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INTRODUZIONE
È noto che il settore della moda costituisce uno dei campi di eccellenza del
nostro paese e contribuisce in maniera rilevante alla crescita del PIL; è, infatti, uno
dei principali settori del manifatturiero con riguardo al numero di imprese e di
addetti e all’entità delle esportazioni. Diversi cambiamenti intervenuti, come la
globalizzazione e l’accresciuta competizione internazionale, l’affermarsi di
aspettative e richieste sempre più esigenti da parte dei consumatori e
problematiche di carattere generale, quali la contraffazione e la congiuntura
economica sfavorevole degli ultimi anni, hanno costretto le imprese del comparto
a compiere uno sforzo nella direzione della ricerca di nuove fonti di vantaggio
competitivo.
A tal fine, risulta cruciale elaborare strategie valide e attuarle
correttamente, obiettivi per il raggiungimento dei quali è necessario dotarsi di
strumenti di controllo efficaci e più avanzati rispetto a quelli che fino a tempi
abbastanza recenti erano prevalentemente impiegati nelle imprese del settore, le
quali, prima che intervenissero gli elementi generatori di complessità ambientale
citati, costituivano in molti casi delle realtà privilegiate che potevano contare su
margini molto alti. In altri termini, i cambiamenti avvenuti hanno fatto sì che nelle
imprese della moda si avvertisse con maggior vigore l’esigenza di affiancare al
controllo operativo e a quello direzionale, un ulteriore tipo di controllo che, nella
fase di pianificazione, costituisca una guida per la formulazione della strategia, nel
momento dell’attuazione di quest’ultima, sia in grado di facilitarne la diffusione e
la condivisione e permetta poi di valutarla in termini di successo competitivo
raggiunto: in sintesi, il controllo strategico.
Con il presente lavoro, si è quindi cercato di analizzare i principali
strumenti del controllo di gestione con riferimento al loro impiego nelle aziende
del settore della moda, tenendo presenti le loro specificità (il fatto di produrre e
commercializzare un prodotto tipicamente caratterizzato da una valenza simbolica)
e caratteristiche operative, tra tutte la stagionalità.
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Per questo, si sono descritte, nel primo capitolo, la filiera della moda e le
peculiarità delle aziende che ad essa appartengono, concentrando l’attenzione, in
particolare, sulla stagionalità e sulla logica delle collezioni; si è tentato, inoltre, di
analizzare il ruolo di due fondamentali leve strategiche: la marca e i canali
distributivi.
Nel secondo capitolo, dopo aver esplicitato le finalità del controllo
strategico, si sono esaminate le caratteristiche che i sistemi di controllo devono
avere per essere efficacemente implementate nelle imprese appartenenti al settore
oggetto di indagine. Successivamente, si sono approfondite le principali
problematiche legate alla contabilità analitica, con riferimento alle tipologie di
costo più facilmente riscontrabili nelle aziende della moda e ai metodi di
determinazione di tali costi. Si è, infine, illustrato uno schema di conto economico
di collezione che permette l’evidenziazione di risultati intermedi significativi per
osservare l’andamento della gestione ed individuare le responsabilità delle diverse
funzioni aziendali, nell’ambito del controllo direzionale.
Il terzo capitolo è stato dedicato al controllo budgetario e, in particolare, ai
diversi tipi di budget e ai piani preliminari impiegati per la redazione dei primi.
Nell’ultimo paragrafo si sono poi analizzati il sistema dei report e il ruolo della
variance analysis nel tentativo di risalire alle cause delle differenze eventualmente
riscontrate tra i valori dei budget e quanto rilevato a consuntivo.
