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Capitolo 4: Introduzione ai modelli di trattamento
4.1: Premessa
Solo una modesta parte di giocatori problematici e/o
patologici giunge ai servizi (Gupta, Derevensky et al.,
2004; Slutske, 2006; Ladouceur 2004; Suurvali, Hodgins
et al., 2008) oppure al cospetto di un professionista pri-
vato (Tavares Zilberman et al., 2002; Savron, Pitti e De
Luca, 2001; Hodgins ed El-Guebaly, 2000).
Le cause dell'esiguità di tale percentuale possono es-
sere molteplici: la convinzione, ricorrente in molte forme
di dipendenza, di poter mantenere il controllo sul compor-
tamento e quindi di poter smettere senza l’aiuto di spe-
cialisti; il sentimento di vergogna che spesso accompagna
questa tipologia di pazienti, probabilmente sostenuto da
una cultura ancora caratterizzata dal giudizio morale
verso il gioco eccessivo; l’atteggiamento ambivalente del
paziente nel momento in cui si presenta allo specialista,
non di rado con una residua componente sintonica verso
il proprio disturbo ma sotto la pressione di familiari o altre
persone significative, se non addirittura costretti da un
provvedimento del giudice. Comunque, al di là delle ovvie
differenze e peculiarità individuali di ciascun paziente,
fondamentale per l’efficacia di qualsiasi intervento è l’in-
staurare un profondo rapporto di fiducia professionista
paziente e la migliore possibile alleanza terapeutica.
Attualmente non è stato possibile individuare un
trattamento scientificamente valido ed universalmente
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condiviso per la cura del gioco d’azzardo patologico (Sa-
ladino, in Verrastro, (a cura di) 2016).
Il modello d’intervento maggiormente condiviso pre-
vede in via preferenziale un paradigma di integrazione,
nella prospettiva della riduzione del danno e della reco-
very, intesa quest’ultima come processo attivo e dinamico
di supporto e responsabilizzazione della persona dipen-
dente. Tali obiettivi possono essere raggiunti mediante lo
sviluppo di strategie rivolte non solo al trattamento dei
sintomi, ma anche e soprattutto al superamento delle mi-
nacce secondarie alla disabilità che comprendono stigma,
discriminazione ed esclusione sociale, fino al raggiungi-
mento della migliore condizione possibile per quella spe-
cifica persona, in quel determinato momento della sua
storia (Casciani & De Luca 2017). All’interno di questo
processo decisionale, possiamo prendere in considera-
zione l’impiego di trattamenti farmacologici, di tratta-
menti biologici non farmacologici e di trattamenti di ma-
trice psicosociale.
4.2: Cenni sugli strumenti farmacologici
4.2.1: Premessa
Le interazioni farmaco-organismo sono molteplici e
nell’utilizzo di tali sostanze esogene, soprattutto se attive
sul sistema nervoso centrale, è necessario tener conto di
modificazioni funzionali e biochimiche indotte; in che
modo i farmaci vengono assorbiti, distribuiti, metaboliz-
zati ed eliminati dall’organismo.
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In altre parole, dovremo sempre aver presente la rela-
zione che sussiste tra il farmaco e un recettore, ricor-
dando che l’interazione tra sostanza e recettore provoca
una modificazione funzionale del sistema bersaglio. I fat-
tori che mediano questa modificazione sono fondamental-
mente due: il tipo di legame tra sostanza (ligando) e re-
cettore e il tipo di recettore attivato.
Da un punto di vista farmacologico, la dinamica li-
gando-recettore è molto più complessa (Vento & Ducci
2018).
Gli psicofarmaci quindi interagiscono a livello del SNC,
lavorando esattamente sulla dinamica ligando-recettore,
attraverso un’azione su specifici siti recettoriali; sarà, poi,
la risposta del recettore a determinare una modulazione
dell’attività e della trasmissione sinaptica.
Nella scelta di un farmaco si valutano le variabili
dell’acronimo STEPS: sicurezza, tollerabilità, efficacia,
prezzo e semplicità.
Al momento, in letteratura non risulta alcun farmaco
specifico per il trattamento del gioco d’azzardo, probabil-
mente, mi permetto di congetturare, per l’eziologia mul-
tifattoriale del disturbo e per la natura di dipendenza
senza assunzione di sostanza. Ciò non esclude o inficia
minimamente le possibilità di un intervento (anche) far-
macologico mirato a singole disfunzioni e deficit neurotra-
smettitoriali responsabili di specifici comportamenti (Sa-
ladino, in Verrastro et al. 2016).
Nella scelta della migliore strategia farmacoterapeutica,
inoltre, è opportuno ricordare che il trattamento è indiriz-
zato non tanto al comportamento di azzardo in senso
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stretto bensì a fattori personali dei giocatori (psicopatolo-
gici, temperamentali) che sono associati al comporta-
mento disfunzionale. Più precisamente, il farmaco ha lo
scopo di contrastare alcuni sintomi o tratti che tendono a
rinforzare il gioco eccessivo o quanto meno a interferire
con la capacità del soggetto di recuperare un controllo sul
proprio comportamento (Bellio 2014).
Generalmente un trattamento farmacologico viene pro-
posto quando: a) il paziente manifesta difficoltà elevate a
mantenersi astinente ed è preda di spinte e desideri in-
coercibili; b) la situazione appare complicata dalla com-
presenza di sintomi psicopatologici; c) il paziente abusa
di alcool o di altre sostanze; d) l'impulsività è molto ele-
vata; e) gli interventi psicoterapici o comportamentali
sono poco efficaci o non attuabili per problematiche am-
bientali o personali. (Bellio ibidem).
