INTRODUZIONE
Nella scelta di approfondire la conoscenza riguardo alla storia e alle
proposte attuali del Commercio Equo e Solidale a Genova, la città in cui
vivo, ha avuto un ruolo determinante la collaborazione all'attività svolta
presso gli uffici della cooperativa “La Bottega Solidale”, con sede in via del
Molo, dove ho potuto conoscere una realtà che dal 1990 è attiva in Liguria
con iniziative e progetti, oltre che nella vendita dei prodotti nelle Botteghe.
Sottovalutando molto la complessità del movimento alternativo, mi
sono inizialmente impegnata nella lettura di testi scritti dai pionieri del
movimento e dei documenti pubblicati su internet da parte delle
organizzazioni, che hanno confuso molto le mie idee sulle strutture e sui
meccanismi di azione della realtà equa.
Nonostante le diverse interpretazioni e trasposizioni operative nel
mondo, i valori di riferimento del Commercio Equo e Solidale sono molto
chiari: la solidarietà tra i cittadini del mondo qualunque sia il loro ruolo
all'interno del mercato; la promozione dell'equità nei rapporti commerciali a
tutela sia dei produttori, spesso sfruttati sia dei consumatori, spesso poco
informati.
Una delle denominazioni assegnate al movimento è “Commercio
Alternativo” perché si colloca all'esterno dell'economia tradizionale,
costruendo un’alternativa che mai come in questa fase di crisi economica
globale, ha dimostrato la propria solidità e il consenso guadagnato
nell'opinione pubblica a seguito delle campagne informative e di
sensibilizzazione organizzate dai propri soci e volontari.
Oltre alla vendita e alle azioni di sostegno allo sviluppo dei produttori-
partner che lavorano nel Sud del mondo, le associazioni che si riconoscono
nei princìpi del Commercio Equo sono animate dall'obiettivo di “educare” i
cittadini perché diventino dei consumatori consapevoli del fatto che le
scelte di acquisto comportano delle conseguenze sociali ed economiche
sulle comunità di agricoltori e artigiani che hanno prodotto i beni esposti
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sopra gli scaffali dei negozi, tanto più nel contemporaneo contesto di
mercato.
La crisi economica iniziata il 15 settembre 2008 è stata attribuita da
Amartya Sen, premio Nobel per l'economia nel 1998, all'eccesso di fiducia
nella forza regolatrice del mercato, alla speculazione finanziaria e agli errori
nell'azione politica dei governi di tutti i Paesi. Il problema non può essere
risolto con delle decisioni che, per salvare il vecchio ordine, impongano
nuove ingiustizie sociali; la ripresa è il traguardo da raggiungere attraverso
il rispetto della libertà e la tutela della vita e del lavoro per tutti (La
Repubblica, maggio 2010).
Il Commercio Equo e Solidale possiede le caratteristiche elencate da
Amartya Sen per risollevare le sorti del mercato perché colloca al centro
della propria azione l'uomo, qualunque sia il Paese di origine e la posizione
sociale che occupa.
L'attività di vendita ha un ruolo marginale, soprattutto nella realtà
italiana e nello specifico in quella genovese, su cui prevale il lavoro di
educazione allo sviluppo attraverso l'organizzazione di eventi e
manifestazioni che coinvolgono sia il pubblico più giovane, con giochi e
percorsi didattici finalizzati a rendere i cittadini consapevoli del futuro, sia
tramite convegni e azioni di sostegno allo sviluppo con cui informare i
consumatori odierni.
In quest'ottica che privilegia l'aspetto formativo su quello
commerciale, l'acquisto abbandona il ruolo di mero strumento di
soddisfazione dei bisogni più o meno fondamentali secondo la personale
piramide di Maslow
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che ognuno di noi si costruisce e, nel percorso
realizzato da tutti gli operatori attivi nel Commercio Equo, si trasforma in
un momento di riflessione, in un valore con cui è davvero possibile agire
per cambiare la situazione di dipendenza economica di persone fisicamente
lontane da noi che possono però ottenere benefici dalla scelta dei
consumatori di comprare i loro prodotti.
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Lo psicologo statunitense Abraham Maslow nel 1950 pubblicò "Motivazione e
personalità", dove espose la teoria della "piramide dei bisogni" secondo la quale i bisogni
si presentano secondo una precisa scala gerarchica, e un bisogno di livello più elevato non
è motivante per un individuo se egli non ha soddisfatto prima i bisogni di livello inferiore.
