Introduzione L’idea di un confronto tra Egon Schiele e Francis Bacon può sembrare, di primo acchito, curiosa.
I due artisti, infatti, nascono e si muovono in contesti molto differenti.
Schiele nasce alla fine dell’Ottocento in Austria, e da questa nazione sostanzialmente non si
allontanerà mai, salvo per alcuni brevi soggiorni all’estero.
Bacon nasce invece nei primi anni del Novecento in Irlanda, ma, a differenza dell’austriaco, ha
modo di viaggiare molto ed entrare in contatto con differenti culture.
Schiele può essere considerato uno dei maggiori esponenti dell’Espressionismo, Bacon invece, per
quanto nella sua pittura approfondisca alcune caratteristiche peculiari di tale movimento, come
l’utilizzo di una tavolozza cromatica febbrile ed opprimente, un segno violento e deformante, non
può essere associato ad alcuna corrente artistica, rivelandosi un personaggio essenzialmente isolato.
Sappiamo quanto sia importante nella storia dell’arte l’ambiente storico e geografico, che fa sì che
artisti appartenenti alla stessa generazione e allo stesso contesto culturale presentino delle analogie 1
.
Nei due protagonisti di questa trattazione tale criterio viene a mancare, ma scopriremo come i traits
d’union che li avvicinano siano ugualmente molteplici.
Nel primo capitolo, “Una vita controcorrente”, si analizzerà come entrambi, a causa delle loro
peculiarità caratteriali, si trovino spesso in contrasto con l’ambiente che li circonda. Se per Schiele
le maggiori difficoltà sono rappresentate dal rapporto con la chiusa società austriaca dell’epoca, che
guarda con sospetto le sue intense opere, per Bacon invece i problemi sono causati soprattutto dal
rapporto con i genitori, che faticano ad accettare la sua omosessualità.
Tale problematico rapporto con l’esterno è causa per entrambi di una sofferta percezione di sé e del
proprio corpo, argomento che verrà affrontato nel secondo capitolo, “Il corpo ferito”, in cui si avrà
modo di osservare come tale tormento trovi espressione mediante segni e gesti violenti e convulsi
compiuti sulla figura.
E se è presente un conflitto col corpo, ovviamente, non può mancare anche un rapporto contrastato
con la sessualità, come si avrà modo di approfondire nella terza parte del confronto, “Eros contro
Thanatos”. La sessualità ha un ruolo preponderante per i due artisti, ma si rivela anche portatrice di
angosce e turbamenti, basti pensare che Schiele finisce in carcere accusato di oscenità, e, per quanto
concerne Bacon, oltre al complicato rapporto coi genitori, non si può non considerare la difficoltà
che deve aver provato ad accettare la propria omosessualità, in un ambiente in cui l’omofilia era
1
Per un approfondimento di tale problematica e del concetto di cronotopo si rimanda a Roberto Pasini, Che cos’è
l’arte?, Libreria Editrice Universitaria, Verona 2007.
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considerata reato e per questo severamente punita. Inoltre amore e morte si intrecciano
indissolubilmente nella vita dei due pittori, che si trovano a confrontarsi con il lato oscuro
dell’esistenza sin da giovanissimi: Schiele attraverso il precoce lutto del padre, Bacon attraverso
l’esperienza della guerra che contrassegna gli anni della sua infanzia. Questa consapevolezza
riguardo all’incertezza ed imprevedibilità dell’esistenza, conduce entrambi alla ricerca di un senso
che vada oltre la peritura realtà fisica. Tale problematica sarà affrontata nell’ultimo capitolo,
“Trascendendo la materia”. Mentre Schiele riesce a trovare in una personale visione di Dio e della
spiritualità lo scopo del vivere, per Bacon un Dio non c’è, la vita in se stessa è priva di ragione, ma
è proprio la ricerca, probabilmente senza fine, di una profonda condivisione della solitudine a
renderla appassionante. Se per Schiele ogni individuo è costituito da un’aura di energia luminosa e
divina, Bacon preferisce parlare di emanazione, ma in entrambi i pittori emerge la volontà di
dipingere ciò che non può essere dipinto, di dipingere ciò che è al di là della realtà concreta e
tangibile, di dipingere l’energia di cui è costituito ogni essere vivente, oltre il suo involucro
esteriore.
