2
Testo di riferimento per la nostra dissertazione sarà il De Servo Arbitrio.
La centralità e l'importanza di quest'opera per la comprensione della teologia
luterana è stata riconosciuta dall'autore stesso, che in una lettera a Wolfgang
Fabricius Köpfel (detto Capitone) dichiara: «Nessun mio libro, infatti,
3
riconosco giusto, se non forse il Servo Arbitrio ed il Catechismo» .
Pubblicato a Wittemberg nel dicembre 1525, questo testo trascende, in un
certo senso, la stessa polemica da cui è nato, ossia non si esaurisce nel
confronto Lutero-Erasmo. Qui Lutero rielabora un pensiero già maturo da
tempo, come dimostrato, ad esempio, dal Commentarius in Ep. ad Rom. del
1515-16, e da altri scritti che incontreremo nel corso della trattazione.
Ebeling sostiene che un titolo alternativo al De Servo Arbitrio potrebbe essere
4
De Deo . E, in effetti, questo è il contenuto dell'opera: un discorso su Dio e
sulla sua maestà. Teologia in senso stretto, quindi. Appunto per ciò, alla
domanda implicita presente nel titolo di questa dissertazione, «Il Concetto di
Servo Arbitrio in Martin Lutero. Una chiave di lettura per la teologia del
riformatore, nella sua storica determinatezza», cercheremo di rispondere
affermativamente.
Vista la centralità di quest'opera per l'autore stesso, lo scopo di questa
dissertazione sarà di seguire l'argomentazione del riformatore lungo il De
Servo Arbitrio, per avere un quadro del suo pensiero teologico. Essendo
3
WA Br,3162, 99 del 8 luglio 1537. Il passo è tratto dall'Introduzione
alla traduzione italiana del De Servo Arbitrio, p. 7 (vedi Nota
Bibliografica).
4
Gerhard Ebeling, Lutero, Un volto nuovo, Roma-Brescia, Herder-
Morcelliana, 1970, p. 239.
3
quest'opera già abbastanza ampia e complessa di per sé, non ci tratterremo
sugli aspetti della disputa con Erasmo o sull'analisi delle posizioni
dell'umanista (che, ad ogni modo, appariranno nella forma confutativa del
riformatore), anche perché questo ci porterebbe inevitabilmente lontano dal
nucleo del pensiero di Lutero, oltrepassando i limiti di tale elaborato.
Non ultimo, lo scopo che ci proponiamo consiste nel presentare un tema
teologico, oggi, poco frequentato, ma indispensabile per comprendere il
pensiero della Riforma, che rappresenta, come è noto, una capitale svolta
storica dell'occidente.
5
Cercheremo, dunque, di leggere Lutero attraverso Lutero , riducendo al
minimo gli interventi esterni.
5
Queste sono le versioni italiane che utilizzeremo per le opere principali:
M. Lutero, Il Servo arbitrio, a cura di Fiorella De Michelis Pintacuda,
traduzione e note di Marco Sbrozi, Torino, Claudiana, 1993, («M. Lutero
Opere scelte, diretta da Paolo Ricca», n. 6) – indicato con la sigla SA; M.
Lutero, La lettera ai Romani, a cura di Franco Buzzi, Milano, Edizioni
Paoline, 1991, («I Classici del pensiero cristiano», n. 7) – indicato con la
sigla LR; M. Lutero, Il Piccolo Catechismo, Il Grande Catechismo, a cura di
Fulvio Ferrario, Torino, Claudiana, 1998, («M. Lutero Opere scelte,
diretta da Paolo Ricca», n. 1) – indicato con la sigla GC. Per l’opera di
Erasmo confutata da Lutero: Erasmo da Rotterdam, M. Lutero, Il Libero
arbitrio, Il Servo arbitrio, a cura di Roberto Jouvenal, Torino, Claudiana,
1993, («Testi della Riforma», n. 2) – indicato con la sigla LB, tra
parentesi la pagina di questa traduzione. Sarà richiamata anche la
Confessione d’Augusta con la sigla CA, edizione italiana, La confessione
augustana del 1530, a cura di Giorgio Tourn, Torino, Claudiana, 1980.
