4
Tra le opere critiche consultate, quella di Althusser ha , rispetto alle altre, il merito di
fissare un preciso criterio interpretativo per distinguere le varie tappe dell’evoluzione
filosofica giovanile di Marx, senza del quale non è possibile stabilire alcuna
periodizzazione. Quello proposto da Althusser, che ha conosciuto molta fortuna in Italia, è
il criterio che si potrebbe definire della identità dei presupposti teorici e della problematica da
cui prende le mosse la riflessione indipendentemente dagli oggetti su cui la riflessione
stessa si fissa
6
. Sulla base di tale criterio, Althusser fa coincidere la fase giovanile del
pensiero di Marx con il periodo umanista, il quale si suddividerebbe a sua volta in due fasi,
dominate rispettivamente da un umanismo razionalista di ispirazione kantiano-fichtiana
(dall’esordio agli articoli della “Gazzetta renana”), e dall’umanismo “comunitario” di
Feuerbach (dalla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico alla Sacra famiglia); la
conclusione di questo periodo, segnata dalle Tesi su Feuerbach, coinciderebbe con la
“rottura epistemologica” rappresentata dall’elaborazione della concezione materialistica
della storia formulata compiutamente nell’Ideologia tedesca con la quale si conclude anche
l’esperienza filosofica giovanile di Marx
7
.
In buona sostanza, il criterio suggerito da Althusser tiene distinta l’evoluzione delle
posizioni teoriche di Marx dalla sua evoluzione politica.
Il rischio insito in questa netta distinzione è quello di incorrere - come nota criticamente
C. Luporini - nel “limite” di non vedere quanto l’evoluzione politica abbia influito su
6
Cfr. ibidem, pp. 39-53.
7
Ibidem, pp. 199-206.
5
quella teorica
8
. Nondimeno, una tale separazione fa gioco ad una ricerca che si
proponga di enucleare nella formazione del giovane Marx il contributo feuerbachiano,
giacché esso si trova tutto nella dimensione strettamente teorica del pensiero marxiano.
Perciò, ma è persino superfluo sottolinearlo, è chiaro che con l’espressione “periodo
feuerbachiano” non si intende certo ridurre il pensiero del giovane Marx a quello di
Feuerbach, dal quale lo distingue sempre una caratterizzazione storico-politica che in
Feuerbach è quasi del tutto assente. Inoltre, è anche chiaro che l’immediato retroterra
filosofico-culturale di Marx non si limita al solo Feuerbach, ma è quello più generale del
movimento giovane hegeliano con il quale il giovane filosofo ha percorso un tratto di
strada breve ma non irrilevante, quanto meno perchè è stato il tratto iniziale. Per questo,
anche a rischio di appesantire il testo, ho dato sommariamente conto delle vicende della
atipica scuola filosofica che fu protagonista della vita culturale tedesca negli anni della
formazione filosofica di Marx.
Tornando alla questione del criterio utilizzato per valutare l’influenza feuerbachiana, pur
tenendo conto delle concordanze metodologiche, terminologiche e dei giudizi dello stesso
Marx, in ultima istanza il criterio fondamentale per stabilire un al di qua e un al di là di
Feuerbach, è stato quello della identità dei presupposti teorici, che pure m’ha condotto a
conclusioni differenti da quelle di chi l’ha proposto. Infatti, se per umanismo si intende un
principio teorico di comprensione del reale e della storia fondato sulla dialettica
dell’essenza dell’uomo, allora il periodo propriamente feuerbachiano di Marx è
circoscrivibile tra il Lutero arbitro tra Strauss e Feuerbach (inizi ‘42) e Per la critica della filosofia
del diritto di Hegel. Introduzione (fine ‘43). Il periodo precedente non solo non è qualificabile
come feuerbachiano, ma neppure come umanista, perchè se da un lato sul piano politico
8
C. Luporini, Nota introduttiva alla citata opera di L. Althusser, p. XXV.
6
Marx aderisce alle istanze liberali di ispirazione neo-illuminista dei giovani hegeliani,
dall’altro, sul piano più propriamente teorico, la sua riflessione appare dominata dalla
preoccupazione, hegeliana, di trovare un principio di interpretazione del reale sottratto ai
rischi del soggettivismo in cui incorre la filosofia dell’autocoscienza dei discepoli di Hegel,
ai quali Marx rimprovera, tra l’altro, di aver dato una spiegazione moralistica, anziché
filosofica, degli “accomodamenti” della filosofia hegeliana. In ciò, oltre che in una
concezione della filosofia come sapere essenzialmente sistematico, sta la prova della
distanza di Marx da Feuerbach, il quale, almeno a partire dal saggio Per la critica della
filosofia hegeliana (1839), è attestato su posizioni antisistematiche e antispeculative che
investono “il principio stesso” della filosofia di Hegel.