Due artisti quindi molto lontani, geograficamente e culturalmente, ma con un percorso artistico
ricco ed articolato che li porta ad abbracciare l’esistenza nella sua dimensione materiale come in
quella immateriale, che li conduce ad apprezzarla nelle sue parentesi felici come in quelle più
dolorose, amandola in tutta la sua complessità.
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Capitolo 1: UNA VITA CONTROCORRENTE In questo primo capitolo si analizzeranno brevemente le vite dei due pittori protagonisti della
trattazione, l’austriaco Egon Schiele e l’irlandese Francis Bacon.
Si potrà così osservare come le vicende biografiche di entrambi, nonostante si dispieghino in
contesti differenti, presentino notevoli analogie.
Se le inclinazioni artistiche di Schiele vengono sostenute ed incoraggiate dalla famiglia,
specialmente dal padre, altrettanto non si può dire per Bacon, i cui genitori vedono nel destino
artistico deciso dal figlio il suo sicuro fallimento.
La scoperta ed espressione della sessualità rappresenta però per ambedue un’esperienza critica e
difficile.
I genitori di Bacon reagiscono infatti duramente quando scoprono l’omosessualità del figlio, tanto
da decidere di cacciarlo di casa; per Schiele invece, a rivelarsi problematico, è soprattutto il
rapporto con la società in cui vive, che fatica ad accettare la sua vita sessuale, considerandola troppo
“libera” per i costumi dell’epoca.
La sessualità quindi rappresenta un motivo centrale della loro vita ed opera, ma si rivela anche
causa di sofferenze e scontro.
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1.1 Egon Schiele. In conflitto con la società
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Egon Schiele davanti allo specchio nello studio della Hietzinger Hauptstraße, 1915 circa.
Fotografia probabilmente di Johannes Fischer.
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Per le note biografiche si fa riferimento a Egon Schiele Ritratto d’artista , traduzione a cura di Claudio Groff,
Abscondita, Milano 2007.
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Un eterno sognare colmo dei più dolci eccessi dell’esistenza –
Irrequieto – con travagli angosciosi, dentro, nell’anima. –
Divampa, brucia, si accresce dopo la lotta, - spasimo del cuore.
Ponderare – e folle esuberanza con eccitato piacere. –
Impotente è il rovello del pensiero, inutile per giungere all’ispirazione. –
Parlo la lingua del creatore e offro. – Demoni! Spezzate la violenza! –
La vostra lingua, - il vostro segno, - il vostro potere.
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Con queste parole Egon Schiele esprime il suo tormento, in una lirica intitolata Autoritratto ,
probabilmente composta tra il 1909 e il 1910.
Versi carichi di inquietudine, irrequietezza, ma anche di ardore e passione. Non solo, se letti con
attenzione, si può infatti scorgervi anche qualcosa di “altro”, o meglio, di “alto” (“Parlo la lingua
del creatore e offro”).
Parole che ben riassumono l’anima contrastata e contraddittoria del pittore viennese, con le quali
sembra interessante iniziare questo capitolo sulla (purtroppo breve) vita dell’artista.
E’ bene però partire dall’inizio.
Egon Schiele nasce il 12 giugno 1890 nella cittadina di Tulln an der Donau, vicino a Vienna.
E’ il terzogenito di Adolf Eugen Schiele, capostazione, e Marie Soucup. Ha due sorelle più grandi,
Elvira (che però morirà all’età di 10 anni) e Melanie. Nel 1894 nasce la sorella più piccola,
Gertrude, con la quale stringe un rapporto complice e affettuoso. I due insieme esplorano i primi
giochi erotici e, una volta divenuti ragazzini, fuggono in “luna di miele” a Trieste. “Gertie” diventa
anche la sua prima modella e la tipologia fisica che non smetterà mai di ricercare per i suoi ritratti.
