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veramente colta ma parziale come gli istinti stessi. Invece, dal terzo istinto (al 
gioco) può nascere una mediazione che riporta l’armonia delle facoltà. Solo 
l’armonia delle facoltà umane produce la libertà (dagli istinti) la quale si 
esprime in gioco, arte e bellezza, e sviluppa un’educazione di ogni facoltà 
umana, generando una civiltà completa e colta. L’educazione che si prefigge di 
ottenere una maggiore armonia dell’uomo può dirsi educazione estetica. Il terzo 
impulso può dirsi ludopoietico. L’espressione pratica dell’impulso ludopoietico 
tende a ripristinare l’armonia perduta delle facoltà. Sviluppare l’impulso 
ludopoietico è l’obiettivo dell’educazione che desidera liberare l’uomo. La 
fantasia è la facoltà umana che struttura l’impulso ludopoietico – e rende 
possibile tanto la poesis quanto la libertà stessa. Ma la fantasia deve essere 
educata e sviluppata per prodursi in azione sempre maggiore, altrimenti si 
inaridisce. Solo una cultura completa e armoniosa determina un progresso 
dell’umanità duraturo e completo, materiale e anche morale; quindi solo 
l’educazione estetica può essere base adeguata di ogni arte politica che miri ad 
edificare veramente la libertà.  (Capitolo II) 
b) ma una profonda crisi colpisce la nostra società moderna e questo 
sembrerebbe inibire ogni possibilità di reazione. C’è un vistoso squilibrio. Esso 
è causato proprio da una mancanza di gioco, la mancanza di gioco è causata da 
un’errata concezione che si ha riguardo alla sua origine; ritrovando l’origine 
primordiale del gioco si può correggere l’errata concezione e tornare a giocare. 
Dove invece manca il gioco autentico cresce il puerilismo e lo squilibrio e dove 
predomina il puerilismo manca la responsabilità ed abbondano i conflitti, 
l’arroganza, l’ingiustizia, l’arbitrio. Inoltre il puerilismo si maschera sotto 
l’apparenza di gioco e sottilmente si insinua nella società come sostituto della 
vera attività ludica. Comprendere il valore autentico del gioco è necessario per 
distinguerlo dai fenomeni di “intrattenimento e spettacolo” e per praticare 
attivamente forme di espressione del vero impulso ludopoietico.  
c) il valore autentico e primordiale del gioco può essere ritrovato 
nell’infanzia della civiltà umana quanto nel bambino, sorgenti inesauribili del 
gioco. Il bambino può essere definito homo essentialiter ludens (uomo 
essenzialmente giocante) poiché è per essenza ciò che l’uomo adulto può essere: 
è la pace e l’accordo tra finito ed infinito; anzi è per l’adulto un simbolo del 
gioco stesso, e perciò anche un simbolo di amore e di accordo fra la terra ed il 
cielo. Per questo esso è anche simbolo di armonia e di soluzione dell’ambiguità 
umana. Il bambino può insegnare, all’ adulto che si pone sul suo stesso piano, 
come essere libero e felice: è salvifico e dunque anche simbolo sacro.  
d) La modernità ha però un impatto sempre più violento nei confronti dei 
bambini. La crisi moderna è caratterizzata da una parzialità delle azioni e da 
una assenza di responsabilità nei confronti delle azioni stesse. I bambini sono il 
principale bersaglio del conflitto poiché ogni bambino rappresenta (è un 
simbolo) una soluzione possibile e un’opportunità di liberazione dell’uomo. Se 
c’è un conflitto ci saranno necessariamente i sostenitori del conflitto, ed essi 
sono attualmente al potere, tuttavia indossano una maschera e si nascondono. 
Per contrastare il conflitto è quindi necessario conoscere bene quale sia il potere 
del Simulacro (Mimicry), poiché esso è attualmente usato come strumento di 
dominio delle masse e quindi di offesa dell’infanzia. La libertà si consegue solo 
penetrando oltre l’in-lusio che la maschera politica istituisce. Ci sono solo due 
 5
strade per oltrepassare la coltre d’inganno istituita dal Simulacro: giocare con 
esso e teorizzare su di esso. L’umanità ha impiegato millenni di gioco, ossia di 
esperienza di gioco per strapparsi al primordiale potere della maschera (società 
tribali), ma il loro moderno ritorno impone un altro nuovo cammino per 
oltrepassare il vecchio inganno. Anche agli adulti è quindi necessario giocare 
per avere una consapevolezza maggiore circa le dinamiche del Simulacro 
utilizzate dal potere dominante, per non cadere vittima degli inganni di questo. 
Per risolvere il conflitto della società e difendere i bambini è prima necessario 
giocare ed è conveniente teorizzare. Infatti la libertà dei bambini dipende dalla 
libertà degli adulti e questa a sua volta dipende da quanto gli adulti sono 
consapevoli di cosa significa giocare, quindi in definitiva da quanto gli adulti 
giocano. Ciò rientra nell’educazione estetica. (Capitolo III) 
e) La logica si occupa della coerenza dei sistemi. L’uomo conosce il 
mondo tramite una visione del mondo, un costrutto culturale che comprende un 
sistema di elementi. Pertanto l’indagine da una prospettiva formale è necessaria 
all’educazione estetica tesa all’armonia poiché essa richiede l’elaborazione e la 
trasmissione di una visione del mondo quanto più completa possibile: una 
visione del mondo completa è però una struttura che non solo sintetizza la 
conoscenza, ma favorisce anche lo sviluppo completo delle facoltà umane, 
poiché dalla visione del mondo dipende anche la visione di cosa sia l’uomo e 
quali siano le sue facoltà. Quindi per contrastare la tendenza generale di 
riduzione dell’umanità è necessario che l’educazione estetica fornisca un 
moderno e coerente concetto di mondo, affinché l’individuo possa conoscere se 
stesso nel suo rapporto con la completa compagine degli elementi del mondo 
stesso e possa ritrovare la sua sede. Avere una nozione di mondo adeguata, 
consente al bambino, come all’adulto, di comprendere meglio la sua stessa 
realtà: la ricerca scientifica dimostra che un mondo è, come minimo, una storia 
coerente, un corso di eventi. Quindi creare una nozione adeguata di storia 
(intesa come mondo possibile), è un compito necessario e fondamentale 
dell’educazione estetica che cerca di riportare un equilibrio nelle facoltà 
dell’uomo. (Capitolo IV) 
f) Infine, il moderno gioco di ruolo, ove sia usato come espressione della 
fantasia (immaginazione e intelletto), analizzato nelle sue dinamiche interne si 
rivela come una forma d’arte, vera poesis e, in quanto tale, può essere un valido 
strumento per lo sviluppo di un’educazione completa ed armonica tesa alla 
bellezza (a); in quanto gioco per adulti può opporsi al puerilismo ed esprimere 
l’impulso ludico di un uomo maturo (b); in quanto è solo una complicazione di 
un gioco infantile pone l’adulto sul medesimo piano del bambino e assume un 
particolare valore simbolico (c); in quanto espressione del Simulacro può 
rivelare le dinamiche del Simulacro (d); in quanto è costruzione di mondi 
possibili può fornire una visione del mondo complessa ed articolata: esso 
racchiude simbolicamente la medesima armonia degli elementi opposti che vige 
nel grande processo della poesis universale (e); di conseguenza il gioco di ruolo, 
inteso quale arte-gioco, può essere denominato “il gioco dell’armonia” e offre 
un modello ludico che, in determinate condizioni, può essere estremamente 
favorevole all’educazione estetica prospettata nella tesi come esigenza generale 
per la crisi dell’uomo moderno.  
 
