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Introduzione
“Chi di voi vorrà fare
il giornalista, si
ricordi di scegliere il
proprio padrone: il
lettore.” Indro
Montanelli, 12 maggio
1997.
La percezione che il mondo del giornalismo stia cambiando, è diventata
oramai una certezza. Le cause ed i mezzi del cambiamento sono invece
ambigui ed in continua evoluzione, anche se due fattori possono essere
considerati i motori del fenomeno. Innanzitutto la tecnologia, che ha
permesso l’approdo del giornalismo nel mare mosso del Web, rendendo
alcuni aspetti della carta stampata meno importanti e obsoleti.
Successivamente il pubblico, il quale ha stravolto il vecchio modo di fare
giornalismo, prima offerto generosamente dall’alto della propria
professionalità dagli addetti ai lavori, i quali che ora si trovano a fare i conti
con cittadini – reporter sempre più tempestivi ed aggiornati. Che si chiami
giornalismo partecipativo, citizen journalism o grassroot, un nuovo tipo di
giornalismo è nato da Internet e si è concretizzato grazie alla volontà delle
persone cosiddette comuni di essere partecipi e protagonisti del processo
informativo. Attivi e reattivi, non più segregati nel vecchio ruolo di pubblico,
gli utenti hanno cominciato loro stessi a fare informazione, a criticare quella
fornita dall’alto, e quindi a ribaltare il rapporto giornalista – lettore.
La domanda, allora, che ha spinto la stesura della tesi è: “ Siamo tutti
giornalisti oggi?”. È un tema fondamentale per chi, come me, ha intrapreso
un percorso di studi, e di fatiche, aspirando ad un lavoro in una testata o in
televisione come giornalista. Se ora qualsiasi persona dotata di computer,
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cellulare, smartphone o macchina digitale può fare informazione, in tempo
reale, su qualsiasi avvenimento ed in qualsiasi parte del globo, ed anche con
una certa eco nella Rete, che ruolo assume il vecchio giornalista occhialuto,
che conta le battute e risponde alle 5 W? Va da sé che il giornalismo
partecipativo non ha solo modificato il modo di fare informazione, bensì non
ha risparmiato nemmeno la politica ed il potere, attraverso contenuti prima
celati al grande pubblico, per svariati motivi, ma ora facilmente reperibili e
pubblicabili su blog, social network, siti specializzati, ma anche commenti ed
iniziative sovversive.
Una rivoluzione è in atto, ed attraverso questa tesi si cercherà di rispondere
ad alcune questioni riguardanti questo misterioso citizen journalism,
soprattutto nelle relazioni e reazioni con il giornalismo tradizionale, e quindi
un cambio di paradigma nel concetto di giornalismo ed in quello di
informazione stessa, legata spesso ad un nome o ad una tendenza
giornalistica, e con il potere, quello politico, diplomatico, promotore di
democrazia e correttezza come polvere sotto al tappeto.
Gli strumenti e la metodologia usati per la realizzazione del lavoro sono stati
prevalentemente la lettura di qualche testo relativo al giornalismo online o
2.0 e dei giornali, cartacei e non, per l’approfondimento degli ultimi fatti di
cronaca, una ricerca approfondita del Web, attraverso siti specializzati. Infine,
la tecnica dell’intervista per un parere dei soggetti coinvolti. I testi che
trattano l’argomento sono relativamente pochi ed in linea generale
affrontano tutti le stesse tematiche. Pertanto, Internet si è rivelato molto più
utile e diretto nella ricerca, anche attraverso la lettura di forum e commenti,
di tweet relativi all’argomento e blog tematici.