A sei anni inizia a frequentare la scuola inferiore a Tulln ed esegue alcuni disegni della stazione
ferroviaria, in cui il padre aveva un’abitazione. A dieci anni frequenta il Realgymnasium di Krems,
ma a causa dei suoi scarsi risultati viene mandato a Klosterneuburg, dove frequenta il Landes – Real
– und Obergymnasium. Il suo rendimento però non migliora e gli insegnanti spesso si lamentano di
lui e del tempo che trascorre disegnando.
Nella notte di San Silvestro del 1904 il padre di Schiele muore di paralisi progressiva.
Secondo alcuni critici soffriva anche di disturbi mentali, ma non vi sono certezze a riguardo.
Questa perdita segna profondamente l’animo di Egon, così come si può apprendere da una lettera
scritta nel 1913 al compagno di studi e amico Anton Peschka:
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Idem, pag. 75.
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Per questo ti scrivo; anche Gertrude non sa, sebbene si possa credere che la mia
esistenza sia delle più liete, quante dure sofferenze morali io debba sopportare. Non so
se ci sia veramente qualcuno che ricordi con altrettanta malinconia il mio carissimo
padre; non so chi può capire perché io vada in cerca proprio dei luoghi dov’è stato mio
padre, e dove rivivo dentro di me il dolore in ore di grande tristezza. – Credo
all’immortalità di ogni essere, credo che un ornamento sia solo esteriorità, il ricordo,
intessuto con maggior o minor forza, lo porto in me. – Perché ho dipinto delle tombe? E
molti quadri analoghi? – perché è qualcosa che continua a vivere nella mia interiorità.
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Dopo la morte del padre è l’ingegnere Leopold Czihaczek, zio e padrino di Egon, a diventare suo
tutore e a decidere di inviarlo alla Technische Hochschule.
I risultati scolastici continuano ad essere scadenti e la madre pensa così di mandarlo alla
Kunstgewerbeschule di Vienna. I disegni che il giovane artista presenta alla scuola vengono
giudicati in modo così favorevole che viene invitato a frequentare l’Accademia di Belle Arti.
Nel 1906 supera con successo l’esame di ammissione all’Accademia e inizia con entusiasmo questa
nuova attività. Ben presto però i rapporti con i docenti, considerati da Schiele eccessivamente
reazionari, si inclinano e lo portano, nel 1909, ad abbandonare l’Accademia. Numerosi colleghi lo
seguono e fondano insieme a lui un gruppo di artisti, la Neukunstgruppe, che espone per la prima
volta in dicembre nella galleria del commerciante d’arte Pisko. Durante l’esposizione Schiele
conosce lo scrittore e critico Arthur Roessler, che diventerà uno dei suoi più fervidi sostenitori.
E’ però l’incontro con Gustav Klimt, avvenuto un paio di anni prima, nel 1907, a rivelarsi
fondamentale per lui; in Klimt, infatti, egli troverà un’importante fonte d’ispirazione oltre ad
un’amicizia con cui condividere l’interesse per il nudo e la sessualità in pittura.
Nel maggio 1911 si svolge la prima mostra di Schiele alla Galleria Miethke, in questo stesso anno
l’artista si trasferisce a Krumau an der Moldau, città natale della madre. Qui inizia per lui un
periodo estremamente produttivo che viene interrotto dai difficili rapporti con gli abitanti della
cittadina, i quali lo criticano per i suoi studi di nudo e per il suo “rapporto di concubinato” con la
modella viennese Wally Neuzil.
Schiele decide così di trasferirsi a Neulengbach, vicino Vienna, ma la situazione non migliora, anzi.
I nuovi vicini, scandalizzati dall’attività dell’artista, non perdono tempo a mettere in giro cattive
voci che lo ritraggono intento a sedurre le ragazzine ch e vanno a posare per lui. Vengono così
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Idem, pp. 45-46.