 6
0.2 Il problema dell’infanzia e l’importanza 
dell’educazione estetica 
 
“In verità vi dico: se non vi convertite 
 e non diventate come piccoli fanciulli,  
voi non entrerete affatto  
nel regno dei cieli.”
1
 
 
Una società come la nostra può essere definita pacifica oppure è più 
adeguato dire che essa è in conflitto con se stessa? Di fronte ad un qualsiasi 
conflitto ciascun uomo può tanto schierarsi fra coloro che acuiscono il 
contrasto, può rimanere indifferente oppure può fare del suo meglio per 
ripristinare una pace. Se si è d’accordo che la nostra società è in conflitto, anche 
aspro, si dovrà concedere che il conflitto, inevitabilmente, genera delle vittime. 
Se dunque si è fra quelli che vogliono cercare di mettere pace in una società 
conflittuale, è necessario porsi questo problema. Può essere un buon punto di 
partenza della riflessione cercare di comprendere l’effetto del conflitto nella 
società.   
Il primo effetto di questo acceso contrasto degli esseri umani – contrasto 
riscontrabile a tutti i livelli – è che i bambini dell’uomo soffrono sempre più. 
Pertanto difendere i bambini è il problema centrale. Innanzitutto perché i 
bambini sono il futuro. Nel suo celebre film La vita è bella, Benigni, con impeto 
filosofico ricorda che, contrariamente all’opinione comune, “il mondo lo 
abbiamo in prestito dai nostri figli e non in eredità dai padri ”. Idea forse molto 
antica ma sempre attuale – basta pensare al principio di responsabilità di 
H.Jonas – ma un poeta comico la affronta denunciando la poca serietà del 
mondo “adulto”. Da un punto di vista unicamente serio nasce disperazione che 
rende inerme il pensiero, da una prospettiva poetica è possibile riflettere per 
immagini.  
Il presente è quindi simile..  
 
..ad una valle circondata da alte montagne, al centro vi sono molti 
bambini; stranamente gli adulti non giocano felici con loro; ecco, sono 
asserragliati sui crinali dei monti, e sembrano terrorizzati da chissà cosa, 
c’è come un conflitto, si scagliano rocce e macigni l’uno sull’altro, ma, 
ecco, molte di queste rocce finiscono per rotolare sul fondo, schiacciando e 
maciullando gli inermi fanciulli più in basso. Addirittura a volte si vedono 
alcuni che scagliano rocce appositamente in fondo alla valle per 
divertimento, altri le scagliano sulle montagne stesse, provocando frane 
incontrollabili; altri ancora si lasciano rotolare con le rocce, impazziti, e 
come forsennati finiscono per cadere giù, morendo insieme con chi capiti. 
 
I bambini, oggi come sempre, pagano il prezzo dell’egoismo di noi 
“adulti”, e pagano ovviamente il prezzo più alto di tutti. Sono loro a portare il 
peso di tutti gli errori del mondo, mondo in cui non sono venuti per propria 
scelta, ma vi sono stati “chiamati” dai grandi. È questa l’accoglienza che 
                                                 