Il periodo propriamente feuerbachiano di Marx, data, come si è detto, a partire dal breve
saggio intitolato Lutero arbitro tra Strauss e Feuerbach, non tanto perchè in esso sono
contenute le prime espressioni di quel “culto di Feuerbach” che parecchi anni dopo
susciterà a Marx “un’impressione umoristica”, ma perchè Marx mostra di condividere
pienamente il principio umanistico espresso con la massima chiarezza nella da poco
pubblicata Essenza del cristianesimo. Il principio dell’uomo come soggetto della storia, come
soggetto anteposto alle costruzioni sociali (famiglia, società civile, Stato) le quali appaiono
come le forme in cui si realizza l’essenza dell’uomo, domina gli articoli politici scritti per la
“Gazzetta renana” e la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. Quest’ultimo mi
sembra il testo che segna la massima vicinanza di Marx a Feuerbach, sia tenendo conto del
criterio dell’identità dei presupposti teorici, sia tenendo presenti altri elementi quali la
sostanziale identità metodologica e di risultati della critica alla filosofia hegeliana.
Un primo distacco dalle posizioni feuerbachiane è avvertibile nella Questione ebraica e
nella Introduzione alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, dove comincia ad
7
emergere una diversa valutazione del rapporto di condizionalità tra la sfera dei rapporti
materiali e quella dei rapporti ideali (religiosi e politici); il subordinare il superamento
effettivo della religione e il conseguimento della piena emancipazione dell’uomo
all’eliminazione di “presupposti reali” (sarà l’argomento della quarta Tesi su Feuerbach)
anziché ad un articolo della Costituzione, implica che l’emancipazione non dipende dalla
pura volontà cosciente degli individui, dalla trasformazione della coscienza, ma dalla
trasformazione delle condizioni materiali che condizionano la coscienza stessa.
Da questa acquisizione, che costituisce il punto di passaggio al di là di Feuerbach, prende
le mosse la critica dell’economia politica che rappresenta il primo tentativo marxiano di
penetrare le condizioni materiali individuate come il luogo di origine dell’alienazione
dell’uomo. Naturalmente nei Manoscritti economico-filosofici sono ancora profonde le tracce
feuerbachiane sia sul piano metodologico (nell’analisi del lavoro alienato e in parte nella
definitiva critica ad Hegel), sia sul piano terminologico. Nondimeno mutano i presupposti
teorici da cui prende avvio la riflessione, benché Marx, a parte qualche rispettosa riserva
critica, non appaia affatto consapevole di questo distacco ( si considererà “feuerbachiano”
fino alla Sacra famiglia). Perciò, se per “rottura epistemologica” si intende la formulazione
di un nuovo sistema di concetti che fondano lo statuto epistemologico di una scienza del
reale e della storia fondata su basi empiriche, allora non v’è dubbio le Tesi su Feuerbach e
L’ideologia tedesca rappresentino uno snodo cruciale nella biografia intellettuale di Marx e
nella storia del pensiero non soltanto filosofico; se invece con tale formula si intende anche
porre una soluzione di continuità tra il materialismo storico e tutto il passato teorico del
giovane Marx, allora tale rottura non c’è, in quanto, ed è quello che conclusivamente ho
cercato di dimostrare, già nei Manoscritti sono presenti, anche se ancora da sviluppare, i
presupposti teorici della critica a Feuerbach e della concezione materialistica della storia.