La tesi si divide in quattro capitoli. Il primo tratta una breve storia del
giornalismo online, come la tradizione cartacea si sia reinventata sul web, sia
nella produzione di notizie, che nella loro effettiva pubblicazione. L’aggiunta
di elementi e peculiarità di Internet ha permesso poi un’
approfondimento della notizia prima estremamente limitato. Il secondo
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entra nel cuore della tesi, spiegando cosa effettivamente sia questo
fantomatico citizen journalism, come si presenta, come si evolve, e tutte le
problematiche ad esso coinvolte, in termini principalmente di credibilità,
etica e legislazione. Sono questi infatti, i punti deboli, per cosi dire, che
ancora frenano l’affermazione della pratica del giornalismo partecipativo
come vera e propria forma di giornalismo, riconosciuta ed apprezzata per il
suo contributo. La tesi contiene poi due interviste, che pongono a confronto
due diversi punti di vista, nonché due percorsi professionali ed esistenziali
lontani anni luce. Un blogger ambientalista, Luca Conti, impegnato al fronte
come giornalista arruolato nel contingente Nato, ed un giornalista nato e
cresciuto con la carta stampata, il prof. Franco Elisei, direttore de Il
Messaggero Pesaro e docente nella nostra Facoltà. Due visioni meno dissimili
di quanto si possa immaginare. Il terzo capitolo si sofferma sul rapporto
esplicito tra citizen journalists e giornalisti professionisti. Si esamineranno i
vari ruoli, le opinioni e le differenze, per poi arrivare al sunto della questione
ossia la necessità di un mutamento del concetto di giornalismo che per
quanto compreso, fatica ancora ad affermarsi ed a consolidarsi, in nome di
un tradizionalismo comprensibile, ma che non deve ostacolare il naturale
sviluppo dell’informazione, specchio di quello sociale. L’intervista con Franco
Elisei aiuterà a capire questi concetti. Infine, ma non meno importante, il
citizen journalism come spina nel fianco al potere, adagiato sotto il concetto
di “segreto di Stato”, sicuro di una stampa sufficientemente domabile,
tuttavia ora esposto ad attacchi di hacker spregiudicati e cittadini ribelli.
L’esempio di Wikileaks, il sito che ha fatto scalpore con le sue rivelazioni sul
governo statunitense, non ha reinventato il modo di fare giornalismo
d’inchiesta, esponendo solamente i fatti per quello che sono, ma ha ricordato
a molti giornalisti come dovrebbe essere fatto. Inoltre, il rapporto dello Stato
con le informazioni in Rete dei cittadini, alcuni esempi recenti e le normative
che regolano il Web.
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La tesi non si pone, almeno non intenzionalmente, come sostenitore di una
qualsiasi parte o professione. Si è cercato di offrire una visione della
situazione nella sua interezza, ma soffermando l’attenzione sulla rinascita del
potere cittadino, quello che viene dal basso e che, dai tempi delle grandi
rivoluzioni, non ha poi più espresso veramente i propri bisogni. Internet è un
mezzo potente e pericoloso, che deve essere usato con cautela e parsimonia,
ma nelle mani di cittadini coscienti, informati, desiderosi di una democrazia
concreta e reale, al di là dei problemi economico – politici che pressoché ogni
Nazione oggi sta affrontando, rappresenta lo strumento più efficace per la
promozione di tali principi. Il web ha permesso l’ascesa del citizen journalism
come nuova forma di affermazione della volontà cittadina dal basso, e come
tale è rappresentativo di democrazia assoluta, nel bene e nel male. La
potenza della Rete non è ancora stata completamente sfruttata, e questa,
unita al desiderio di ognuno di presentarsi alla piazza Internet, fornendo
propri contenuti e punti di vista, scegliendo la propria informazione ed
approfondendo i propri interessi, hanno dato vita ad un fenomeno che sta
rivoluzionando la società. L’opinione pubblica ha preso le redini della propria
formazione, cosa succederà in futuro lo deciderà essa stessa, in una partita
tutta giocata in terre digitali.