1
 Matteo 18:3. 
 7
l’umanità riserva ai suoi invitati? Perfino per i pagani l’ospitalità era sacra, e 
Zeus puniva chi maltrattava il viandante e non gli offriva ricetto e degna 
ospitalità, anzi, si dice che gli dèi stessi, travestiti, spesso richiedessero asilo per 
saggiare gli adulti.…. 
Devo però spendere due parole per difendere una tale posizione. 
Sostenere, oggigiorno, che sia necessario difendere i bambini può sembrare 
anacronistico. È infatti cosa nota che gli ultimi due secoli sono stati proprio 
quelli in cui il bambino e l’infanzia sono stati risollevati dal grado a cui erano 
stati ridotti: mezzi-uomini, uomini incompleti, esseri da rendere umani. In 
effetti, secondo questa visione arcaica del bambino esso è unicamente visto in 
relazione all’adulto il quale è il solo ad abitare il mondo di diritto, l’adulto è il 
padrone, è colui intorno a cui tutto il resto deve orbitare ed il bimbo è una sua 
funzione. Tuttavia, grazie allo sviluppo del pensiero degli ultimi secoli è emerso 
che il fanciullo è umano quanto l’adulto, abita il mondo a pieno titolo e lo abita 
in un modo tutto suo, un modo unico e specifico. Perciò è arrogante ritenere che 
l’infanzia - reale o concettuale – debba essere pensata esclusivamente in 
relazione all’adulto. Ecco allora che si può salutare con ottimismo il recupero 
moderno da cui emerge che né il bambino deve essere solo una funzione 
dell’adulto né viceversa l’adulto deve essere in funzione dell’infanzia (come 
accade talvolta a chi estremizza una rivalutazione del bambino). 
Il desiderio di ristabilire l’equilibrio è sicuramente oggi espresso nella 
ricerca - scientifica e umanistica - che, mai come nel nostro evoluto 
ventunesimo secolo, è ricchissima di strumenti teorici per l’educazione delle 
future generazioni. Dunque, è proprio vero che difendere i bambini è ancora un 
problema centrale? Non è un problema già superato? Quale sarebbe il pericolo? 
Da chi o cosa dovrebbero essere difesi? Non s’è appena detto che la ricerca 
scientifica ha rivalutato l’infanzia e l’età dello sviluppo? Il mondo è simile alla 
valle già descritta oppure quell’immagine è una forzatura? 
Fermamente credo di poter sostenere che, sebbene la civiltà sia sempre più 
avanzata dal punto di vista della conoscenza, della scienza, insomma della 
teoria, in pratica l’esperienza reale dimostra invece una sottile recrudescenza del 
rapporto fra adulti e bambini. Quando dico “sottile recrudescenza” voglio 
intendere un fenomeno apparentemente poco visibile, anzi sulle prime quasi 
invisibile (è infatti socialmente ben mascherato) e che tuttavia si manifesta agli 
occhi di chi osserva con attenzione. Se già osservando le zone povere del 
pianeta potremmo parlare della prostituzione sempre più pedofila, della 
criminalità sempre più minorile come anche il lavoro nero, del mercato di 
bambini, o ancora delle droghe assunte sempre più anzitempo, oppure del plagio 
dottrinale sempre più mistificato che essi subiscono dalle istituzioni, da qualche 
invasato o dai media, d’altro canto osservando i bambini ricchi possiamo tutti 
constatare il linguaggio sempre più televisivo e mediatico, il gioco sempre più 
telematico virtuale e solitario, il divertimento sempre più violento e omicida, la 
concentrazione sempre più assente e gli umori sempre più lunatici, la cultura 
sempre più frammentaria e aleatoria. 
Inoltre, mai, in tutta la storia dell’umanità, i bambini sono stati sottoposti 
alla violenza perpetua che patiscono oggi: l’indifferenza dell’uomo reale e la 
compagnia sempre più invadente della televisione-mamma, televisione-papà, 
televisione-amico, televisione-baby sitter, televisione-scuola, televisione-
 8
mondo. Forse, proseguendo su questa scia, per ogni vecchia divinità pagana 
troveremmo un esempio di cosa gli uomini del duemila fanno ai loro figli. I 
poeti infatti riportano che fin dai tempi più remoti dell’umanità, le creature 
sovrannaturali chiedevano i fanciulli come sacrifici per esaudire i capricci degli 
adulti, ed ancora risuona inascoltato il lamento di Ifigenia, sgozzata dal demone 
del padre Agamennone, che voleva a tutti costi la sua Ilio. 
Quindi in effetti, sebbene la società moderna goda di una sempre 
maggiore conoscenza teorica, in pratica è attraversata da una forma di ignoranza 
che dilaga e che infine si tramuta in oppressione e distruzione delle qualità 
specifiche dell’infanzia, nella cancellazione della sua essenza. Tale ignoranza 
forse ha origine nell’incapacità di godere dell’esperienza con l’infanzia, forse è 
una mancanza di sensibilità, una carenza nella capacità di ascoltare e osservare. 
Per questo motivo tale argomento – apparentemente lontano – rientra totalmente 
nell’estetica. L’estetica è una scienza che indaga la capacità di sentire. Se quindi 
il panorama degli studi e delle teorie è già ben pingue circa la rivalutazione 
teorica del bambino, ciò che forse manca è l’attitudine concreta a mettere in 
pratica la conoscenza. Ecco che emerge tutto lo stridore del mondo adulto, la 
contraddittorietà di cui lo abbiamo accusato, e con essa anche la sua comicità: 
perché in effetti, insieme al sempre più immenso patrimonio di conoscenza, 
insieme ad un folto numero di scienziati e scienze per l’infanzia, nello stesso 
tempo i nostri bambini sono oppressi e colpiti nei modi che ho brevemente 
accennato. Che assurdità sembra questa! Una civiltà che ha immense 
