4
Introduzione
«NEUROESTETICA. Così la scienza spiega l’arte e l’amore»
1
, annuncia trionfante, il cinque
settembre 2009, La Repubblica. Nell’ultima decade gli studi scientifici sul funzionamento e le
strutture del cervello sono progrediti enormemente e rapidamente, grazie soprattutto alle
nuove macchine per il brain imaging funzionale, una tecnologia all’avanguardia che sembra
fotografare le zone cerebrali che si attivano mentre l’individuo che partecipa all’esperimento
svolge un compito particolare. Tramite questo tipo esperimenti i neuroscienziati sono convinti
di poter individuare le aree del cervello e i meccanismi neurofisiologici che rendono possibili
i pensieri, gli affetti, i movimenti e i comportamenti umani. Così i giornalisti proclamano a
gran voce che presto tutti i fenomeni piø intimi, indefinibili e privati della vita umana, come
l’amore, non avranno piø segreti, entusiasmando l’opinione pubblica e allertando gli umanisti.
Il fascino che esercita l’idea di poter spiegare finalmente in modo apodittico questioni
sulle quali gli umanisti non possono che ‘speculare’, ha condotto alla nascita di numerose
«presunte nuove discipline, create premettendo il prefisso ‘neuro’ a saperi nobili e antichi»
2
.
La Neuroestetica, argomento di questo elaborato, è una di queste: «queste scoperte
(neuroscientifiche) schiudono un nuovo ed estesissimo campo in cui la neurobiologia può
cercare di dare risposta a interrogativi come: quali strutture neuronali sono coinvolte nella
nostra reazione alla bellezza?»
3
. Se dunque si riuscisse a localizzare nel cervello ogni singola
funzione mentale e motoria necessaria all’esperienza artistica e se tutte le leggi
neurofisiologiche che presiedono al funzionamento dei neuroni fossero scoperte, tutti i misteri
dell’arte, su cui da secoli si arrovellano gli umanisti, verrebbero finalmente svelati,
sostengono i neuroscienziati.
Ma, si chiedono gli umanisti, l’arte non è una costruzione culturale? Cosa c’entrano le
neuroscienze con la dimensione estetica? Zeki risponde: «anche i frutti delle discipline
umanistiche, della storia dell’arte e della filosofia… sono prodotti del cervello umano»
4
. In
quest’affermazione si intravede già lo «spettro della fisiologia»
5
, che ha condotto molti
pensatori troppo fiduciosi nel progresso scientifico, già molto prima della nascita delle
neuroscienze, a concezioni meccanicistiche e deterministiche dell’essere umano, che ne
negano la libertà, l’originalità, l’anima. A questo proposito, Alessandro Serra scrive:
1
S. ZEKI, in un intervista su ‘La Repubblica’, 05/09/2009, p. 45.
2
C. LEGRENZI, P. UMILTÀ, Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, il Mulino, Bologna, 2009, p. 13.
3
S. ZEKI, intervista su ‘La Repubblica’.
4
Ibidem.
5
A. SERRA, Introduzione, cit. p. 9.
5
i rapporti tra estetica e scienze umane, nel senso moderno di entrambi i termini, iniziano
pressappoco al momento dello svanire di un lungo sogno, quello che ha indotto due millenni a
considerare l’ipotesi di una scienza naturale dell’arte.
6
SERRA, 1990.
Queste parole sono state scritte quando ormai il “sogno di una scienza naturale dell’arte”
sembrava «del tutto tramontato»
7
. Chissà se Serra immaginava che solo pochi anni dopo
sarebbe scoppiata la Neuro-mania
8
.
Se la Neuroestetica può essere vista come una manifestazione del neuro turn, di cui si
tratterà nel corso dell’argomentazione, si può anche considerare l’altra faccia della medaglia e
chiedersi perchØ, sempre negli ultimi dieci anni, tra i non esperti sia sgorgato un singolare
interesse per i problemi dell’estetica. Infatti, l’ultimo decennio ha visto la pubblicazione di un
numero insolitamente elevato di libri e articoli sull’argomento, scritti da studiosi di vari
ambiti
9
. Inoltre, fatto ancor piø enigmatico, il dibattito sull’estetica ha avuto un’eco pubblica
che si estende ben oltre la cerchia dei filosofi professionisti e degli umanisti tradizionalmente
impegnati nel settore
10
. La Neuroestetica concentra in sØ entrambe le tendenze in modo
esemplare. Infatti l’attenzione di neurologi, fisiologi e neurobiologi all’estetica è un fenomeno
inedito, le pubblicazioni di Neuroestetica stanno aumentando di giorno in giorno e gli articoli
sensazionalistici che appaiono sui quotidiani al proposito allettano il grande pubblico.
Per quanto riguarda le motivazioni che possono indurre uno scienziato del cervello a
occuparsi di estetica, in base alle varie dichiarazioni dei diretti interessati, si può distinguerle
in due generi. Innanzitutto agiscono le motivazioni personali, che si possono riassumere
citando Changeux:
presto ho sentito il bisogno di trovare un contrappeso alla mia attività scientifica che, come si
può ben immaginare, è molto astratta e molto formalizzata; di abbandonare di tanto in tanto
batteri e molecole per ritrovare una visione piø “umanistica”, che integri l’uomo al mondo
culturale e sociale al quale appartiene… Non vi è solo il piacere delle forme, il gusto del
colore, del paesaggio e dei personaggi ma una lezione di umanesimo che ritroviamo
costantemente in tutti i quadri
11
.
CHANGEUX, 1995.