Infine, nell’ultimo capitolo sono stati trattati i KPI, indicatori di
performance necessari per una valutazione non esclusivamente incentrata sui soli
risultati economico-finanziari. Tale analisi è stata accompagnata dall’esame di un
caso concreto (relativo al Gruppo Phard), nel corso del quale si è cercato di
mettere in luce le differenze tra controllo operativo, direzionale e strategico e, in
particolare, di spiegare la scelta dei diversi KPI impiegati nell’abito del controllo
di gestione del Gruppo. L’analisi della valutazione della performance nelle aziende
del settore moda è stata poi condotta con riferimento al modello della Balanced
Scorecad, senza dubbio il più studiato a livello dottrinale, considerando le quattro
prospettive individuate dallo schema di BSC e indicando per ciascuna di esse gli
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indicatori che potrebbero essere impiegati per monitorare i principali ambiti di
interesse nelle imprese del fashion.
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CAPITOLO 1
Il sistema moda
SOMMARIO: 1.1 Il sistema moda in un’ottica di filiera. – 1.2 Le caratteristiche operative delle imprese del
settore. – 1.3 La centralità del ruolo della marca. – 1.4 La strategia distributiva. – 1.4.1 Il canale indiretto. –
1.4.2 Il canale diretto. – 1.4.3 Il canale Internet.
1.1 Il sistema moda in un’ottica di filiera
Il sistema moda può essere considerato, per la sua complessità, un cluster
di settori tra loro strettamente interconnessi. L’insieme delle relazioni tra gli
operatori economici ha raggiunto un’importanza e un’intensità tali da indurre a
considerare, quale unità fondamentale di analisi, non più l’impresa singola, ma
l’impresa estesa, realtà in cui diverse aziende cooperano in base a piani e processi
comuni. Tale sistema di interrelazioni è scomponibile, secondo una logica di
filiera, in fasi a monte del ciclo produttivo, che producono semilavorati per gli
stadi che seguono, e fasi a valle, che producono e distribuiscono i beni di consumo
finale. Ogni filiera si compone, quindi, di più fasi, che costituiscono veri e propri
settori1.
La macrofiliera del tessile-abbigliamento e quella della pelle-calzature-
accessori sono comunemente considerate le principali. La prima, su cui ci si
concentrerà ai fini del presente lavoro, è articolata in quattro segmenti (fibre,
tessile, abbigliamento e distribuzione) ed è supportata dalla macroarea della
meccanica strumentale e da quella del terziario avanzato, costituito da editoria
specializzata, agenzie di pubblicità e comunicazione, studi di design, scuole
tecniche, ecc. È opportuno precisare che le espressioni “filiera della moda” e
“sistema moda”, spesso usate indistintamente, hanno, in realtà, due diversi
significati, in quanto con la seconda si fa riferimento solo ad alcune fasi della
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S. Saviolo, S. Testa, “Le imprese del sistema moda. Il management al servizio della creatività”,
Etas, 2005.
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filiera più legate ad aspetti stilistici, rimanendo, quindi, escluse le fasi di
produzione delle materie prime, come fibre e filati2.
Lo schema tradizionalmente utilizzato dalle associazioni di categoria
relative ai comparti presi in esame3 prevede la sequenza:
settore delle fibre;
settore tessile;
settore dell’abbigliamento.
Le imprese che fanno parte del primo settore si occupano delle produzione
di fibre tessili, strutture sottili suscettibili di essere trasformate in filati, e quindi in
2
S. Terzani, “Controllo di gestione nelle imprese di alta moda”, Franco Angeli, 2007.
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Il settore tessile-abbigliamento in Italia era rappresentato da Federtessile, cui facevano capo sette
associazioni rappresentative delle imprese appartenenti ai diversi comparti merceologici. Nel 2000
è stato realizzato un accorpamento delle suddette associazioni, con conseguente cessazione
dell’attività di Federtessile. Da tale processo di accorpamento sono nate Sistema Moda Italia e
Associazione Tessile Italiana, la cui aggregazione, nel 2005, ha dato origine a Federazione Imprese
Tessili e Moda Italiane. Infine, quest’ultima, nel 2007, prende la denominazione di Sistema Moda
Italia Federazione Tessile e Moda.