conoscenze e contemporaneamente accetta il massacro fisico-mediatico di 
coloro a cui tale conoscenza è destinata!  
Ritengo che una rivalutazione dell’essenza del bambino è possibile 
attraverso la rivalutazione del concetto generale di Gioco (come forma primaria 
di espressione dell’infanzia). La rivalutazione del gioco non può però essere 
intellettualistica ma deve essere empirica, pratica, vissuta, la rivalutazione è una 
esperienza conseguente ad un’idea ben precisa di gioco e di bambino, 
esperienza che deve essere vissuta direttamente dal lettore: si deve giocare.  
Il mondo dei fanciulli (così magico e meraviglioso agli occhi dei grandi) è 
veramente inaccessibile all’individuo maturo? Un adulto può giocare, può 
perdere quel “distacco” e quella “serietà” che lo isolano dalla magia dei bimbi, 
può rinunciare alla sua pretesa “superiorità” senza perdere la propria sincerità e 
le proprie differenze? E soprattutto: ciò che può fare la felicità dei piccoli, può 
essere condiviso anche dagli adulti? I bambini e gli adulti possono provare gioia 
per le stesse cose? Possono essere felici insieme? Stando al presente 
sembrerebbe impossibile. Comunque, circa queste affermazioni molto pesanti, 
non intendo indicare genericamente che c’è il male nel mondo: questo già si sa. 
Tuttavia è fondamentale constatare che nella lunga storia dell’umanità esso 
sembra tendere a colpire sempre più direttamente proprio i bambini.  
Se i nostri bambini sono sotto un’offensiva storica, sono aggrediti anche 
adesso, cosa ci spinge ad essere così contraddittori ed indifferenti? Perché la 
teoria e la realtà non si accostano, perché l’umanità non si raccoglie a difendere 
la propria prole come almeno gli animali mammiferi, per istinto, farebbero? 
Perché dunque – e questa è la domanda centrale – l’uomo sembra capace di 
odiare il bambino e perché sembra tendere a voler cancellare sempre più proprio 
l’infanzia?  
 9
Il nostro tempo raffigura un uomo febbricitante. L’uomo moderno aspira 
sempre più in alto: vuole espandere la sua egemonia, vuole abbandonare la terra 
per nuove stelle e pianeti, vuole il segreto ed il potere sulla vita, vuole il 
controllo economico globale, vuole le ricchezze senza conseguenze, vuole 
replicarsi in un intelligenza artificiale o vuole clonare se stesso, vuole 
l’immortalità. Certo, dopo tutto ciò rimane veramente poco tempo per giocare 
con i bambini, miseri mezzi-uomini. Il gioco non frutta né denaro, né potere, né 
fama e non rientra come obiettivo di una mentalità meccanica e utilitaria. E 
pertanto ciò che accade, nel ventunesimo secolo, all’infanzia dell’uomo è 
qualcosa di innominabile, di indicibile, qualcosa che dovrebbe suscitare il più 
immenso sdegno, il più acceso furore eroico di amor degli indifesi, il più vivo 
senso di conservazione della propria stessa vita. Eppure molti adulti continuano 
il loro personale volo pindarico senza badare a queste cose, lanciati a tutta 
velocità sul binario del profitto-progresso. 
Proprio per opporci risolutamente a tutto questo diremo che ciò che 
accade all’infanzia della nostra specie, ai bambini dell’umanità, non è fatalità né 
caso, non dipende dalla natura né dal corso materiale del mondo ma è 
conseguenza della libertà di cui l’uomo maturo dispone e dipende 
dall’indifferenza che molti, ahimè, riservano alle esigenze del piccolo uomo. Se 
ciò da un lato è amaro, poiché implica la nostra grande responsabilità (sociale 
ma anche individuale), dall’altro è proprio qui che è possibile la fondazione 
dell’opera del pensiero: se non ci fosse la nostra responsabilità e se il male non 
fosse un effetto della nostra libertà non avrebbe senso parlare o pensare, sarebbe 
meglio tacere e dimenticare ogni teoria. C’è chi sostiene che l’uomo non sia 
affatto libero ma se è tolta la libertà dell’individuo è tolta anche la responsabilità 
individuale o sociale. Ma sostenere che l’uomo non sia libero dipende 
inevitabilmente dalla visione del mondo (Weltanschauung) di ciascuno. Parlare 
di libertà è dunque possibile solo all’interno di una cornice genuinamente 
filosofica: la nozione di libertà inevitabilmente chiama in causa il rapporto fra 
sistema e caos, fra regola e interpretazione, fra obbligo e scelta, legge e 
soggetto, tra limiti e volontà, insomma tra finito ed infinito. Questo sarà l’asse 
filosofico di tutta la ricerca.  
La febbre della civiltà dimostra come l’umanità sia sempre più in conflitto 
con i limiti in cui essa è sorta per natura, e tale conflitto sempre più aspro si 
ripercuote sui più deboli. L’uomo è in lotta con la propria libertà. In fondo, 
forse il dramma dell’umanità ha un filo conduttore. C’è una ferita aperta fra 
l’uomo e l’infinito e questa è la più antica ferita, nata dalla più antica battaglia 
dell’uomo, è una domanda assillante che ci perseguita in ogni luogo poiché è 
una battaglia tra noi ed il pensiero stesso, è l’interrogativo all’origine della 
filosofia stessa. Sebbene indagare circa la libertà come rapporto di finito ed 
infinito possa sembrare una fatica di Sisifo, non ci arrenderemo, poiché una 
soluzione – provvisoria, s’intende - alla domanda circa questa relazione 
rappresenta forse l’unico argine a questo immane conflitto. Non sarà dunque 
una fatica inutile, per difendere i bambini, tornare a studiare Schiller, Huizinga, 
Rahner, Callois, e quanti altri hanno contribuito a fornire una visione filosofica 
del significato profondo del gioco e delle sue potenzialità.   
 10
 