6
A. SERRA, Estetica e scienze umane, in L. Rossi (a cura di), Estetica e Metodo. La Scuola di Bologna, Nuova
Alfa Editoriale, Bologna, 1990, p. 130.
7
A. SERRA, Genio, in E. Pagnoni (a cura di), Idee dell’arte, Alinea, Firenze 1991, p. 122.
8
Cfr. C. LEGRENZI, P. UMILTÀ, Neuro-mania, cit.
9
Cfr. J-M. SCHAEFFER, Addio all’estetica, traduzione di M. Puleo, Sellerio editore, Palermo, 2002, p. 17.
10
Cfr. Ibidem.
11
J-P. CHANGEUX, Ragione e piacere. Dalla scienza all’arte, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995, p. 107.
6
Affermazioni come queste dovrebbero lusingare gli umanisti, piuttosto che lasciarli perplessi
o far loro sospettare un’indebita intrusione della comunità scientifica nel loro territorio
riservato.
L’altro tipo di motivazioni riguarda invece le somiglianze che i neuroscienziati
sostengono di avere notato tra attività scientifica, prassi creativa ed esperienza estetica. Le
analogie tra scienziato e artista saranno prese in esame nel quarto capitolo, nella sezione
dedicata al paradigma del pittore neuroscienziato inconsapevole. Ma è il caso di anticipare
che i cultori della Neuroestetica affermano che, come il ricercatore, anche il pittore astrae le
costanti dagli aspetti contingenti del reale, svolge esperimenti per mettere alla prova
empiricamente le proprie ipotesi di lavoro e indaga, benchØ inconsciamente, il funzionamento
del sistema visivo.
Anche la fruizione, a parere dei neurologi dell’estetica, assomiglia alla ricerca
scientifica, in quanto anch’essa persegue la conoscenza, costruendo modelli stabili e
significativi, in base ai quali interpretare la realtà. Inoltre, i neuroscienziati tendono ad
assimilare il piacere intellettuale, che provano nel pervenire a una nuova scoperta, nel vedere
una loro ipotesi confermata dagli esperimenti di laboratorio, al piacere estetico che deriva al
fruitore dall’impiego della ragione nella formulazione di congetture interpretative, che
vengono gradualmente confermate dagli indizi semantici presenti nel quadro
12
. In questo
senso «i ricercatori stessi parlano del continuo ricorso all’estetica nella loro pratica»
13
.
Invece, la curiosità dell’opinione pubblica per i problemi dell’estetica sembra alquanto
generica, in quanto la parola ‘estetica’ nel linguaggio quotidiano può assumere vari
significati, sempre piø indefiniti e meno pregnanti, che garantiscono la sua applicabilità
praticamente in qualsiasi discorso. Ad esempio, inserendo il termine in un comune motore di
ricerca, si trovano siti di estetisti, parrucchieri, chirurghi estetici, medici estetici, belle donne
e, sì, anche di estetica filosofica. Alla televisione si sente continuamente parlare abbastanza
impropriamente di estetica e si potrebbe pensare che l’ingresso dell’estetica nella ‘cultura’ di
massa ne abbia comportato uno svuotamento semantico.
Altrettanto non pare potersi dire dei tentativi dei neuroscienziati di applicare le loro
conoscenze sul cervello a questioni di estetica. A prescindere dalla rilevanza dei risultati di
tali studi per la soluzione degli enigmi dell’arte, sembra che il dialogo che gli scienziati
stanno tentando di instaurare con gli umanisti abbia portato buoni frutti almeno nella
delimitazione del campo di indagine. ¨ significativa, al proposito, l’introduzione di Andrea
12
Cfr. Ibidem, p. 28.
13
Ibidem.
7
Pinotti, docente di estetica filosofica, alla raccolta di saggi Immagini della mente, che inizia
proprio chiarendo il significato della parola ‘estetica’, secondo gli insegnamenti del fondatore
della disciplina, Baumgarten. Effettivamente, i cultori della nuova ‘neurodisciplina’ cercano
di mantenere distinte quelle che, per semplicità, si possono chiamare ‘Neuroestetica dell’arte’
e ‘Neuroestetica della conoscenza sensibile’ per quanto possibile, visto che comunque gli
oggetti artistici sono una classe particolare di oggetti estetici. Questa distinzione significativa,
e non solo, potrebbe quasi indurre a pensare che la Neuroestetica possa essere destinata ad
occupare lo spazio lasciato vuoto da quell’estetica che rischiava di mescolare e confondere
l’estetico con l’artistico, alla quale Schaeffer ha dato l’Addio
14
.
Questa tesi si concentrerà esclusivamente sulla ‘Neuroestetica dell’arte’ per ovvie
ragioni di spazio, ma anche perchØ questo ambito è, a nostro avviso, il piø controverso e
fertile da un punto di vista filosofico, come risulterà nel corso della trattazione. Verranno
esaminati alcuni aspetti e problemi particolarmente significativi, al fine di cercare di
comprendere se l’estetica filosofica possa svolgere un ruolo complementare all’interno del
progetto multidisciplinare della Neuroestetica, chiarendo concetti eventualmente malintesi,
criticando eventuali interpretazioni superficiali, metodi e principi d’indagine. E,
contemporaneamente, con lo scopo di tentare di chiarire se le nuove conoscenze sul cervello
possano essere integrate in una teoria filosofica dell’arte, del genio e della fruizione, senza
che si ricada nel riduzionismo, nel determinismo, nello scientismo, come è successo spesso ai
filosofi che hanno tentato un’impresa simile in passato.
