6
normativa di regolazione dell’istituto riflette proprio quell’ alterno
dibattersi tra tendenze di favore ad una maggiore flessibilità nella
disciplina dei rapporti di lavoro, mediante la previsione di modelli
contrattuali diversi da quello tradizionale, e tendenze più vicine alle
esigenze di stabilità nelle modalità di impiego del lavoro dipendente.
L’altalena di cambiamenti così ravvicinati non può che lasciar
perplessi gli interpreti del diritto. In altri termini, avvocati,
sindacalisti, giudici e consulenti del lavoro appena iniziano ad
assimilare nuove regole, “vedono” le stesse continuamente modificate,
magari in senso contrario, dando vita ad una precarietà di certezze
legislative.
I profili di incertezza nella definizione dei confini della fattispecie
contrattuale oggetto del presente studio, sono tra l’altro stati già
incrementati dal mutamento della tecnica di previsione della causale
di apposizione del termine. L’attuale formulazione utilizzata dal
legislatore ha permesso certo alle imprese di soddisfare più
agevolmente le diverse esigenze di organizzazione flessibile del
lavoro, ma ha reso meno certa, a causa della sua elasticità, la
legittimità dei contratti a termine, il cui vaglio, sostanzialmente, non
resta che affidato alla magistratura, cui risulta, di fatto, attribuita
7
grande discrezionalità, a ragione della genericità dell’individuazione
delle ragioni giustificatrici dell’assunzione a tempo determinato.
Nel dettaglio: il primo capitolo riassume l’evoluzione legislativa
dell’istituto ripercorrendo le tappe più importanti che hanno portato
all’attuale disciplina, tra le quali il recepimento, nel nostro
ordinamento, della direttiva europea sui contratti a termine; il secondo
capitolo affronta gli aspetti principali della normativa, in riferimento
anche alla sostanziale differenza dalla disciplina precedente e con
particolare riguardo ai vari profili sotto i quali si è posta in contrasto
con gli indirizzi espressi dalla legislazione comunitaria; il terzo e
ultimo capitolo esamina il caso particolare di utilizzazione, spesso
“disinvolta”, del contratto a termine da parte di un particolare datore
di lavoro, le Poste Italiane, il cui frequente e, nella maggior parte dei
casi, illegittimo ricorso a tale tipologia di assunzione ha generato un
enorme contenzioso giudiziario, sulla cui regolazione è molto spesso
intervenuto lo stesso legislatore, creando altrettanti profili di dubbia
illegittimità.
Il futuro dei contratti a termine sarà sicuramente ancora travagliato.
Siamo tra l’altro in attesa del sollecitato intervento della Corte
Costituzionale che, chiamata a pronunciarsi, da numerosi tribunali
8
italiani, su alcuni importanti aspetti di presunta (ma, se vogliamo,
palese!) illegittimità costituzionale, si spera metta al più presto fine a
questa controversa disciplina dei contratti a termine.
9
Capitolo primo
L’EVOLUZIONE STORICO-LEGISLATIVA
DEL CONTRATTO A TERMINE
1.1 IL CONTRATTO A TERMINE COME STRUMENTO DI
UTILIZZAZIONE FLESSIBILE DEL LAVORO
Tradizionalmente, il modello legale tipico di rapporto di lavoro è
rappresentato dal contratto di lavoro subordinato enucleabile dall’art.
2094 del codice civile, caratterizzato da un impegno a tempo pieno del
lavoratore e da una potenziale durata illimitata del rapporto.
Questo tipo sociale prevalente ha segnato la storia del diritto del
lavoro che attorno ad esso ha costruito uno "standard" di tutele a
garanzia della stabilità del rapporto, lasciando, per lungo tempo, prive
di regolamentazione le specie atipiche di rapporti lavorativi di fatto
sempre esistite nel mondo del lavoro.
Tuttavia, i continui progressi dell’organizzazione produttiva e
l’accresciuta esigenza di flessibilità nell’impiego di forza lavoro
10
hanno determinato la frammentazione del modello classico di lavoro
subordinato e la proliferazione di modelli alternativi come il contratto
a termine caratterizzato dalla durata predeterminata delle prestazioni.
La crisi occupazionale degli anni ’70 e le trasformazioni di carattere
economico-organizzativo che hanno interessato il mondo delle
imprese, hanno, infatti, dato origine ad una forte spinta verso
l’attenuazione delle rigidità del mercato del lavoro, sulla base di una
diffusa convinzione che una maggiore flessibilità nell’impiego di
forza lavoro sia in grado di favorire un incremento del livello di
occupazione, oltre che di rispondere alle esigenze di pronto
adattamento delle imprese alle mutevoli variazioni qualitative e
quantitative del mercato dei beni e dei servizi.
