IL DIGITAL DIVIDE: LE NUOVE ESCLUSIONI SOCIALI
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nuove tecnologie non rimangono che tali”
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. Da qui nasce
l’interesse per un tema ancora oggi controverso, il cui studio
è una delle più impellenti necessità della nostra epoca per
due motivi: primo perché ormai è chiaro che la tecnologia
non è per forza sinonimo di benessere senza conseguenze,
secondo perché la condivisione d’informazioni nella società
contemporanea è alla base, non soltanto del diritto
all’informazione, ma addirittura dello stesso diritto di
cittadinanza.
Nella prima parte di questo lavoro, Analisi del
divario digitale, si comincia col ripercorre la nascita e
l’evoluzione del fenomeno digital divide sia a livello
nazionale che internazionale. Il primo capitolo, Digital
divide: storia ed evoluzione, è interamente dedicato alla
comparsa dell’espressione divario digitale, che vanta ancora
oggi una storia ambigua ed incerta. Il bisogno di tale
enunciazione nacque da una nuova consapevolezza, che si è
palesata dopo l’iniziale euforia mostrata nei confronti delle
ICT: a fronte di alcuni gruppi di individui che avevano
realmente accesso alla Società dell’Informazione, ampie
categorie di persone ne restavano escluse. Come mai? Ma
soprattutto come definire questa nuova e preoccupante
frattura? La maggior parte degli studi sull’argomento
concorda sul fatto che l’espressione faccia capolino per la
prima volta nel rapporto governativo Falling Through the
Net: Defining the DD, pubblicato dalla NTIA (National
Telecommunications and Information Administration) del
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Ibid.
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Dipartimento del Commercio statunitense nel 1999, dove
con digital divide si definiva il divario tra chi aveva accesso
alle nuove tecnologie e chi no: i cosiddetti information-
haves e information-have-nots. Ma dopo qualche anno
questa originaria visione dicotomica del fenomeno venne
rivista e progressivamente abbandonata, così le definizioni e
gli usi dell’espressione digital divide aumentarono, andando
ad incrementare la polisemia del concetto originario e con
l’aumentare dei significati che ruotavano attorno al divario,
aumentarono anche le tipologie di esclusi digitali rilevate.
Ad esempio nel 2001 Warschauer indica il DD come una
stratificazione sociale che diventa un continuum basato su
differenti gradi di accesso all’informazione. Ormai era
necessario porre la tecnologia in relazione ad altre
componenti come la società e gli individui. Così attorno al
digital divide si cominciano a fare anche delle previsioni che
originano due ipotesi sull’evoluzione del fenomeno: la
teoria della normalizzazione e la teoria della stratificazione.
La prima, imbevuta di determinismo tecnologico, dà per
scontato che l’abbassamento dei costi delle nuove
tecnologie possa ridurre contemporaneamente anche il
divario digitale, mentre la seconda sostiene che il divide non
va in una sola direzione ma si sviluppa in maniera
frammentata, insinuandosi tra le disuguaglianze sociali
preesistenti. Il tempo ha dimostrato che quest’ultima ipotesi
è la più accreditata e in ambito sociologico si è ben sposata
con il determinismo socioculturale, secondo cui l’uso delle
ICT è legato ai contesti sociopolitici, storici e culturali e con
il volontarismo, dove è centrale la volontà dell’individuo di
utilizzare i mezzi informatici. Dopo è stata proposta una
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rassegna dei modelli di analisi esistenti sul digital divide,
dove il primo fattore ad essere scomposto in più dimensioni
da Warschauer e Wilson è l’accesso. Sempre in ambito
statunitense Hargittai e Di Maggio si dedicano
maggiormente alle competenze e all’uso delle nuove
tecnologie da parte degli utenti, mentre in Italia si diffonde
qualche tempo dopo il modello Unarete, l’analisi a livello
micro e macro di Laura Sartori e la cluster analysis di Sara
Bentivegna, che intreccia diverse tipologie di dati e
indicatori per proporre una nuova tipologia di divario e di
esclusi digitali.