Capitolo I 
Definizioni 
 
 
 
“Credimi, Fedro,  io sono innamorato di queste cose, 
delle divisioni e delle riunificazioni, 
per essere in grado di parlare e di pensare”
1
 
 
 
 
 
Già dice Platone che le divisioni e le riunificazioni sono necessarie per 
poter pensare e quindi parlare: le divisioni e le riunificazioni sono anche 
definizioni dei termini di un discorso, poiché definire significa distinguere, 
separare. Prima di addentrarci nel vivo della speculazione sono opportune 
precisazioni intorno al valore semantico dei termini capitali in uso nella ricerca. 
Infatti, lasciando i termini come inespressi, potremmo incorrere in gravi 
incomprensioni dettate dalla natura ambigua delle parole. Una teoria estetica 
non può prescindere – come teoria – dalla correttezza logica, ed un vocabolario 
è la condizione necessaria di qualsiasi discorso teorico. Inoltre, dal momento 
che i termini sono segni dei concetti, alcuni finiscono a considerare le parole 
stesse come delle entità esatte, circoscritte, perfette e oggettive (e così le 
confondono con i concetti che invece rispondono a queste qualità), ma in realtà 
esse non sono dei monumenti immobili, sono entità dinamiche e mutano al 
mutare dei tempi e delle opinioni, pertanto le parole hanno un campo semantico 
variabile. Le parole sono infatti immerse nel tessuto del tempo, a differenza del 
concetto, il quale è eterno e non risente del tempo ed è oggettivo, circoscritto e 
stabile.  
Ciò significa che parole sono variabili rispetto ai concetti che invece sono 
costanti.
2
 Così l’uso delle parole cambia già da persona a persona, cambia con le 
zone geografiche, cambia nel tempo. 
                                                 
1
 Platone , Fedro 266 B. 
2
 È possibile che gli uomini usino la stessa parola per denotare due concetti diversi (stesso nome, 
diversi denotati). Ad esempio la parola |Giovanni| ad un uomo può far intendere il suo grande 
amico mentre ad un altro può far pensare ad uno degli apostoli, oppure la parola |storia| veniva 
usata dai greci per designare un processo circolare e dai moderni per indicare un processo 
lineare, oppure la parola |Bad| per un inglese indica la qualità della bruttezza mentre per un 
tedesco indica un bagno. Così è evidente che l’uso delle stesse parole può confondere diversi 
significati in base alle persone, al tempo ed allo spazio. Inoltre è possibile che gli uomini usino 
due parole diverse ma in realtà indichino con esse lo stesso concetto (diversi nomi, stesso 
denotato). A esempio le coppie di parole |l’Apostolo| e |San Paolo|,  |mondo| e |world|, 
|puella| e |fanciulla|, sono tutte coppie di parole diverse che hanno lo stesso concetto denotato. 
 11
Il linguaggio è perciò un processo che implica sia delle parole mutevoli 
che dei concetti immobili. Il linguaggio è vivo, muta di continuo, gradualmente, 
lentamente, inesorabilmente.
1
 Quando la distinzione fra concetto e parola è 
vaga, sorge gran confusione fra gli uomini, è Babele. Perché gli uomini non si 
ritrovano facilmente d’accordo? D’istinto, l’uomo cerca di adeguare la realtà 
alle proprie parole piuttosto che l’inverso. Ossia, come un bimbo che vuole 
infilare un cubo nel buco circolare, ritiene che una parola debba avere un certo 
significato, invece di curarsi di vedere quale parola sia più opportuno usare per 
esprimere un certo significato. Da ciò nascono ancora ogni sorta di brighe, di 
contrasti, di conflitti, basati unicamente sull’incomprensione, ancor prima che 
sul disaccordo fra due posizioni che si sono comprese. Ciò importa poiché 
questo tipo di incomprensione è ancor più profondo fra adulti e bambini i quali 
hanno, più di noi, molte parole il cui significato è ancora in corso di definizione. 
Questa discrepanza estetica del linguaggio (cioè dovuta al passaggio nella 
sensibilità che il linguaggio umano è costretto ad affrontare) non è un elemento 
accessorio del nostro parlare, è invece la condizione di necessaria variabilità di 
partenza, ed è per questo che, con le seguenti definizioni cercherò di dare, per 
quanto è possibile, un’idea del significato che assumo per i termini presente del 
discorso. Pertanto nella presente ricerca adotteremo una metodologia coerente 
con la logica formale, la quale consente una manipolazione di concetti ed 
interpretazioni con valore assiomatico.
2
 
 
                                                 
1
 La storia delle parole è fatta di continue modifiche: alcune parole accrescono col tempo il loro 
uso ed il loro campo semantico, altre invece si restringono, alcune appaiono e scompaiono come 
comete, altre rimangono protagoniste nelle ere, altre ancora sorgono per designare un certo 
significato ma degenerano, perdendo man mano il proprio significato fino addirittura ad 
indicare tutt’altro. La modernità presenta una ulteriore impennata, dovuta ai mass-media, nel 
mutamento del significato legato alle parole antiche.  
2
 Questo metodo viene elaborato in questo modo per costruire una logica applicata che possa 
muoversi con coerenza teorica in un terreno estremamente esposto alla variabilità qual è quello 
del gioco, in specie del gioco fantastico.   
 12
1.1 Filosofia  
 
