INTRODUZIONE
“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno
ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”:
questa la formulazione della c.d. norma generale in materia di
responsabilità civile da atto illecito.
La formulazione moderna della responsabilità civile non differisce in
particolar modo da quella che, a partire dalle enunciazioni del
giusnaturalismo di Grozio, da un lato ha via via ricevuto un sempre più
elevato riconoscimento normativo, attraverso le grandi codificazioni del
XIX Secolo, e dall’altro ha costituito oggetto di approfonditi studi da parte
della Pandettistica.
Se si prova a scomporre la disposizione di cui all’art. 2043 c.c., e si
isolano i differenti elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità
extracontrattuale, è possibile verificare – con una certa semplicità – che
essa è composta da plurimi elementi di carattere strettamente normativo: si
pensi, tra l’altro, al dolo ovvero al rapporto di causalità tra atto e danno.
Uno solo degli elementi costitutivi della fattispecie, invece, non ha
matrice normativa (rectius, a seconda dei punti di vista, non ha solo tale
matrice) e porta invece, con sé, una fortissima carica assiologica: tale
elemento è, all’evidenza, quello della c.d. ingiustizia del danno.
L’inserimento di una siffatta caratterizzazione in termini di valore,
all’interno della disposizione chiave dell’intero sistema della responsabilità
extracontrattuale, appare, a parere di chi scrive, una fondamentale conquista
si civiltà giuridica.
Il sistema della responsabilità civile, invero, prevedendo un modello
di illecito c.d. atipico ed allegando, in linea di principio il risarcimento del
danno al carattere dell’ingiustizia di quest’ultimo, manifesta il sentire
giuridico dell’ordinamento (inteso, con buona approssimazione, come
I
quell’insieme di interessi reali che accomuna i singoli consociati e che ne
determina gli orientamenti comuni) , il quale non tollera che non vengano
1
sanzionati dei comportamenti che ledono un interesse altrui che ha già
ricevuto, attraverso una previsione di diritto positivo ovvero una analoga
ricostruzione assiologia fondata su principi generali di carattere primario ,
2
una qualificazione normativa in termini di legittimità e di meritevolezza di
tutela.
In questo modo, dunque, il concetto di ingiustizia del danno – e, forse,
anche l’opposto principio di giustizia – consente, da un lato, di conformare
la norma sopra indicata (che, per forza di cose, costituisce una norma di
carattere secondario, e che dunque ha bisogno di una previsione – esplicita
o di derivazione interpretativa – secondo la quale un determinato interesse
non deve essere leso) al sistema normativo esistente in un determinato
momento storico.
Dall’altra parte, però, il carattere aperto del concetto di ingiustizia
consente di informare il sistema normativo adeguandolo alle possibili
evoluzioni che il tessuto sociale (e, dunque, i rapporti tra privati) subisce
nel corso degli anni e consentendo di mantenere costantemente tutelati –
attraverso una forma di tutela minima, costituita dal risarcimento del danno
– tutti i possibili interessi giuridicamente rilevanti.
Si pensi, ad esempio, alle profonde differenze tra la società di stampo
post-industriale (quale quella esistente al momento dell’entrata in vigore del
Codice Civile) e quella che oggi viene definita società postmoderna o
anche, rispetto ad alcuni particolari settori produttivi, società del rischio;
ebbene, la tutela dei nuovi emergenti tipi di interesse giuridicamente
rilevante, che i mutati rapporti sociali hanno fatto venire alla luce, proprio
In argomento si v. FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche, I. Il concetto di diritto,
1
Milano 1996, 357 ss. - 436 ss.
Seppure, rispetto a questa seconda eventualità, sia possibile muovere alcune riserve in termini di
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certezza del diritto.
II
grazie alla formulazione aperta dell’art. 2043 c.c. non ha dovuto essere
assicurata attraverso una modifica legislativa di tale ultima disposizione.
Al fine di realizzare una tutela a tutto tondo degli interessi
giuridicamente rilevanti dei privati, infatti, è bastato realizzare una
interpretazione evolutiva ed adeguatrice della norma sopra richiamata e, più
in particolare, del concetto di ingiustizia del danno da questa previsto.
Questo lavoro ha lo scopo di individuare quale possa essere, al
giorno d’oggi, la corretta interpretazione della nozione di ingiustizia del
danno – e ciò alla luce sia degli insegnamenti della dottrina italiana, sia
tradizionale che attuale, sia delle interpretazioni promananti da diverse
culture giuridiche, con particolare riferimento alle proposte formulate da
appositi gruppi di studio che, in una prospettiva di unificazione del diritto
privato dei Paesi dell’Unione Europea, hanno cercato di costruire dei
modelli normativi che potessero servire da minimo comune denominatore –
e di comprendere se essa possa essere utile a fondare l’ammissibilità teorica
delle cause di giustificazione non codificare all’interno del diritto civile.