8
Capitolo primo
Al di qua di Feuerbach
1. L’esordio filosofico di Marx.
La Tesi di laurea, una monografia dal titolo Differenza tra la filosofia della natura di
Democrito e quella di Epicuro
9
con la quale Marx venne proclamato dottore in filosofia
all’Università di Jena nell’aprile del 1841, è il primo compiuto lavoro del giovane filosofo,
benché nelle sue intenzioni essa avrebbe dovuto essere solo un’anticipazione di una più
ampia trattazione sul rapporto tra le filosofie epicurea, stoica e scettica e la precedente
filosofia greca. Marx non portò a termine il progetto, tuttavia ce ne restano le Vorarbeiten,
sette quaderni di lavori preparatori
10
all’interno dei quali si trovano pagine che esulano
dall’argomento specifico e che, unitamente alle Annotazioni maggiori alla Tesi
11
, mette
conto considerare per prime. Ciò per due motivi: in primo luogo perché esse gettano luce
sul significato non meramente storico-filosofico della Dissertazione dottorale e, in secondo
9
K. Marx, Differenz der demokritischen und epikureischen Naturphilosophie, in Marx-Engels, Opere, I, tr. it. di M.
Cingoli, Roma, Editori Riuniti, 1980, pp. 19-103 (ed. da cui cito). La Tesi constava di una prefazione, di due
parti di cinque capitoli ciascuna e di un’Appendice sulla critica di Plutarco ad Epicuro; sono andati perduti
il quarto e il quinto capitolo della prima parte e dell’Appendice è rimasto un frammento di quattro pagine di
cui dà la traduzione A. Sabetti in appendice al suo Sulla fondazione del materialismo storico, cit., pp. 405-410
(ed. da cui cito).
10
I lavori preparatori constano di sette “Quaderni sulla filosofia epicurea” e di altri otto denominati
“Quaderni berlinesi” i quali contengono traduzioni di alcuni libri del “De Anima” di Aristotele ed estratti
da opere di Leibniz e Spinoza (cfr. Marx-Engels, Opere, I, cit., nota n° 506, p. 904). I lavori preparatori cui si fa
riferimento nel testo sono solo i “Quaderni sulla filosofia epicurea”, tradotti in Marx-Engels, Opere, I, cit. pp.
423-567.
11
Si intende la nota n° 2 al capitolo IV della I parte della Tesi e la nota n° 9 al capitolo I della I parte
dell’Appendice.
9
luogo, perché dalla loro analisi è possibile stabilire la posizione del giovane Marx nel
momento del suo esordio filosofico sia rispetto a Hegel, sia rispetto a Feuerbach e agli altri
giovani hegeliani con alcuni dei quali egli era in contatto fin dal suo arrivo a Berlino, nel
1837, attraverso le riunioni del Doktorclub
12
.
Come ci attestano con chiarezza queste pagine, il vero nodo teoretico attorno al quale
ruota la riflessione del giovane Marx in questo momento è un problema tipicamente
giovane hegeliano, anzi è il punto cruciale sul quale si era consumata la scissione della
scuola hegeliana, ovvero il problema del rapporto tra la filosofia e la realtà. “Il complesso
della dottrina di Hegel” - scrive Engels- “lasciava... uno spazio considerevole per le più
differenti concezioni pratiche di partito; e pratiche, nella Germania teoretica di quel
tempo, erano soprattutto due cose: la religione e la politica. Coloro che davano importanza
soprattutto al sistema di Hegel, potevano in entrambi questi campi essere conservatori;
coloro per cui l’essenziale era il metodo dialettico, potevano appartenere, tanto in religione
che in politica, all’opposizione estrema”
13
.
La celebre proposizione hegeliana “Tutto ciò che è razionale è reale; tutto ciò che è reale è
razionale” e che, nell’interpretazione dei vecchi hegeliani insediati nelle università
significava la giustificazione filosofica dell’esistente, per i giovani hegeliani poteva e
doveva essere interpretata in un senso totalmente opposto: solo ciò che è razionale deve
esistere, ciò che non è razionale e nondimeno esiste deve essere superato dal processo
storico. Essi ravvisano una differenza tra realtà vera e realtà data la quale non può essere
che un’incarnazione finita, aperta al superamento, dell’Idea. Il ruolo della filosofia non
12
Cfr. F. Mehring, Vita di Marx, cit., cap. II.
13
F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, cit., p. 25.
10
consiste nel riconoscere l’intrinseca filosoficità del reale, ma nel commisurarlo all’Idea e
nel negarlo quando se ne distacca.
