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Introduzione
Il mondo in cui viviamo oggi è ormai un mondo
globalizzato, che scardina, giorno dopo giorno, barriere e
limiti geografici. La globalizzazione è un processo
essenzialmente economico, che ha delineato un panorama
globale in cui l‟economia ha assunto ormai un rilievo
indiscutibile, su tutti gli ambiti della vita sociale, della
cultura, della politica. La grave crisi economica che stiamo
vivendo oggi, però, sembra aver incrinato il benessere diffuso
che questo sistema economico aveva saputo realizzare.
Nel nostro Paese così come altrove, è in atto oggi uno scontro
imponente tra politica ed economia. L‟oggetto di questa
contesa è, in primo luogo, la Costituzione, formale e
materiale, ed i valori che per più di sessant‟anni ha cercato di
inverare. Il sistema dei diritti, l‟eguaglianza, lo Stato di diritto
sono entrati in crisi ormai da tempo, ed il campo in cui tale
crisi è più evidente è quello del lavoro, della condizione
umana per eccellenza, innalzata prima a fondamento della
Repubblica e poi fatta sprofondare nel baratro dove non
esiste dignità né democrazia.
Da anni si assiste ormai, nel nostro come in altri Paesi, alla
precarizzazione e flessibilizzazione del lavoro, a licenziamenti
continui, ad innalzamenti dell‟età pensionabile, alle
liberalizzazioni del contratto a termine. Si tratta di leggi che
presentano gravi dubbi di costituzionalità. E‟ evidente,
infatti, l‟intento di allontanare sempre di più il
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raggiungimento del riequilibrio delle situazioni di
diseguaglianza perseguite dalla nostra Carta.
In Italia si conta ormai l‟8,6% di disoccupazione e il 29,4% di
disoccupazione giovanile
1
; dal 2008 al 2011 i dieci principali
ambiti di investimento sociale hanno subito tagli pari al
78,7%
2
; la finanziaria 2011 ha abbassato gli stanziamenti di
bilancio dell‟86% rispetto al 2008. E‟ indubbio, quindi, che il
modello sociale costruito in Italia versi in condizioni critiche.
L‟eguaglianza, scopo ultimo e qualificante della nostra
Repubblica, in un Paese in cui il 10% delle famiglie possiede
il 45% della ricchezza e un altro 50% arriva a metterne
insieme il 10%
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, è diventata solo un‟eguaglianza illusoria, che
vive delle briciole di un sistema economico che ha preso
ormai il sopravvento su quello politico. Ma anche le briciole
prima o poi sono destinate a finire. E‟ questa la verità che sta
emergendo in questi tempi di crisi, che aggrava ancora di più
le finanze pubbliche e di conseguenza si ripercuote sulle
politiche sociali e sul lavoro. Esso rappresenta quindi il
terreno di scontro privilegiato di questa lotta, tra libertà
illimitata di pochi ed uguaglianza sostanziale di tutti, tra
egoismo e solidarietà.
Sono questi i dati e le premesse che mi hanno spinto
ad analizzare la questione del lavoro e dei diritti sociali, in
ambito nazionale ed europeo. Mi sono chiesta, nel corso
dell‟indagine, se la questione dei diritti sociali non fosse
1 Stime Istat, riferite al gennaio 2011
2 Dati del Rapporto sui diritti globali 2011, promosso da Cgil e associazioni
quali Arci, ActionAid, Antigone eLegambiente.
3 Dati della Banca d‟Italia, bollettino sulla ricchezza delle famiglie, riferiti al 2008
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collegata alla questione della democrazia e alla sua crisi. Per
questo motivo ho esaminato il tema del lavoro attraverso una
prospettiva giuridica e costituzionale, che mi ha permesso di
confrontare i valori e gli obiettivi sanciti dal massimo atto
della volontà popolare – la Costituzione – ai nuovi valori che
guidano la strada dell‟integrazione europea.
Utilizzando un metodo giuridico, ho analizzato la
nascita e l‟evoluzione dei diritti sociali nell‟Europa degli Stati
nazionali novecenteschi e del ruolo che il lavoro ha assunto
nell‟ordine costituzionale che questi si sono dati. Presupposto
per la realizzazione dell‟eguaglianza sostanziale, il lavoro
fonda la sua ragione di perno dei sistemi democratici europei
proprio nella sua caratteristica intrinseca di fondere insieme
sociale ed economico, diritti e produttività, esigenze collettive
ed individuali.
