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INTRODUZIONE
Di giorno in giorno, tutti noi acquisiamo maggior consapevolezza del fatto di
vivere ormai pienamente in una società in cui l'informazione e la
comunicazione sono divenuti beni primari, dal valore incontestabile. Un
numero crescente di processi produttivi ed attività quotidiane si basa sulla
disponibilità e sull'utilizzo del prodotto "comunicazione". La politica fa parte
a pieno titolo di questo insieme.
La comunicazione è oggi un'attività imprescindibile e vitale per ogni sorta di
attore politico, individuale e collettivo. Inoltre, il rapporto con la società e con
i cittadini-elettori si è fatto via via più complesso e progressivamente meno
diretto: le modalità attraverso cui gli individui si informano e conoscono la
realtà politica sono quasi sempre mediato dai mezzi di comunicazione di
massa.
Anche in funzione dell'assoluta centralità dei mass media (e su tutti della
televisione), si è assistito negli ultimi decenni ad un processo di crescente
professionalizzazione della politica - soprattutto in relazione agli ambiti del
marketing, della pubblicità e del media management - per cui l'azione dei
soggetti politici risulta spesso guidata e costruita da interi team di consulenti e
professionisti.
Parallelamente a questo sviluppo della politica in senso "comunicativo", la
società - nella sua interezza - è stata interessata da processi ancora più ampi e
complessi, con particolare riferimento alle dinamiche di modernizzazione e
secolarizzazione. E proprio la secolarizzazione è alla base di quella che molti
definiscono la "fine delle ideologie", l'affrancamento della società e degli
individui da vincoli e legami di tipo ideologico appunto.
Il quadro appena descritto rappresenta il macro-scenario dal quale prende le
mosse il disegno di ricerca di questo elaborato. Difatti, il punto di partenza
dell'analisi, si inserisce all'interno del complesso insieme di mutamenti che
hanno interessato (e stanno interessando tuttora) la società moderna - intesa in
particolare come "società politica" - e si sostanzia nella presa d'atto del
processo di disallineamento ideologico che interessa nello specifico il corpo
elettorale delle maggiori democrazie occidentali avanzate.
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Col termine disallineamento, come si avrà modo di capire, si è soliti indicare
l'allentamento di tutti quei legami, quelle connessioni e quei vincoli che - fino
ad un certo momento storico e con gradi diversi di intensità - erano soliti unire
gli individui (e dunque gli elettori), con le principali organizzazioni partitiche
presenti ed attive sulla scena politica di ogni paese.
Nella prima parte del nostro lavoro dunque, cercheremo di costruire una
definizione del fenomeno che prende il nome di "disallineamento", e
tenteremo di delineare i tratti ricorrenti e le peculiarità di un fenomeno che,
per sua natura, poco si presta ad essere ingabbiato in strutture concettuali
eccessivamente definite o attraverso assunti troppo rigidi.
Pertanto, il nostro compito primario, consisterà nel far emergere la portata e le
misure di un fenomeno così complesso, adducendo risultati statistici e di
ricerca come prova della consistenza dello stesso; mostreremo, quindi, come
il processo di disallineamento sia stato, e continui ad essere, oggetto di studi
comparati da parte della scienza politica, che ormai deve fare i conti con la
sua pervasività.
Inoltre, il nostro obiettivo sarà quello di leggere il disallineamento delle
appartenenze politiche, ideologiche e partitiche, in relazione alle dinamiche di
competizione elettorale.
Così, nella seconda parte dell'elaborato, ci concentreremo sulla descrizione
del modello di competizione elettorale tradizionale, definito "posizionale", il
quale presuppone, al fine di un suo corretto funzionamento e di una sua
efficace applicazione empirica, l'esistenza di un elettorato ideologicamente
segmentato, che tenda ad operare le proprie scelte di voto seguendo un
modello essenzialmente di stampo economico, o meglio economicistico.