Nella concreta situazione storica il ruolo che assegnano alla filosofia, e dunque a se
stessi, è quello di illuminare il processo di rinnovamento politico e civile della Germania,
rinnovamento che passa per una critica preliminare della religione quale elemento
conservativo dello stato di cose esistente. Ne consegue il rifiuto del sistema hegeliano,
culminante nella conciliazione di pensiero e realtà, perché di fatto esso finiva con
l’assegnare un fondamento filosofico proprio a ciò che essi intendevano criticare: la
religione non meno che le semifeudali istituzioni dello Stato prussiano.
Ciò che tengono fermo della filosofia hegeliana è la dialettica, lo strumento razionale che
fa di ogni momento storico un dato aperto al superamento, all’Aufhebung. Occorre
riconoscere, come ha dimostrato Strauss nella sua critica della religione positiva
14
, che non
14
Mi riferisco alla Vita di Gesù (1835), l’opera cui si fa generalmente risalire la nascita della sinistra hegeliana.
Essa costituisce il tentativo di dare una soluzione scientifica alla questione cristologica secondo
un’impostazione originale che innesta su di una base filosofica hegeliana un lavoro di critica storico-empirica
di chiara matrice illuministica. Per inciso, la questione della storicità e della personalità di Cristo costituisce
uno degli aspetti del più generale problema della conciliabilità delle Scritture con la filosofia di Hegel,
problema sul quale le controversie all’interno della scuola hegeliana iniziarono già negli ultimi anni di vita
di Hegel. (Cfr. Mario Rossi, Da Hegel a Marx, III, La Scuola hegeliana. Il giovane Marx, Milano, Feltrinelli, 1977,
pp. 30 sgg.) . Strauss, sottoponendo i Vangeli ad una approfondita analisi storico-filologica, dimostra la loro
inattendibilità storica: più che un valore storico essi hanno un valore mitologico e, come ogni mito, sono il
risultato di una narrazione intersoggettiva, non intenzionale, che traduce in forma mitologica le profonde
aspirazioni umane della comunità che l’ha elaborata. Il presupposto filosofico della critica straussiana della
religione è la filosofia di Hegel, nel senso che Strauss, pur riducendo la religione cristiana a mito, ritiene
ancora possibile, sulla base della distinzione hegeliana di Vorstellung e Begriff (rappresentazione e concetto),
la conciliazione di religione e filosofia. La religione cristiana ha espresso nella forma della Vorstellung
mitologica dell’incarnazione di Cristo, il medesimo contenuto di verità - il principio della congiunzione
dell’umano col divino - che la filosofia ha traslato, inverandolo, nella forma del puro concetto.
Analogamente a Heine, Strauss trova in Hegel gli strumenti teorici per mettere Hegel in contraddizione con
se stesso, per rendere esplicite tesi che il maestro per motivi di opportunità politica avrebbe sottaciuto. In
11
c’è realizzazione dello spirito (sia essa religiosa, politica o filosofica) che non sia storica e
quindi superabile. Ne consegue che non può esserci un sapere assoluto sganciato dalla
temporalità; il vero assoluto è l’hegeliano Zeitgeist che procede secondo una razionalità
dialettica che il filosofo deve cogliere e favorire rimuovendo, con la critica, gli ostacoli che
si frappongono al suo cammino. Nondimeno, se gli hegeliani di destra possono
richiamarsi con buone ragioni ad Hegel per confutare le conclusioni della Vita di Gesù, ciò
è possibile, secondo i giovani hegeliani, perché la filosofia hegeliana è volutamente
ambigua sia sul piano religioso che sul piano politico
15
.
realtà quanto fosse ambiguo e incompatibile con l’ortodossia il tentativo straussiano di recuperare
dialetticamente sul piano filosofico i dogmi fondamentali del cristianesimo lo testimoniano la sua espulsione
dallo Stift di Tubinga e la mancata assegnazione della cattedra di ordinario all’università di Zurigo. Infatti,
dal punto di vista cristiano - quello delle autorità - dichiarare falsa la forma rappresentativa del cristianesimo
equivale a dire che è falso anche il contenuto, poiché l’incarnazione di Dio in Cristo non è una semplice
immagine esplicativa, ma il contenuto dogmatico costitutivo della fede. (Sulla nascita della Sinistra hegeliana
cfr. E. Rambaldi, Le origini della sinistra hegeliana, Firenze, La Nuova Italia, 1966).