Per le citazioni patristiche: J.P. Migne, Patrologiae cursus completus
series prima – indicato con la sigla PL. Tutte le citazioni bibliche, dove
non diversamente indicato, sono tratte dalla versione evangelica Nuova
Riveduta (rielaborazione della Luzzi). Nelle note in cui riporteremo
un'antologia di passi biblici non useremo le virgolette («»), per rendere
meno pesante il testo.
4
CAPITOLO I
CAPITOLO I
AS SP PE ET TT TI I G GE EN NE ER RA AL LI I
A
Ciò che, innanzitutto, occorre porre in evidenza, in rapporto al problema
che costituisce l'oggetto del nostro lavoro di tesi, è che Lutero non nega
all’uomo la capacità d'intendere e di volere. Il libero arbitrio in sé non è
messo in discussione, ma viene contestualizzato nell'economia dei disegni
divini.
L’uomo non è quindi un semplice automa, anche se nel piano della
6
provvidenza l'ultima parola, in senso finalistico, spetta sempre a Dio . Più
semplicemente, la sua volontà è incapace, a causa del peccato, di volgersi a
Dio, in quanto curva su di sé e in uno stato di ribellione continua nei Suoi
confronti. Concetto riassunto nel XIX articolo della confessione d’Augusta:
«De Causa peccati docent, quod, tametsi Deus creat et conservat naturam,
tamen causa peccati est voluntas malorum, videlicet diaboli et impiorum,
quae, non adiuvante Deo, avertit se a Deo, sicut Christus ait Ioh. 8, 44: Quum
7
loquitur mendacium, ex se ipso loquitur» . Il peccato, quindi, non come un
male “naturale”, come potrebbe sostenere una teologia dualistica, ma come
6
Cfr. in particolare Prov 16:1 «All'uomo spettano i disegni del cuore; ma
la risposta della lingua viene dal SIGNORE». Ger 10:23 «SIGNORE, io
so che la via dell'uomo non è in suo potere, e che non è in potere
dell'uomo che cammina il dirigere i suoi passi». Versetti che verranno
commentati più avanti, quando li incontreremo nel SA.
7
«Sulla causa del peccato insegnano che, sebbene Dio crei e preservi la
natura, tuttavia la causa del peccato è la volontà dei malvagi, come del
diavolo e degli empi, la quale, se Dio non aiuta, si allontana da Dio,
come dichiara Cristo: “Quando dice il falso, parla del suo”, Giov. 8 [,
44]», CA, p. 130.
5
risultato di una volontà deviata, incapace, però, di ritrovare la strada della
giustizia.
Il peccato diviene una determinazione essenziale della persona:
contraddizione vivente di fronte a Dio. Contraddizione che, in Lutero, sarà
presente anche nello stato di giustificazione, descritta dalla celebre formula
dal sapore dialettico: Simul Iustus et Peccator. Tale condizione, insomma,
gioca un ruolo rilevante sulla possibilità di discernimento, ponendo uno iato
tra il piano spirituale e il piano carnale. La deliberazione non è indifferente,
ma condizionata da tutto questo.
Tra l'altro, come si può intuire, non può esistere una libertà assoluta, per
la creatura, in quanto una determinazione include la propria negazione, ossia
vi è sempre un che di limitante nei nostri atti. Ora, a nostro parere, Lutero
vuole mettere in chiaro una cosa: distinguere la nostra libertà dinanzi a Dio,
spirituale, e quella dinanzi al mondo, carnale. Ovviamente, come vedremo, la
libertà più alta è quella appartenente al piano spirituale. Si tratta insomma di
definire l'oggetto o, per meglio dire, il campo d'azione del libero arbitrio, il
8
quale, se considerato come potere assoluto di scelta, forza (vis) dice Lutero ,
diviene, come diremo in seguito, res de solo titulo, immo titulus sine re: ossia
9
mero e vuoto appellativo e nulla più.
