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innovazioni più vicine alla quotidianità, ma soprattutto più vicine ad
un’effettiva realizzazione pratica, si stanno sviluppando nel ramo agro-
alimentare e in quello medico.
La ricerca scientifica sta facendo passi da gigante, e ci sta portando
verso un’agricoltura pianificata in laboratorio e perfetta nei risultati; an-
che se pare un po’ affrettato giungere a questo genere di conclusioni sen-
za aver analizzato anteriormente i rischi che una gestione inoculata delle
conoscenze genetiche può provocare sulla produzione e conseguentemen-
te sul consumo e soprattutto sui consumatori, sia dal punto di vista saluti-
stico che economico. Ma il quesito che molti ambientalisti e molti biologi
si stanno ponendo è proprio questo: come si possono analizzare anterior-
mente i rischi provocati da un’innovazione così radicale? Quando effetti-
vamente si potrà parlare di OGM sicuri? E, principalmente, chi, nel frat-
tempo, avrà cura di evitarne un utilizzo spregiudicato?
Nel contesto odierno i dibattiti più diffusi, sulle conseguenze eco-
nomiche connesse alla produzione e alla commercializzazione degli
OGM, riguardano i problemi sull’etichettatura, e quindi di trasparenza
nei confronti dei consumatori, sulle modificazioni del mercato agro-
alimentare, sulla reale produttività e convenienza economica, ed in parti-
colare sulla loro efficacia nel risolvere il problema della fame nel mondo,
tanto pubblicizzato dalle società del settore.
Diverse cause sono già in corso contro multinazionali che fanno uso
di biotecnologie, ma al contempo diversi sono i Paesi che legalmente ac-
consentono ad un’agricoltura geneticamente modificata e sempre più mo-
dificabile. Esempio lampante è quello del continente americano, che, so-
spinto dalle conoscenze all’avanguardia degli Stati Uniti, si è già avviato
verso una produzione agricola geneticamente biologica.
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Nel presente studio, cercherò di fornire un quadro che possa contem-
poraneamente evidenziare le nuove opportunità che la ricerca ci permette-
rà di sfruttare nel ramo agro-alimentare e quelle che già possono essere
concretamente sfruttate, la regolamentazione che i vari ordinamenti forni-
scono in merito, e gli aspetti economici più direttamente connessi
all’utilizzo di OGM.
La bibliografia concernente questo argomento si sta velocemente ag-
giornando, anche se molte informazioni le ho reperite tramite Internet,
talvolta in siti fortemente contrari all’introduzione degli OGM nella no-
stra vita, talvolta invece in siti che argomentano convincentemente la
propensione all’apertura a questo tipo di innovazione. Per questo risulta
complicato assumere una posizione irremovibile in merito, in quanto è sì
affascinante sapere che l’uomo può conoscere, decodificare e riprodurre
in maniera diversificata e “migliorata” le creazioni della natura, ma è for-
se ancora più affascinante lasciare che sia la natura ad occuparsi della di-
versificazione delle specie vegetali e animali che ci può offrire. Oltretut-
to, a parte questa visione idealistica del problema, non vorrei trascurare le
ripercussioni economiche che l’apertura mondiale al mercato degli OGM
potrebbe comportare per i Paesi in via di sviluppo, costretti a legarsi an-
cora più univocamente in una dipendenza neocolonialista ai Paesi ricchi.
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INTRODUZIONE
Origine, storia ed evoluzione delle biotecno-
logie
Definizione ed applicazioni delle biotecnologie
Le biotecnologie, intese nel significato più ampio del termine, pos-
sono essere definite come “ogni tecnologia che utilizza organismi viventi
(quali batteri, lieviti, cellule vegetali, cellule animali di organismi sem-
plici o complessi) o loro componenti sub-cellulari (organelli ed enzimi) al
fine di ottenere qualità commerciali di prodotti utili, oppure per miglio-
rare le caratteristiche di piante e animali o, ancora, per sviluppare mi-
crorganismi utili per specifici usi”. Si tratta quindi di una branca alta-
mente multidisciplinare che coinvolge le bioscienze in tutti i loro aspetti e
che ha consentito e consente di sviluppare e implementare processi per la
produzione di ogni tipo di prodotto: dai farmaci ai prodotti chimici, ai
prodotti alimentari e alle sostanze più diverse.
Le biotecnologie in campo agro-alimentare hanno origini antiche.