15
L’accusa di ambiguità alle posizioni di Hegel è un tratto che accomuna tutti i giovani hegeliani a partire
dagli Scritti polemici di Strauss (1837), opera in cui egli replica agli attacchi di cui era stato oggetto dopo
l’uscita della Vita di Gesù, attacchi provenienti soprattutto dalle pagine dell’organo ufficiale della scuola
hegeliana, i “Berliner Jahrbücher” (“Annali Berlinesi”). Forti della favorevole recensione di Hegel agli Aforismi
sul non-sapere e sul sapere assoluto, in rapporto alla cristiana conoscenza di fede di Carl Friedrich Göschel (cfr.
Mario Rossi, op. cit., pp.20-21), opera in cui è teorizzata non solo la perfetta conciliabilità di religione e
filosofia, ma è anche espresso a chiare lettere il valore immanente e perciò non transeunte della Vorstellung,
gli hegeliani di destra avevano buon gioco nel sostenere che Hegel non avrebbe mai avallato
l’interpretazione straussiana dei rapporti tra religione e filosofia. Essi addebitano a Strauss l’errore teorico,
grave per un sedicente hegeliano, di aver spezzato, storicizzando la religione cristiana, l’unità di reale e
razionale. Il loro assunto è il seguente: poiché la religione cristiana, in virtù dell’identità di contenuto,
coincide con la filosofia assoluta e poiché è parte essenziale della realtà storica presente, deve essere possibile
dedurre dal piano logico, dal Begriff, la verità ontologica della Vorstellung, la realtà storica della narrazione
evangelica. A questo assunto Strauss, collocandosi sempre più nel solco della tradizione illuministica, da un
lato oppone i risultati della critica empirica la cui validità non è minimamente confutata dal deduzionismo
speculativo della destra, dall’altro, radicalizzando la propria posizione, ribadisce di non aver fatto altro che
sviluppare ed esplicitare presupposti già presenti in Hegel. Nella Vita di Gesù e in queste pagine è già
contenuto, seppur in modo embrionale, il futuro sviluppo della sinistra: la critica al conservatorismo e
12
Marx, pur aderendo alla battaglia politico-culturale dei giovani hegeliani, sul piano
teoretico assume nei loro confronti un atteggiamento oscillante tra una piena adesione alle
loro posizioni e una sorta di distacco critico quasi da storico della filosofia. Radicale e
decisa, come testimoniano l’aperta professione di ateismo contenuta nella parte conclusiva
della Prefazione alla Tesi nonché la critica alla polemica di Plutarco contro la teologia di
Epicuro contenuta nell’Appendice e nelle Vorarbeiten, è la condivisione delle ragioni della
critica antireligiosa dei giovani hegeliani, critica che si inscrive nel quadro di una sempre
più aspra battaglia in difesa della libertà di cultura messa in pericolo soprattutto dopo la
svolta reazionaria impressa alla politica prussiana dal nuovo sovrano Federico Guglielmo
IV, succeduto nel 1840 a Federico Guglielmo III, il cui programma - la costruzione di uno
Stato cristiano-germanico - non poteva non avere pesanti ripercussioni anche sulla politica
culturale: al ministero della Pubblica Istruzione e dei Culti era stato nominato, come
successore di Altenstein, l’ortodosso Eichorn, nemico dichiarato dell’hegelismo e del
liberalismo; a Berlino, Stahl (il teorico dello Stato cristiano) e il vecchio Schelling erano
stati chiamati a succedere rispettivamente agli hegeliani Gans e Gabler con il compito di
contrastare gli sviluppi di sinistra della filosofia hegeliana; a Bauer fu rifiutata la nomina,
all’ambiguità della filosofia hegeliana inaugura un atteggiamento tipico dei giovani hegeliani, ovvero quello
di distinguere tra un Hegel “esoterico” e un Hegel “essoterico”; la constatazione della lacerazione fra realtà
storica e verità razionale implicita nella riduzione a mito della religione positiva apre la strada alla critica
neo-illuministica dello Stato e dell’ordine politico-sociale esistente in una linea di sviluppo che dal
liberalismo di Ruge approderà, non senza contraddizioni e rotture, al radicalismo di Marx; infine, indagare
l’origine del mito sarà il compito che Feuerbach approfondirà nell’Essenza del cristianesimo.(Cfr. E. Rambaldi,
op. cit., pp. 245 sgg.).