Un prima testimonianza esemplificativa ci può essere data dal XVIII
articolo della confessione augustana”: «De libero arbitrio docent, quod
8
Cfr. SA pp. 125-126, WA 18, 635, 34-35 e 636, 9-11.
9
Cfr. WA 1, 360, 24 (Disputa di Heidelberg, Tesi XIII). SA p. 357, WA
18, 756, 7.
6
humana voluntas habeat aliquam libertatem ad efficiendam civilem iustitiam
et deligendas res rationi subiectas. Sed non habet vim sine Spiritu Sancto
efficiendae iustitiae Dei seu iustitiae spiritualis, quia animalis homo non
10
percipit ea, quae sunt Spiritus Dei» . Questa tesi è fondata sul testo paolino
di I Corinzi 2, 14-15: «Ma l'uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di
Dio, perché esse sono pazzia per lui; e non le può conoscere, perché devono
essere giudicate spiritualmente. L'uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa
11
ed egli stesso non è giudicato da nessuno» .
Occorre aprire una doverosa parentesi su questo versetto, in quanto qui
siamo di fronte ad un concetto cardine per la comprensione del nostro
problema. Occorre, cioè, soffermarci un attimo sul concetto di “uomo
12
naturale”. Il testo greco del passo è: “ null ’ null ’null
null null null µ null null null ”. La traduzione della vulgata
10
«Sul libero arbitrio insegnano [ndr. le chiese riformate] che la volontà
umana ha una certa quale libertà nell’attuare la giustizia civile e nello
scegliere le cose che dipendono dalla ragione. Ma non ha il potere, senza
lo Spirito Santo, di attuare la giustizia di Dio o giustizia spirituale, poiché
l’uomo naturale non può percepire le realtà proprie dello Spirito di Dio
[…]», CA, p. 129-130.
11
Citato in SA p. 172, WA 18, 658, 37 e SA p. 184, WA 18, 664, 10.
12
Il Nuovo Testamento in greco, redatto da Kurt Aland, Matthew Black,
Carlo M. Martini, Bruce M. Metzger, e Allen Wikgren. In cooperazione
con «Institute for New Testament Textual Research»,
Münster/Westphalia, sotto la guida di Kurt Aland e Barbara Aland.
Terza edizione (corretta). United Bible Societies. Questa versione esiste
in due forme - in caratteri greci e in caratteri latini (traslitterati).
Siccome, in Windows 95/98 provvisto di supporto multilingue per
la lingua greca, non è possibile mostrare tutti i caratteri greci
necessari, ci sono alcuni cambiamenti in confronto al testo
stampato. Gli accenti non sono mostrati; gli spiriti (‘ e ’) sono
messi prima della parola, invece di sopra la prima o seconda
lettera; l’iota sottoscritta è aggiunta alla fine della parola se
appartiene all’ultima lettera, altrimenti non è mostrata.
nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull
7
13
recita : “animalis autem homo non percipit ea quae sunt Spiritus Dei”.
Lutero traduce: “Der natürliche Mensch aber vernimmt nichts vom Geist
Gottes”. Abbiamo tre termini distinti, ma, in questo caso, sinonimi: psichico,
animale e naturale. L’uomo naturale è il perduto, ossia l'Adamo peccatore che
nella sua originaria scelta ha rinunciato ai doni sovrabbondanti dello Spirito.
L'uomo naturale ha quindi una particolare limitatezza. Ad ogni modo, occorre
notare che Psychikos, naturale, si riferisce semplicemente alla vita animale.
Non vi è nulla di male in questo collegamento: il termine non indica qualcosa
di peccaminoso in sé, ma l'assenza di discernimento spirituale nell'uomo,
dono che egli stesso ha rigettato, il cui orizzonte ora è limitato alle cose di
questa vita, ovvero è caratterizzato dalla carne, Sarkikos.