Per molti secoli restano in una fase definita da alcuni studiosi di storia
della scienza “Età inconsapevole”. Per migliaia di anni allevatori e agri-
coltori utilizzano tecniche empiriche, basate su tentativi poco scientifici,
per migliorare la resa dei campi e la qualità degli animali allevati.
Grazie soprattutto agli esperimenti di Mendel sull’ibridazione delle
piante nell’800 si apre una seconda fase di maggiore consapevolezza che
arriva fino alla metà del ‘900: quella delle biotecnologie cosiddette “tra-
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dizionali”, per includere in una definizione così generale tecnologie pro-
duttive utilizzate da millenni, quali l’agricoltura, la zootecnia, lo sfrutta-
mento delle attività fermentative dei microrganismi (ad esempio nella
produzione di bevande alcoliche, pane e formaggi).
Nel 1953, con la scoperta della struttura del DNA e la nascita
dell’ingegneria genetica si entra nella terza fase delle applicazioni biotec-
nologiche. Con la possibilità di manipolare il DNA di un organismo il lo-
ro campo d’azione si amplia e si inizia a parlare di biotecnologie innova-
tive o avanzate.
Nascono i diversi settori di applicazione di questi nuovi strumenti:
• Farmacologia e Medicina
L’ingegneria genetica (tecniche del DNA ricombinante), applica-
ta alla produzione, da parte di microrganismi modificati, di far-
maci, vaccini, reagenti diagnostici, oppure applicata alla terapia
genica.
• Agricoltura, Zootecnia e Veterinaria
La produzione di vegetali e animali transgenici per ottenere nuo-
ve varietà maggiormente produttive e più resistenti alle malattie e
agli stress ambientali.
• Bioindustria (chimica, farmaceutica e alimentare)
L’impiego di microrganismi naturali o modificati, l’ immobiliz-
zazione e compartimentalizzazione di biomolecole (es. gli enzi-
mi) per una loro più efficiente utilizzazione nella produzione in-
dustriale di antibiotici, vitamine, aminoacidi, enzimi, zuccheri,
prodotti alimentari, bevande, additivi, alcoli, acidi, solventi, de-
tergenti, oli, materie plastiche ecc.
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La chimica delle proteine (es. ormoni peptidici ed enzimi) per po-
terne realizzare la purificazione, la sintesi chimica, la modifica-
zione strutturale e quindi funzionale.
La chimica degli oligonucleotidi (DNA e RNA) con la finalità di
sintetizzare geni artificiali che codificano per proteine di interesse
medico o produttivo.
• Ambiente
L’impiego di microrganismi naturali o modificati geneticamente
nella salvaguardia dell’ambiente con applicazioni diverse:
- smaltimento dei rifiuti;
- depurazione delle acque e dei reflui;
- biorisanamento degli inquinanti industriali;
- biorisanamento di habitat contaminati da petrolio o altri inqui-
nanti.
Le biotecnologie tradizionali
Abbiamo detto che è classificabile come biotecnologia ogni inter-
vento dell’uomo teso a sfruttare peculiarità e caratteristiche intrinseche di
un organismo vivente (batteri, lieviti, muffe, alghe, cellule vegetali o a-
nimali) o delle sue componenti sub-cellulari (protozoi, enzimi…) per mo-
dificare la natura, ottenere prodotti prima inesistenti (nuovi materiali, a-
limenti o farmaci), migliorare le caratteristiche di piante o animali oppure
per sviluppare microrganismi destinati a un impiego scientifico (come la
tutela dell’ambiente).
In quest’ottica i primi (inconsapevoli) impieghi delle biotecnologie
riguardano il settore agro-alimentare. Da migliaia di anni, infatti, l’uomo
utilizza lieviti per ottenere pane, burro, formaggi, vino, birra. I nostri an-
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tenati non conoscevano però i meccanismi alla base della trasformazione
di prodotti naturali in cibi o bevande (lievitazione, fermentazione, ecc.) e
cioè che vi fossero coinvolti specifici microrganismi viventi: è necessario
infatti attendere qualche millennio prima che Anton van Leeuwenhoek
(1632-1723), grazie alla costruzione del primo microscopio, riesca a os-
servare per primo il mondo microbico e a ipotizzare che i microrganismi
siano alla base di molti processi che avvengono nella produzione di cibi e
bevande fermentate.
Successivamente, Louis Pasteur, considerato il padre della biotecno-
logia, con i suoi studi sulla preparazione della birra, sulla fermentazione
lattica e butirrica, pone le premesse per i processi fermentativi sfruttati
dall’attuale bioindustria, che fa uso di colture pure di microrganismi per
la produzione di alimenti, bevande e altri prodotti.