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1. Il Giornalismo approda sul Web
1.1 Storia del giornalismo on-line
1.1.1 Le prime testate on-line
Il Natale 1992 potrebbe essere segnato nei calendari di tutti i
giornalisti come l’inizio della diffusione del giornalismo online. Negli
Stati Uniti, il quell’anno, ben 13 quotidiani offrivano al pubblico una
qualche forma di edizione digitale, in alcuni piuttosto rudimentale e
con una forte impronta sperimentale. Tra questi, il più innovativo fu il
“Mercury Center”, la versione online del “San Jose Mercury News”,
esperimento ambizioso ma piuttosto fallimentare. Il problema iniziale
infatti, era di natura puramente economica. Poiché la decisione ultima
se approdare o meno in Internet spettava, e spetta tuttora, almeno per
quanto riguarda le testate ufficiali, al gruppo editoriale, è chiaro come il
fine di queste aziende d’informazione fosse stato quello di guadagnare
più denaro, sfruttando il successo di questo nuovo media. Il risultato fu
di pensare al giornalismo online come servizio in abbonamento. Una
decisione giustificata, considerando che, innanzitutto, i primi giornali in
rete dovevano necessariamente appoggiarsi a grossi provider, come
America OnLine, Compuserve e Prodigy, i quali offrivano loro una rete
privata di distribuzione ma si aggiudicavano fino all’80 per cento dei
proventi degli abbonamenti. Secondo la mancanza molto sentita della
pubblicità, che per la carta stampata rappresenta l’introito maggiore.
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Questa scelta rallentò molto la diffusione delle edizioni web, sia perché
il numero di persone disposte a pagare per dei contenuti già presenti
nei giornali tradizionali fu molto basso, sia perché, di fatto, l’offerta era
minima oltre che essere una semplice trasposizione quasi fotografica
dell’edizione cartacea, il servizio era lento e caotico, mancava
un’impaginazione adeguata e veniva meno il cosiddetto “effetto
mosaico”, ciò che consente al lettore di farsi un’idea iniziale sul
palinsesto e sui fatti più importanti trattati. Di nuovo però c’era la
presenza di un archivio, che consentiva di ricercare gli arretrati, e la
possibilità di interagire con i giornalisti, attraverso messaggi e
commenti.
Nel 1994 il numero di quotidiani e riviste passò a 35, e tra questi i
prestigiosi “Time”, “USA Today”, “The New York Times”, ma anche “The
New Republic”, “Wired” e “National Geographic”. A breve, anche il
“Washinton Post”, il “Chronicle” ed l’ “Examiner” di San Francisco
cavalcarono l’onda. “Nel 1996 si contavano già 1.300 giornali online,
stando alla contabilità dell’elenco Newslink dell’ “American Journalism
Review”, per arrivare agli oltre 3.100 del 2000”
1
. Nello stesso anno, il
primo giornale che iniziò quest’avventura senza il supporto di alcun
provider fu il “News & Observer”, presentato al popolo di internet
come un giornale tradizionale, con sezioni ed articoli, ed è importate
citarlo poiché il suo direttore, Josephus Daniels, fu uno dei primi ad
introdurre nella sua redazione corsi di computer e navigazione in rete.
Egli comprese subito la necessità di un’ alfabetizzazione informatica per
il giornalista del futuro.
1
P. COOPER, Newspapers of the Future: Online Newspapers, introduzione ai media interattivi per il
corso del professor Samuel Ebersole, 9 dicembre 1998 in R. STAGLIANÒ, Giornalismo 2.0, Roma,
Carocci, 2003, p. 20.