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inoltrate proteste alla polizia che gli confisca un centinaio di disegni ritenuti pornografici. Il peggio
però deve ancora venire.
Il 13 aprile del 1912 Schiele viene arrestato e il 30 dello stesso mese assegnato al carcere
circoscrizionale di St. Pölten.
L’accusa principale è di aver rapito una minorenne, ma si rivela infondata.
La sua unica colpa è forse l’eccessiva ingenuità. Egon viene infatti circuito da una giovane vicina di
casa che, disperata dalle angherie che deve subire in famiglia, gli chiede di ospitarla, almeno per
una notte. L’artista, colpito dal racconto della ragazza, non riesce a negarle il suo aiuto, solo che i
giorni passano, ma lei non accenna a volersene andare.
Il padre intanto inizia a cercarla e appena saputo dove si trova, non perde tempo a sporgere
denuncia, accusando l’artista di corruzione di minore.
La vicenda ben presto si chiarisce, l’uomo si reca a casa di Schiele e una volta ritrovata la figlia
comprende che non c’è stata nessuna corruzione.
Il malinteso sembra risolto, Egon pensa di trovarsi in carcere solo per errore: forse l’uomo, felice di
aver ritrovato la figlia, ha dimenticato di ritirare la denuncia.
Il sentore che ci sia sotto qualcos’altro non tarda però ad insinuarsi dentro di lui.
Nel Diario dal carcere , pubblicato nel 1922 a cura di Arthur Roessler, e probabilmente in molte
parti rielaborato dallo stesso Roessler sulla base di annotazioni, lettere e del racconto del pittore, si
può leggere:
Il mio arresto non è un malinteso!
Non sono stato arrestato a causa di una ragazzetta isterica, bensì – e immagino grazie ai
sospetti del mio tutore – perché indiziato di atti osceni con minori, con bambine, per
aver eseguito disegni erotici, vale a dire osceni, che avrei mostrato ai bambini o
comunque avrei negligentemente lasciato in giro fuori dalle cartelle. – Insomma,
finalmente so perché ‘sono al fresco’! – E’ uno scandalo! Una grossolanità quasi da non
credere! Che meschinità! E che enorme, enorme, stupidaggine! E’ una vergogna per la
cultura, una vergogna per l’Austria che a un artista possa accadere, nella sua patria,
una cosa simile. Non lo nego: ho realizzato disegni e acquarelli che sono erotici. Ma
sono pur sempre opere d’arte – questo posso dirlo io, e persone che ne capiscono
qualcosa lo confermeranno volentieri. Altri artisti non hanno forse dipinto quadri
erotici? – Rops, ad esempio, ne ha fatti solo di questo genere. Ma nessun artista è stato
messo in carcere per simili motivi. Nessuna opera d’arte erotica è una porcheria,
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quand’è artisticamente rilevante, diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se
costui è un porco. – Potrei citare molti, molti nomi di artisti famosi, anche quello di
Klimt; ma con questo non voglio affatto giustificarmi, non sarebbe degno di me. Dunque
non lo nego. Dichiaro invece del tutto falso il fatto che avrei mostrato intenzionalmente a
dei bambini tali disegni, che avrei corrotto dei bambini. E’ una menzogna! – Tuttavia so
che ci sono molti bambini corrotti. Ma cosa significa poi ‘corrotti’? – Gli adulti hanno
dimenticato quanto essi stessi erano corrotti da bambini, cioè stimolati ed eccitati
dall’istinto sessuale? – hanno dimenticato come il terribile impulso li bruciava e li
tormentava quand’erano ancora bambini? Io non l’ho dimenticato, perché mi ha fatto
soffrire tremendamente.
E credo che l’uomo sarà costretto a soffrire il tormento del sesso finché sarà sensibile
allo stimolo sessuale.
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Pensiamo che solo qualche anno prima, nel 1905, Freud si era già pronunciato a proposito, con il
volume Tre saggi sulla teoria sessuale , in cui approfondisce appunto il tema della sessualità
infantile, suddividendola nelle celebri tre fasi: orale, anale e genitale.