Filosofia: sf [dal lat. philosophìa, dal gr. filosof…a, amore della 
sapienza].  
Se il sofista ritiene di sapere, il vero filosofo è innamorato della 
conoscenza: si ama ciò che non si possiede, l’amore non è possesso ma ricerca; 
la filosofia nasce in mancanza di conoscenza.  
Il sogno del filosofo è l’onniscienza, ma la condizione del filosofo è 
l’ignoranza. 
Tuttavia essa può essere “dotta” 
1
, in quanto non è ignoranza assoluta: 
qualcosa si può conoscere.  
Il filosofo può dire “so di non sapere” perché per ogni cosa che scopre, 
altre cento si mostrano nel loro mistero senza cancellare quella già scoperta. La 
filosofia è uno sguardo meravigliato di fronte al mondo che fiorisce, è lo 
sguardo di un bambino nei segreti del mondo.  
Purtroppo a volte è stata completamente assimilata all’arte di dedurre 
(assiomatica) o peggio fu spessissimo confusa con l’arte di imbrogliare con le 
parole (retorica).  
Tuttavia l’arte di dedurre (ossia l’assiomatica), in quanto logica formale in 
sé e per sé non garantisce nulla sul piano semantico
2
.  
L’arte di dedurre può quindi garantire solo la correttezza, non la verità. 
La retorica infine, come arte delle parole (ma non dei concetti), non 
garantisce nulla perché ottiene solo un vago senso di convinzione senza 
intendimento razionale del senso che le parole dovrebbero trasportare. 
La vera filosofia, come amore del sapere, è quindi un’arte dei concetti e di 
parole, e garantisce invece la gioia della scoperta eterna e l’umiltà della dotta 
ignoranza innanzi al mistero che perdura. 
 
                                                 
1
 “Se come afferma il profondissimo Aristotele nella Filosofia Prima, anche nelle cose per natura 
più evidenti ci imbattiamo in difficoltà come uccellini notturni che tentano di vedere il sole, 
allora, se il nostro desiderio non è vano, ciò che desideriamo è sapere di non sapere. Se potremo 
giungere a tanto, avremo raggiunto la dotta ignoranza. Nessun altra dottrina più perfetta può 
sopraggiungere all’uomo (anche al più diligente) oltre quella di scoprire di essere dottissimo 
nella sua propria ignoranza: e tanto più uno sarà dotto, quanto più si saprà ignorante.” Nicola 
Cusano, La dotta ignoranza, 1,I.   
2 Il contenuto di un ragionamento corretto sul piano sintattico può essere falso se le premesse 
sono false. Per la verità bisogna dire che un ragionamento corretto consente addirittura di 
inferire delle conseguenze vere a partire da premesse false, per cui dal vero consegue il vero, dal 
falso può conseguire il vero o il falso.  
 13
1.2 Estetica  
 
Estetica: sf, [dal gr.  a‡sqhsij, percezione, sensazione, sentimento].  
L’estetica moderna nacque seguendo una prospettiva iniziata da Leibniz, 
secondo cui la percezione è l’unità della molteplicità in ogni monade, le quali 
sono ordinate proprio a seconda dei vari gradi di distinzione della percezione 
(da confusa ad intellettuale). In questa prospettiva, la percezione non è sempre 
chiara e distinta e si possono dare delle forme di percezione in cui sono confuse 
molte piccole percezioni. Così, sebbene dalla tradizione la sensibilità fosse stata 
degradata – fino all’acme del periodo cartesiano – Leibniz, recuperando l’idea 
della continuità naturale e della gradualità della percezione (più o meno chiara) 
caratterizza la dignità della sensibilità umana, poiché anche nella sensibilità si 
ritrova l’importanza di una forma di conoscenza della realtà (verità di fatto). 
Anche il più piccolo degli enti è una monade ossia è dotato di capacità di 
rappresentazione, è a suo modo, vivo ed ha una conoscenza più o meno confusa. 
Opponendosi risolutamente al materialismo
1
 o ad ogni teoria che assume una 
concezione tale per cui la materia viene ad essere disprezzata o adorata, diceva:  
 
“(Nel mio sistema) vedo ogni cosa regolata e abbellita al di là di tutto ciò 
che si è concepito finora: ovunque la materia organica, niente di vuoto, 
sterile, negletto, niente di troppo uniforme, tutto variato ma con ordine e, 
cosa questa che supera l’immaginazione, l’universo in scorcio, ma secondo 
una prospettiva differente in ciascuna delle sue parti e anche in ciascuna 
unità di sostanza”
2
 
 
Quindi Leibniz, oltre a gettare le basi teoriche per ciò fu poi definito 
“l’inconscio” (ossia una forma di pensiero non chiaramente distinto eppure 
valido) oltre a preservare la dignità del vita del cosmo (dal micro al macro), 
intese preservare anche la materia stessa spiegando come si possa dare 
conoscenza anche lì dove lo spirito non ne ha una chiara percezione, ed ha così 
gettato anche le basi teoriche dell’estetica, intesa come scienza della conoscenza 
sensitiva.  
In seguito, l’estetica fu formalizzata come gnoseologia inferior da 
Baumgarten
3
 il quale l’intese sempre come complemento delle scienze logiche. 
                                                 
1
 Leibniz, nei Nuovi saggi sull’intelletto umano, scritti come risposta ad un saggio di Locke uscito 
poco prima, combatte contro la concezione di materia tanto di Democrito-Locke quanto contro 
quella ben diversa di Cartesio-Malebranche. Ciò che non era affatto gradito a Leibniz era la 
deriva mortale di quei sistemi. L’universo composto di materia inerte ed “inorganica” (atomi o 
muta res extensa). I sistemi filosofici stavano, in un modo o nell’altro, uccidendo il miracolo della 
natura vivente, la parola materia assumeva un significato sempre più freddo, inanimato, 
totalmente omogenea e senza alcuna vita. Nella polemica contro i materialisti, Leibniz sosteneva 
la visione secondo cui la vita è presente in gradi diversi, ma è presente ovunque; pertanto, ogni 
singolo ente del cosmo (o monade) è dotato di una seppur minima capacità di rappresentazione, 
ossia è vivo.   
2
 Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, I, 1. 
3
 “L’estetica (ovvero la teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del pensare bello, arte 
dell’analogo della ragione) è la scienza della conoscenza sensitiva” (Baumgarten, Estetica, 1750).  
L’estetica, così intesa non è una “dottrina autonoma” ma una prospettiva della filosofia: non si 
può, a mio parere, fare un discorso “estetico” a prescindere da una più vasta cornice generale – la 
filosofia nel senso più completo – che sia la garanzia del legame fra un discorso specifico e 
l’universalità dell’esperienza umana. Nel passato la logica fu definita come gnoseologia superior 
 14
Assegnando al bello un valore conoscitivo universale, delineò un’estetica come 
scienza che tende a perfezionare questa conoscenza del lato sensibile della 
realtà, senza per questo opporsi alla gnoseologia superior (le conoscenze 
astratte e logiche). Da questo ideale non si discostò neppure Schiller il quale, 
come afferma Calò:  
 