Nel secondo capitolo, dal titolo Divide
italiano e internazionale, vengono analizzati gli ultimi dati
Istat del rapporto Cittadini e nuove tecnologie
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del 2008, per
scoprire a livello nazionale quali possono essere le cause del
digital divide, oltre al mancato accesso tecnologico,
sposandoli con i modelli di analisi di Sara Bentivegna e
Laura Sartori, le due studiose italiane che hanno dato una
spinta innovativa alla ricerca in materia, inserendo anche in
Italia il digital divide nella multidimensionalità che gli
appartiene. Bentivegna, ad esempio, è riuscita ad
individuare una nuova classificazione di inclusi ed esclusi
dalla Rete guardando alla loro possibilità di accesso, al
luogo, alla frequenza, alla tipologia e al numero di attività
svolte contemporaneamente, alle competenze tecniche e
informazionali possedute e alle risorse a disposizione
(fisiche, culturali, comunicative e relazionali). Dopodiché
dal divario interno al nostro Paese si affronterà quello
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http://www.istat.it/salastampa/comunicati/
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globale, che riguarda le differenze di accesso tra Stati,
consultando gli ultimi dati disponibili sull’uso di Internet
nel mondo grazie alle statistiche del servizio Internet World
Stats e facendo attenzione soprattutto alla situazione europea
e italiana. Dato che ormai è evidente la connessione tra il
PIL di un paese e i suoi livelli di accesso, la novità di questo
approccio, suggerito da Laura Sartori, sarà di incrociare tra
loro, oltre ai dati di connessione e il PIL nazionale, altre due
variabili che fanno la differenza in termini di nuove
tecnologie, soprattutto tra gli Stati con una ricchezza
similare: lo Human Development Index (Hdi), l’indice
elaborato dall’ONU per ogni paese considerando il tasso
d’istruzione della popolazione, l’alfabetizzazione, il Pil e le
aspettative di vita e il Technological Achivement Index (Tai),
altro indicatore delle Nazioni Unite basato sulle capacità
umane di creare e diffondere le ICT. Infine il paragrafo Il
divide nel resto del mondo esplora il divide globale più
famoso, cioè quello che si è creato tra le zone del globo
economicamente più avanzate e i paesi in via di sviluppo.
Nel terzo capitolo, Le istituzioni e il digital divide, l’intento
è di raggruppare tutti i documenti internazionali e nazionali
che sono stati elaborati finora per contrastare il divario
digitale. A livello mondiale i primi due documenti dove fa
capolino l’espressione digital divide sono la Carta di
Okinawa, frutto del vertice del G8 che si tenuto dal 21 al 23
luglio 2000 a Okinawa, e i Millennium Development Goals,
otto punti individuati durante il “Vertice del Millennio”
delle Nazioni Unite di New York nel settembre dello stesso
anno, in cui i leader di tutti i 191 paesi s’impegnavano a
raggiungere questi propositi entro il 2015. In ambito
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europeo, invece, le linee-guida più importanti per
contrastare il digital divide nacquero in seguito all’adozione
della Strategia di Lisbona, un sistema scelto da tutti i paesi
membri per raggiungere un obiettivo decennale, cioè far
divenire l’economia europea la più competitiva del mondo,
facendo leva sulle molteplici possibilità offerte dalla
diffusione delle ICT. Da questa strategia globale nacquero
eEurope 2002, presentato dalla Commissione Europea nel
marzo 2001, eEurope 2005, approvato nel giugno 2002 dal
Consiglio europeo di Siviglia e, infine, i2010: la società
dell’informazione e i media al servizio della crescita e
dell’occupazione
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, un piano dove si riconoscono alle nuove
tecnologie e alla Rete le potenzialità di creare crescita e
occupazione. Dopo un’analisi approfondita di questi
documenti, si farà un riesame delle ultime linee-guida,
cercando di capire a che punto siamo del cammino
intrapreso a Lisbona dopo quasi dieci anni, concludendo
questa tappa nell’Ue col dare un’occhiata anche all’ultimo
frutto degli sforzi della Commissione per affrontare in
particolare il divario infrastrutturale: le Linee direttrici
relative all’applicazione delle norme in materia di aiuti di
Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga.