Fonte: S. Saviolo, S. Testa, 2005, op. cit
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tessuti, e che si suddividono, a seconda della loro origine, in naturali, artificiali e
sintetiche. Le prime provengono dal mondo animale (lana e seta) e da quello
vegetale (cotone, lino, canapa, ecc.); quelle artificiali (rayon-viscosa, acetato di
cellulosa, per ricordare le più note) derivano da materie prime naturali che
vengono sottoposte a trasformazioni chimiche per ottenere le caratteristiche
desiderate; infine, quelle sintetiche (tra cui, la fibra acrilica e la poliestere)
traggono origine da monomeri organici opportunamente polimerizzati4. Gli ultimi
due gruppi considerati fanno parte delle fibre chimiche o tecnofibre che, essendo
create in laboratorio per soddisfare le più sofisticate e specifiche esigenze,
costituiscono indubbiamente la categoria più vasta e quella che presenta il
potenziale innovativo maggiore. A causa degli elevati investimenti in ricerca e
macchinari, che, quindi, si rendono necessari per creare nuovi materiali, il settore
delle fibre chimiche si caratterizza per la sua natura capital-intensive. È da
sottolineare, inoltre, come, grazie alle sempre migliori caratteristiche prestazionali
possedute dai nuovi materiali introdotti, l’importanza delle fibre man-made sia
andata crescendo negli ultimi vent’anni, che hanno visto un considerevole aumento
dei loro consumi a livello mondiale, a fronte della sostanziale stabilità mostrata
dalla domanda di fibre naturali5.
Il secondo settore che si incontra, considerando la filiera della moda, è
quello tessile, che include le numerose attività grazie alle quali le fibre vengono
trasformate in filati e quindi in tessuti. Tale settore è segmentabile sulla base di
due criteri:
il tipo di fibra utilizzata;
la fase di lavorazione.
Secondo il primo criterio tassonomico indicato, si distinguono i cicli
cotoniero, laniero, serico, dei non tessuti e dei tessuti misti. All’interno di essi, è
possibile individuare alcune fasi comuni: la filatura delle fibre, la tessitura e la
nobilitazione.
4
B. Leoci, “Cicli produttivi e merci”, Adriatica editrice salentina, 1996.
5
http://www.osservatoriokyoto.it/userfiles/newsletter/NewsKyoto_0902_007.pdf.
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La prima fase consiste nella complessa sequenza di operazioni che
permette la trasformazione delle diverse materie prime in filato. Date le
significative differenze tecnologiche esistenti tra i diversi cicli, le imprese del
settore sono generalmente specializzate per merceologia. Anche la filatura è una
produzione capital-intensive, che prevede l’impiego di impianti tecnologicamente
avanzati, in grado di consentire la minimizzazione dei costi, la flessibilità e la
qualità del filato.
La tessitura è la fase nella quale vengono lavorati i filati per la produzione
di tessuti. Il complesso di operazioni che la costituiscono varia a seconda del tipo
di prodotto da ottenere; in particolare, si distinguono: i tessuti ortogonali, formati
dall’intreccio dell’ordito con la trama, i tessuti a maglia, la cui lavorazione può
essere in trama o in catena, e i cosiddetti tessuti non tessuti, che, a differenza dei
primi due, vengono ottenuti senza l’impiego dei telai, evitando, cioè, i processi di
filatura e tessitura. Le imprese del comparto in esame si distinguono per
l’accentuata vocazione all’innovazione tecnologica e le elevate conoscenze
tecniche. Negli ultimi vent’anni, a fronte della tendenza all’integrazione verticale
manifestata in passato, le imprese tessili si sono orientate perlopiù verso la
specializzazione, ricorrendo spesso all’esternalizzazione di attività a basso valore
aggiunto.
La fase della nobilitazione, infine, include una serie di trattamenti cromatici
(tintura e stampa) e di finissaggio destinati a modificare l’aspetto dei filati, dei
tessuti o ancora, in alcuni casi, dei capi finiti. Si tratta, quindi, di un comparto
trasversale rispetto all’intera filiera produttiva. La criticità di queste fasi appare di
tutta evidenza quando si consideri che le proprietà che i trattamenti di
nobilitazione conferiscono ai materiali devono coincidere con quelle richieste dal
mercato, il quale si presenta fortemente mutevole, in relazione al sempre più
rapido susseguirsi dei cicli delle mode. Molto importante per il soddisfacimento di
tali esigenze di marketing è stata l’introduzione di un’innovazione di processo che
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ha consentito di poter eseguire il finissaggio e la tintura alla fine della
lavorazione6.