Durante la fase orale è la madre che accudendo e nutrendo il bambino risveglia la sua sessualità. A
questa fase segue quella anale, in cui il piacere è raggiunto attraverso la ritenzione e l’espulsione
delle feci, per poi giungere alla fase genitale in cui il bambino scopre i propri organi genitali e la
masturbazione.
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Non sbaglia quindi Schiele quando parla di come l’istinto sessuale sia presente anche nei bambini.
D’altra parte lo scritto dell’ormai famoso psicanalista è solo di alcuni anni precedente all’arresto
dell’artista, si può perciò supporre che le teorie in esso esposte non fossero ancora acquisite dalla
società viennese.
Il nostro artista comunque viene ben presto scagionato, ma le angherie che deve subire non sono
ancora finite.
24 giorni sono stato in prigione! – Ventiquattro giorni o cinquecentosettantasei ore! –
Un’eternità!
L’indagine si è sgonfiata miseramente – ma io ho sofferto come un cane, in modo
indicibile. Sono stato terribilmente punito senza condanna.
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Idem, pp. 102-103.
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Sigmund Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale e altri scritti (1900-1905), Bollati Boringhieri, Torino 1989.
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Nel corso del dibattimento uno dei fogli sequestrati, quello che era appeso in camera da
letto, è stato solennemente bruciato con la fiamma di una candela dal giudice in toga! –
Autodafè! Savonarola! Inquisizione! Medioevo! Castrazione, trionfo dell’ipocrisia! –
Allora andate nei musei e fate a pezzi le massime opere d’arte. Chi rinnega il sesso è un
sudicione e infanga nel modo più basso i genitori che l’hanno fatto venire al mondo.
Come dovrà vergognarsi di fronte a me, d’ora in poi, chiunque non abbia sofferto come
me!.
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Un’esperienza intensa e scioccante quella nel carcere di Neulengbach, che senz’altro lascia segni
profondi nell’animo dell’artista, come leggeremo nelle opere di questo periodo, in cui il corpo trova
un’espressione quasi claustrofobica, che ricorda l'angoscia e la costrizione che si possono provare
dentro ad un’angusta prigione.
I mesi successivi sono fortunatamente caratterizzati da una maggiore serenità, Schiele viaggia ed
espone in numerose città.
Nel 1915, forse ancora influenzato dalle ferite di Neulengbach, decide di lasciare Wally e le sue
trasgressioni, per cercare conforto e sicurezza in una ragazza del ceto medio, Edith Harms. I due si
sposano il 17 giugno, quattro giorni prima che l’artista si arruoli per il servizio militare. Il 21 giugno
parte soldato per Praga, seguito dalla moglie. In luglio viene ritrasferito a Vienna, dove gli viene
affidato il compito di sorvegliare dei prigionieri russi, che ritrae in alcune opere.
Alla fine dello stesso anno viene invitato dalla Secessione Berlinese a partecipare alla ‘Wiener
Kunstschau’.
Nel 1916 inizia a tenere un diario di guerra.
Nel 1917 cerca di fondare, insieme ad altri artisti, esponenti delle arti figurative, della letteratura e
della musica, una commissione mista ‘Kunsthalle’, allo scopo di contribuire ad una ricostruzione
culturale dopo la guerra. Il suo progetto però fallisce.
Nel marzo 1918 la Secessione Viennese mette il proprio palazzo a disposizione di Schiele e del suo
gruppo. A Schiele viene riservato il salone principale. Questa mostra rappresenta il primo grande
successo dal punto di vista artistico ed economico.
Il 28 ottobre di questo stesso anno la moglie Edith muore a causa dell’influenza spagnola, seguita a
pochi giorni di distanza, il 31 ottobre, da Schiele stesso.
Il 3 novembre l’artista viene seppellito nel cimitero di Ober St. Veit.
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Egon Schiele Ritratto d’artista , op. cit. pag. 106.
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