Per quanto riguarda invece l’agricoltura, da quando le popolazioni
nomadi si sono sedentarizzate, si è manifestata l’esigenza di migliorare la
resa dei campi o la qualità degli animali allevati. Ovviamente venivano
utilizzate tecniche empiriche che, pur raffinandosi nei secoli, si basavano
sempre su tentativi poco scientifici. Gli allevatori non sapevano cosa a-
vrebbero ottenuto incrociando forzatamente due razze, e i contadini con i
loro innesti provavano a mescolare piante e specie vegetali spesso radi-
calmente differenti tra loro. I ricercatori dell’Istituto Max Planck di Colo-
nia, in Germania, hanno trovato nella Mezzaluna fertile (l’area medio-
rientale, oggi per lo più turca, dove 10-11 mila anni fa è nata l’ agricoltu-
ra) del frumento selvatico fossile. I semi di questo frumento, opportuna-
mente trattati dai primi agricoltori, hanno dato origine alle diverse varietà
coltivate durante l’Età del Bronzo. Si tratta di frumento diploide, cioè con
due serie di cromosomi, evidente risultato di una manipolazione ante lit-
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teram. Da almeno 10 mila anni dunque l’uomo modifica piante ed anima-
li per adeguarli alle sue esigenze.
Le biotecnologie innovative
Le fasi di sviluppo che consentono il passaggio dalle biotecnologie
tradizionali a quelle innovative sono legate sia alla selezione e caratteriz-
zazione dei ceppi di microrganismi utilizzati, sia alla messa a punto di
tecnologie per la loro coltivazione e l’ottimizzazione dei processi produt-
tivi. La discriminante che consente però di parlare a pieno titolo di bio-
tecnologie innovative è rappresentata dalla scoperta della struttura del
DNA, attuata da Watson e Crick nel 1953, e dall’inizio dell’utilizzo della
tecnologia del DNA ricombinante (ingegneria genetica). Possiamo defi-
nire l’ingegneria genetica come la “produzione di nuove combinazioni di
materiale ereditabile, ottenute mediante inserzione di molecole di acido
nucleico (DNA), di qualunque provenienza, in un organismo ospite, nel
quale tali molecole non sono presenti naturalmente, ma, una volta acqui-
site, possono propagarsi indefinitamente”. Un singolo gene, che codifica
per una specifica proteina e funzione, può venire isolato da una cellula o
essere prodotto per sintesi in laboratorio; tale gene può quindi venire tra-
sferito in una diversa cellula o addirittura a un intero organismo in modo
da introdurre nuove caratteristiche nel ricevente. Con questa tecnologia,
oltre a modificare i microrganismi, è stato possibile modificare le caratte-
ristiche genetiche di piante o animali in modo sia di incrementarne la
produzione, sia di renderli resistenti alle malattie e agli stress ambientali.
L’ingegneria genetica viene applicata principalmente in due settori:
quello agro-alimentare e quello medico. Nel primo si modificano le in-
formazioni genetiche di piante e (più raramente) di animali, per introdurre
in essi caratteristiche diverse da quelle naturali utili dal punto di vista a-
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gronomico. In medicina l’ingegneria genetica viene utilizzata per la pro-
duzione di farmaci, con la manipolazione di microrganismi (ma talvolta
anche di piante o animali), oppure per terapie quali la cura di malattie a
base genetica, con l’intervento diretto sui geni del corpo umano oppure,
in un futuro più o meno lontano, per la sostituzione di organi malati con
quelli ottenuti sia da animali geneticamente “umanizzati”, che diretta-
mente da cloni di embrioni umani.
Per capire la portata di tali innovazioni basta pensare che, attraverso
l’ingegneria genetica, in un organismo può essere impiantato un gene
portatore di un determinato carattere anche quando questo gene deve es-
sere prelevato da un organismo completamente diverso.
Bisogna ricordare, però, che l’ingegneria genetica non è ancora in
grado di operare con precisione: il DNA iniettato si integra nel genoma
del nuovo organismo in modo ancora casuale, senza consentire di preve-
dere le interazioni con altri geni e con la fisiologia dell’organismo. Un
caso emblematico è quello della patata divenuta incomprensibilmente tos-
sica in seguito all’inserimento di un gene del bucaneve, come ha dimo-
strato il ricercatore A. Pustzai in un suo lavoro.