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Affine a quest’obiettivo è l'impegno dei volontari, degli operatori e dei
soci delle Botteghe italiane di pianificare una serie di progetti ed eventi che
coprano tutto l'anno e si rivolgano a un pubblico eterogeneo per diffondere
un movimento che, a 40 anni di distanza dal suo inizio, ha già una visibilità
e un'adesione ampia e in continua crescita.
Ho avuto anch'io un piccolo e marginale ruolo in tutto ciò durante la
collaborazione con La Bottega Solidale di Genova, grazie alla paziente
supervisione dei referenti che mi hanno seguita nel tirocinio: Laura
Cavalleri, addetta al settore comunicazione; Micole Arena, una giovane
operatrice che ha svolto un percorso simile al mio e la sua passata
esperienza di stage è stata l'occasione per ottenere un impiego fisso presso
l'ufficio. Particolarmente motivante è stato osservare quotidianamente
l'espressione di soddisfazione che illuminava i gesti e i comportamenti di
tutti gli altri operatori con cui ho condiviso alcune ore di lavoro,
testimonianza del fatto che per svolgere con passione il proprio impiego
non servono solo incentivi economici o la speranza di avanzare nella
propria carriera professionale, ma è altrettanto fondamentale la volontà di
concretizzare i valori condivisi con i propri colleghi.
La trasposizione operativa delle precedenti premesse teoriche è
rappresentata dalle proposte culturali, informative e di sensibilizzazione su
tematiche inerenti il consumo critico e l'economia solidale.
Gli eventi che ho descritto nell'ultimo capitolo di questo elaborato
sono consolidati nel programma annuale delle attività previste per il grande
successo che hanno riscontrato con il pubblico, anche a seguito della
collaborazione in rete con le altre associazioni della regione.
Inserendomi nel percorso di organizzazione di alcune manifestazioni
che hanno avuto luogo a Genova, ho conosciuto parte delle dinamiche
burocratiche che lo guidano (ad esempio la gestione del budget e la
richiesta dei permessi di affitto delle location o il pagamento dei diritti alla
SIAE); oltre ad apprendere l'uso di alcuni strumenti e canali utili alla sua
promozione (come i comunicati stampa inviati alle redazioni di alcuni
quotidiani, gli annunci pubblicati online sui siti che gestiscono le
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manifestazioni cittadine e la consegna di materiale cartaceo al pubblico).
Il coinvolgimento delle pubbliche amministrazioni locali e delle
istituzioni, che hanno già riconosciuto il peso sociale ed economico
raggiunto dal Commercio Equo italiano varando all'interno delle leggi
regionali dei provvedimenti specifici che lo sostengono e lo tutelano,
diventa fondamentale per ampliare la visibilità del movimento e ottenere
concessioni anche in termini economici, a sostegno della sua azione.
I maggiori finanziamenti rappresentano anche la possibilità di
organizzare corsi di formazione e di aggiornamento degli operatori perché
siano preparati a confrontarsi con le dinamiche sociali e commerciali che
pur vogliono cambiare e possano promuovere in modo efficace il
Commercio Equo attraverso la presentazione dei suoi prodotti e
l'organizzazione di iniziative coinvolgenti.
Migliorare gli strumenti con cui il movimento può diffondersi è un
traguardo importante per diffondere la conoscenza dei suoi princìpi, delle
iniziative e dei soggetti coinvolti, allo scopo di unire i consumatori
responsabili di tutto il mondo in una rete che possa orientare la realtà
economica odierna in una direzione più equa.
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CAPITOLO I
IL COMMERCIO EQUO E LA STRUTTURA A LIVELLO
MONDIALE
Questo primo capitolo ha lo scopo di definire il Commercio Equo e
Solidale o Fair Trade in inglese, come un movimento globale nato
dall'esigenza di creare un'alternativa al mercato e porre le basi per lo
sviluppo di un'economia socialmente sostenibile che risollevi le sorti dei
Paesi del Sud del mondo in cui l'80% della popolazione è costretta a
dividersi il 20% delle risorse, le briciole lasciate dai consumatori del Nord
(un 20% che però ha a disposizione l'80% delle risorse).
Le organizzazioni che si sono unite in tutto il mondo condividono
l'adesione ai principi di rispetto della vita dei produttori e il sostegno della
loro attività, e operano seguendo due strade parallele e complementari: la
tutela dei lavoratori del Sud attraverso un rapporto commerciale più “equo”,
differente dal meccanismo retributivo tradizionale e basato sull'accordo sul
prezzo; il prefinanziamento al 50% per acquistare le materie prime e gli
strumenti necessari alla produzione; il premio come surplus economico da
reinvestire per lo sviluppo produttivo, economico e sociale della realtà con
cui si lavora; e la sensibilizzazione del consumatore attraverso campagne
informative, l'organizzazione di eventi, progetti e utilizzo di tutti i mezzi di
comunicazione possibili per raggiungere un ampio numero di cittadini e
responsabilizzarli nelle loro scelte di acquisto.
