinati (Zander
e Kogut, 1995). La conoscenza organizzativa è dunque racchiusa all’interno di
routine che costituiscono la memoria delle organizzazioni in quanto conservano
una rappresentazione, spesso implicita, del percorso storico dell’impresa (Nelson
e Winter, 1982). Le routine rappresentano la parte automatica delle competenze di
un’organizzazione ovvero della capacità di attivare processi organizzativi che
consentano di ricombinare i propri asset (Amit e Shoemaker, 1993). Le routine,
pertanto, rappresentano le “memorie” dell’organizzazione.
In esse si accumula la conoscenza che viene riprodotta quotidianamente
dall’impresa. Si consolidano in seguito a ripetute applicazioni che, col trascorrere
del tempo, hanno reso implicita l’attività di problem solving, configurandosi come
risposte meccaniche ai problemi di gestione operativa (routine operative) e
strategica (routine strategiche). Le aziende per raggiungere questo obiettivo hanno
bisogno di un’infrastruttura di business intelligence che consenta loro di
supportare i processi decisionali e di agire in una logica basata sul management
della conoscenza.
13
1.2 Il valore dell’informazione in azienda
L'informazione è diventata tanto più utile quanto più alto è il numero delle
persone che riescono a condividerla. Per rendere la conoscenza accessibile a tutti è
necessario che l'informazione venga organizzata e strutturata.
Negli ultimi anni Internet ha enormemente facilitato la condivisione delle
informazioni (incrementandone proporzionalmente l'utilità), ma questa
conoscenza allargata ha creato una nuova problematica: quella dell'organizzazione
e gestione delle informazioni. Pensiamo a tutto il patrimonio di conoscenze di
un'azienda. Tutto ciò che ognuno impara dalla propria esperienza o dal confronto
con i colleghi condividendolo in report, brief o altri documenti. Pensiamo a quella
miniera di informazioni, dati e notizie contenuti in circolari, statistiche, case
history, attività pianificate. Questo fiume di conoscenza rischia spesso di restare
inutilizzato, accantonato in polverosi armadietti o in file sperduti tra le risorse di
rete, miniera abbondante e abbandonata per l'impossibilità di orientarsi al suo
interno.
É necessario rendere utile la conoscenza o, se si vuole, trasformare l'informazione
in business intelligence. Dove per informazione si intende un contenuto che
sicuramente esiste, ma che è talmente complicato da cercare che non vale la pena
farlo. E per business intelligence si definisce quella informazione strutturata che si
trova immediatamente, per cui vale la pena perdere tre minuti di tempo per
disporre di elementi aggiuntivi e decidere in base a dati più completi.
L'insieme delle tecnologie pensate per raccogliere, organizzare e rendere
accessibile l'informazione in quel lasso di tempo terribilmente breve che è
normalmente l'intervallo concesso per prendere una decisione fondamentale,
rappresentano quello che viene definito il knowledge management.
Anche se il nome può trarre in inganno, profilando preoccupanti processi di
controllo mentale, la disciplina sta dalla parte delle risorse umane. Se infatti le
persone sono la base della conoscenza, l'informatica viene in soccorso alla limitata
memoria umana, trasformando il mero dato in informazione organizzata (cioè
rilevante).
14
In questo senso l'investimento in knowledge management rappresenta una
decisione strategica capace di rendere la conoscenza a livello individuale
patrimonio accessibile a tutti, e trasformando la cultura aziendale in capitale
intellettuale e, concretamente, in una risorsa per realizzare obiettivi e profitti.
Posta elettronica, condivisione via Web di dati, dei documenti e persino dei
desktop sono gli aspetti più eclatanti di quanto stia mutando l'organizzazione
interna delle imprese. La sempre maggiore disponibilità di informazioni,
accessibili per di più in tempo reale, non solo migliora i processi e flussi di lavoro
ma soprattutto offre quel salto nella produttività da sempre promesso
dall'informatica. Già, perché l'informazione è diventata un fattore di produzione al
pari di terra, lavoro e capitale. Beninteso, l'informazione e non i dati: quello che
occorre, infatti, è la capacità di trasformare il flusso di meri dati in informazioni e
quindi in conoscenza utilizzabile.
