3
Introduzione
Nei sistemi economici moderni, la mobilitazione delle risorse dalle unità in surplus alle
unità in deficit, di regola avviene tramite organizzazioni che hanno lo scopo di
raccogliere e trasferire il credito. Tali organizzazioni sono le banche, il cui compito
principale è la raccolta di fondi, in forma di depositi, e l’erogazione degli stessi in forma
di prestiti, attività “che ha rappresentato storicamente il cuore della banca, che ha
esaltato la sua funzione di intermediario finanziario e che ha fatto sì che il suo
intervento nell’economia e nella società non fosse mai neutrale”.
1
In Italia, nel secondo
dopoguerra, gli intermediari hanno assunto un ruolo centrale nel sostenere il processo di
accumulazione di capitale delle imprese, fornendo gli stimoli e i mezzi per il sostegno
del più rilevante sforzo di espansione realizzato dal sistema industriale italiano,
esercitando inoltre funzione orientativa nella allocazione delle risorse economiche.
I prestiti bancari rappresentano la più importante fonte di copertura del fabbisogno
finanziario esterno delle imprese, e la ragione costitutiva della banca stessa; infatti gli
stessi sostengono il fabbisogno di breve periodo, consentendo all’azienda di affrontare il
ciclo produttivo e di sostenere il divario temporale fra l’effettuazione dei pagamenti e
l’incasso dei crediti commerciali, e/o permettono investimenti di medio e lungo periodo
che vanno ad alimentare il processo di aggiornamento e di crescita dell’azienda.
La banca deve essere considerata come un’azienda di produzione che opera nel campo
del credito e quindi, nell’ambito del suo ciclo produttivo, compie un processo di
trasformazione qualitativa e temporale delle disponibilità raccolte. Dalla separazione nel
tempo fra il momento dell’erogazione e quello del rimborso del capitale e pagamento
degli interessi deriva lo specifico rischio di credito che la banca sostiene.
L’erogazione dei crediti comporta sempre dei rischi, che dipendono da numerosi fattori,
non sempre categorizzabili; in generale essi aumentano al crescere dell’orizzonte
temporale del prestito. La negoziazione del prestito rappresenta uno strumento
1
Roberto Ruozi, Economia e gestione della banca, Milano, Egea, 2006, pag. 111
4
importante perché consente alla banca di valutare ed adattare le condizioni contrattuali
alle esigenze del cliente. Attraverso la concessione del prestito la banca può avviare in
modo efficace delle relazioni di clientela a tutto campo con l’azienda secondo il
modello “relationship banking”, piuttosto che quello “transaction banking”, basato solo
su rapporti occasionali e su una maggiore “indipendenza finanziaria” dell’impresa.
2
Nel
primo modello, invece l’attività di prestito si connette con altre aree di attività e di
servizi della banca, dato che le aziende con un legame privilegiato con l’istituto di
credito movimentano il proprio rapporto finanziario con operazioni che infittiscono la
trama delle relazioni banca-impresa.
Occorre ribadire, a tal proposito, che il ruolo svolto dai prestiti nel processo di
moltiplicazione monetaria è tanto più rapido ed intenso, quanto più immediato e
importante è il ritorno delle risorse monetarie erogate presso il sistema degli
intermediari. L’effetto moltiplicatore sarà sicuramente maggiore e più evidente quando i
prestiti erogati vengono direttamente utilizzati dalle imprese finanziate nella stessa area
in cui l’impresa opera e nella quale la banca intrattiene le relazioni di clientela.
L’approfondita valutazione di affidabilità delle imprese industriali, necessaria alle
banche per concedere prestiti, oltre a fornire utili elementi alla comprensione delle
esigenze della clientela, stimola la produzione e l’offerta di servizi accessori, e
contribuisce alla selezione delle iniziative imprenditoriali con ricadute positive
sull’intero sistema economico, confermando il ruolo “mai neutrale” delle scelte
creditizie dell’Istituto bancario.
Per tutti questi motivi, l’istruttoria di fido e, più in generale, il rapporto tra banca e
impresa che si stabilisce in occasione della richiesta di un prestito, con riferimento
particolare all’interazione tra banca locale e piccola media impresa, sembra essere un
asputo interessante da indagare.
Il primo capitolo della tesi presenta una rapida rassegna sul ruolo della piccola e media
impresa nel panorama industriale italiano, individuando un punto di forza nella
creazione dei distretti (che ha permesso uno sviluppo orizzontale delle conoscenze nel
momento in cui lo sviluppo verticale su cui si basava la grande azienda di tipo fordista è
andato in crisi) ma discutendo anche le debolezze derivanti dal cosiddetto “nanismo
italiano”. Una debolezza potenziale è proprio il rapporto con gli istituti di credito,
2
S. Cenni, R. Corigliano, G. Torluccio, “I prestiti e la funzione allocativa”, in a cura di Marco Onado, La
banca come impresa, Bologna, il Mulino, 2004, pag. 389
5
in un momento in cui gli accordi di Basilea 2 stanno ridisegnandone gli scenari.
Nel secondo capitolo della tesi si tratta, in primis da un punto di vista teorico, la
specificità del rapporto della banca con la piccola impresa, caratterizzato dal fenomeno
delle asimmetrie informative, dovute alla difficoltà della banca di valutare dei segmenti
piccoli e molto specifici di un mercato. Questo fenomeno può dar luogo al
razionamento del credito, cioè alla possibilità che un’impresa non trovi sul mercato il
credito di cui ha bisogno, pur ad un tasso di interesse che è disposta ad accettare.
Alcune soluzioni al problema, potrebbero venire dal ruolo di altri soggetti, tra cui
interesse particolare per le microimprese rivestono i Consorzi di garanzia fidi, che si
sono molto sviluppati negli ultimi anni.