13
precedentemente promessagli, di ordinario di teologia all’università di Bonn
16
.
16
B. Bauer in un primo momento aderì all’ala conservatrice della scuola hegeliana; suo fu il primo attacco
sugli “Annali Berlinesi” alla Vita di Gesù di Strauss, col quale polemizzerà anche in seguito seppur da
posizioni di sinistra. L’adesione di Bauer al movimento dei giovani hegeliani, certamente favorita dalla
frequentazione del Doktorclub, è databile attorno al 1839 con la pubblicazione dell’opuscolo Herr dr.
Hengstenberg in cui attaccava, accusandolo di aver completamente travisato la filosofia della religione
hegeliana, il leader del pietismo romantico. La cosa costò a Bauer il trasferimento dall’università di Berlino
(dove insegnava quale libero docente di teologia) alla Facoltà di Teologia dell’università di Bonn. Nemmeno
qui ebbe vita facile. La collaborazione ai fogli della Sinistra hegeliana e soprattutto la pubblicazione nel 1841
della Critica della storia evangelica dei Sinottici (Kritik der evangelischen Geschichte der Synoptiker) e della sua
opera più famosa La tromba del giudizio universale contro Hegel, l’ateo e l’anticristo. Un ultimatum (Die Posaune
des jüngsten Gerichts über Hegel den Atheisten und Antichristen. Ein ultimatum, tr. it. nell’antologia La Sinistra
hegeliana, a cura di K. Löwith, tr. di C. Cesa, Bari, Laterza, 1982, pp. 61-268, ed. da cui cito) alla quale avrebbe
dovuto collaborare anche Marx, nel mutato clima politico furono ritenute dal nuovo ministro provocazioni
intollerabili da punire con la revoca della libera docenza e con l’espulsione definitiva, nel ‘42, dall’università.
L’interpretazione ateistica della filosofia hegeliana, la critica della concezione straussiana della religione, la
concezione della storia come sviluppo infinito dell’autocoscienza, sono i principali risultati della Kritik e
della Posaune, risultati che, secondo Bauer, seppur occultati da uno spesso velo di ortodossia sarebbero già
impliciti nel sistema hegeliano. Messo a nudo dall’anonimo finto ortodosso, il sistema rivela l’autentica
concezione hegeliana della religione che non è la dottrina straussiana e panteistica della “sostanza”, bensì
quella concezione della religione per la quale “il rapporto religioso non è che un rapporto interno
all’autocoscienza con se stessa, e tutte quelle potenze che, in quanto sostanza o in quanto idea assoluta,
sembrano ancora esser diverse dall’autocoscienza, non sono altro che momenti di essa, oggettivati nella
rappresentazione religiosa” (Ibidem, pp. 96-98). Affermando che i Vangeli sono il prodotto inconsapevole
della comunità, Strauss conferma l’ipotesi tradizionale che li ritiene ispirati dallo Spirito Santo, poiché in
entrambi i casi viene posto un principio che trascende l’autocoscienza. I Vangeli sono una libera invenzione
del loro autore anche se al tempo stesso esprimono il grado di sviluppo storico raggiunto dall’autocoscienza
universale, come dimostrerebbe il confronto istituito da Bauer con le contemporanee filosofie
postaristoteliche; al pari dell’epicuresismo, dello stoicismo e dello scetticismo, il cristianesimo delle origini
viene interpretato da Bauer come un’espressione dell’hegeliana “coscienza infelice”, cioè come
un’espressione di quel momento storico in cui la soggettività, divenuta finalmente consapevole di essere il
principio di ogni sostanzialità, si oppone alla sostanza come ad una potenza estranea e superiore che le
impedisce di essere libera. A partire da quest’epoca la storia, secondo Bauer, non è altro che il divenire e lo
sviluppo dell’autocoscienza che fichtianamente progredisce distruggendo le forme determinate che essa
stessa ha assunto (oggettivandosi) per riguadagnarsi in forme via via superiori e più libere. Da una
condizione di inesistenza nella comunità greca, nella quale il singolo era concepito come elemento di un
sistema oggettivo da cui era dipendente, la soggettività si è via via emancipata dapprima nelle scuole
14
L’esclusione dall’università, dalla cultura ufficiale, è un destino che accomuna tutti i
giovani hegeliani. Prima di Bauer era toccato a Strauss, a Feuerbach e a Ruge; qualche
anno dopo sarà la volta di Marx.