Esamineremo dunque l'origine della teoria economica applicata all'ambito
politico-elettorale, ne metteremo in discussione alcuni aspetti e proveremo a
discutere riguardo una sua possibile "evoluzione".
In tal senso, ci è sembrato interessante mettere in luce la relazione tra
l'emergere di un elettorato fluido, di opinione, sempre meno ancorato alle
cosiddette identità "pre-politiche" da una parte, e il mutamento delle
dinamiche di competizione nel campo politico ed elettorale.
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Di conseguenza, sempre nella seconda parte, si cercherà di porre l'attenzione
sullo spostamento dell'asse competitivo nella contesa elettorale fra partiti,
soprattutto introducendo il concetto di "valence issue": Spiegheremo in che
modo e per quali ragioni la contesa tra gli attori politici si sposti, con sempre
maggior decisione (almeno a livello comunicativo), verso tematiche
trasversali, di carattere imperativo, caratterizzate dal fatto di vertere sul “chi”,
piuttosto che sul “cosa”, nell'intento dichiarato di unire l'elettorato, anziché
dividerlo.
Infine, nella terza parte, il nostro intento sarà quello di documentare l'effettivo
passaggio ad una comunicazione politica incentrata sui temi imperativi, per
effetto dei quali la competizione tra partiti si gioca oggi maggiormente
sull'attribuzione di valenza, positiva o negativa, ad un determinato soggetto
(leader, partito, o coalizione che sia) rispetto ad una data tematica imperativa.
A questo scopo, abbiamo deciso di prendere in esame il caso italiano, in
particolare quello che concerne il lungo e travagliato processo evolutivo dal
Partito Comunista Italiano al Partito Democratico.
Pertanto, nell'ultima parte - la più corposa - verrà ricostruito il percorso di
"mutazione genetica" del Pci, delineando le tappe principali di questa
trasformazione, particolarmente significativa per la natura prettamente
ideologica e posizionale del partito e specialmente del suo rapporto con la
propria base elettorale.
Ripercorreremo, attraverso l'analisi dei comizi elettorali, dei discorsi
parlamentari o delle conferenze stampa, gli snodi cruciali delle campagne
elettorali dagli anni Settanta agli anni Duemila, facendo emergere il
progressivo e crescente ricorso ad una comunicazione improntata su schemi
tutt'altro che posizionali, costruiti piuttosto su tematiche trasversali, in grado
di adattarsi e far breccia in un pubblico elettorale "disallineato", sempre meno
dipendete dalle ideologie e dalle loyalties tradizionali.
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CAPITOLO 1.
RAGIONI, CAUSE, IMPLICAZIONI E
CONSEGUENZE DEL PROCESSO DI
DISALLINEAMENTO DELLE APPARTENENZE
« Party identifiers are like sports fans. Their
partisanship is a psychological mobilizer that
encourages them to vote on election-day, write their
representatives, and contribute funds to their political
party. […] Party identities can be especially strong in
predicting electoral participation in European
parliamentary democracies where voters cast their
ballots directly for a political party. Even when voters
choose between candidates, many are unaware of the
candidates’ names and are simply voting for the
party’s representative in their district. »
Russell J. Dalton, University of California, Irvine.
Dal testo preparato per la presentazione alla Conferenza su
“The 2009 German Federal Elections”, Kansas University,
2010.
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1.1 L’EMERSIONE DEL FENOMENO A LIVELLO SOCIALE
1.1.1 Un processo dalle radici lunghe e profonde
La recente letteratura sulla ricerca elettorale mostra con chiarezza, in tutti i
paesi industrializzati avanzati, alcune tendenze comuni e ben definite del
comportamento politico-elettorale per così dire “di massa”. Come ha più volte
rimarcato lo studioso americano Russel J. Dalton, queste tendenze includono
cambiamenti nella base socio-strutturale delle tradizionali “fratture” politiche,
l’emergere di nuovi valori e nuove questioni politiche, e l’indebolimento della
relazione tra partiti e cittadini-elettori.