“Dell’estetica, così poco curata, voleva egli farsi il paladino e, partendo 
dalla dottrina kantiana, la quale offriva “le più salde basi per erigervi su 
un sistema di estetica”, costruire una teoria oggettiva del bello e mostrare 
come anche il gusto riposi su leggi eterne, che sono poi le stesse leggi 
costitutive della ragione”
1
 
 
Su questa scia assumeremo una idea di estetica come scienza della 
conoscenza sensibile volta alla scoperta tanto delle leggi costanti quanto degli 
elementi soggettivi coinvolti nella percezione. Nella nostra ricerca non 
assumeremo nessun criterio di giudizio (superior-inferior), ma l’intenderemo 
quale scienza complementare all’altra, per cui entrambe si trovano in reciproca 
interdipendenza pur conservando una relativa autonomia. Nel loro gioco sorge 
la filosofia. 
 
 
1.2.1 Esperienza estetica.  
Circa il termine composto |esperienza estetica|, che verrà utilizzato spesso 
nel corso della ricerca, è opportuno dare un chiarimento su ciò che si vuole 
intendere, dal momento che è un termine cardinale per l’estetica. Esperienza 
estetica, stando alla radice del termine, significa esperienza sensibile, esperienza 
dei sensi o della sensibilità. In generale l’esperienza sensibile è un evento della 
percezione in cui i nostri sensi vengono colpiti da alcuni stimoli che il nostro 
pensiero traduce in rappresentazioni corrispondenti. Alla natura immediata della 
rappresentazione mentale diretta (un teorema geometrico), si oppone la natura 
“mediata” delle esperienze dei sensi, che appunto devono necessariamente 
attraversare la sensibilità, per diventare una nostra rappresentazione: la mano di 
una donna, il sole, una sinfonia... Presa in questa accezione tutta la vita 
materiale è una grande esperienza sensibile, ed ogni fenomeno che coinvolga i 
sensi del corpo può essere un’esperienza sensibile per un soggetto che vi assiste: 
un tramonto, una nuotata, un buon pasto, la morte di un parente o la nascita di 
un bimbo, una partita a pallone o la lettura di un libro, insomma ogni evento 
materiale ed azione umana ha come sua componente una certa esperienza dei 
sensi, la quale comporta anche una certa conoscenza sensibile
2
, la vita e la storia 
si svolgono infatti in un corpo spaziotemporale unico.  
                                                                                                                                  
ossia il dominio degli immateriali enti di ragione, mentre con gnoseologia inferior o estetica si 
intendeva la conoscenza teorica di ciò che concerne la sensazione materiale del corpo come 
elemento necessario della teoria. Senza assumere un giudizio di valore come era nella 
terminologia del passato, diremo che esse sono l’una complementare all’altra ed entrambe sono 
necessarie alla filosofia. 
1
 F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica e altri scritti, trad. R. Heller e G. Calò, Firenze, Sansoni, 
1927, p. XXIV.   
2
 L’esperienza, come ben dice Leibniz, è una verità di fatto, è contingente ed è sottoposta al 
principio di ragion sufficiente, a differenza delle verità di ragione che sono necessarie e 
sottostanno al principio di identità. Questa distinzione è introdotta dal filosofo per indicare che il 
 15
Per questo, con |esperienza sensibile| si intenderà il senso più generale, 
mentre il senso di |esperienza estetica|  è ristretto all’universo di discorso 
artistico, cioè ad indicare tutte le esperienze sensibili organizzate da un 
soggetto, dunque frutto dell’esercizio della razionalità, circoscritte nel tempo e 
nello spazio e dotate di specifiche proprietà. L’esperienza estetica, in questo 
senso è segno.  Inoltre l’esperienza estetica è anche un evento in cui, a partire da 
un “oggetto estetico”, l’eventuale soggetto della percezione si trova esposto ad 
un insieme (un sistema) di stimoli sensitivi, coordinati e collegati da una volontà 
che ha disposto la materia in modo tale che essa eserciti, su ogni eventuale 
soggetto, un certo impatto empirico. Ogni esperienza estetica, come segno ha un 
impatto sul soggetto, produce una spinta pratica
1
. Un film, un quadro, un brano 
musicale, un libro, una favola raccontata dal narratore, sono esperienze estetiche 
e tutte utilizzano la sensibilità come condizione. Un gioco, un girotondo o una 
danza, un ritornello o un’olimpiade, uno spettacolo, ogni fenomeno sensibile 
organizzato può essere un’esperienza estetica. L’esperienza estetica unisce in sé 
due elementi: una parte sensibile-fisica - ed una razionale-semiotica. Il 
problema del gioco è complesso ed ha relazioni fondamentali con questi aspetti 
e può dunque essere teoricamente discusso solo in questa sede. Armonizzare gli 
opposti è un’arte. È necessaria un’adeguata riflessione metodologica su come 
debba essere quest’arte, una riflessione che non può che essere estetica. 
Riassumendo, l’esperienza sensibile in generale è tutto ciò che cade sotto 
la nostra sensibilità e si tramuta in una esperienza per un soggetto, mentre 
l’esperienza estetica è una esperienza sensibile organizzata che in quanto segno 
produce una certa spinta sul soggetto.  
                                                                                                                                  