Si ripercorre quindi la nascita del „modello sociale europeo‟,
nato dalla costituzionalizzazione in tutta Europa dei diritti
sociali, la carta vincente di un‟Europa uscita da due conflitti
mondiali e alla ricerca di un clima di pace e di una società più
giusta ed equa. Un sistema sociale che si è però trovato oggi a
fare i conti con la globalizzazione, la crisi del welfare e degli
Stati nazione (capitolo 1).
Ho esaminato, più dettagliatamente, il contesto
italiano, la nostra Costituzione, il suo fondarsi sul principio
lavorista e il sistema di diritti sociali che delinea e garantisce.
Ripercorrendo le tappe salienti della dialettica tra la
Costituzione e il suo concretizzarsi nella realtà, ho raccontato
il „gelo e disgelo‟ costituzionale, per arrivare ad affrontare il
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tema ormai tristemente famoso del costo dei diritti e dei
diritti finanziariamente condizionati, nati sulla strada
dell‟integrazione europea (capitolo 2).
In questo contesto, l‟Europa ha infatti svolto e
continua a svolgere un ruolo fondamentale. Essa ha visto un
imponente allargamento delle sue competenze, fino a toccare
direttamente il campo dei diritti. E‟ diventata sempre più
incisiva nelle politiche nazionali. In Italia, ad esempio, il
70% della legislazione nazionale è di derivazione
comunitaria.
Una volta delineato, nella prima parte del lavoro, il contorno
dell‟Europa sociale, garantita dagli Stati nazionali e voluta
dai cittadini, era necessario, di conseguenza, esaminare
l‟altro soggetto ormai egemone nel regolare il campo del
lavoro: l‟Unione europea ovvero l‟Europa economica.
Nel 1992, alla firma del Trattato di Maastricht, l‟Unione
europea era stata presentata agli italiani come l‟unica via
d‟uscita di un Paese in fallimento, in preda alla corruzione di
Tangentopoli, ad un debito pubblico galoppante e ad una
moneta debole, buttata fuori dal sistema monetario europeo
(Sme). Campagne di privatizzazioni delle imprese pubbliche
e manovre economiche imponenti invasero così tutta Europa,
in vista dell‟adozione della moneta unica.
Ho cercato quindi, ripercorrendo la tappe salienti della storia
comunitaria e l‟evoluzione delle sue politiche, di capire a che
ruolo possono aspirare i diritti sociali in un ordinamento
nato per perseguire finalità economiche e, solo dopo, anche
delle finalità sociali.
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Lo scopo che mi sono posta, nell‟esaminare i trattati fondativi
europei e i principi a cui questi si ispirano, è stato quello di
identificare analogie e contrasti tra questi e i principi
costituzionali degli Stati nazionali. Mi sono chiesta se
un‟organizzazione sovranazionale mossa dal principale
obiettivo di „instaurare un mercato interno‟, adoperandosi
per assicurare „una crescita economica equilibrata‟ e
„un‟economia sociale di mercato fortemente competitiva, che
mira alla piena occupazione e al progresso sociale‟, potesse
garantire piena ed effettiva tutela ai diritti sociali. O non
abbia, piuttosto, aggravato la salute dei sistemi di welfare
con la pretesa di adeguamenti troppo esigenti dei debiti
pubblici – attraverso l‟invenzione del Patto di stabilità –
esautorando la politica nazionale dalle decisioni economiche
e indicando agli Stati la via della liberalizzazione (capitolo 3).
Se la questione del lavoro e dei diritti sociali riflette
davvero l‟intera questione della democrazia e della sua salute,
non potevo tralasciare l‟esame di quello che potrebbe essere
un adeguato strumento curativo: la comunicazione pubblica.
Il distacco delle scelte politiche dalla volontà popolare e,
quindi, la distanza tra ciò che la gente necessità, soprattutto
in questo momento di grave crisi economica, e ciò che le
istituzioni, statali e comunitarie, propugnano e perseguono, è
risolvibile solo perseguendo l‟ideale democratico, di cui la
trasparenza e la partecipazione sono caratteri
incontrovertibili. Sia l‟una che l‟altra sono perseguibili
innanzitutto per mezzo della comunicazione.