Il fenomeno del disallineamento elettorale genera un riassestamento dei
tradizionali modelli del comportamento di voto: tali schemi, infatti, erano
principalmente fondati sull’immagine di un elettorato stabile, per cui le scelte
di voto venivano spiegate sulla base di fattori di lungo-periodo, come la
posizione all’interno della struttura sociale, o le tradizionali fedeltà acquisite
durante il processo di socializzazione.
Questa concezione si è riflessa nella forte enfasi posta da una parte
sull’identificazione partitica – nella tradizione del Michigan model
(Campbell, Converse et al.,1960) – dall’altra, sulla stabilità o meno di quei
“cleavages” politici dettagliatamente delineati da Lipset e Rokkan (1967).
Ma proprio la comparsa di questo nuovo fenomeno e dei trend ad esso
connessi ha condotto gli studiosi a mettere in dubbio la validità attuale dei
suddetti modelli, i quali risultano inadeguati al quadro emergente, avendo
perso gran parte della loro efficacia esplicativa. Come conseguenza
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dell’allentamento degli usuali legami di fedeltà politica, le scelte elettorali
muovono verso un livello più alto di incertezza.
Il declino nella forza dell’identificazione partitica è soltanto un aspetto del più
generale indebolimento delle famigerate predisposizioni “socio-strutturali”
degli elettori.
La prova più significativa a sostegno di tale declino viene dall’ampia gamma
dei ricerche,analisi e sondaggi elettorali nazionali e trans-nazionali che
rivelano, nella gran parte delle democrazie avanzate, una medesima tendenza
di lungo-periodo, mostrando come in ciascuno dei paesi oggetto di rilevazioni
a lungo termine, la percentuale della popolazione con un alto livello di
identificazione partitica sia sensibilmente diminuita durante gli ultimi
decenni.
Inoltre, i dati longitudinali provenienti da diverse fra queste nazioni, marcano
un declino per quanto concerne il sostegno dei cittadini ai partiti.
I sondaggi indicano, ad esempio, che la porzione dei Tedeschi che esprimono
fiducia nei partiti politici è scesa dal 43% del 1979, a solo il 17% nel 2005.
Anche in Svezia si riscontrano dinamiche simili, tanto che se nel 1968 il 70%
degli intervistati respingeva l’ipotesi che i partiti fossero interessati solamente
al voto degli elettori, nel 2002 questa percentuale è crollata al 27%.
Il complesso effetto sinergico della modernizzazione sociale e della cosiddetta
“mobilitazione cognitiva” sembra dunque produrre risultati comuni che
trascendono i singoli confini nazionali e convergono nella direzione del
disallineamento.
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Nelle democrazie occidentali, la fedeltà degli elettori nei riguardi dei partiti
politici è in declino e tale questione si configura sempre più come oggetto di
un’amplissima varietà di studi e ricerche elettorali trans-nazionali.
Il suddetto declino non assume, com’è naturale, la stessa portata in tutti i
contesti nazionali, né si manifesta allo stesso modo in ogni partito o in ogni
singolo contesto politico e di governo. Ma quello che con sicurezza possiamo
attestare è il fatto che le loyalties politiche (e dunque anche partitiche) sono
andate affievolendosi, molto più che rafforzandosi o anche soltanto
consolidandosi, e negli ultimi decenni, questo processo ha segnato
profondamente l’intero quadro politico dei paesi occidentali.
L’insieme delle dinamiche che generano questa disaffezione dell’elettorato,
ha rappresentato – e rappresenta tuttora – una delle sfide più ardue con cui i
partiti e le organizzazioni politiche (ma non solamente essi) in genere devono
cimentarsi, costretti a destreggiarsi in un mercato elettorale in costante
movimento e in progressiva frammentazione.