Gli ultimi paragrafi del capitolo sono dedicati al rapporto tra
Stato italiano e digital divide con particolare attenzione al
Rapporto Caio, il documento presentato davanti le
commissioni IX Trasporti e VIII Lavori Pubblici
commissionato dal Governo al Consulente Francesco Caio
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http://europa.eu/legislation_summaries/information_society/c11328_it.
htm
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per il Ministero dello Sviluppo Economico nel giugno 2009.
Questo documento, pur non dando un contributo all’analisi
della domanda o allo sviluppo di modelli economici di rete,
evidenzia quali sono le nuove sfide da affrontare per
colmare l’entry digital divide e i nuovi tipi di stratificazione
digitale che potrebbero crearsi se non s’interviene da subito
per l’adozione di modalità di connessioni mobili, alternative
alla rete fissa, e per la realizzazione di nuove infrastrutture
per la banda larghissima. I paragrafi successivi sono dedicati
ai dipartimenti dei dicasteri italiani che si occupano di
telecomunicazioni e reti multimediali: il Dipartimento per le
Comunicazioni, che fa capo al Ministero dello Sviluppo
Economico e il Dipartimento per la Digitalizzazione e
l’Innovazione Tecnologica che risponde del suo operato al
Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione.
L’ultimo intervento importante di quest’ultimo dipartimento
si chiama Piano e-Gov 2012 e consta di una serie
d’interventi per recuperare il ritardo dell’Italia nell’adozione
delle nuove tecnologie non solo in termini di accesso, ma
anche per quanto riguarda l’offerta e la disponibilità di
servizi online nella pubblica amministrazione.
Nella seconda parte, Divario digitale. La Provincia
di Roma, vado a studiare un caso concreto: il digital divide
nella Provincia di Roma. La scelta è ricaduta su questo tipo
di realtà locale perché le sue caratteristiche morfologiche e
socio-economiche offrono una quantità di input diversificati,
infatti vi convivono ben tre tipologie di luoghi: metropoli,
periferia e piccoli Comuni, dove ognuno ha un rapporto
diverso con le nuove tecnologie. Un altro motivo della mia
scelta riguarda l’impegno che l’amministrazione capitolina
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sta dimostrando già da tempo nell’ideazione e nella
sperimentazione di strategie risolutive in contrasto con
l’esclusione digitale. Come vedremo, il primo presidente
che si è preoccupato di contrastare il digital divide in seno
alla provincia è stato Enrico Gasbarra, eletto nel 2003 in
rappresentanza di una coalizione di centrosinistra,
consegnando le deleghe alla cultura, ai sistemi informativi e
all’e-Government a chi era a capo dell’Assessorato delle
Politiche Culturali, della Comunicazione e dei Sistemi
Informativi: Vincenzo Vita. “La provincia solitamente si
occupava di ambiente, rifiuti e formazione professionale -
mi ha raccontato l’attuale vice presidente della
Commissione cultura del Senato Senato Vincenzo Vita - ma
avevamo capito che la creazione di un piano di azione
immediato era ormai necessaria. Così per la pianificazione
della Comunicazione operavamo come soggetto delegato
della Regione”. Il Dipartimento provinciale di riferimento
(Servizi per la cultura e le reti informative) si occupò di
stilare il Piano d’Innovazione Digitale, contenente i primi
lineamenti per una strategia risolutiva al divide,
commissionando anche una relazione sullo stato di
copertura ADSL del territorio all’Osservatorio Banda Larga.
Dopo un confronto tra i primi dati disponibili del divario
digitale in provincia, che risalgono al 2005, vedremo come
il presidente successivo, Nicola Zingaretti, ha cambiato la
precedente struttura operativa, riunificando i tre servizi del
precedente Dipartimento in uno solo: il SIRIT (Sistemi
Innovativi, Reti e Innovazione Tecnologica), di cui ha
mantenuto lui stesso la supervisione assieme al Capo di
Gabinetto, Maurizio Venafro. Il primo progetto creato dal
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SIRIT per contrastare il digital divide si chiama
PianoInnovazione ed è formato da tre sottoprogetti
(Provincia Wi-Fi, Zero Digital Divide e 50 Centri di
Creatività e Innovazione). Naturalmente fare una
valutazione del suo impatto sul territorio è ancora presto, ma
intanto ne vedremo i contenuti principali per capire su quale
tipo di azioni risolutive è basato.