L’intervento dell’uomo sulla selezione genetica non è un fatto nuo-
vo: per molte migliaia di anni gli esseri umani hanno cercato, infatti, di
controllare il loro ambiente influenzando le caratteristiche genetiche delle
altre specie. L’addomesticamento di piante e animali selvatici è un esem-
pio della manipolazione genetica realizzata allo scopo di produrre cibo
migliore e in maggiore quantità.
In epoca storica furono le piante dei propri campi e gli armenti delle
proprie greggi a costituire il materiale su cui l’uomo ha potuto esercitare
un controllo e una selezione più o meno diretta, sebbene i metodi a dispo-
sizione per realizzare tale obiettivo siano rimasti assolutamente empirici e
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confinati all’osservazione macroscopica delle caratteristiche fisiche (feno-
tipo), fino ad un’epoca che si può definire moderna. Infatti la struttura e
le funzioni della cellula sono rimaste praticamente un mistero fino
all’inizio del XIX secolo, e parlare di “genetica” al tempo di Mendel sa-
rebbe stato impossibile, malgrado le sue scoperte geniali sulla trasmissio-
ne dei caratteri ereditari.
Solo all’inizio del nostro secolo, la riscoperta dei lavori di Mendel e
la disponibilità di mezzi tecnici più potenti hanno permesso di unire le in-
formazioni disponibili circa la biologia e l’ereditarietà e di colmare le la-
cune e i vuoti esistenti, avviando un processo a cascata che ha permesso
alla biologia e alla genetica di raggiungere gli attuali livelli di conoscen-
za.
Per quanto riguarda invece le possibilità di modificare il genoma sia
di microrganismi procarioti (virus e batteri), sia di cellule eucariote è op-
portuno ricordare alcune tappe storiche degne di nota. Nel 1885 Pasteur
allestisce un vaccino attenuato contro la rabbia, selezionando, mediante
passaggi seriali nel cervello di coniglio, mutanti del virus rabido che han-
no perso la virulenza nei confronti dell’uomo e di altri animali. Il vaccino
così ottenuto, denominato “lapinizzato”, perché prodotto nel coniglio,
rappresenta in effetti un prodotto allestito con una procedura antesignana
della biotecnologia.
Tra gli esperimenti che hanno effettivamente posto le basi dell’ in-
gegneria genetica si possono ricordare i due seguenti.
Nel 1928 Griffith dimostra che alcune specie batteriche (es. gli
pneumococchi) possono acquisire del DNA esogeno attraverso un proces-
so noto come “trasformazione batterica”, che induce nel ceppo ricevente
cambiamenti ereditari fenotipicamente espressi quali, ad esempio, la
comparsa della capsula batterica in ceppi che naturalmente ne sono privi.
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Si è poi osservato che la maggior parte dei ceppi trasformabili non sono
in grado di discriminare tra l’acquisizione di nuovo DNA proveniente da
una specie batterica simile e l’acquisizione di DNA da organismi comple-
tamente differenti (es. prelevato da cellule animali o vegetali).
Nel 1973 Doy e colleghi introducono il termine “transgenesi” per
descrivere il trasferimento artificiale di informazioni genetiche (DNA) da
cellule batteriche a cellule eucariote, mediante fagi trasducenti. Con que-
sta tecnica i ricercatori sono riusciti a trasferire in cellule umane, carenti
dell’enzima beta-galattosidasi, il gene batterico capace di sintetizzarlo: in
tal modo è stato possibile guarire, in vitro, il difetto genetico di cellule di
uomo inserendo il gene mancante, ove il donatore del gene era addirittura
un batterio. E’, però, opportuno premettere che, a parte questi particolari
esperimenti riusciti in vitro, è estremamente difficile fare accettare e fare
funzionare del DNA esogeno nelle cellule eucariote; per questo motivo la
maggior parte degli esperimenti di ingegneria genetica è stata e viene
condotta su organismi procarioti, quali i batteri, che per le loro caratteri-
stiche biologiche possono facilmente acquisire geni esogeni.
L’affinamento delle tecnologie e l’ampliamento delle conoscenze a
livello molecolare hanno poi consentito il successo delle tecniche di inge-
gneria genetica applicate ai vegetali e agli animali con la produzione di
nuove varietà e ceppi (piante e animali transgenici) con caratteristiche in-
novative, cioè più produttivi e resistenti alle malattie infettive, infestive e
alle avversità climatico-nutrizionali.