Inutile creare vastissimi archivi (datawarehouse) per memorizzare ogni sorta di
dati su clienti e fornitori se poi non vi sono strumenti di analisi che consentono di
tradurli in informazioni utili. E qui entra in campo la tecnologia dei software di
business intelligence, un settore di nicchia ma strategico, collaterale a quello dei
motori per basi di dati con il quale in molti casi si sta fondendo. Questi strumenti,
difatti, permettono di profilare i clienti sulla base di anagrafiche o contatti ricevuti
via e-mail o via call center. In questo modo, le aziende possono conoscere meglio
il mercato nel quale operano e regolarsi di conseguenza. Ma non solo: è possibile
anche individuare colli di bottiglia e scoprire le inefficienze interne ed esterne
(quelle dei fornitori per esempio) e mettere, pertanto, nelle mani dei manager
strumenti di correzione in tempo reale. E proprio per queste doti strategiche il
segmento della business intelligence e degli strumenti di datawarehousing è uno
dei pochi che ha mantenuto tassi di crescita a due cifre anche in Italia, in netta
controtendenza rispetto alla flessione complessiva del mercato dell'Ict. Queste
tecnologie sono usate, secondo un'analisi di NetConsulting, nei rapporti di
amministrazione e negli uffici marketing. Gli analisti di Idc prevedono un tasso
annuo di crescita (fino al 2006) per software e servizi di business intelligence pari
al 9,64%, mentre gli strumenti per il datawarehousing si attestano sul 10,66 %.
15
Boom anche per i software di gestione della conoscenza (knowledge
management) che, sempre per Idc, cresceranno di oltre il 30% all'anno.
Con l'aumento del numero dei canali informativi l'azienda cessa di essere una
struttura monolitica autoreferenziata ma si apre verso l'esterno, "agganciandosi" ai
partners e ai clienti. La situazione diventa ancora più complessa con la diffusione
delle tecnologie wireless. Se tutta la capacità di elaborazione e comunicazione di
un personal computer connesso alla rete aziendale potesse essere trasportata
ovunque, l'ufficio avrebbe perso una buona parte della sua utilità, almeno per tutti
i professionisti delle vendite, delle relazioni con partners e fornitori, per i
ricercatori, i giornalisti freelance e per molti altri lavoratori nomadi.
1
Ogni dato ha un valore che non deriva dal dato in sé ma piuttosto dal modo in cui
l’azienda se ne avvale per facilitare la propria attività quotidiana. Il valore dei dati
non sta nel possederli, ma nel farne buon uso, il valore si accresce con il numero
di utenti, in quanto ciascun individuo non solo ricava il proprio valore personale,
ma scambia con altri le conoscenze di cui è venuto in possesso.
Non è facile definire una formula per calcolare il valore dell’informazione, ma si
può definire una funzione del numero di utenti che possono accedere a
quell’informazione e analizzarla, e del numero di aree a cui questi utenti
appartengono:
Valore (informazione) = Utenti
2
x Aree di business
Si usa il quadrato del numero di utenti ispirandosi alla legge di Metcalfe per le reti
(tanto più è elevato il numero delle unità connesse, tanto maggiore è il numero
delle interazioni possibili e di conseguenza il valore potenziale di questi elementi
interconnessi cresce in maniera esponenziale).
1
La soluzione che più si avvicina a questa situazione è quella del notebook con antennina Wi-Fi in
un territorio nel quale è disponibile un punto di accesso wireless alla Rete. Il boom del fenomeno
all'interno delle aziende è già cominciato anche in Italia, nonostante i freni posti dai timori per la
sicurezza, si tratta di un sistema comodo per entrare in rete.
16
1.2.1 La curva del valore dell’informazione
L’informazione nel mondo del business comporta generalmente potere, solo pochi
dirigenti di alto livello hanno accesso a informazioni finanziare consolidate. Non
tutte le informazioni riguardanti un’azienda possono essere diffuse senza
restrizioni tra i suoi dipendenti (riservatezza e responsabilità).
Esistono diversi modelli di gestione dell’informazione, tali modelli hanno subito
un’evoluzione storica nel corso degli ultimi vent’anni.
La dittatura dell’informazione era il modello utilizzato negli anni ’80, ma viene
ancora utilizzato in alcune organizzazioni; si caratterizza per la presenza di grandi
sistemi basati su mainframe, in cui l’estrazione delle informazioni utili è un
procedimento difficile e non flessibile. Solo alcuni dirigenti d’alto livello hanno
accesso a tali informazioni attraverso sistemi chiamati Executive Information
Systems (EIS), attraverso un’interfaccia personalizzata i dirigenti possono
controllare aree chiave del business e prendere le decisioni in base a queste
informazioni, gli EIS sono complessi da programmare, costosi e rigidi nell’uso. Il
problema degli EIS è che si crea una profonda spaccatura tra chi ha le
informazioni e chi non le possiede
L’anarchia dell’informazione nasce quando individui o interi reparti prendono in
mano direttamente le proprie esigenze informative. Negli anni ‘80-90 con la
diffusione dei desktop e con la disponibilità di database, fogli elettronici e altri
software applicativi, divenne funzionale per i vari reparti creare i propri sistemi
informativi, questo si tradusse in feudi di dati, o silos di dati realizzati su
piattaforme e applicativi hardware e software eterogenei, incapaci di comunicare
tra loro, i dati relativi ai clienti non erano immagazzinati a livello centrale, ma
gestiti a livello locale sui singoli PC. Quando un venditore lasciava la ditta, spesso
anche le informazioni da lui gestite andavano perse, sorgono, inoltre, problemi di
coerenza dei dati e difficoltà di integrazione degli stessi; dati contrastanti,
imprecisi e non integrati possono compromettere le attività di un’organizzazione,
in quanto, si possono verificare situazioni in cui un dirigente riceve un report con
dati contrastanti da due uffici diversi, mettendo in dubbio la validità delle
informazioni.