9
Negli anni successivi alcuni esempi innovativi segnarono il percorso del
giornalismo online, come il caso “Salon” , la prima vera webzine, rivista
nata specificatamente per il web, e lanciata dal giornalista David Talbot,
precedentemente caposervizio al “San Francisco Examiner”. Ma anche
“HotWired”, che per primo ha introdotto la pratica del banner, lo
spazio pubblicitario online per eccellenza, che fece gola a tanti
inserzionisti dell’epoca, consentendo al sito lo scettro di Best Digital
Magazine dell’anno
2
. Oggi la presenza del banner è una costante in
questo tipo di mercato, e resta l’unica vera fonte economica dei
giornali online. Infatti, come detto, gli esperimenti dei prestigiosi “Wall
Street Journal” e “New York Times” di presentare contenuti, anche
personalizzati, a pagamento, vennero abbandonati dopo poco tempo. A
conti fatti, negli USA, Nel biennio 1997-98 il bilancio generale era
quello, in crescendo, di una grande presenza in rete di giornali, circa
2544 testate
3
, senza però profitti.
Nello stesso periodo, anche il giornalismo italiano scopre la rete. Le
prime testate furono “L’Unità” di Walter Veltroni, e “L’Unione Sarda”
dell’editore Nichi Grauso. Quest’ultimo costituisce un ambizioso
esempio di primo vero sfruttamento del mezzo. Grauso, infatti, oltre
aver promosso la testata oltreoceano, assunse soggetti specializzati per
la versione elettronica, incitando una trattazione multimediale delle
notizie, in una “sperimentazione degna dell’esperienza statunitense”
4
.
Il giornale restava comunque rinchiuso a livello regionale, e questo
tagliò le gambe al progetto.
Tra i “grandi” del giornalismo italiano, poche testate seppero realmente
creare prodotti nuovi. “Corriere della Sera”, “Stampa” e “Il Sole 24
2
R. STAGLIANÒ, Giornalismo 2.0, Roma, Carocci, 2003, p. 24.
3
http://spazioweb.inwind.it/giornalismo/origini.html
4
R. STAGLIANÒ, Giornalismo 2.0, Roma, Carocci, 2003, p. 28.
10
Ore”, ad esempio,si limitarono ad un’ operazione di repurposing, una
scarsa riproposizione degli stessi contenuti del prodotto cartaceo,
senza troppe ambizioni. Solo “Il Manifesto” e “la Repubblica”
realizzarono edizioni online leggermente più specifiche, con archivi,
ricerche per parole chiave, e la costituzione di una redazione a sé
stante, che si occupava esclusivamente delle edizioni Internet.
Anche nelle altre nazioni europee il percorso fu a grandi linee lo stesso.
In Germania, l’online veniva sfruttato maggiormente dai giornali
economici, soprattutto per le esigenze degli stessi azionisti ad avere
informazioni veloci ed in tempo reale per investire.
Il mondo del giornalismo, quindi, sembra aver avuto non poche
difficoltà di gestione ed utilizzo delle grandi potenzialità del web. La
novità del linguaggio e le necessarie conoscenze specifiche e tecniche
richieste ai giornalisti, ma anche un pubblico ancora strettamente
legato al modo tradizionale di fare informazione, rallentarono
enormemente il momento dello sviluppo della rete come mezzo di
comunicazione di massa. Il cambio di registro, in questo senso, avvenne
grazie a degli eventi di cronaca, che segnarono il predominio di Internet
nel campo dell’informazione, come d’altronde l’assassinio di Kennedy o
la Guerra del Golfo fecero della televisione il media nazionale negli Stati
Uniti. Tra gli eventi ricordiamo il terremoto di Los Angeles: ”Quando
nel gennaio 1994 un utente di Prodigy utilizzò il suo modem senza fili
per diffondere in rete la notizia del terremoto di Los Angeles ben prima
che CNN e l’Associated Press riuscissero a lanciare i loro dispacci –
afferma il critico dei media Jon Katz – un nuovo medium era nato.”
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Cosi anche l’attentato all’ Oklahoma Building nel 1995, e la missione su
5
KATZ, Online or Not, Newspapers Suck, cit. in R. STAGLIANÒ, Giornalismo 2.0, Roma, Carocci,
2003, p. 31