III
CAPITOLO I
EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI DANNO INGIUSTO
1. Premessa; 2. La nozione di “iniuria” nella lex Aquillia; 3. La responsabilità
civile tra i due codici; 4. L’attuale formulazione della responsabilità extracontrattuale:
l’art. 2043 c.c.; 5. Il danno evento ed il danno conseguenza; 6. Il superamento del danno
ingiusto quale violazione dei soli diritti assoluti; 7. Le prime aperture della giurisprudenza
al riconoscimento della tutela aquiliana per lesione di diritti soggettivi relativi: il caso
“Meroni” e le osservazioni della dottrina; 8. Il definitivo abbandono dei diritti soggettivi
quali centro della responsabilità civile: la sentenza 22 luglio 1999, n. 500, ed il problema
dell’atipicità dell’illecito
1. Premessa
Il modello della responsabilità extracontrattuale, così come
risultante dall'art 2043 del codice civile, indica che affinché il danno,
inteso – alla stregua della più recente evoluzione giurisprudenziale, in
accordo con la prevalente dottrina tradizionale – come lesione di un
interesse giuridicamente rilevante, possa essere risarcibile, deve essere
qualificato come ingiusto.
Questa specificazione, la cui ratio, con buona approssimazione,
può essere individuata nella volontà del legislatore di tutelare sul piano
patrimoniale il soggetto nella propria vita sociale, costituisce un
elemento di novità rispetto al precedente codice del 1865, e si traduce,
nell’ambito del diritto positivo, nell'idea per cui la sussistenza della
responsabilità extracontrattuale necessita di un elemento ulteriore
rispetto alla colpa: l’ingiustizia.
Tale specifica connotazione di un determinato fatto od evento,
che affonda le sue radici nel diritto romano, ha subito una significativa
evoluzione nel corso del tempo: inizialmente teorizzata dalle correnti
giusnaturalistiche, ed accolta, poi, dalle grandi codificazioni
napoleoniche, l’ingiustizia ha ricevuto la sua più rilevante
interpretazione alla stregua dell’impostazione dottrinaria della
Pandettistica , la quale – senza dubbio – costituisce la base per le
1
moderne teorizzazioni della responsabilità extracontrattuale.
Queste numerose linee evolutive, precedenti alla metà del XIX
Secolo, hanno influenzato, dopo il Code Napoleon, anche il nostro
codice del 1865 per poi essere riformate, in una fase storica successiva,
dall’attuale codice civile; proprio in ragione di questa complessa
evoluzione del concetto di ingiustizia del danno, nel corso del tempo,
appare opportuno ripercorrerne le tappe più significative.
2. La nozione di “iniuria” nella Lex Aquilia
La disciplina del “damnum cum iniuria” , che fa la sua prima
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apparizione già nel diritto arcaico e nelle XII tavole , raggiunge la sua
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compiutezza solo con l’emanazione della lex Aquilia .
4
TUCCI, Il danno ingiusto, Napoli, 1970, 15.
1
Sul significato della locuzione “damnum iniuria dare” si v., da ultimo, V ALDITARA, Damnun
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iniuria datum, Torino 1996, 33 ss.
ULPIANO, in D.9.2.1.pr., testimonia l'esistenza di una legislazione posteriore alla legge delle
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XII Tavole (e anteriore alla lex Aquilia) in materia di danno da fatti illeciti. Poiché non esistono
fonti materiali, si sono fatti grandi sforzi congetturali, non del tutto coincidenti, destinati a
ricostruire il contenuto della detta normativa. Così, si è considerato ammissibile ritenere che, in
queste leggi, venissero contemplate e sanzionate nuove figure di danni, senza giungere, però, alla
configurazione di una figura generale (quali la regolamentazione della morte di uno schiavo o di
un animale di allevamento e quella della acceptilatio della obbligazione fatta per adstipulator in
pregiudizio del creditore principale).
L a lex Aquilia è un plebiscito, la cui data di approvazione è stata molto dibattuta dalla
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romanistica, ma in ogni caso si pone circa nella seconda metà del III sec. a.C e la prima metà del II
sec. a.C. In questo senso, SCHIPANI, El sistema romano de la responsabilidad extracontractual:
el principio de la culpa y el método de la tipicidad, en Materiales II, Corso di Perfezionamento e
di Magister in: “Derecho Romano y Unificación del Derecho, Experiencia europea y
latinoamericana (Con especial atención a la responsabilidad extracontractual ), Università degli
Studi di Roma “Tor Vergata”, Centro di Studi Latinoamericani, Roma 1999, 105.