Di certo, non tutti i cambiamenti che hanno riguardato i partiti politici negli
ultimi anni possono essere direttamente imputati ai mutamenti del mercato
elettorale: in questo senso infatti, hanno rivestito una funzione importante
anche altri fattori, come il progresso tecnologico e i nuovi strumenti che esso
ha messo a disposizione delle attività di comunicazione; i cambiamenti
istituzionali delle leggi elettorali e delle strutture parlamentar; e in generale i
cambiamenti nello scenario politico e nello status interno delle organizzazioni
partitiche stesse. Al contempo però, almeno parzialmente, questi ultimi fattori
sono controllabili dai partiti in modo più o meno diretto, al contrario invece di
quanto accade nel mercato elettorale, le cui dinamiche evolutive rimangono di
gran lunga più sfuggenti e decisamente meno manipolabili da parte dei
soggetti terzi interessati a farlo.
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1.1.2 I caratteri strutturali del processo di disallineamento
I cambiamenti nell’ormai noto “mercato elettorale” assumono forme diverse e
coinvolgono, nel loro manifestarsi, un’ampia serie di parametri e variabili. E’
proprio questo complesso campo di indagine, infatti, ad aver posto le basi per
una massiccia attività di ricerca da parte degli scienziati politici, i quali hanno
cercato di identificarne con precisione i mutamenti, le loro correlazioni
interne , le loro cause e la consistenza del loro impatto sull’intero sistema.
In questa sede non vogliamo entrare nel merito del dibattito accademico
appena citato, ma riteniamo utile ai fini della successiva analisi, quantomeno
delineare le principali categorie del cambiamento elettorale, le quali, pur se
con gradi e modalità differenti, sono riscontrabili nel percorso storico,politico
e sociale di tutte le democrazie occidentali avanzate.
La prima forma di cambiamento e, probabilmente anche la più visibile, è
quella derivante dai mutamenti sociali di tipo strutturale.
Questa prospettiva di analisi parte pertanto dalle tradizionali fedeltà che
esistevano fra gruppi sociali specifici, come i colletti-blu o i contadini, e
particolari partiti politici, come quelli socialisti o quelli agrari.
Lo stesso sviluppo economico che in un primo momento aveva dato origine a
questi gruppi specifici, è stato in seguito responsabile della loro
disgregazione. Infatti i cambiamenti elettorali sono legati al declino numerico
della tradizionale base clientelare dei partiti e, in particolare, alla forte
diminuzione del peso elettorale dei contadini, della piccola borghesia e della
classe operaia.
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Per converso invece, si è assistito all’espansione quasi imprevedibile della
nuova classe media costituita dai colletti bianchi, considerati privi di una
precisa e predeterminata fedeltà verso un particolare partito.
Dunque, a parità di altre condizioni, i cambiamenti delle strutture sociali e di
classe hanno favorito la crescita dell’elettorato disponibile, o meglio
“potenziale”. Da un lato ciò ha rappresentato un’opportunità per quei partiti
privi di un forte sostegno proveniente da gruppi sociali specifici; dall’altro
lato, i partiti tradizionalmente legati a clientele particolari si sono trovati di
fronte ad un restringimento del loro naturale bacino di consensi. E spesso
proprio quest’ultima condizione ha rappresentato un utile stimolo per le
organizzazioni politiche, spinte (o costrette) ad uscir fuori dai loro originari
bacini elettorali.
Pertanto il disallineamento, inteso in senso strutturale, si sostanzia nel fatto
che i gruppi sociali perdono la loro coesione e implica che segmenti
significativi di questi elettorati possano (ed effettivamente agiscano) voltare le
spalle ai partiti che precedentemente appoggiavano. Ad esempio accade che i
Cattolici possano non votare per i partiti Cristiano-democratici e che gli
operai possano esprimere la loro preferenza non per forza a favore dei partiti
socialisti o di quelli comunisti.
Ciò su cui tutti gli studiosi concordano, comunque, è che i partiti non sono più
in grado di dare per scontata la sussistenza del loro consenso elettorale
tradizionale, e così si vedono, in tal senso, obbligati a sviluppare nuove
risposte e nuove strategie, ponendo estrema cura e cautela nel mantenere
anche il loro seguito apparentemente consolidato.