Pur mantenendo, pertanto, la sua prerogativa di creatura razionale, la
sua sapienza, senza i doni di Dio, è nulla, incapace di riconoscere quella
divina, ritenendola pazzia (1Co. 1, 8; 2, 14). Solo l'uomo Pneumatikos,
spirituale, che possiede, per l'appunto, lo Spirito, può accedere a questo grado
di conoscenza
In altre parole, per un insegnamento la cui sostanza è rivelata dallo
Spirito e la cui forma è insegnata sempre dallo Spirito, non tutti gli uomini
14
costituiscono il terreno appropriato . Per uomo naturale, pertanto,
intendiamo colui che non ha lo Spirito di Dio (Giuda 19), l'uomo che non è
stato destato, vivificato, compenetrato dallo Spirito di Dio, la cui vita quindi,
13
Termine mantenuto anche nella traduzione riformata italiana di
Giovanni Diodati (1576-1649).
14
Cfr. la parabola evangelica del seminatore, in Matteo 13: 3-8.
8
usando una terminologia platonica, si muove tutta nella sfera inferiore delle
facoltà e delle affezioni dell'anima. Insomma, per esemplificare, la vita
dell'Adamo peccatore può essere paragonata a quella del prigioniero della
15
caverna . Vive nell'illusione della libertà e della conoscenza, in quanto
reputa la sua caverna il mondo nella sua totalità. Non solo, ma nel nostro
caso il prigioniero non potrà mai sciogliersi senza l'intervento di Dio.
Si noti a questo proposito, che il verbo µ è normalmente usato
nel senso di ricevere degli ospiti. In questo senso l'uomo naturale non
accoglie volentieri le cose dello Spirito, le rifiuta, le rigetta. Questo ci fa
pensare al celebre versetto del prologo di Giovanni: «È venuto in casa sua e i
suoi non l'hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il
diritto di diventare figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome; i
quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo,
16
ma sono nati da Dio» .
E, sempre in tale prospettiva, è interessante pure il verbo ,
presente nella seconda parte del versetto (µ null null ’ ’ null null ’
null null , ‘ null µ null ’ null ). Esso è usato dieci volte in l
Corinzi, ma in nessun'altra lettera di Paolo; viene impiegato per indicare le
15
Platone, Repubblica, VII, 514a sgg.
16
Giov. 1 : 11-13: «’ null ’ null ’ null , ‘ ’ ’ ’
. 12 ‘ ’ ’ , ’ null ’ null ’
null , null null ’ null ’ µ ’ , 13 ‘
’ ’null ‘ µ ’ ’null µ ’ ’null µ
’ ’ null ' ’null ’ null ».
nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull
null
null null
null null
null null
null
9
17
investigazioni giudiziarie, specie quelle prima dell'udienza ufficiale .
Significa anche scrutinare, esaminare e quindi giudicare, stimare. Ma l'uomo
che, come abbiamo detto, possiede solo qualità mondane e non ha ricevuto lo
Spirito Santo, non può discernere, giudicare, le cose spirituali.
Per rendere più chiaro il discorso, ricordiamo che gran parte delle
Scritture non distinguono che due elementi nella natura dell'uomo: quello
inferiore, materiale, che chiamano corpo, e quello superiore, non materiale,
che chiamano talvolta l'anima e talvolta spirito (cfr. 1Corinzi 2:11; Matteo
10:28; 2Corinzi 12:15; Ebrei 6:19; 10:39; Giacomo 1:21; 1Pietro 1:9; 2:11;
Ecclesiaste 12:9; 1Corinzi 5:3,5; 7:34; Giacomo 2:26). In alcuni luoghi, si
distinguono tuttavia tre elementi nell'uomo: il corpo, l'anima e lo spirito: «Or
il Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente; e l'intero essere
vostro, lo spirito, l'anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la
venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Fedele è colui che vi chiama, ed egli
farà anche questo.»(1Tessalonicesi 5:23-24); «Infatti la parola di Dio è
vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e
penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla;»
18
(Ebrei 4:12). A questa suddivisione è fedele anche Lutero . Nel commento al
Magnificat, l'anima è considerata come la sede degli affetti naturali, terreni,
mentre lo spirito è l'organo superiore destinato agli affetti religiosi, capace di
entrare in comunione con Dio. Se non che, nello stato di peccato,
17
Cfr. Walter Bauer, Griechisch-Deutsches Wörterbuch zur den Schriften
6
des Neuen Testaments, De Gruyter, Berlin, 1988 .