2
Quest'ultima, abrogando le norme precedenti , mirava ad
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attribuire al titolare di beni materiali, lesi dall’illecito, il diritto di
ottenere, quale corrispettivo della lesione subita, una somma di denaro
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parametrata alla lesione medesima .
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Prescindendo da una disamina approfondita della legge, occorre
comunque evidenziare le più importanti innovazioni introdotte dalla
Lex Aquilia : da un lato si assiste all’abbandono del sistema della “pena
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fissa”, contemplato nella maggior parte delle ipotesi regolate nella
precedente Legge delle XII Tavole, e, dall'altro, viene introdotto il
principio per cui, nel caso in cui si sia verificato un danno ingiusto, non
risulta necessaria un’analisi della condotta dell’agente, senza necessità,
dunque, di compiere una specifica valutazione in merito alla sussistenza
V ALDITARA, Sulle origini del concetto di damnum, Torino 1998, II, 1 ss. L'uso del termine
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derogare, da parte di Ulpiano, viene inteso nel senso che la Lex Aquilia avrebbe abrogato tutte le
norme precedenti in materia di damnum iniuria datum. Nello stesso senso si veda anche VON
LÜBTOW, Untersuchungen zur lex Aquilia De damno iniuria dato, Berlino 1971, 72 ss;
ZIMMERMANN, The law of obligations: Roman foundations of the civilian tradition, Oxford
1970, 958; CANNATA, Sul testo della lex Aquilia e la sua portata originaria, in La responsabilità
civile da atto illecito nella prospettiva storicocomparatistica, Atti del I Congresso Internazionale
ARISTEC, Madrid, 7-10 ottobre 1993, a cura di V ACCA, Torino 1995, 26, secondo cui le parole
di Ulpiano andrebbero intese nel senso che “la Lex Aquilia andrebbe a sostituirsi a tutte le norme
precedenti in materia di damnum iniuria datum, sicchè non si deve più fare ad esse riferimento”.
I riferimenti all’accezione di damnum come pregiudizio di natura patrimoniale sono, difatti,
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particolarmente frequenti. Si veda infatti Gaio 3, 212; 214; D 9, 2, 29, 1; D 2, 9, 2, 21: “...In lege
enim Aquilia damnum consequimur et amisisse dicemur, quod aut consequi potuimus aut erogar
cogimur”.
In questo senso, SCHIPANI, El sistema romano de la responsabilidad extracontractual, cit., 105.
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Alcune fonti (compilazione Giutinianea e Istituzione di Gaio) contengono notizie e versioni che
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si stimano corrispondere, almeno alla sostanza, al testo originale: riferimenti al testo della Lex
Aquilia si trovano in Gaio. D.9, 2, 2 pr; Ulp D.9, 2, 27, 5; Gai. 3, 210, 215, 216 e 217. In
argomento si cfr. RICCOBONO, BA VIERA, FERRINI, ARANGIO-RUIZ, Fontes iuris romani
antejustiniani (FIRA), Firenze 1941, passim; CANNATA, Sul testo della lex Aquilia, cit, 25-57;
ID., Sul testo originale della lex Aquilia: premesse e ricostruzione del primo capo, in SDHI, LVIII,
1992, 194-214; ID., Considerazioni sul testo e la portata originaria del secondo capo della “L.A”,
in Index 22, 1994, 151 ss.; SCHIPANI, Responsabilità “ex lege Aquilia”. Criteri di imputazione e
problema della “culpa”, Torino 1996, 41-44; V ALDITARA, Damnum iniuria datum, cit.,
830-833.
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della culpa , elemento che, come vedremo, in seguito acquisirà una
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rilevanza determinante nell’ambito delle valutazioni dirette alla
allocazione delle conseguenze del danno sul suo autore ovvero su colui
che le ha subite .
10
Il sistema della responsabilità, così delineato, prevedeva che, per
la configurazione della fattispecie in esame, fosse necessaria una
perdita economica, strutturata in lucro cessante e danno emergente,
sopportata dal proprietario del bene nei confronti del quale era stata
diretta l'aggressione, sicché la reintegrazione del patrimonio della
persona danneggiata rappresentava una naturale conseguenza e non,
invece, la finalità tipica del modello di responsabilità ex Lege Aquilia.
Occorre, tuttavia, precisare che nel diritto romano non tutti i
danni erano rilevanti ai fine della configurazione della responsabilità; la
Lex Aquilia, infatti, prendeva in considerazione esclusivamente quelli
per i quali risultavano sussistenti i seguenti presupposti: innanzitutto
ALBANESE, Studi sulla legge Aquilia, in AUP A 21, 1950, 181. L’Autore chiarisce che la
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interpretatio più antica, legando l’esigenza analizzata con la concezione originaria della iniuria
come svincolata dall’elemento della colpevolezzza del danneggiante, trovò una via per stabilire
“una presunzione di responsabilità” laddove, in sostanza, ricorrevano il damnum corpore datum e
il requisito dell’iniuria, il sistema romano più antico di tutela del danno extracontrattuale
dispensava da ogni indagine specifica sulla colpevolezza dell’agente, ritenendo sufficienti a
stabilirla quei due stessi elementi. Ciò spiega anche, in modo chiaro, il nome tipico del danno
aquiliano, nome che si da a tutte le situazioni nelle quali traspaiono bene questi requisiti: damnum
iniuria datum”.