Il futuro ha un cuore antico, scrive Carlo Levi. Per questo, prima di prendere in esame
alcune tematiche della Neuroestetica, si ripercorrerà brevemente la storia del “sogno di una
scienza naturale dell’arte”, come lo chiama suggestivamente Serra, per evidenziare vantaggi e
pericoli di tale approccio. Poi, verrà presentato uno studio sul Problema XXX, 1 dello
pseudo-Aristotele, in quanto costituisce la prima apparizione del ‘sogno’ e, se integrato con
altri scritti dello Stagirita, può rappresentare un esempio molto istruttivo dell’importanza
dell’interpretazione che la filosofia può offrire delle teorie scientifiche.
Nel terzo capitolo si presenterà la Neuroestetica in generale, con i suoi obiettivi, le sue
caratteristiche e le pubblicazioni dei fondatori. In seguito verranno considerate alcune teorie
della ‘Neuroestetica della creazione’, che riportano al centro dell’attenzione il dibattuto
rapporto tra genio e follia, o meglio neuropatologia. Si vedrà che la nuova disciplina instaura
inedite relazioni tra l’arte e la malattia, che meriterebbero tutta l’attenzione della filosofia. Si
analizzerà anche il modello esplicativo del pittore neuroscienziato inconsapevole, impiegato
14
Cfr. J-M. SCHAEFFER, Addio all’estetica, cit. p. 11.
8
in numerose ricerche di Neuroestetica. Si passerà poi alla ‘Neuroestetica della fruizione’,
saranno esposte le teorie dei neuroscienziati e forniti spunti di riflessione. In particolare, la
sezione dedicata ai neuroni specchio, dimostrerà che, per elaborare teorie dell’arte sulla base
delle recenti scoperte neuroscientifiche, è necessaria la massima cautela. Le concezioni
dell’arte che emergeranno nel corso della trattazione verranno approfondite nel sesto capitolo.
Infine si proporranno alcune riflessioni conclusive sul riduzionismo che pare aleggiare sui
tentativi dei neurologi dell’estetica.
9
1 Scienze e Humanities. Un sogno possibile?
«Coleridge… ha detto una volta che tutti gli uomini nascono o aristotelici o platonici e che in
ogni sua fase il pensiero umano si limita a riattualizzare l’eterna disputa tra Aristotele e
Platone»
15
. Proprio l’antitesi tra la concezione della realtà, dell’essere umano e della
conoscenza di Platone e quella di Aristotele costituisce, secondo Chiara Cappelletto, il
«nucleo polemico originario»
16
dal quale discendono due opposti approcci allo studio dei
prodotti culturali
17
.
Il primo si avvale, come strumenti per la ricerca, principalmente delle tradizioni
storiche, filosofiche, religiose, mitologiche e poetiche, che razionalizza e inserisce
coerentemente nel proprio sistema filosofico e metafisico. Procede in modo ‘trascendentale’ e
senza curarsi di eventuali apporti che le scienze empiriche potrebbero fornire, in quanto
considera il proprio oggetto di studio appartenente ad un altro ordine di realtà, quello dello
spirito, delle idee, della cultura: un mondo ontologicamente irriducibile a quello materiale. Il
secondo, invece, riflette su tutte le conoscenze che ha a disposizione, privilegiando quelle
conquistate dalla scienza naturale, perchØ considera l’uomo un’inscindibile unità di materia e
anima, che non potrebbe produrre alcunchØ senza il corpo.
L’inclusione delle conoscenze conseguite dalle scienze naturali nel tentativo di
spiegare l’arte sembra decisamente proficuo in considerazione del fatto ineludibile che
qualsiasi esperienza estetica è resa possibile dai cinque sensi e dall’organo che coordina ed
elabora le informazioni provenienti da essi, inoltre le nozioni scientifiche hanno il vantaggio
di poter essere verificate empiricamente, anche impiegando sofisticati strumenti tecnologici.
Però, come si vedrà, questo approccio agli oggetti culturali corre il rischio di degenerare in un
riduzionismo materialistico, di interpretare le piø alte facoltà umane in modo meccanico e
snaturare i fenomeni culturali.
La Neuroestetica pare porsi in continuità con la tradizione risalente ad Aristotele,
mentre coloro che «vedono con orrore una simile incursione»
18
delle scienze della natura
nell’ambito di ricerca tradizionalmente umanistico per eccellenza, sembrano continuare a
professare il dualismo ontologico platonico.
Dunque, in questo primo capitolo si tenterà di ripercorrere brevemente le tappe
principali dello sviluppo del ‘nucleo polemico originario’, per evidenziare le analogie
15
A. SERRA, Genio, cit. p. 121.
16
C. CAPPELLETTO, Neuroestetica. L’arte del cervello, Editori Laterza, Bari, 2009, p. 5.
17
Cfr. Ibidem.
18
S. ZEKI, intervista su ‘La Repubblica’.
10
sussistenti tra la ‘corrente aristotelica’ e la Neuroestetica, mettere in guardia dai pericoli di
determinismo scientista, in cui molti ‘sognatori’ (da ora in poi impiegherò, per brevità, questo
nome improprio) di una scienza naturale dell’arte sono incappati, e suggerire che una
riflessione filosofica critica e oculata potrebbe risparmiare alla Neuroestetica la stessa fine dei
suoi predecessori.