Informare e rendere consapevoli i consumatori della possibilità che le
loro scelte possono incidere sul mercato è l'obiettivo a cui ha puntato il
movimento equo per portare avanti il progetto di cambiamento la cui
efficacia dipende direttamente dalla collaborazione con essi.
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1. Che cos'è il Commercio Equo e Solidale
L'articolo 1 della Carta Italiana dei Criteri (cfr. cap. 2) recita: “Il
Commercio Equo e Solidale è un approccio alternativo al commercio
convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo
sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente attraverso il commercio,
la crescita della consapevolezza dei consumatori, l’educazione,
l’informazione e l’azione politica. Il Commercio Equo e Solidale è una
relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di
commercializzazione: dai produttori ai consumatori” (Carta Italiana dei
Criteri, cap. 1)
La principale caratteristica che accomuna le realtà che aderiscono al
COMES (acronimo per Commercio Equo e Solidale, anche detto CEeS) è
quella di centrare la propria attività sul rispetto, la trasparenza e il dialogo
tra i soggetti che partecipano al meccanismo di commercializzazione.
Il Fair Trade si struttura in organizzazioni che sono state definite come
parte attiva della “nuova globalizzazione” (Raynolds, Murray, Wilkinson,
2007) perché sfruttano la capillarità con cui la globalizzazione si diffonde
nel mondo, orientandola in direzione di una crescita socialmente più equa
(Brown, 1993; Ranson, 2001; Raynolds, 2000) collaborando attivamente e
in modo continuo con i Paesi economicamente e socialmente sottosviluppati
(e non limitandosi a distribuire aiuti).
Seppur differenti per struttura, iniziative realizzate e interlocutori
commerciali scelti, le realtà del COMES condividono l'attivismo nel
supportare i produttori, informare e sensibilizzare i cittadini sulla reale
possibilità del Fair Trade di essere un'alternativa al mercato, nel rispetto
dei principi cardine su cui si sostiene il movimento:
1. l'accesso al mercato per i produttori emarginati. Il Fair Trade
sostiene i produttori del Sud che non riescono a inserirsi nei meccanismi di
mercato, eliminando gli intermediari che sono causa dell’iniqua
remunerazione del loro lavoro e aiutandoli nello sviluppo dei loro
tradizionali tipi di produzione;
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2. una relazione commerciale equa e sostenibile. Le transazioni
effettuate non seguono il meccanismo di retribuzione su cui si fonda il
mercato, ma devono tener conto dei costi diretti e indiretti di produzione,
devono rispettare le risorse ambientali disponibili e prevedere lo sviluppo
sociale ed economico del Paese interlocutore (includendo la garanzia del
prefinanziamento
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se viene richiesto);
3. il sostegno dell'autosviluppo. Le organizzazioni di produttori sono
accompagnate nel processo di conoscenza e apprendimento delle condizioni
di mercato, perché abbiano le competenze e risorse necessarie per
sviluppare maggiore capacità di controllo della realtà propria sociale ed
economica;
4. la difesa del consumatore e lo sviluppo della sua consapevolezza. Il
consumatore è il soggetto che detiene il potere di concretizzare il
cambiamento promosso dal Fair Trade: responsabilizzarlo nelle sue scelte di
acquisto attraverso le campagne di informazione e di sensibilizzazione è
l'obiettivo delle organizzazioni;
5. il Fair Trade come “contratto sociale”. Coloro che acquistano i
prodotti del Sud acconsentono a pagare prezzi equi per l'acquisto, garantire
prefinanziamenti e offrire supporto nella capacità del Paese interlocutore di
svilupparsi. D'altra parte i produttori utilizzano i benefici ottenuti dalla
collaborazione con il Fair Trade per migliorare la loro realtà sociale ed
economica, specialmente aiutando i membri più svantaggiati delle loro
organizzazioni (wfto.org).
Questi intenti sono condotti dall'azione congiunta di tutti gli operatori
attivi nei diversi livelli delle strutture del COMES, classificabili in tre
categorie formali: i produttori, i traders (esportatori e importatori) e i
certificatori (Barbetta, 2006).
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Il criterio n. 5 della Carta dei Criteri per le organizzazioni di Fair Trade definisce il
prefinanziamento come una raccolta anticipata di fondi (pre-raccolto o pre-produzione)
garantita dai compratori Fair Trade ai loro produttori e agli altri partner.