In realtà Nella lex aquilia si parla sì di culpa, e anzi di culpa levissima, ma solo nel senso di
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imputabilità del fatto, di sua riferibilità al soggetto chiamato a risponderne; sicché il rendere
sufficiente una culpa levissima sta a significare la sufficienza di un sia pur labile rapporto di
causalità fra il fatto e il danno. Il che val quanto dire, a volersi esprimere in termini moderni, che la
responsabilità aquiliana dell’epoca classica era una responsabilità rigorosamente oggettiva, basata
sulla sola attribuibilità del fatto ad un dato soggetto, indipendentemente da ogni indagine
sull’elemento soggettivo della imprudenza, della negligenza, della imperizia. Ci si esonerava da
responsabilità solo adducendo, quale fattore interruttivo del nesso di causalità, il caso fortuito
(«casu factum esse») o la forza maggiore (come nel caso della inevitabilità della collisione fra
navi, provocata dalla tempesta di mare: «si in potestate nauterum fuit ne id acciderat», se non era
in potere dei marinai che ciò non accadesse). Inoltre Il danno doveva essere cagionato corpore,
materialmente, con azione diretta o positiva dell’agente, e corpori, ledendo nella sua fisicità la
cosa che aveva formato oggetto dell’azione. Perciò, in termini moderni, si rispondeva solo per
fatto commissivo, non anche omissivo; ed esulava dal damnum iniuria datum ogni lesione che
attenesse alla sfera spirituale del soggetto passivo: in argomento si v. ROTONDI, Dalla «lex
Aquilia» all’art. 1151 cod. civ., in Riv. dir. comm., 1915, I, 954 ss.
4
era richiesto il sopravvenire della distruzione o della alterazione della
sostanza di un oggetto fisico che comportasse una perdita o
diminuzione della funzionalità di esso; in secondo luogo, l’oggetto
fisico doveva essere un bene economico suscettibile di proprietà.
Era inoltre necessaria l’altruità della cosa su cui ricadeva il
danno ed il fatto che la distruzione o l’alterazione dannosa della stessa
dovesse essere una conseguenza di un facere di una persona (e
comunque direttamente collegato al facere del danneggiante attraverso
una forma di contatto tra questi e l’oggetto danneggiato); si richiedeva,
infine, che la condotta causativa del danno fosse tenuta con iniuria .
11
Il profilo di maggior interesse, rispetto alla presente indagine è
da individuarsi, all’evidenza, nel significato del termine “iniuria”,
quale “eo quod non iure fit”(D. 47, 2,1).
Occorre precisare, innanzitutto, che con suddetta espressione si
faceva riferimento, nelle fonti, ad un qualcosa che non consistesse
soltanto in una violazione di legge, cioè non iure, ma che fosse altresì
connaturato da un atteggiamento psicologico riprovevole .
12
Iniuria significava, quindi, obbiettività del torto arrecato
dall’agente, il torto obiettivo che si risolve, a sua volta, nella violazione
di un diritto.
MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo 2002, 531 ss. , segnala che il termine iniuria
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è certamente adoperato nel suo significato più lato, con riguardo ad un comportamento ingiusto,
“senza” o “contro” ius (quod non iure fit: D. 47, 10, 1 pr. Ulp. 46 ad. ed.); é quindi chiaro che in
questo specifico contesto significava “senza diritto”o “contro diritto”. In ragione dell’impostazione
adottata dalla Lex Aquilia, il damnum iniuria datum era considerato, proprio alla stregua della
sussistenza del damnum e della iniuria, un delictum privato; il fatto che le sanzioni avverso tali
illeciti fossero calcolati tenendo conto del maggior valore della cosa in un tempo passato (e,
precisamente, nell’anno ovvero nei 30 giorni antecedenti il danneggiamento), manifestava,
secondo un orientamento dottrinale, il carattere sostanzialmente sanzionatorio dell’actio fondata
sulla Lex Aquilia.
Quest'ultimo si configurava non solo quando l’autore dell’azione lesiva avesse avuto
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consapevolezza delle conseguenze dannose del suo operare, ma anche quando egli avrebbe
dovuto avere tale consapevolezza con riferimento alle regole di comportamento sociale
correnti.
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