Le origini classiche del ‘sogno’
Così della giustizia, della temperanza e di tutte le altre cose che hanno valore per le anime non c'è
splendore alcuno nelle copie di quaggiø, ma soltanto pochi, accostandosi alle immagini,
contemplano a fatica, attraverso i loro organi ottusi, la matrice del modello riprodotto. Allora
invece si poteva vedere la bellezza nel suo splendore, …poichØ eravamo puri e non rinchiusi in
questo che ora chiamiamo corpo e portiamo in giro con noi, incatenati dentro ad esso come
un'ostrica
19
.
PLATONE, Fedro.
Platone, è risaputo, introduce nella storia della filosofia occidentale la concezione dualistica
dell’uomo, destinata a un’enorme fortuna nel pensiero cristiano e finora mai completamente
estirpata. Secondo tale concezione, l’essere umano è composto da un’anima e un corpo, due
entità di natura diametralmente opposta. L’anima, infatti, è un principio divino, immateriale e
immortale, che, se pura o asceticamente mondata, può elevarsi alla conoscenza delle verità
trascendenti e alla contemplazione della vera bellezza. Il corpo, invece, è la prigione nella
quale l’anima viene rinchiusa e degradata a causa delle sue colpe. La materia dell’organismo
contamina la purezza dell’anima, l’abbruttisce e ottunde, impedendole di accedere al Vero e al
Bello.
La conoscenza che l’uomo può acquisire tramite i sensi è fallace e si dice dóxa, di essa
fa parte anche quella che oggi chiamiamo scienza empirica, poichØ si fonda su esperienze
contingenti del mondo materiale, invece l’epistØme deve essere apodittica, quindi deve
volgersi a realtà necessarie, universali e immutabili. Mentre la discriminazione tra scienza e
opinione era già netta, gli antichi greci non distinguevano tra tecniche e belle arti, ma
riservavano una considerazione privilegiata alla poesia. La poíesis era creazione e non
semplice imitazione, il suo status esclusivo è giustificato da Platone con l’origine divina
dell’ispirazione:
19
PLATONE, Fedro, trad. it. di G. Reale, Rusconi libri, Milano, 1993, XXX, 250 b-c.
11
l'invasamento e la mania provenienti dalle Muse, che impossessandosi di un'anima tenera e
pura la destano e la colmano di furore bacchico in canti e altri componimenti poetici, e
celebrando innumerevoli opere degli antichi educano i posteri. Chi invece giunge alle porte
della poesia senza la mania delle Muse, convinto che sarà un poeta valente grazie all'arte, resta
incompiuto e la poesia di chi è in senno è oscurata da quella di chi si trova in preda a mania
20
.
PLATONE, Fedro.
Dunque, la tØchne, sufficiente per la pittura, la scultura, l’architettura, non basta per la poesia,
che richiede l’intervento divino, il quale si manifesta nella manía, che rende colui che è
posseduto dalla divinità manikós: pazzo. Platone ha già instaurato quel rapporto causale tra
artista e follia che continua a informare molte teorie sulla creatività e il genio. Anche se nei
dialoghi non è esplicito, si può dedurre che, secondo il filosofo, l’arte empirica della medicina
non sia assolutamente in grado di comprendere la manía nØ la creatività, essendo queste doni
degli dei, che appartengono al regno soprasensibile. Platone è quindi iniziatore della visione
che attribuisce i fenomeni umani o all’anima o al corpo e, conseguentemente, ne ascrive la
conoscenza o all’epistØme o alla dóxa.
Quasi per ironia della sorte, il migliore allievo dello scolarca dell’Accademia ha
formulato un’idea di uomo completamente diversa. Secondo Aristotele, come sarà osservato
nel prossimo capitolo, l’essere umano è un sinolo inscindibile di anima e corpo, spirito e
materia, quindi, per coglierne la natura, è necessario conoscere sia le leggi fisiche, come il
sistema dei quattro umori e l’azione del calore, alle quali obbedisce il funzionamento del suo
organismo, sia le regole tecniche e formali dalle quali dipende il pregio delle sue opere.
Come emergerà dall’analisi del Problema XXX, 1, lo Stagirita stabilisce, almeno
apparentemente, un rapporto causale tra le condizioni dell’organismo e la psicologia, le
capacità, le opere di un determinato individuo. BenchØ non tratti di genio nØ genialità, concetti
estranei al pensiero greco, il Problema «anticipa o inaugura la storia del Genio»
21
in quanto
propone una spiegazione causale dell’eccezionalità. Inoltre in esso «si profila all’orizzonte
l’ombra di un grande sogno, quello di una conciliazione tra Arte e Natura, di una Scienza
naturale dell’Arte, della Filosofia, della Storia»
22
. Aristotele, cioè, cerca nell’organismo i
fattori che determinano la grandezza delle opere umane, perciò si serve della neonata scienza
medica per elaborare una spiegazione causale.
20
Ibidem, XXII, 245 a.
21
A. SERRA, Genio, cit. p. 122.
22
Ibidem.
12
Così, il «nucleo polemico originario»
23
che, nel corso della storia, ha trovato
espressione nell’apparentemente irriducibile antitesi tra scienze e arts (notoriamente il
termine inglese include in generale le discipline umanistiche, oltre alle belle arti) scaturisce
già dalla contrapposizione tra la visione dell’uomo e della conoscenza di Platone e quella di
Aristotele, che Raffaello ha riassunto efficacemente nella Scuola di Atene
24
. Questo è quanto
sostengono Serra e la Cappelletto, che individuano nel Problema aristotelico l’origine del
‘sogno’, tipico degli scienziati, ma anche di alcuni filosofi, di spiegare i fenomeni psichici e
culturali, inclusa l’arte, con le leggi fisiologiche dell’organismo. In questa prospettiva, il
pensiero platonico assurge a paradigma dell’atteggiamento di quegli umanisti che, piø o meno
esplicitamente, ritengono che l’oggetto dei loro studi, cioè l’attività spirituale dell’uomo,
appartenga a un ordine di realtà diverso da quello abitato dai corpi, perciò negano che le
scienze della natura possano contribuire alla comprensione dei fenomeni culturali, i quali, a
loro parere, richiedono metodi e criteri diversi.