Ho quindi effettuato una ricostruzione dottrinaria,
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sociologica e giuridica, di ciò che si intende con
„comunicazione pubblica‟, evidenziando come questa scienza
si presti perfettamente a declinarsi secondo l‟ideale
democratico, ma anche, se usata in modo perverso, di
diventare uno specchietto per allodole, promettendo
partecipazione e dialogo ma garantendo soltanto una
funzione propagandistica.
Ho tralasciato il ruolo, pur importante, della comunicazione
politica e di quella sociale, per focalizzare l‟analisi sulla
comunicazione istituzionale, quale strumento per permettere
il dialogo tra cittadini ed istituzioni, ed assicurare la
trasparenza delle decisioni e delle politiche.
Ho quindi analizzato i riferimenti costituzionali al principio
di trasparenza e al diritto all‟informazione, nella Costituzione
italiana e nei trattati europei, alla ricerca del fondamento
costituzionale della comunicazione pubblica.
Ho poi soffermato la mia analisi sulla comunicazione
istituzionale delle due istituzioni preposte all‟ambito del
lavoro e delle politiche sociali: il Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, per l‟Italia, e la Direzione generale
occupazione, affari sociali e inclusione della Commissione
europea, valutandone l‟efficacia. Infine, ho analizzato due
campagne di comunicazione dei due enti in questione,
relativamente al tema della sicurezza sul lavoro (capitolo 4).
Questo mio lavoro compie questa ampia riflessione
facendo riferimento in primis al metodo giuridico,
soprattutto attraverso l‟analisi e la comparazione
costituzionale, ma prendendo spunto anche da fonti
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normative, dalla giurisprudenza costituzionale e da analisi
dottrinarie. In alcune parti, al metodo giuridico ho integrato
quello sociologico e delle scienze comunicative, soprattutto in
riferimento all‟analisi dei sistemi di welfare e all‟analisi
finale sulla comunicazione pubblica.
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Capitolo Primo
L‟Europa sociale: il lavoro e i diritti sociali nelle
tradizioni costituzionali dei paesi europei
“Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né
la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione”
Articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell‟uomo e del cittadino,
1789
1. Diritti sociali, figli del costituzionalismo europeo
La storia costituzionale europea si intreccia
indissolubilmente con i principi di eguaglianza e solidarietà,
con l‟affermazione dello Stato di diritto e del principio
democratico. In questo processo evolutivo, spesso tortuoso,
del costituzionalismo europeo, il lavoro e gli altri diritti
sociali
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occupano sicuramente un posto di rilievo: non solo
4 I diritti sociali comprendono tutte quelle norme attraverso cui lo Stato
interviene per riequilibrare e moderare le disparità sociali, attraverso cui i
cittadini partecipano ai benefici della vita associata godendo dei diritti a
determinate prestazioni, dirette o indirette da parte dei poteri pubblici (Cfr.
MAZZIOTTI M., voce Diritti Sociali, in Enc. dir., vol. XII, Milano, 1964, p.
802).
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perché, come scrive un‟eminente costituzionalista italiano, il
lavoro è “la condizione umana della contemporaneità, più
estesa, più comune, e più significativa di valori concreti,
materiali e immateriali, economici, sociali”
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ma anche, e
soprattutto, perché dire “lavoro” significa evidenziare lo
sforzo edificante di una collettività, che nello Stato
costituzionale, retto dalla sovranità popolare, trova il suo fine
e il suo compimento.
Diverse sono le ragioni poste a fondamento dell‟affermazione
costituzionale dei diritti sociali in Europa: ragioni storico-
sociali, economiche, politico-ideologico e giuridico-
costituzionali
6
. Con l‟affermazione della società di massa e
della „questione sociale‟ legata al progresso economico-
industriale, i problemi collettivi entrano a pieno titolo nelle
agende pubbliche. Anche l‟influenza del pensiero socialista,
che si pone come obiettivo ineludibile l‟eliminazione degli
stati di bisogno degli individui, influenza il dibattito politico e
sottolinea la necessità di un intervento regolatore dello Stato.