Le biotecnologie in campo agro-alimentare
Le moderne biotecnologie in campo agricolo mirano a raffinare ma-
croscopicamente e rendere più sicuri quei processi rudimentali e grosso-
lani a cui i contadini ricorrono da centinaia d’anni. In sintesi le tecnologie
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d’intervento sul patrimonio genetico dei vegetali possono essere di pro-
cesso o di prodotto.
Le biotecnologie di processo hanno tre ambiti di applicazione:
- complementare (modificare il DNA di una pianta per renderla tol-
lerante ad un diserbante);
- di sostituzione (le modifiche mirano a ottenere una resistenza a
insetti parassiti, a virus o a funghi e batteri nemici di quella specie
vegetale);
- agronomico (mira a raggiungere diversi risultati: variare la biolo-
gia riproduttiva del vegetale, controllare la forma della pianta o la
sua velocità di sviluppo, stimolare la produzione di frutti senza se-
mi, incidere sul colore dei fiori o rendere la pianta resistente a
stress ambientali).
I benefici derivanti dall’impiego di queste tecnologie sono:
- maggiore produttività di una coltivazione, risparmio economico
sull’utilizzo di diserbanti ed antiparassitari, prodotti più facilmente
trattabili con macchine automatiche, possibilità di eseguire più se-
mine, e quindi più raccolti nella stessa stagione, possibilità di colti-
vare in zone considerate inadatte (stress ambientale, terre poco fer-
tili, semi-aride, vicinanza di acque salmastre, ecc.).
Le biotecnologie di prodotto hanno due ambiti di applicazione a se-
conda che gli obiettivi interessino:
- la qualità del prodotto (modificazione della maturazione dei
frutti, composizione degli oli vegetali, incremento o diminuzione
della percentuale di amidi o altri polisaccaridi);
- le caratteristiche nutrizionali dell’alimento (salubrità dei frutti,
diminuzione della tossicità alimentare e del potere allergenico,
aumento delle componenti nutritive quali ad esempio le vitamine,
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e altre peculiarità come la qualità panificatoria o la predisposizio-
ne a una frittura più rapida e con minore assorbimento di olio).
Le piante sono rese transgeniche essenzialmente in due modi: con il
metodo dell’Agrobacterium o con il metodo balistico. Nel primo caso,
dopo aver prelevato da un organismo il gene che ci interessa, lo si trasfe-
risce in un plasmide, cioè una porzione autonoma di DNA, di un batterio
del genere Agrobacterium, che funge da vettore del gene esogeno: il pla-
smide, una volta che la pianta è stata attaccata dal batterio, si integra nel
DNA della pianta, trasferendovi il nuovo gene. Nel secondo caso, il gene
esogeno viene utilizzato per rivestire particelle di metallo, di diametro
molto più piccolo delle dimensioni della cellula vegetale, che vengono
letteralmente sparate dentro la cellula (è evidente quindi quanto questo
metodo sia casuale).
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PARTE I
ASPETTI
BIOLOGICI E GENETICI
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CAPITOLO 1
Elementi di Biologia e Genetica
Il DNA
Ogni organismo è portatore di un elaborato set di istruzioni che con-
tiene l’informazione necessaria al suo sviluppo e al suo mantenimento in
vita; questo manuale vivente di istruzioni si trova nel nucleo di ogni cel-
lula, in forma di una molecola chimica di nome DNA. Ma come fa una
molecola chimica a contenere una tale quantità di informazioni? In modo
molto simile a quello in cui è possibile esprimere una quantità pratica-
mente illimitata di informazioni attraverso l’uso di sole 21 lettere del no-
stro alfabeto.
L’alfabeto del DNA è costituito da appena 4 lettere (G, A, T, C), ma
il codice genetico umano è inserito in una sequenza ininterrotta di più di 5
miliardi di G, A, T, C! Tante ne occorrono per definire tutte le informa-
zioni di cui il nostro organismo necessita per vivere.
Il DNA ha una struttura a “doppia elica”, un po’ simile a quella di
una scala a chiocciola. Le unità costitutive di ciascun filamento si chia-
mano nucleotidi. Ciascun nucleotide è composto da uno zucchero a 5 a-
tomi di carbonio, da una “base azotata” e da un “gruppo fosfato” inorga-
nico.
Le basi azotate che rappresentano le 4 lettere dell’alfabeto genetico
sono: Adenina (A), Guanina (G), Citosina (C) e Timina (T). Dato che i
nucleotidi differiscono solo per il tipo di base azotata che li costituisce,
anche i nucleotidi saranno solo di quattro tipi (A, G, C e T).