Il terzo segmento della filiera è costituito dall’abbigliamento, suddivisibile
in due settori: confezione e maglieria. Il primo comprende le attività di taglio e
cucitura dei tessuti, siano essi ortogonali o in maglia; l’ultimo realizza, invece,
capi in maglia a partire dal filato. La distinzione appena operata non impedisce di
individuare alcune fasi comuni ad entrambi i settori: taglio, confezione, stiro e
operazioni di controllo e imbustaggio del capo finito. Tra le varie sottofasi che
fanno parte della confezione, troviamo la cucitura, che mostra ancora una
connotazione labour-intensive abbastanza accentuata, il che si ripercuote
negativamente sulla competitività delle imprese occidentali, dato l’elevato costo
della manodopera. Le altre fasi sono, invece, caratterizzate da un maggior grado di
automazione.
L’ultimo anello della filiera è costituito dalla distribuzione, alla quale verrà
dedicato il terzo paragrafo.
1.2. Le caratteristiche operative delle imprese del settore
Dopo aver descritto a grandi linee i passaggi che consentono di ottenere il
prodotto finito, sembra opportuno cercare di individuare le caratteristiche delle
imprese che operano all’interno della filiera considerata, concentrando in
particolare l’attenzione su quelle appartenenti al settore dell’abbigliamento. A tal
fine, può essere utile premettere la tradizionale suddivisione del mercato in cinque
segmenti, individuati in base alle fasce di prezzo. Tale criterio7 permette di
distinguere:
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A. Maizza, “Marca e comunicazione nella gestione delle imprese dell’abbigliamento”, Cacucci,
2000.
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In realtà, il prezzo non è l’unica discriminante tra i segmenti: essi si differenziano inoltre per i
fattori critici di successo e le logiche competitive adottate.
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alta moda o couture: si caratterizza per il grande prestigio e
l’elevatissimo contenuto moda degli abiti confezionati su misura,
appannaggio di una clientela selezionatissima;
prêt-à-porter o ready to wear: tale segmento, nato negli anni
settanta, rappresenta la sintesi tra industria dell’abbigliamento
programmato e alta moda. I prodotti, che si giovano dell’immagine
della griffe, presentano un notevole contenuto di creatività, alta
qualità e, comprensibilmente, prezzi elevati;
diffusion: si tratta delle seconde e terze linee degli stilisti e di
qualche marca industriale di prestigio. Ha avuto origine dalla
volontà di sfruttare l’immagine delle griffe su fasce di mercato più
estese;
bridge: questo segmento, come lo stesso nome lascia intuire, fa da
ponte tra la fascia diffusion e quella mass. Vi sono posizionati
marchi industriali di fascia alta e le linee più basse dei designer;
mass: è possibile suddividerlo nelle fasce better (prezzo pari o
leggermente superiore al prezzo medio di mercato) e moderate
(prezzo inferiore al prezzo medio di mercato); tuttavia, la
distinzione risulta spesso sfumata. In ogni caso, è il segmento
caratterizzato dai prodotti più basici e meno differenziati e dai
prezzi più contenuti.
Per le imprese della moda, e in particolare per quelle che si collocano nei
segmenti di mercato più alti, è fondamentale assicurare alla propria clientela
un’offerta che presenti un alto grado di variabilità; l’innovazione di prodotto è,
quindi, una condizione da perseguire necessariamente e che deve spingere i
designer verso il tentativo di intercettare e interpretare i cambiamenti in atto nelle
aspirazioni e nei desideri dei clienti. Per difendere il vantaggio competitivo
acquisito, le imprese che riescono ad essere innovatrici tendono ad accorciare il
ciclo di vita dei prodotti, facendo in modo che essi perdano in fretta la loro
capacità distintiva.