Può essere citata inoltre, in questo elenco, anche
l‟importanza assunta dalla dottrina sociale della Chiesa e del
suo ruolo socio-assistenziale, che operando laddove lo Stato
era ancora assente, ha messo in luce la necessità di un
intervento sociale delle Istituzioni. Ma è lo Stato
costituzionale del Novecento europeo che attua la più grande
5 FERRARA G., I diritti del lavoro e la costituzione economica italiana ed in
Europa, in Costituzionalismo.it, 26/11/2005, p. 1
6 Cfr. PATRONO M., Studiando i diritti. Il costituzionalismo sul palcoscenico
del mondo, dalla Magna Charta ai confini del (nostro) tempo, Giappichelli,
Torino, 2009, p. 75
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trasformazione. Esso sancisce finalmente l‟emersione del
principio sociale e di solidarietà, che pervadendo l‟intero
ordinamento costituzionale, danno effettiva attuazione al
principio democratico e a quello di eguaglianza.
Negli Stati costituzionali, il lavoro, i lavoratori e le lavoratrici,
vengono elevati a principi cardine della convivenza statale, e
con essi i loro sforzi, il loro impegno, la loro soddisfazione,
ma anche l‟ansia della disoccupazione, l‟umiliazione del
precariato, l‟ingiustizia dello sfruttamento. Riconoscendo le
disuguaglianze prodotte da un sistema economico egoistico e
senza freni, gli ordinamenti europei del Novecento cambiano
rotta rispetto al passato e si indirizzano verso una maggiore
tutela del lavoratore. Tentano così di riscattare il prodotto del
suo lavoro, riscattarlo dalla forma di merce tesa al profitto, in
quanto prodotto umano e quindi intriso di dignità sociale.
Dal principio lavorista delle costituzioni europee
discendono quindi i corollari „oggettivi‟ della solidarietà e
dell‟eguaglianza e i corollari „soggettivi‟ dei diritti sociali.
Quest‟ultimi si legano ai principi cardine dello Stato
costituzionale e ne rappresentano gli strumenti attuativi, la
via per inverarlo, infrangendo la minimalità dello Stato
ottocentesco e la tradizione delle „Costituzioni brevi‟,
finalizzate a garantire le sfere di autonomia del singolo e a
risolvere la sua eguaglianza nella mera soggezione alla legge.
I nuovi diritti mirano invece ad assicurare gli stessi mezzi di
sopravvivenza, le stesse condizioni di partenza ed
opportunità, “sì da colmare quelle sperequazioni materiali
indotte dai rapporti di produzione che, mortificando la
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libertà e annullando nei fatti l‟eguaglianza, determinano, alla
fine, la crisi dello Stato liberale e l‟evanescenza della sua
democrazia”
7
.
Con il passaggio dallo Stato liberale ottocentesco allo Stato di
diritto costituzionale delle democrazie pluralistiche, muta
innanzitutto la concezione di libertà, non più intesa come
libertà astratta e naturale, ma come libertà “limitata”,
collocata all‟interno di un ordinamento rigido di valori
superiori: la Costituzione. In essa “il principio liberale si
afferma come fondamento dei diritti di libertà
costituzionalmente riconosciuti ad ogni individuo, al fine di
assicurare il libero svolgimento della propria personalità
indipendentemente da indebiti condizionamenti o da
illegittime pressioni esterne”
8
.
Lo stato sociale di diritto che emerge da questa evoluzione
costituzionale, nasce quindi dal tentativo di conciliare il
principio liberale con le esigenze collettive maturate nel corso
del Novecento in tutta Europa. Mentre prima, lo Stato
liberale di diritto si basava sul riconoscimento del valore
autonomo dell‟individuo ed era diretto a limitare l‟azione
dello Stato, in base alla distinzione tra sfera pubblica e sfera
privata; lo stato sociale di diritto odierno persegue, invece, la
tutela degli interessi individuali e collettivi delle parti deboli
della società e mira a realizzare l‟eguaglianza e la libertà
come patrimonio di ciascuno e di tutti, inserendo tra i diritti
fondamentali sia i diritti di libertà sia i diritti sociali.
7 GAMBINO S., Stato e diritti sociali fra Costituzioni nazionali e Unione
europea, Liguori, Napoli, 2009, p. 5
8 PATRONO M., op. cit., p. 77