E nel ventaglio di possibilità offerte dalla normativa sulla flessibilità
del lavoro, il contratto di lavoro a termine è senz’altro la figura
contrattuale cui si fa più ampiamente ricorso tanto nel settore privato,
tanto, sia pur in misura più modesta, nel pubblico impiego.
Nel contratto di lavoro a tempo determinato l’esigenza
dell’utilizzazione flessibile del lavoro viene soddisfatta mediante
l’apposizione di un termine finale alla durata del contratto,
contestualmente alla costituzione del rapporto: tale durata è prefissata
11
nel tempo dalla volontà comune dei contraenti ed il rapporto cessa alla
scadenza del termine senza necessità di alcuna dichiarazione di
recesso unilaterale
1
.
Negli ultimi anni, il contratto a termine ha trovato larghissima
diffusione, come è stato messo in evidenza dalle indicazioni
provenienti dall’Istat e dal Governo
2
. L’Isfol
3
inoltre, nel suo
Rapporto 2007, ha rilevato che “la metà dei nuovi posti di lavoro è a
termine” e che “si sta dunque rapidamente modificando la
composizione dell’occupazione dipendente, dove la componente
permanente perde progressivamente peso al ritmo di un punto
percentuale a biennio”
4
. E l’Istat rileva che la tendenza alla crescita
dei rapporti di lavoro temporaneo riguarda soprattutto i giovani e le
1
La clausola di apposizione del termine deve essere tenuta distinta dalla clausola di durata
minima, la quale è rivolta a garantire al lavoratore la conservazione del posto per un certo periodo
di tempo: il datore di lavoro cioè si obbliga a non esercitare il potere di recesso garantendo al
lavoratore una relativa stabilità.
2
E’ stato rilevato un incremento dei rapporti a termine dal 12, 3 % al 13, 1 % su tutti i lavoratori
dipendenti del 2006 (Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Occupazione e forme di
lavoro precario, 13 novembre 2007, in www.lavoro.gov.it ).
3
Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori.
4
Rapporto Isfol 2007, in www.isfol.it.
12
donne, sottolineando l’esistenza di “aree ad alto rischio di precarietà”
5
.
Non può certo dirsi che il contratto a termine sia una figura
contrattuale di recente introduzione nel nostro ordinamento, avendo
costituito la prima importante modalità di impiego del lavoro flessibile
in azienda ad esser stata regolamentata dal legislatore, data tra l’altro
la sua presenza già nel codice del 1942 (anche se al tempo presentava
caratteristiche molto differenti da quelle attuali), ma l’evoluzione della
disciplina di questo istituto rappresenta uno dei casi più evidenti che
testimoniano come le condizioni socio-economiche di un Paese
abbiano influenzato la politica del diritto.
E la complessa evoluzione della normativa di regolazione dell’istituto
riflette le trasformazioni del diritto del lavoro in Italia ed il suo alterno
dibattersi tra esigenze di flessibilità ed esigenze di stabilità nelle
modalità di impiego del lavoro dipendente.
La normativa sul contratto a termine, infatti, è segnata da una serie di
interventi legislativi che hanno attestato un’inversione di tendenza del
legislatore.
5
Sono le parole pronunciate dal Presidente dell’Istat nel corso dell’audizione presso la
Commissione Lavoro del Senato del 7 Novembre 2006 ( riportate da S. Ciucciovino, Il contratto a
tempo determinato: la prima stagione applicativa del d.lgs n.368/2001, in DLRI, 2007, pag. 456 ).
13
Ad una iniziale preferenza dell’ordinamento per una durata a tempo
indeterminato quale elemento che ha caratterizzato il modello
standard di rapporto di lavoro subordinato, è seguita una fase di
prudente ma intensa diffusione del contratto a termine.