18
3, pp.
Cfr. M. Lutero, Commento al Magnificat, Milano, CENS, 1989
21sgg.
10
quest'organo è paralizzato, atrofizzato, ed ha bisogno d'essere richiamato in
attività dall'influenza vivificatrice dello Spirito di Dio. Finché ciò non sia
avvenuto, l'uomo rimane psichico, o, come traduce la vulgata, animale, in
quanto, come si è detto, non s'innalza al disopra delle affezioni dell'anima,
della vita naturale. In tale stato, non riceve le cose dello Spirito, non fa loro
buona accoglienza e, proprio perché incapace di riconoscerle, le ritiene
pazzia.
Ora, come si è accennato poco prima, la vita naturale non è certo
malvagia in sé; non solo perché creazione divina, ma anche perché essa
rappresenta la semplice vita della creatura animale. Inizialmente l'uomo nella
sua pienezza disponeva del dono dello Spirito, che ha perso abusando della
sua libertà. Le facoltà dell'anima e del corpo sono comunque rimaste integre.
Ma tramite queste non è possibile risalire al piano spirituale. E' in tal senso,
crediamo, che Lutero usa il termine naturale: una natura, ora manchevole, che
non corrisponde alla pienezza del primo Adamo e nella quale l'agire umano
non è regolato dalla sapienza divina, ma dalle leggi animali, che riguardano la
pura e semplice vita.
A questo punto, il problema va riformulato in questi termini: dopo la
caduta che cosa deve fare l'uomo per reintegrarsi nella pienezza? Lutero mette
in rapporto la beatitudine e la salvezza all'insondabile volontà di Dio, che
liberamente conferisce all'uomo la Sua grazia. A tal proposito, è interessante
nullnull
11
la nota del Commentario esegetico pratico dei quattro Evangeli ad un passo
chiave, per il problema della libertà della volontà, del Vangelo di Giovanni:
«Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo
19
risusciterò nell'ultimo giorno» . Recita il commento:
«Vi era un altro soggetto, in continuazione di quello che egli trattava prima di
venire interrotto, e che era più importante di qualunque risposta ai loro mormorii,
cioè come essi potrebbero venire a lui, in modo da godere i beni enumerati al ver.
Giovanni 6:35. […] dopo la caduta, tutti gli uomini s i trovano in istato di
ribellione contro a Dio "intenebrati nell'intelletto, alieni dalla vita di Dio, per
l'ignoranza che è in loro, per l'induramento del cuor loro" Efesini 4:18 Con
volontà corrotta, con affetti centralizzati in cose terrene, sotto la schiavitù di
Satana, l'uomo naturale non ha né il desiderio né il potere di venire a Cristo; egli è
"morto nei falli e nei peccati" Efesini 2:1, è dunque impossibile che venga a Cristo,
cioè che creda in lui a salute, per effetto della sua volontà e senza aiuto esterno
Giovanni 5:40. È una impotenza che proviene da una natura corrotta, una
impotenza del cuore e della volontà, ed è per l'anima un ostacolo così grande come
sarebbero sbarre di ferro per il corpo! È la specie peggiore di impotenza, quella in
cui il cuore e la mente sono depravati a segno di non poter ricever Cristo. “Se non
che il Padre che mi ha mandato lo tragga”; Questo "trarre" per parte di Dio il
Padre non è violento, irresistibile; non fa pressione sulle inclinazioni e sulla
volontà dell'uomo; ma è un'attrazione interna, sentita nell'anima. Essa produce
tale sgomento di spirito, tali aspirazioni verso qualcosa di più stabile e più
soddisfacente, tale ansietà riguardo alla salute dell'anima e alle pene future, da
risvegliare il peccatore al sentimento del suo pericolo; e finisce colla "chiamata
efficace", e la sua volonterosa accettazione di Cristo come suo Salvatore. Questo
"trarre" il Padre lo adempie in vari modi esterni, secondo la sovranità della sua
20
grazia» .