(www.altromercato.it)
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2. Le origini del Commercio Equo e Solidale
Le origini del movimento per il Commercio Equo e Solidale risalgono
al 1959, anno in cui in un paesino del sud dell'Olanda un gruppo di giovani
del partito cattolico si unì nella prima organizzazione formale: S.O.S.
Wereldhanel che raccoglieva le richieste di aiuto delle realtà emarginate e
sfruttate del Sud del mondo
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Gli studi sulle cause del sottosviluppo erano quasi totalmente
inesistenti e la consegna di aiuti nelle zone in condizioni di difficoltà
economica si rivelò inefficace a risolvere il problema dell'iniquità dei
rapporti commerciali tra il Nord e il Sud del mondo.
Il primo worldshop è stato inaugurato nel 1969 sempre in Olanda e
implementava sia l'attività di vendita dei prodotti importati, sia la campagna
di sensibilizzazione necessaria a responsabilizzare i consumatori sulle loro
scelte di acquisto e sull'incidenza che potevano avere nel ribaltare le sorti
dei produttori del Sud (tatavasco.it/altromondo).
Nei primi anni di attività, le Botteghe del Mondo circoscrissero la
vendita ai soli prodotti di artigianato per ovviare i problemi legati alla
deperibilità durante il trasporto e perché risultavano appropriati alla
gestione della produzione da parte delle semplici associazioni o cooperative
dei produttori oltre che fondarsi su capacità manuali che erano espressione
delle tradizioni locali e coinvolgevano la forza lavoro femminile esclusa
dagli altri settori produttivi. A seguito del graduale miglioramento delle
tecniche di importazione e conservazione dei prodotti, l'ampliamento della
rete distributiva e il rafforzamento delle organizzazioni dei produttori,
all'artigianato si è aggiunta un'ampia gamma di beni alimentari che ha
rappresentato la possibilità per il Fair Trade di entrare nei sistemi
distributivi occidentali e di incrementare la domanda.
Nei Paesi Bassi e nel Belgio il COMES si è consolidato sull'impegno
di forze dell'associazionismo spesso religioso, che si sono mosse a sostegno
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La prima campagna è stata realizzata per raccogliere risorse e fondi necessari a reperire
del latte in polvere che sarebbe stato inviato in Sicilia, in cui la Legge Agraria non aveva
fatto altro che peggiorare le condizioni economiche e sociali della popolazione.
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dalle popolazioni colpite dallo squilibrio di un progetto economico che
aveva accelerato la crescita dei Paesi industrializzati a discapito di quelli
arretrati.
Nella realtà anglossassone invece, le iniziative si mossero su scala
nazionale, fortemente influenzate dai meccanismi gestionali tipici delle
imprese private. Nonostante le diverse forme che sono confluite nel
movimento, il background ideologico era il medesimo e traeva forza dal
fallimento dei programmi di assistenza finanziati dai governi occidentali per
i Paesi del Sud, che anzi aumentavano i rischi di corruzione delle istituzioni
che li ricevevano.
Il Commercio Alternativo
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rifiutava l'assistenzialismo proponendo
invece di invertire il meccanismo di scambio pagando ai produttori un
prezzo che non fosse il risultato dell'interazione congiunturale tra domanda
e offerta, ma in riferimento ad altri parametri che consentissero ai produttori
di assumersi la responsabilità della valorizzazione delle risorse del loro
territorio.
Nel 1968, durante la seconda conferenza dell'UNCTAD
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a Dehli, è
stato pronunciato il primo discorso che promuoveva forme di commercio
fondate sul principio di equità, tra i Paesi ricchi e quelli poveri. Una frase
che è rimasta un riferimento concettuale operativo per il movimento del
Commercio Equo è “Trade, not aid”, che riassumeva la volontà di ripensare
in senso più pariterico il modo con cui le economie ricche intervenivano a
favore di quelle più povere.
Tuttavia, quest’affermazione di intenti non si concretizzò per l'assenza
di volontà politica di riconsiderare il modo di commerciare con i Paesi in
via di sviluppo.
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Il Commercio Equo e Solidale definisce un movimento internazionale nato per offrire un
un'alternativa rispetto al meccanismo di scambio del mercato tradizionale; per questo
motivo viene anche denominato Commercio Alternativo.
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Convocata per la prima volta a Ginevra il 23 marzo del 1964 e dichiarata permanente il
16 giugno dello stesso anno, l'UNCTAD è l'acronimo di: United Nations Conference on
Trade and Development, una organizzazione finanziata dall’ONU, finalizzata alla
promozione degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, secondo piani quadriennali
(www.unctad.org).
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