Nella prima fase di applicazione dell’istituto, caratterizzata più che
altro dalla centralità, nel processo produttivo, della figura del
lavoratore subordinato legato all’impresa da un rapporto di lavoro a
tempo pieno e indeterminato, e dunque tendenzialmente stabile,
l’intervento protettivo del legislatore aveva appunto perseguito
l’obiettivo di tutelare l’interesse del lavoratore alla continuità e alla
stabilità dell’occupazione, dettando una disciplina volta a restringere
l’autonomia negoziale delle parti nella formazione e nell’esecuzione
del contratto. Ma questo indirizzo di netto sfavore si é modificato nel
corso degli anni più recenti, proprio in ragione delle crescenti esigenze
di flessibilizzazione nell’uso della forza lavoro espressa dalle imprese,
e ciò è anzitutto avvenuto, negli anni ’70, ’80 e ’90, con il progressivo
ampliamento delle ipotesi con cui è consentito il ricorso a questa
tipologia contrattuale.
6
E’ dagli interventi di riforma di questi anni che
si è infatti registrato un progressivo mutamento della funzione
6
E. Ghera, Diritto del lavoro, Bari, 2006, pag.609.
14
economico sociale riconosciuta al contratto a termine
7
, tale in ogni
caso da enucleare, accanto alla tradizionale area di impiego del lavoro
a tempo determinato come strumento di integrazione straordinaria
dell’organico aziendale in funzione di esigenze di carattere meramente
temporanee, un’area di impiego normale e ricorrente di tale modulo
negoziale, vuoi ad integrazione routinaria dell’organico aziendale
ordinario, vuoi in funzione di specifiche politiche di promozione della
occupazione
8
.
Ma è stato soprattutto nell’ultimo decennio che si è assistito ad una
maggiore contrapposizione, con andamento alterno, delle due diverse
linee di tendenza: da un lato un orientamento che ritiene necessario
(per il sistema produttivo e/o per il mercato del lavoro) introdurre
maggiore flessibilità nella disciplina dei rapporti di lavoro mediante la
previsione di modelli contrattuali diversi da quello tradizionale (ossia
diversi dal contratto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato),
dall’altro, un orientamento che ritiene invece che il modello
tradizionale costituisca una conquista essenziale per il miglioramento
7
R. Cosio, I contratti a termine tra flessibilità amministrativa e flessibilità contrattuale, in RGL,
2/1989, pag. 502.
8
M. D.Antona, Il lavoro a termine, in M. D’Antona, R. De Luca, G. Ferraro, L. Ventura (a cura
15
delle condizioni di vita dei lavoratori e niente affatto incompatibile
con le esigenze della produzione.
1.2 L’ORIGINARIA DISCIPLINA CODICISTICA DEL LAVORO
A TEMPO DETERMINATO
Prima dell’emanazione del D.Lgs 368/2001, che ha costituito la prima
riforma complessiva dell’istituto del contratto a termine, la disciplina
sostanziale sul contratto di lavoro a tempo determinato era contenuta
nella L. 18 aprile 1962 n. 230, che rappresentava il primo ed unico
intervento legislativo organico sull’istituto in questione, al quale era
dedicato all’interno del codice civile il solo art. 2097 (che prima
ancora regolava l’intera materia)
9
.
Il legislatore del codice civile, ritenendo che la utilizzazione
indiscriminata del contratto a tempo determinato fosse in contrasto
con l’interesse del lavoratore alla continuità dell’occupazione ad alla
di), Il diritto del lavoro negli anni ’80, Vol.II, Napoli, 1988, pag. 114.
9
Sul sistema di cui all’art. 2097 del codice civile del 1942, abrogato con l’entrata in vigore della
Legge 18 aprile 1962 n. 230, v. per tutti C. Assanti, Il termine finale nel contratto di lavoro,
16
conservazione del posto di lavoro, aveva voluto limitare l’autonomia
negoziale delle parti in materia. Così, al fine di ridurre il ricorso
all’apposizione del termine nel contratto di lavoro, l’art. 2097 c.c.
aveva stabilito che “il contratto di lavoro si deve reputare a tempo
indeterminato se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o
da atto scritto”, sancendo l’inefficacia dell’apposizione del termine in
forma scritta quando la stessa fosse intervenuta “per eludere le
disposizioni che riguardano il contratto a tempo indeterminato”. La
norma codicistica quindi, nel prevedere la possibilità che un contratto
di lavoro venisse stipulato a tempo determinato, richiedeva che
l'apposizione del termine risultasse "dalla specialità del rapporto o da
atto scritto" e comunque la considerava priva di effetti ove effettuata
al fine di eludere le disposizioni sul contratto a tempo indeterminato e
nel caso in cui il rapporto di lavoro si fosse protratto (in mancanza di
giustificazione contraria) oltre la data ivi indicata.
Milano, 1958, pag. 114 ss.