Per il riformatore, all’uomo decaduto manca, per l’appunto, questa
forza: la ragione diventa meretrice di Satana e la volontà sua ancella, quando
l’uomo si arroga l’assurdo diritto di concorrere alla sua salvezza con le
proprie forze. Tutto questo, tra l'altro, espone al rischio di presumere di
collocarsi, ontologicamente, sullo stesso piano di Dio, rendendo addirittura
inutile l’incarnazione di Cristo. La ragione, apparentemente bistrattata dal
19
Giovanni 6, 43-44.
20
Del Rev. Roberto Gualtiero Stewart, Dott. in Teol., già pastore della
Chiesa Scozzese a Livorno. Terza edizione, riveduta ed alquanto
abbreviata dal Prof. Enrico Bosio, D. D; Torre Pellice, Libreria Editrice
Claudiana, 1929.
12
riformatore, va intesa nel suo giusto piano. Lutero, proprio per il fatto di
essere un teologo ed un docente ammette l'importanza e il valore di essa
praticamente in tutte le sfere della vita cristiana, tuttavia ci mette in guardia,
in quanto andremmo fuori strada se ci affidassimo alla ragione per quanto
riguarda la conoscenza di Dio. Dobbiamo tenere conto, inoltre, che il punto
d'appoggio del riformatore, e di tutta la sua teologia, è solo il nullnullnull
incarnato e la sua “parola”. Un punto di partenza, quindi, fortemente
21
cristocentrico .
21
Interessante questa riflessione di O.H. Pesch, in Liberi per grazia,
Queriniana, Brescia, 1988, p. 24: «La nostra impostazione deve escludere
che l'antropologia che si elabora vada poi qualificata, in senso
peggiorativo, come 'antropocentrica', che non consente dunque di
mantenere aperto lo sguardo per il Dio sempre più grande. E Dio è ben più
del partner trascendente dell'essere umano, la sua opera è ben più della
creazione e salvazione. La teologia dovrà sempre combattere una
'riduzione antropologica' di questo tipo, che limita l'interesse teologico
esclusivamente per una salvezza dell'uomo intesa possibilmente in
termini individualistici, stigmatizzando il resto come 'speculazione'
indebita. Difenderà invece le elaborazioni (apparentemente) niente
affatto antropologiche della tradizione preluterana, e le sue varianti
moderne, ma anche i timidi tentativi di una teologia della 'con-creatura',
un riflettere teologico che non dovrà degenerare in 'teologia ecologica'.
Del resto anche colui che passa per l'ideatore di questa riduzione di tipo
antropologico — Martin Lutero — tutto sommato intendeva la divinità di
Dio come il senso della dottrina della giustificazione. Appellandoci alla
comune tradizione cattolica e riformata — per non parlare di quella
ortodossa — dobbiamo rimettere al centro l'antropologia teologica e
mantenerla libera da un antropocentrismo egoistico per il quale la
divinità di Dio e la sua creazione altro non sarebbero che note marginali,
o tutt'al più il tema per una riflessione meta-teologica. [Vedi a questo
proposito le relazioni di lavoro c le bibliografie che la «Ökumenische und
interdisziplinäre Studiengruppe 'Ethik der Schöpfung' pubblica
regolarmente sotto la direzione di G.M. Teutsch (Padagogische
Hochschule Karlsruhe, Archiv für Hodegetische Forschung); inoltre
JENSEN, Unter dem Zwang des Wachstums spec. 45-48; KROLZIK,
Umweltkrise, T. KOCH, Der Leib und die Natur]».
13
La libertà della creatura razionale decaduta, proprio a causa di questa
22
deficienza, non coincide con la libertà dinanzi a Dio. Ed è questo il punto
della nostra trattazione. Lutero si esprime, sulla volontà umana, nel modo
seguente: «La natura umana non conosce che il suo bene, ovvero ciò che è
buono, onesto ed utile per lei, non ciò che è tale per Dio e per gli altri. Perciò
conosce e vuole di più il bene particolare, anzi soltanto il bene individuale.