¨ opportuno ripercorrere brevemente la storia dello sviluppo di questo ‘nucleo
polemico’, con particolare attenzione all’evoluzione del ‘sogno’ in ambito estetico, per
mettere in luce il fatto che una plausibile ricerca delle basi organiche della creazione e anche
della fruizione artistica implica l’avverarsi di un altro sogno, quello del connubio di scienza e
humanities.
Sviluppi del ‘nucleo polemico’ nelle riflessioni sull’arte tra ellenismo ed epoca dei Lumi
Grazie alla virata soggettivistica della filosofia ellenistica l’individualità dell’artista è stata
valorizzata insieme agli aspetti peculiari del suo temperamento
25
. Le fonti latine testimoniano
che certi attributi ricorrenti del carattere degli artisti attiravano l’attenzione e la curiosità della
società
26
. Scultori, pittori, poeti si discostavano dalla normalità per l’orgoglio smodato,
l’eccentricità, certe strane manie. Ad esempio, Apollodoro era chiamato ‘il matto’ per via
dell’eccessivo rigore col quale criticava le minime imperfezioni delle proprie opere. La
bizzarria, la creatività e l’ambiguità, che sembravano contraddistinguere gli artisti, venivano
23
C. CAPPELLETTO, Neuroestetica, cit. p. 5.
24
Cfr. Ibidem.
25
Cfr. R. WITTKOWER, M. WITTKOWER, Nati sotto Saturno, traduzione di F. Salvatorelli, Einaudi, Torino, 2009,
pp. 13-14.
26
Cfr. Ibidem, p. 15.
13
ricondotte, platonicamente, alla natura divina dell’ispirazione e dell’estasi
27
, oppure,
aristotelicamente, alla melanconia, dunque alla complessione ematica
28
.
Nel Medioevo e nel Rinascimento la teoria platonica del furor continuò a prosperare,
contaminata dalla dottrina cristiana del deus artifex, che accentuò il carattere divino
dell’artista
29
. Per via della propria creatività, immagine e somiglianza di quella del Dio
creatore e architetto dell’universo, l’artista arrivò a definirsi alter Deus
30
. Parallelamente
sopravviveva la tradizione di matrice aristotelica, ma il ‘sogno’ giunse al Medioevo tramite il
fraintendimento di una frase di Seneca: «nullum magnum ingenium sine mixtura dementiae
fuit»
31
. In realtà Seneca si riferiva platonicamente al fuoco dell’ispirazione divina, ma la frase
fu estrapolata dal contesto e citata isolatamente, così che i pensatori medievali e
rinascimentali credettero che facesse riferimento alla follia, ovvero melanconia, in senso
medico
32
. Le idee dei medici dell’epoca sulla melanconia si rifacevano alla teoria umorale di
Ippocrate, che sarà esposta nel prossimo capitolo, tramandata dall’opera di Galeno, medico
del secondo secolo d.C.
33
. L’eziologia ‘scientifica’ della melanconia, vista come disordine
psichico di origine somatica, si contrapponeva, così, a quella religiosa, che interpretava la
follia come possessione demoniaca o condizione peccaminosa simile all’accidia
34
.
La concezione aristotelica della melanconia fu applicata propriamente all’artista e
conobbe uno straordinario revival nel Quattrocento, a opera del neoplatonico Marsilio Ficino.
Il suo De vita triplici propone una riconciliazione del pensiero di Aristotele con quello di
Platone, dimostrando che il temperamento melanconico era in realtà la manía del Fedro,
dunque un dono di Dio
35
. Ficino diffuse anche la credenza, già professata da Pitagora e
poeticamente esposta nel Timeo, che i movimenti dei pianeti influissero enormemente sul
temperamento umano
36
. Mise quindi in relazione astrologia e medicina, platonismo e
aristotelismo, sostenendo che ogni pianeta è costituito da una miscela di elementi cosmici
identica a quella dell’umore corrispondente, sul quale influisce
37
. Quindi i melanconici,
secondo Ficino, sono ambivalenti a causa degli influssi di Saturno, che agisce sulla bile nera
27
Cfr. Ibidem, pp. 13-14.
28
Cfr. Ibidem, p. 116.
29
Cfr. Ibidem, p. 112.
30
Cfr. Ibidem.
31
“Nessun grande ingegno fu mai senza mistura di pazzia”.
L. A. SENECA, De tranquillitate animi, a cura di M. G. Cavalca Schiroli, CLUEB, Bologna, 1981, XVII, 10-12.
32
Cfr. R. WITTKOWER, M. WITTKOWER, Nati sotto Saturno, cit. p. 113.
33
Cfr. Ibidem, p. 116.
34
Cfr. Ibidem, p. 117.
35
Cfr. Ibidem.
36
Cfr. G. STABILE, Musica e cosmologia: l’armonia delle sfere, in L. Mauro (a cura di), La musica nel pensiero
medievale, Angelo Longo Editore, Ravenna, 2001, pp. 11-30.
37
Cfr. R. WITTKOWER, M. WITTKOWER, Nati sotto Saturno, cit. p. 117.