Nella Prefazione Marx afferma, contro la pretesa di Plutarco e in generale della teologia di
trascinare la filosofia davanti al tribunale della religione, che la dichiarazione di Prometeo,
l’odio per tutti gli dèi, è la dichiarazione della filosofia, “la sua propria sentenza contro
tutti gli dèi celesti e terreni che non riconoscono come divinità suprema l’autocoscienza
umana”
17
; difendendo Epicuro dagli attacchi di Plutarco, Marx difende l’autonomia della
filosofia e afferma la sua irriducibilità al punto di vista teologico poiché esso rappresenta il
punto di vista della coscienza comune che, non essendosi ancora elevata al punto di vista
della coscienza speculativa, non può nemmeno comprenderlo.
Marx rovescia dialetticamente la critica di Plutarco al concetto epicureo di atarassia, non
intesa da quest’ultimo nel suo esatto significato di autonomia e autosufficienza dello
spirito, bensì come semplice soddisfacimento di desideri empirici. Ciò che Plutarco
rimprovera ad Epicuro, di aver fondato un’etica utilitaristica e volgarmente edonistica, in
realtà è intrinseco nella sua dottrina dell’immortalità individuale: da un lato perché essa è
lo strumento su cui fondare una dottrina morale basata sulla paura di Dio, dall’altro
postaristoteliche e nel cristianesimo, poi nella Riforma, infine nell’illuminismo e nel suo corollario, la
rivoluzione francese. A completamento di questa successione di momenti teoretici in cui si articola la storia,
mancano la liberazione dall’ultima alienazione religiosa (il cristianesimo moderno) e dall’ultima alienazione
politica (lo Stato prussiano), liberazioni che finora si sono compiute solo nella filosofia critica dei giovani
hegeliani ma che, essendo la teoria la vera prassi rivoluzionaria, non tarderanno a divenire “formazione
reale”. Anche su questo punto, cioè sul ruolo della filosofia nella storia, Bauer per convalidare il suo discorso
si appella all’autorevolezza di Hegel estrapolando dal loro contesto citazioni che gli consentono di attribuire
al maestro istanze rivoluzionarie che sono in realtà soltanto sue e dei suoi compagni della sinistra. (Cfr. A.
Zanardo, Introduzione a Engels-Marx, La Sacra Famiglia, Roma, Editori Riuniti, 1967, pp. XXVIII - XLVIII).
17
Marx-Engels, Opere, I, cit., p. 24.
15
perché essa cela, protetta dalla maschera dell’amore, nient’altro che l’egoismo soggettivo
18
.
“La paura di Dio nel senso di Epicuro - scrive Marx nel terzo Quaderno delle Vorarbeiten -
è cosa che Plutarco non capisce affatto; egli non comprende come la coscienza filosofica
desideri liberarsi da ciò. L’uomo comune non ne ha nozione”
19
; o meglio, “la paura
sensibile è l’unica forma in cui egli può comprendere l’angoscia dello spirito libero di
fronte ad un ente personale onnipotente che assorbe la libertà in sé e quindi la esclude da
sé”
20
.
Secondo Plutarco, la paura di Dio servirebbe a preservare gli uomini dal male, come se la
paura - rileva Marx - non fosse già essa stessa il male. “Che cos’è infatti il nocciolo del
male empirico? Che il singolo si chiuda nella sua natura empirica di contro alla sua natura
eterna; ma non avviene forse la stessa cosa quando egli esclude da sé la sua natura eterna,
la concepisce nella forma del permanere della singolarità in sé, dell’empiria, e quindi la
intuisce come un dio empirico al di fuori di sé?”