17
Negli ultimi anni nelle aziende si è compreso che per diventare agili ed efficienti
non è più possibile lasciare la maggioranza dei dipendenti all’oscuro di ciò che
riguarda l’azienda, costringendoli a procedere e prendere decisioni senza
conoscere i fatti.
2
Si sta andando, dunque, verso la democrazia dell’informazione.
3
Uno studio recente ha dimostrato che il valore della soluzione business
intelligence di un’azienda dipende molto da tre fattori:
1. Il livello di democratizzazione del software di business intelligence
all’interno dell’organizzazione (cioè il rapporto tra gli utenti che hanno
accesso alla business intelligence e il numero totale dei desktop);
2. Il livello di responsabilizzazione (numero di utenti autorizzati a effettuare
richieste ad hoc di dati rispetto al numero di utenti totali);
3. La propensione “culturale” a superare i “compartimenti stagni”
dell’organizzazione (numero dei dipartimenti coinvolti nella soluzione
moltiplicato per la capacità di avere accesso a informazioni di altri
dipendenti).
Maggiore è il livello di democratizzazione e di responsabilizzazione, più alto è il
valore della business intelligence implementata. In altri termini, maggiore è la
quota di utenti che hanno accesso ai dati aziendali, e più ampio è il ventaglio di
informazioni loro fornite, più intelligente e vincente sarà l’organizzazione.
Maggiore è la propensione a rompere i confini dell’organizzazione, più alto è il
valore.
2
Nel suo modello di responsabilizzazione, Peter F.Drucker sostiene che “una decisione va presa al
livello più basso possibile nell’organizzazione e quanto più vicino possibile al punto in cui essa
verrà messa in pratica”; per mettere in atto una decisione in modo efficace, occorre far parte della
decisione stessa.
3
Prendiamo, a tal proposito, in esempio, Eli Lilly, gigante farmaceutico di Indianapolis, in questa
compagnia la comunità degli utenti dipendeva dallo staff IT per l’istallazione e manutenzione dei
DB e dei programmi applicativi (fogli elettronici, etc…), ciò aveva determinato un sovraccarico di
lavoro per lo staff IT e spesso i report prodotti dall’IT non erano quelli voluti dagli utenti.
Oggi Lilly è cambiata, infatti, presenta un sistema che permette agli utenti di accedere via WEB ai
500 gigabyte del datawarehouse dell’organizzazione, il settore IT non fungerà più da intermediario
tra gli utenti e le loro esigenze informative, l’uso dei dati del datawarehouse è passato da 40
(specialisti di marketing) a 3000 ( rappresentanti di vendita).
18
In altri termini, più sono i reparti che rendono disponibili i loro dati e maggiore è
la quota di utenti autorizzati ad accedervi da altri reparti, più intelligente e
vincente sarà l’organizzazione.
La democrazia dell’informazione non deve necessariamente arrestarsi al sistema
firewall della rete aziendale. Una extranet di business intelligence permette a
persone esterne all’organizzazione, come clienti o altri utenti che interagiscono
con l’azienda di consultare e analizzare informazioni con la possibilità di offrire
un enorme valore ai corrispondenti esterni dell’organizzazione
4
.
L’evoluzione dell’informazione in azienda ha attraversato durante gli ultimi
trent’anni diverse fasi, oggi stiamo assistendo ad un processo progressivo di
democratizzazione dell’informazione che si inserisce perfettamente nell’ambito di
un contesto globale caratterizzato da scambi informativi costanti e mondiali, basti
pensare al ruolo svolto, in tal senso, dal world wide web.
Se si analizza più in dettaglio la formula del valore dell’informazione con l’ausilio
del relativo grafico si riesce a capire meglio il percorso che può seguire
l’informazione in azienda e le relative implicazioni.
Valore (informazione) = Utenti
2
x Aree di business
4
Sono, fondamentalmente, tre le applicazioni possibili: supply chain extranet, customer
relationship extranet, information brokerage extranet.