14
eccedente nel loro sangue
38
. Ficino riunì scienze naturali e tradizioni culturali, analogamente
gli artisti suoi contemporanei unificarono arte e scienza. Basti ricordare Leonardo da Vinci,
paradigma della fertile integrazione e collaborazione tra arte e scienza che però, scrive la
Cappelletto, «da allora…hanno preso strade diverse»
39
.
Come si vedrà nel corso della trattazione, non è vero che arte e scienza hanno concluso
le pratiche di divorzio alla fine del Rinascimento, semmai si sono temporaneamente separate.
Contemporaneamente svanì l’identificazione dell’artista col melanconico. Gli artisti
rinascimentali erano addirittura fieri della loro melanconia, perchØ avvolgeva la loro
professione di un’aura divina, li collocava al di sopra dei comuni mortali
40
. Essi si sentivano
creativi proprio in quanto affetti da un eccesso di atrabile. Dalla metà del Cinquecento,
invece, i letterati che si occupavano di arte iniziarono a biasimare i melanconici e gli artisti
stessi finirono per considerare il temperamento atrabiliare una maledizione
41
. L’artista
anticonformista, con le sue stravaganze e le sue bizzarrie era passato di moda, ora l’ideale era
rappresentato da Raffaello, nel ritratto che ne fece il Vasari
42
. Colui che voleva raggiungere
l’eccellenza nelle belle arti doveva essere incline alla filosofia, al ragionamento razionale,
nonchè dotato di grazia e virtø
43
.
Nel Seicento la rivoluzione scientifica parve riverberarsi anche sulla concezione della
melanconia, della quale furono indagati sintomi e cause, ma senza progredire oltre Galeno
44
.
Manifestazione dell’eccellenza dell’artista seicentesco era ritenuta, oltre che la qualità delle
sue opere, il carattere accomodante ed equilibrato, l’erudizione e l’affabilità. Intanto si
affermava la filosofia di Cartesio, che radicalizzò il dualismo platonico di mente e corpo,
dunque il divario tra scienze e arts
45
.
Riapparizione del ‘sogno’ nel ‘secolo dell’Estetica’
Il Settecento, il secolo della ‘nascita dell’estetica’
46
, ha conosciuto, tra i cosiddetti
‘precursori’
47
, uno dei piø significativi ‘sognatori’ di una scienza naturale dell’arte: l’abate Du
38
Cfr. Ibidem, pp. 117-119.
39
C. CAPPELLETTO, Neuroestetica, cit. p. 3.
40
Cfr. R. WITTKOWER, M. WITTKOWER, Nati sotto Saturno, cit. p. 119.
41
Cfr. Ibidem, p. 121.
42
Cfr. G. VASARI, Raffaello da Urbino pittore e architetto, in Le Vite de’ piø eccellenti pittori, scultori e
architettori, Salani, Firenze, 1932, vol. IV, pp. 155-216.
43
Cfr. R. WITTKOWER, M. Wittkower, Nati sotto Saturno, cit. p. 106.
44
Cfr. Ibidem, pp. 121-122.
45
Cfr. Ibidem, p. 122.
46
Cfr. L. RUSSO, Il caso Du Bos e il paradigma dell’estetica, in L. Russo (a cura di), Jean-Baptiste Du Bos e
l’estetica dello spettatore, Centro Internazionale Studi di Estetica, Supplementa, Aesthetica Preprint, Palermo,
2005 (pp. 213-222), p. 213.
15
Bos. Le sue Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura presentano un’antropologia a forte
caratterizzazione fisiologica e climatologica
48
.
Cercando le cause dei fenomeni psichici e cognitivi nel funzionamento
dell’organismo, Du Bos fa inevitabilmente ricorso alle conoscenze scientifiche a sua
disposizione, in particolare alla ‘fisiologia dell’ingegno’ proposta dal medico e filosofo
Huarte de San Juan in Examen de ingenios
49
. Si tratta di una reinterpretazione dell’antica, ma
non ancora superata, teoria dei quattro umori, che correla le diverse complessioni corporee
alle varie forme di conoscenza, attribuendo alle peculiarità individuali della base fisiologica il
potere di definire l’ingegno proprio di ogni individuo. Il medico spagnolo richiama la
tradizione ippocratica, segnatamente Dell’aere, dell’acqua e de’luoghi, anche nel considerare
l’influsso di clima, alimentazione e temperatura nella formazione dell’ingegno
50
.
Nella sua ricerca sulla natura e le condizioni del genio l’abate Du Bos si serve inoltre
delle teorie climatiche di François Lamy. Nel trattato di ‘patologia’ De la Connoissance de
sois-mesme il benedettino presenta un’antropologia fisiologica in cui le influenze del clima
sulla costituzione psico-fisica dell’individuo sono considerate fondamentali nel determinare
passioni e stati d’animo. La visione di Lamy, secondo la quale nella percezione degli oggetti
sensibili l’uomo esperisce la propria organizzazione fisiologica
51
, risulta sorprendentemente
attuale alla luce delle teorie di Neuroestetica, che saranno esposte successivamente. A questo
proposito si invita a confrontare lo studio sui neuroni specchio con la tesi del benedettino:
«tous les hommes ont dans leur corps des principes mØcaniques de compassion et d'imitation,
qui sont des sources importantes pour le coeur d'illusions»
52
. In particolare, secondo Lamy, è
impossibile che la vista di una passione su un volto umano «ne produira pas des pistes dans le
cerveau, des mouvements dans les esprits animaux et des impressions dans le cœur, tout à fait
semblables à celles dont que l’homme est agitØe»
53
.