21
. La religione consiste dunque
nell’alienazione dell’essenza umana in Dio, come dimostrano anche le celeberrime prove
dell’esistenza di Dio, le quali - scrive Marx nella nota n° 9 al capitolo I della parte I
18
“Così, chi perde moglie e figli desidera che essi siano in qualche luogo, anche se si trovano male, piuttosto
che abbiano del tutto cessato di essere. Se si trattasse semplicemente di amore, la moglie e il figlio di
quest’individuo sarebbero conservati nella maniera più pura nel suo cuore, e la loro sarebbe un’esistenza
molto superiore a quella empirica. Ma la cosa sta diversamente [...] Il fatto dunque che egli preferisce saperli
in qualche luogo, in uno spazio sensibile, anche se si trovano male, anziché in nessun posto ancora una volta
altro non significa che l’individuo vuole avere coscienza della sua propria esistenza empirica. Il manto
dell’amore non era che un’ombra; il nudo io empirico, l’egoismo, l’amore più antico è il nocciolo, e non
ringiovanisce in nessuna forma più concreta, più ideale”. (K. Marx, Appendice alla Dissertazione dottorale,
cit., pp. 409-410).
19
Marx-Engels, Opere, I, cit. p. 474.
20
Ibidem, p. 474.
21
Ibidem, p. 475.
16
dell’Appendice - “non sono che vuote tautologie”
22
, o meglio, “non sono altro che prove
dell’esistenza dell’autocoscienza umana essenziale, esplicazioni logiche della medesima. Valga
d’esempio la prova ontologica. Quale essere è immediatamente in quanto viene pensato?
L’autocoscienza”
23
.
Ora, l’inconciliabilità di religione e filosofia e soprattutto il concetto della religione come
risultato di un’alienazione, sono i temi che Feuerbach approfondirà nell’Essenza del
cristianesimo ma che sono presenti nel suo pensiero già prima della pubblicazione della sua
opera più famosa. La critica antiteologica o, più precisamente, la confutazione della
pretesa conciliabilità di filosofia e religione cristiana, sostenuta dagli hegeliani ortodossi,
costituisce il motivo dominante della riflessione feuerbachiana dalla dissertazione
dottorale
24
alla monografia Pierre Bayle
25
; l’individuazione della religione come alienazione
dell’essenza umana è un motivo già presente oltre che nel Bayle, nel saggio, pubblicato nel
1838 sugli “Annali di Halle”
26
, Per la critica della filosofia positiva
27
.
22
Ibidem, p. 101.
23
Ibidem, p. 102.
24
L. Feuerbach, De ratione una, universali, infinita. Dissertatio inauguralis philosophica, Erlangen, 1828.
25
L. Feuerbach, Pierre Bayle, nach seinen für die Geschichte der Philosophie und Menschheit interessanten Momenten
dargestellt und gewürdigt, Ansbach, 1838; è tradotto in italiano il cap. III, “Teologia e scienza”, in L. Feuerbach,
Opere, tr. it. di C. Cesa, Bari, Laterza, 1965, pp. 77 - 106. Sugli scritti sopracitati cfr. E. Rambaldi, La critica
antispeculativa di L. A. Feuerbach, Firenze, La Nuova Italia, 1966, pp. 7 sgg. Più in generale, sul pensiero
giovanile di Feuerbach, cfr. C. Cesa, Il giovane Feuerbach, Bari, Laterza, 1963.
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“Hallische Jahrbücher für deutsche Wissenschaft und Kunst” (“Annali di Halle per la scienza e l’arte tedesca”),
fondati e diretti da A. Ruge e T. Echtermeyer, 1° gennaio 1838 - 30 giugno 1841, Leipzig, Wigand. La
comparsa della rivista segna una nuova fase nell’evoluzione della sinistra hegeliana. E’ la fase che vede
l’hegelismo di sinistra allargare progressivamente il campo dei suoi interessi, spaziando dalla critica
teologica alla critica filosofica e politica, anche se, nei suoi primi mesi di vita, la rivista testimonia quanto
poco fosse diffusa nei giovani hegeliani la consapevolezza di costituire un peculiare indirizzo di pensiero.
Accanto agli scritti di Ruge, di Strauss, di Feuerbach, sono presenti articoli di collaboratori di varia tendenza
e un programma non ben definito, prevalentemente incentrato sulla rivendicazione di quella libertà di
pensiero e di critica solennemente sancita dalla Riforma, per la quale si restringeva via via lo spazio sui