23
[..] l’uomo [è] così ripiegato su di sé , da piegare a se stesso non soltanto i
24
beni corporali, ma anche quelli spirituali , e da cercare se stesso in ogni cosa.
25
Questo ripiegamento […] è un male naturale» . Male che, come abbiamo già
detto, non riguarda la natura in sé, ma lo stato di privazione dello Spirito.
Detto in altri termini, una privatio boni, di agostiniana definizione, causata
dalla prima deliberazione di Adamo, la cui volontà rimarrà irreversibilmente
26
segnata, come la pena di una lettera infamante . Usando una terminologia
22
Vedremo al capitolo II l'importanza nel pensiero di Lutero di questa
espressione che rende quella latina di coram: al cospetto di...
23
A causa del peccato.
24
Cercando addirittura di usare Dio come mezzo e non come fine.
25
Riferendosi alla creatura dopo il peccato. LR cap.8,3, p. 496, W.A. 56,
356, naturale, quindi, nel senso che abbiamo sinora tentato di descrivere,
ossia di un'umanità priva di una sua iniziale perfezione, che era sin
dall'inizio un dono eccedente la semplice creaturalità.
26
Cfr. Italo Sciuto, La felicità e il male, Milano, FrancoAngeli, 1995, pp.
60-136. In Particolare, sul libero arbitrio, a pg. 109: «[…]L'incrinatura
della volontà […], nel racconto delle Confessioni, viene vista proprio
nella classica figura della «deliberazione», cioè nell'esercizio effettivo
della volontà: è sempre, infatti, in deliberando che si produce lo
sdoppiamento delle «due volontà» interpretate dai Manichei,
erroneamente, come due «nature». Ma questa scissione della mens entro
e contro se stessa rivela un conflitto insanabile, che ci permette di
cogliere il senso della volontà del male, sospesa tra libertà e arbitrio. Per
afferrarlo nella sua radicalità, osserviamo analiticamente i vari passaggi
14
agostiniana, potremmo dire che il male è un volgersi ai beni mutevoli,
soggetti a corruzione, rinunciando a quelli a quelli immutabili: nel nostro
caso tale rinuncia è inscritta nella disubbidienza a Dio che ha rappresentato il
27
peccato originale. Ci soffermeremo più avanti su questi termini .
Ritornando al passo di Lutero, il ripiegamento dell'uomo si esprime
perfettamente nel peccato attuale più grave: l’amor di sé. Nel ricercare la
salvezza tramite le proprie capacità ci si espone, infatti, al rischio di autofilia.
Ne consegue che la creatura non può ricevere aiuto da sé, “ab intrinseco”,
essendo viziata, in modo permanente, ma solo dall’esterno, “potentiore
auxilio”: dal suo creatore. Siamo qui nel vivo della teologia di Lutero, ovvero
stiamo parlando di giustificazione.
che, molto efficacemente, Agostino espone alla fine di questo testo
cruciale. / Dallo scontro delle due volontà, infatti, nasce innanzitutto la
contesa, il dissidio, la discordia e la scissione della mens con e in se stessa:
mecum contendebam et dissipabar a me ipso. Questo fatto, per se, non
dimostra l'esistenza di una mente estranea: nec tamen ostendebat naturam
mentis alienae. Dimostra, piuttosto, che tale dissipazione della mente non
può essere che il risultato di una colpa: precisamente, è la «pena»
comminata per un «peccato più libero», quello di Adamo. Cosi posta,
evidentemente, la dissipatio mentis va letta entro il tema del peccato
originale, una delle cui conseguenze, per l'uomo, è la difficultas, come
Agostino aveva già spiegato nel De libero arbitrio. La sua risoluzione,
perciò, non è pensabile senza l'intervento della grazia, sicché la differenza
rispetto all'antropologia stoica consiste in un radicale cambiamento della
domanda: non si tratta più di autogovernare la volontà, ma di sapere
«come può il mio libero arbitrio resistere e dipendere interamente da me
se non riceve un sufficiente aiuto divino» […]».
27
Cfr. Cap. II, La Concezione del peccato in Lutero.
nullnull