Dunque, facendo proprie le teorie di Lamy e Huarte, Du Bos cerca di spiegare
l’origine dell’arte e la natura del genio. L’abate sostiene che le arti sono nate dalla necessità
47
Cfr. Ibidem, p. 214.
48
Cfr. S. TEDESCO, Du Bos fra retorica e antropologia: Huarte de San Juan e François Lamy, in L. Russo (a
cura di), Jean-Baptiste Du Bos (pp. 45-54), cit. p. 45.
49
Cfr. Ibidem, p. 46.
50
Cfr. Ibidem, p. 47.
51
Cfr. Ibidem, p. 48.
52
“Tutti gli uomini hanno nei loro corpi dei principi meccanici di compassione e d’imitazione, che sono grandi
sorgenti d’illusioni per il cuore”.
F. LAMY, De la Connoissance de sois-mesme, Kessinger Publishing, Whitefish (Montana), 2009, p. 19.
53
“Non produca delle tracce nel cervello, dei movimenti negli spiriti animali e delle impressioni nel cuore, del
tutto simili a quelle da cui quel uomo è agitato”.
Ibidem, p. 226.
16
umana di evadere dalla noia, attraverso emozioni e sentimenti
54
. ¨ interessante che per
spiegare perchè risulti tanto difficile, alla maggior parte delle persone, concentrasi su
meditazioni intellettuali, l’autore delle Riflessioni faccia appello alla «disposizione degli
organi del cervello»
55
, cioè al fatto che determinate costituzioni fisiologiche del cervello non
produrrebbero l’inclinazione alla speculazione, che dunque risulta noiosa per il soggetto, in
quanto non lo coinvolge emotivamente. Du Bos attribuisce grande importanza all’azione
meccanica dell’emozione sulla psiche, infatti ritiene che i grandi pittori siano coloro che
riescono a commuovere lo spettatore, a evocare forti emozioni tramite la rappresentazione di
figure umane agitate da passioni ambivalenti, nelle quali il pubblico può immedesimarsi
56
.
Quindi il principio dell’imitazione è fondamentale e biunivoco, in quanto fa scaturire nello
spettatore una copia della passione imitata
57
.
Du Bos osserva, come già fecero gli autori antichi, che i migliori artisti pare vivano
tutti nello stesso momento storico e individua la causa dell’alternarsi di ‘secoli illustri’ e
secoli di decadenza artistica nei cambiamenti climatici di lungo periodo che, a suo parere,
inciderebbero sulla creatività
58
. Così gli anni piø temperati favorirebbero il progresso artistico,
quelli eccessivamente caldi o freddi lo inibirebbero
59
. Allo stesso modo i diversi climi che
caratterizzano le varie aree geografiche determinerebbero l’indole piø o meno creativa dei
popoli che vi abitano. La teoria climatica di Du Bos, successivamente ripresa da Montesquieu,
consiste essenzialmente nell’analisi dell’aria scaldata dal sole e della nocività dell’umidità
nelle terre paludose, ed è associata a una dietetica
60
. La sua nozione di genio è già quella
moderna che caratterizza le riflessioni successive, dette propriamente ‘estetiche’: non piø
l’ingenium retorico, ma un insieme di doti, soprattutto creative, donate, favorite e perfezionate
dalla natura. BenchØ la natura, identificabile in pratica con l’ambiente, sia determinante, allo
sviluppo della genialità, secondo Du Bos, contribuiscono anche l’esercizio e lo studio, fatto
che mitiga il suo determinismo materialistico
61
.
Tuttavia il meccanicismo dubosiano è innegabile e si manifesta in tutta la sua evidenza
nella definizione che apre la seconda sezione della seconda parte delle Riflessioni:
54
Cfr. S. TEDESCO, Du Bos fra retorica e antropologia, cit. p. 45.
55
J.B. DU BOS, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, Aesthetica Edizioni, Palermo, 2005, p. 38.
56
Cfr. G. PUCCI, Du Bos e le arti visive degli Antichi e dei Moderni, in L. Russo (a cura di), Jean-Baptiste Du
Bos (pp. 33-44), cit. pp. 38-39.
57
Cfr. J.B. DU BOS, Riflessioni critiche, cit. p. 45.
58
Cfr. G. PUCCI, Du Bos e le arti visive, cit. p. 42-43.
59
Cfr. Ibidem, p. 43.
60
Cfr. M. MAZZOCUT-MIS, Du Bos e la teoria climatica, in L. Russo (a cura di), Jean-Baptiste Du Bos (pp. 103-
118), cit. p. 103.
61
Cfr. Ibidem.
17
Mi rendo conto che il genio delle loro arti consiste in una felice disposizione degli organi del
cervello, nella buona conformazione di ciascuno di essi, come pure nella qualità del sangue, la
quale lo fa fermentare durante il lavoro, in modo tale che fornisca vigore in abbondanza alle
molle che stimolano le funzioni dell’immaginazione
62
.
DU BOS, 1719.
Anche la fruizione, secondo Du Bos, è fortemente influenzata dalle condizioni ambientali, che
predispongono il pubblico a reagire in un certo modo a determinate opere, a emozionarsi e
provare compassione di fronte a certi quadri e ad altri no
63
. Quindi la concezione dubosiana
del gusto è relativistica, poichØ le risposte estetiche cambiano col mutare dei tempi e dei
luoghi, e dipendono dalla costituzione fisiologica del cervello di ognuno. Tuttavia tale
relativismo è temperato dallo status speciale riservato al sentimento: costante antropologica
indipendente dal clima e dalla storia, che accomuna tutti gli esseri umani nell’intramontabile
approvazione per i grandi classici che resistono alla prova del tempo e delle variazioni
climatiche
64
.