In questo ambito generale è stato ritenuto utile accennare alle modifiche regolamentari
introdotte dagli accordi di Basilea 2, riguardanti principalmente l’accantonamento del
capitale di vigilanza. Esse hanno dato un forte impulso allo sviluppo di sistemi di rating
per la valutazione del rischio di credito, non solo nell’ambito gestionale della banca, ma
anche a livello normativo per la determinazione dei coefficienti di ponderazione
necessari per calcolare il capitale di vigilanza. Il capitolo si conclude con alcune
considerazioni generali sulle tendenze future, con speciale riferimento alle possibilità di
salvaguardare il rapporto tra banca locale e piccola e media impresa, di particolare
importanza nel nostro paese.
Nel terzo capitolo vengono prima richiamate le varie tipologie di fido esistenti e le
diverse forme tecniche di erogazione, e poi vengono discusse le fasi in cui si articola
l’istruttoria di fido, cioè la valutazione della concessione del credito ad una impresa.
Tale valutazione, assume valore rilevante sia per il soggetto richiedente che per il
soggetto erogatore di credito. Attraverso un approccio sistemico si può determinare un
apprezzamento del rischio generico di impresa inteso come eventualità che in un dato
arco temporale i ricavi non siano tali da assicurare la copertura dei costi, impedendo il
rinnovo dei processi produttivi. Una valutazione di affidabilità basata solo sul confronto
analitico del finanziamento richiesto con le caratteristiche economiche e tecniche
dell’operazione di gestione da finanziare, nega il principio di economia aziendale per il
quale non è corretto correlare il singolo investimento con il singolo finanziamento. Se
da un lato, infatti, il reddito di ogni investimento tende a confondersi nel reddito
d’impresa, dall’altro lato neppure il costo del singolo finanziamento può essere
correttamente determinato, prescindendo dagli effetti che la sua concessione o
estinzione esercita sui costi dell’impresa.
6
Il quarto capitolo, infine, vede l’applicazione di quanto esplicitato in precedenza su un
caso concreto. Si è esaminata una piccola impresa che opera nel territorio, nel settore
della carpenteria metallica, e che ha presentato domanda di fido presso un istituto
creditizio locale. Il caso oggetto di studio può essere considerato un tipico esempio di
Piccola Impresa, inserita in un tessuto produttivo caratterizzato dalla presenza di diverse
piccole e micro-imprese, che operano autonomamente o nell’indotto di aziende
maggiori in settori produttivi diversi, e dove, invece, la grande azienda è quasi del tutto
scomparsa. In molti casi, queste piccole imprese sono nate proprio dall’iniziativa
imprenditoriale di singoli soggetti che, avendo alle spalle un’esperienza lavorativa e
professionale nella grande azienda, nel momento in cui questa è entrata in crisi e ha
subito processi di ristrutturazione o, addirittura, di smantellamento, hanno avviato una
attività produttiva, investendo i propri capitali, le proprie competenze, le esperienze e
rivolgendosi innanzitutto alla banca per avere il relativo supporto finanziario.
In tale realtà, le banche di prossimità hanno un ruolo fondamentale, si pongono forse
come gli interlocutori principali della piccola impresa riducendo il problema delle così
dette asimmetrie informative e migliorando, ma non necessariamente, i costi
dell’accesso al credito. Nel caso oggetto di questa parte del lavoro, si è esaminata la
domanda di fido presentata dall’impresa presso un istituto di credito, si è condotta
l’analisi, pervenendo a una valutazione conclusiva sul merito creditizio dell’azienda
stessa, tenendo presente che la banca dovrebbe avere la capacità di valorizzare la buona
impresa, per favorire lo sviluppo del sistema economico.
7
I Capitolo
IL RUOLO DELLA PICCOLA E MEDIA IMPRESA NEL SISTEMA
ECONOMICO ITALIANO
1. Lo sviluppo industriale italiano e il ruolo della piccola impresa
Fino agli anni Settanta, il paradigma prevalente del sistema industriale italiano è stato
quello della fabbrica fordista. Lo sviluppo dei processi di meccanizzazione delle fasi
produttive richiedeva la scomposizione della complessità della catena di montaggio in
una serie di moduli elementari assegnati a ogni singolo lavoratore, che erano ricomposti
dall’organizzazione gerarchica della fabbrica. I prodotti finali erano standardizzati,
risultando dall’applicazione delle stesse procedure anche in contesti differenti. Al fine
di usufruire di maggiori economie di scala, le grandi imprese tendevano a controllare
tutta la catena del valore, sviluppando integrazioni sia a monte, con i fornitori di materie
prime, sia a valle, al fine di controllare la distribuzione e la vendita dei prodotti. La
produzione in serie era abbinata al consumo su larga scala: i lavoratori cominciavano ad
essere considerati non soltanto un fattore di produzione ma anche come dei consumatori
finali.
Il ruolo della piccola impresa in un contesto del genere non poteva essere che limitato.
Non essendo possibile entrare in competizione con l’impresa “fordista”, le imprese
minori erano attive solamente in mercati di nicchia, caratterizzati da una domanda di
prodotti fortemente differenziati, e nella subfornitura di componenti per l’impresa
fordista stessa. I primi distretti industriali “sono nati intorno ai grandi poli industriali
proprio come risultato spontaneo di notevoli rapporti di subfornitura tra impresa del
distretto e impresa fordista, realizzando una significativa capacità di integrare i
vantaggi e le caratteristiche di questo sistema in un contesto più ampio con una stretta
collaborazione tra grande impresa, capace di sfruttare le economie di scala, e impresa