mondo reale non è necessario: il necessario ha spazio solo fra le verità di ragione, il possibile è 
invece il principio più vasto e circonda ogni cosa. Il mondo creato, per Leibniz, è ovviamente 
contingente: tale distinzione è invece negata sia dallo spinozismo che dall’idealismo, ossia da 
tutte le filosofie che indicano la necessità come condizione della realtà e fanno del mondo un ente 
prodotto meccanicamente (appunto necessariamente) a partire da un Dio obbligato a creare in tal 
modo (Spinoza), da un idea (idealismo) o da un Dio Idea (idealismo hegeliano). 
1
 Ciò si deduce dalla teoria semiotica di Peirce (Cfr.: C. Peirce, Collected papers) in quanto un 
representamen o segno, causa il circolo semiotico che però non termina idealisticamente in se 
stesso ma nell’azione pratica che imprime all’interpretante. Di questo tema, in Italia si è 
interessato particolarmente Eco. “Peirce non è mai interessato negli oggetti come insiemi di 
proprietà ma come occasioni e risultati di esperienza attiva. Scoprire un oggetto, lo abbiamo 
visto, significa scoprire il modus operandi onde produrlo (o produrne l’uso pratico). Un segno può 
produrre un interpretante energetico o emozionale: quando si ascolta un brano musicale 
l’interpretante emozionale è la nostra reazione al fascino della musica; ma questa reazione 
emozionale produce anche sforzo mentale o muscolare, e questi tipi di risposta sono 
interpretanti energetici. Una risposta energetica non chiede di essere interpretata: essa produce 
(per successive ripetizioni) un’abitudine. Dopo aver ricevuto una sequenza di segni il nostro 
modo di agire nel mondo ne viene permanentemente o transitoriamente mutato. Questa nuova 
attitudine è l’interpretante finale. A questo punto la semiosi illimitata si arresta, lo scambio dei 
segni ha prodotto modificazioni dell’esperienza, l’anello mancante tra semiosi e realtà fisica è 
stato finalmente identificato. La teoria degli interpretanti non è idealistica” U.Eco  Lector in fabula, 
2.8. 
 16
1.3 Armonia 
 
Armonia: sf [dal lat. armonia, dal gr.¡rmon…a, adattamento, accordo, 
concordia delle parti].  
Uno dei temi più antichi del pensiero umano, è il conflitto e l’accordo dei 
contrari: l’armonia. Se volessimo scavare nei millenni del genere umano 
troveremmo una moltitudine di riferimenti a questo processo cosmico. Esiodo, 
nella Teogonia, caposaldo della nostra mitologia, sostiene che Armonia nacque 
allorché Afrodite, dea dell’amore, tradendo l’artigiano Efesto suo legittimo 
marito, si unì con Ares, dio della guerra, e dalla loro unione nacquero Phobos 
“paura”, e Deimos “spavento”, Eros “amore” e Anteros “amore ricambiato” - 
come aggiunge Cicerone nel De natura Deorum – e da quella unione nacque 
anche la dea Armonia “la unificatrice”. Inoltre, il mito racconta che la dea 
Armonia si unì in matrimonio con Cadmo, pastorello umano ma anche uccisore 
del drago Tifèo, siglando così le prime nozze fra mortali e dèi, nozze fastose a 
cui gli stessi dèi parteciparono con i loro doni divini.  
Già nel mito si riscontra la vera natura dell’armonia: essa nasce dagli 
opposti più inconciliabili ma unifica le diverse nature. Essa è una dea, ma non è 
come le altre: è la prima dea che si sposa con un misero mortale, perché la sua 
stessa vita di dea diventi armonia fra celesti e terrestri. Per questo l’armonia non 
è impossibile all’uomo, a patto che egli superi il drago Tifeo, il figlio mostruoso 
di Gea, la Terra, il cui padre era Tartaro, l’Abisso. Solo oltrepassando le prime 
mostruose conseguenze della materia e dell’indeterminatezza un mortale potrà 
sposare la celeste Armonia. Ma per andare oltre il mito, apriamo un libro antico 
ma già classico. 
 
“In realtà tutte le cose sono generate da contrari, ma in quanto questi 
ineriscono ad un sostrato: ragion per cui i contrari devono indubbiamente 
presupporre un sostrato. Tutti i contrari, dunque, sono sempre predicati di 
un sostrato e nessuno di essi ha una esistenza separata; ma niente è 
contrario alla sostanza – come, del resto, non solo si scorge con evidenza, 
ma anche è provato da considerazioni di ordine logico - però nessun 
contrario è, in senso peculiare, principio di tutte le cose, ma il principio è 
un altro.”
1
 
 
Ciò che subito afferriamo è la natura universale dei contrari, che prendono 
parte alla generazione di ogni cosa, tuttavia mai i contrari hanno esistenza 
autonoma, sono sempre parte del tutto che li unifica. Sono cioè divisi per 
astrazione, per un atto dell’intelligenza, ma in sé stessi sono comunque 
nell’unità del sostrato e quindi nella compenetrazione reale. Inoltre è importante 
come il sostrato non abbia nulla che si opponga come contrario, poiché ogni 
contrarietà è possibile solo in esso. L’armonia dei contrari è dunque una 
condizione concretamente possibile all’interno dell’unità cosmica del sostrato, 
inoltre ogni sostrato particolare potrà presentare una maggiore o minore 
armonia delle sue parti.  
 
                                                 
1
 Aristotele, Metafisica XIV (N) 1, 1087 a, 35.