4.2.2: Le molecole
Il trattamento con antagonisti oppioidi ha dimostrato di
essere utile soprattutto quando il craving per il gioco è
elevato o esiste familiarità per alcoolismo (Grant, Kim et
al., 2008)
Il litio e il valproato sembrano essere efficaci soprattutto
nei pazienti che hanno una co-morbilità con disturbi mi-
nori dello spettro bipolare (Bellio 2014).
Da uno studio di Rosenberg, Dinur et al. (2013) emerge
che dei 78 pazienti ai quali sono stati somministrati 4 di-
versi tipi di farmaci psicotropi, naltrexone, topiramato,
bupropione ed escitalopram (farmaci con diversi mecca-
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nismi d'azione), il naltrexone è risultato essere il più effi-
cace. In particolare, nella ricerca sperimentale, il cam-
pione è stato valutato utilizzando la Hamilton Depression
Rating Scale a 21 item, la Hamilton Anxiety Rating Scale,
la Global Assessment of Functioning e la Visual Analog
Scale, per misurare il benessere generale prima dell'ar-
ruolamento, a 1 mese, 6 mesi, 24 mesi e 48 mesi dopo
l'inizio del trattamento farmacologico. I risultati ottenuti
dai ricercatori mostrano che durante i primi 2 anni di trat-
tamento poco meno della metà dei partecipanti (34 pa-
zienti) hanno abbandonato l’assunzione del farmaco, con
un altro abbandono durante gli ulteriori 2 anni di follow-
up. C’è stato un miglioramento significativo su tutte le
scale di valutazione in tutti i gruppi dopo 2 anni; inoltre il
gruppo di pazienti trattati con naltrexone ha avuto un
tasso di abbandono inferiore statisticamente significativo
rispetto ad altri gruppi, punteggi HAMD inferiori statisti-
camente significativi rispetto al gruppo trattato con bu-
propione, punteggi inferiori nella Hamilton Anxiety Rating
Scale statisticamente significativi rispetto ai gruppi trat-
tati con escitalopram e topiramato e punteggi della scala
analogica visiva significativamente più alti rispetto ai
gruppi trattati con bupropione e topiramato.
Partendo dai risultati neurobiologici che indicano che il
problem gambling e la tossicodipendenza condividono
percorsi eziopatologici comuni (Potenza 2008; Leeman
and Potenza 2012), Pettorruso, De Risio et al. (2014) so-
stengono che i farmaci che prendono di mira la trasmis-
sione glutamatergica potrebbero essere utili anche per il
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trattamento delle dipendenze comportamentali (cioè il
PG). Infatti i dati sembrano confermare l'utilità di un si-
mile trattamento rispetto al craving e nella prevenzione
delle ricadute (Rösner, Leucht et al. 2008).
In conclusione, mentre alcune molecole non hanno evi-
denziato dati incoraggianti sul piano dell'efficacia, altre al
contrario hanno dimostrato di essere attive: soprattutto il
naltrexone, il litio, il valproato, e, in secondo piano, SSRI
e bupropione.
Negli studi osservati esiste poi una elevata risposta al
placebo, ovvero a fattori aspecifici, rilevabile anche dopo
alcuni mesi dall'inizio della terapia (Bellio 2014).
È bene ricordare inoltre che poiché non vi sono mole-
cole registrate per il trattamento del disturbo da gioco
d’azzardo, ogni soggetto a cui viene prescritto un farmaco
a tal fine deve dare il proprio consenso informato specifico
dopo aver discusso con il medico che lo ha in cura, in
modo dettagliato, le motivazioni di tale scelta terapeutica,
i vantaggi e gli effetti indesiderati attesi e/o possibili (Bel-
lio 2014).
Sebbene alla luce di quanto visto finora emerga che
l'uso di farmaci nella terapia del giocatore patologico non
possa essere considerato un trattamento di prima scelta,
tuttavia in certe situazioni può apparire giustificato pren-
dere in considerazione una farmacoterapia, soprattutto a
supporto di altre strategie terapeutiche: trattamenti com-
portamentali, psicoterapici, e/o all'inserimento in un
gruppo di auto/mutuoaiuto, come ad esempio i Giocatori
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Anonimi. L’uso del farmaco può inoltre contribuire allo svi-
luppo di una corretta e positiva relazione con il paziente
e per il superamento delle eventuali ambivalenze e resi-
stenze al cambiamento che finiscono per tradursi in una
scarsa compliance e aumento di rischio di drop out.
4.3: Strumenti biologici non farmacologici
Alcune recenti tecnologie biomediche si sono dimo-
strate assai utili nel trattamento dei disturbi psichici da
uso di sostanze e dell’addiction. Sono tutte quelle meto-
diche d’intervento strumentale non invasivo che permet-
tono di stimolare o inibire l’attività neuronale di specifiche
aree cerebrali.
Nella pratica clinica, attualmente, si possono distin-
guere due differenti metodiche: la Stimolazione Magne-
tica Transcranica (TMS) e la Stimolazione Transcranica a
Corrente Diretta Continua.
La stimolazione magnetica transcranica (TMS) è basata
sul principio dell’induzione elettromagnetica: un impulso
elettrico genera un campo magnetico che penetra attra-
verso il cranio ed induce lo stimolo nel tessuto nervoso
che modula l’attività dei neuroni. L’effetto può essere di
due tipi:
• Attivazione (induzione/incremento dell’attività elet-
trica di un’area altrimenti inattiva o ipoattiva);
• Inibizione (riduzione dell’attività elettrica in corso in
una determinata area)
Ottenendo in questo modo un rimodellamento anato-
mofunzionale delle cellule bersaglio, in particolare nuove
connessioni sinaptiche.