BenchØ la fortuna di Du Bos sia stata scarsa fino all’inizio del Novecento, quando la
sua opera fu rivalutata con particolare favore, l’influenza delle sue teorie sull’estetica del
Settecento francese fu tanto fertile e pervasiva quanto poco rintracciabile e documentabile,
almeno apparentemente
65
. Ad esempio Voltaire e Batteux sono debitori di Du Bos per il ruolo
decisivo che assegnano al sentimento nella formulazione di giudizi di gusto ‘universali’, ma
nel pensiero dei due illuministi il sentimento non è radicato nella corporeità come nelle
Riflessioni
66
. Anche il tema della noia ricorre frequentemente negli scritti dei philosophes
67
,
tuttavia questi autori non si collocano tra i ‘sognatori’ che concernono questa dissertazione.
Infatti, una delle tesi principali dell’estetica classicista sostiene il parallelismo delle
arti e delle scienze, giustificato dalla derivazione di entrambe «dalla facoltà semplicemente
unitaria e sovrana della ragione»
68
. Parallelismo che esclude la capacità esplicativa delle
scienze rispetto alle arti e impedisce l’incontro tra le due discipline. Inoltre, la ragione che
illumina il Settecento francese è quella cartesiana, pura e astratta, che guida la mathesis
universalis verso l’organizzazione razionale e sistematica del sapere in base a un principio
62
J.B. DU BOS, Riflessioni critiche, cit. p. 199.
63
Cfr. M. MAZZOCUT-MIS, Du Bos e la teoria climatica, cit. p. 109.
64
Cfr. Ibidem.
65
Cfr. F. BOLLINO, Du Bos e l’estetica francese del Settecento, in L. Russo (a cura di), Jean-Baptiste Du Bos
(pp. 127-138), cit. pp. 127-128.
66
Cfr. Ibidem, pp. 128-133.
67
Cfr. Ibidem.
68
E. CASSIRER, La filosofia dell’Illuminismo, a cura di R. Pettoello, Sansoni, Milano, 2004, p. 264.
18
unitario; anche le regole dell’arte e i principi del gusto, quindi, devono essere ricondotti a
questi criteri
69
. Nelle Riflessioni dubosiane, al contrario, il gusto non è subordinato ai processi
logici dell’argomentazione e non si fonda su ragionamenti astratti, ma è equiparato, per la sua
natura pre-razionale, agli atti percettivi immediati
70
e si fonda, come questi ultimi, sulle leggi
fisiologiche dell’organismo. Chi includere, dunque, nel novero dei ‘sognatori’? Pare eccessiva
la generalizzazione della Cappelletto, che vi fa rientrare tutti i sostenitori degli Antichi, in
nome del loro interesse per le passioni, contrapposto nella querelle alla tendenza critica dei
Moderni
71
.
Si suggerisce invece di considerare Diderot e il suo progetto di ridefinire il posto
dell’uomo nel regno della natura, tramite la sintesi delle conoscenze fisiologiche e
anatomiche
72
. Per di piø, negli Elementi di fisiologia, nel primo capitolo dei ‘Fenomeni del
cervello’, Diderot sostiene che la psicologia è deducibile dalla fisiologia del cervello,
convinzione che i cultori della Neuroestetica intendono portare alle estreme conseguenze,
come si avrà modo di sottolineare. Il philosophe, infatti, aderisce criticamente alla teoria
dell’Uomo macchina formulata da de La Mettrie, che propone anche La storia naturale
dell’anima. Diderot aveva già compreso l’importanza dell’organizzazione degli organismi,
che determina le funzioni di ogni organo, e sosteneva che l’organizzazione del cervello è
decisiva e si articola su diversi livelli di complessità
73
.
Inoltre l’illuminista contestava Marat, asserendo che l'azione dell'anima sul corpo altro
non è che l'azione di una parte del corpo su di un'altra
74
, affermazione che i neuroscienziati di
oggi probabilmente non esiterebbero a sottoscrivere. Di certo, come si osserverà in seguito,
essi sono d’accordo con Diderot sulla necessità di collegare le ‘facoltà dell’anima’ alle
‘qualità corporali’, nell’intento di ridurre l’anima al cervello.
Per il resto, sembra piø opportuno cercare oltremanica, dove Hume ha teorizzato una
«concordanza relativa»
75
tra i giudizi estetici, fondata sulla salute del corpo. Dalla sua
prospettiva radicalmente empirista, Hume nega che la bellezza sia una qualità oggettiva,
intrinseca alle cose, perchè esiste esclusivamente nel sentimento di piacere del fruitore
76
. Ma,
essendo il sentimento soggettivo, ogni mente percepisce una diversa bellezza, anzi può
accadere che ciò che una mente considera bello, l’altra valuti brutto. Quindi i giudizi estetici
69
Cfr. Ibidem, p. 263.
70
Cfr. Ibidem, pp. 286-287.
71
Cfr. C. CAPPELLETTO, Neuroestetica, cit. p. 6.
72
Cfr. J-P. CHANGEUX, Ragione e piacere, p. 111.
73
Cfr. Ibidem.
74
Cfr. Ibidem, p. 112.
75
E. CASSIRER, La filosofia dell’Illuminismo, cit. p. 290.
76
Cfr. F. DESIDERI, C. CANTELLI, Storia dell’estetica occidentale. Da Omero alle neuroscienze, Carrocci, Roma,
2008, p. 224.