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1. LA FENOMENOLOGIA DI EDMUND HUSSERL.
All’inizio del ‘900 vari movimenti filosofico-culturali hanno evidenziato i limiti del
positivismo, accusando questo movimento di eccessivo schematismo ed astrattismo oltre che
di una forte estraneità rispetto alle problematiche più profondamente umanistiche. In effetti,
dalla fondazione razionale di scienze come l'economia, la sociologia e la psicologia si stava
ormai decisamente passando all'organizzazione tecnica dell'economia, della convivenza
umana e del comportamento psicologico. Il passaggio dalla scienza alla tecnica, avvertito
positivamente quando si trattava di ottenere il dominio della natura fisica e biologica da parte
dell’uomo, fu progressivamente considerato come una minaccia, cioè come mezzo di dominio
dell’uomo sull’altro uomo. Di qui l'esigenza di mettere in discussione il concetto di ragione
scientifica, una ragione che per molti era incapace di cogliere l'originalità dell'esistenza
umana nella sua individualità e libertà. Ne la crisi delle scienze europee e la fenomenologia
trascendentale, Edmund Husserl riconduce questa crisi al fatto che tutte le scienze hanno
voluto far trionfare una ragione tecnico-utilitaristica che ha condotto ad una riduzione
dell'uomo a semplice oggetto tra oggetti
2
. A suo avviso, solo con la riscoperta della ragione
2
A tal proposito, E. HUSSERL scrive: «L’esclusività con cui, nella seconda metà del XIX secolo, la
visione del mondo complessiva dell’uomo moderno accettò di venir determinata dalle scienze positive e
con cui si lasciò abbagliare dalla prosperity che ne derivava, significò un allontanamento da quei
problemi che sono decisivi per un’umanità autentica», in La crisi delle scienze europee e la
fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 37. Husserl si è interrogato a lungo sui
motivi del disagio delle scienze specialistiche arrivando alla conclusione che le scienze specialistiche
entrano in crisi quando perdono la loro finalità, cioè quando diventano troppo specialistiche. Già Max
Weber agli inizi del 900 sosteneva che il problema degli specialismi nasce quando finisce l’hegelismo,
dal momento che Hegel era convinto che la filosofia non fosse una scienza specialistica, bensì un sapere
assoluto. Hegel, infatti, è l’ultimo grande filosofo della tradizione a pensare che sia possibile un sapere in
senso assoluto. Con lui tramonta l’idea di una scienza universale capace di abbracciare tutto e gli ambiti
delle scienze si moltiplicano. Ogni scienza viene separata dall’altra in modo tale da elaborare in maniera
logica e coerente il suo contenuto senza occuparsi minimamente delle sue conseguenze. Il problema dello
scienziato è quello di conoscere la sua scienza e se è possibile progredire ulteriormente nella sua materia.
Che poi questo progredire sia utile o meno, questo alla scienza non interessa. Weber, inoltre, sostenendo
la distinzione tra conoscenza dei mezzi e conoscenza dei fini, considerava la conoscenza scientifica come
una conoscenza che elabora i mezzi per raggiungere un determinato fine, ma incapace di dire all’uomo
qual è lo scopo da raggiungere. In che cosa credere? In che cosa sperare? Questo la scienza non ce lo
dice. Per un ulteriore approfondimento sulla riflessione di M. WEBER intorno a questo tema si veda: La
scienza come professione - La politica come professione, Mondadori, Milano 2006. Alla luce di questo
contesto, a questo punto, è possibile comprendere meglio il senso della critica husserliana nei confronti
delle scienze oggettive e, in modo particolare, l’accusa di mostrare la realtà senza attribuirgli un
significato, di concentrarsi sul come e non sul perché. Rispetto a questo problema, infatti, anche Husserl
scrive: «Nella miseria della nostra vita – si sente dire – questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude
di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale, nei nostri tempi
tormentati, si sente in balìa del destino; i problemi del senso o del non-senso dell’esistenza umana nel suo
complesso. Questi problemi nella loro generalità e nella loro necessità, non esigono forse, per tutti gli
4
filosofica l'uomo sarebbe diventato nuovamente soggetto di scienza e artefice della propria
storia. In tal modo Husserl, all’interno di questo panorama culturale che vede protagonista un
atteggiamento scientifico che non è più in grado di dare un senso alla vita, intuisce la gravità
di questa crisi e la fronteggia attraverso una rivendicazione della necessità di ritornare alle
cose stesse. La sua fenomenologia è esattamente questa pretesa di ritornare alle cose, un
tentativo di lasciarle parlare, cogliendo, nel loro dire, quegli aspetti che più interessano la
coscienza umana come i valori e le essenze. E’ un ritorno al fenomeno che insieme al suo
aspetto sensibile rivela contemporaneamente anche la propria essenza. Secondo Husserl,
infatti, le essenze delle cose non stanno oltre le cose, in una dimensione sovrasensibile che sta
oltre ciò che immediatamente ci è dato (come aveva insegnato Platone); al contrario, il
fenomeno si rivela immediatamente non solo per quello che appare ma per quello che
essenzialmente è. L’obiettivo è riuscire a vedere un particolare non come quel particolare
specifico e unico, ma riuscire a coglierlo nella sua esemplarità e universalità
3
. Husserl, come
ogni grande filosofo, fu capace di grandissima meraviglia di fronte ad una possibilità talmente
quotidiana da passare inosservata ma soprattutto non pensata veramente fino in fondo dopo
Platone e la disputa medioevale sugli universali. Incontrare individui in quanto esemplari, e
non in quanto individui. In ciò consiste il vedere eidetico, o essenziale
4
. Per accedere ad esso,
sulla base del mero vedere empirico, è necessario procedere attraverso un lavoro di epoché - o
riduzione fenomenologica
5
- mediante la quale si realizza la sospensione del ventaglio di
uomini, anche considerazioni generali e una soluzione razionalmente fondata? In definitiva così essi
concernono l’uomo nel suo comportamento di fronte al mondo circostante umano ed extra-umano,
l’uomo che deve liberamente scegliere, l’uomo che è libero di plasmare razionalmente se stesso e il
mondo che lo circonda. Cos’ha da dire questa scienza sulla ragione e sulla non-ragione, cos’ha da dire su
noi uomini in quanto soggetti di questa libertà?», ivi, pp. 37-38.
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Ad esempio, io ho davanti a me questa scrivania, ma non la considero nella sua particolarità, e cioè non
la considero come questa scrivania posta al centro di questa stanza, in questo determinato edificio,
piuttosto la considero come la scrivania in generale, cioè come esemplare di un tipo (come modello di
tutte le scrivanie). Io colgo nella scrivania che sta di fronte a me quelle caratteristiche universali e
invarianti che ogni scrivania deve possedere per poter essere definita come tale (vale a dire un piano
orizzontale e dei piedi di appoggio). Detto ancora in altri termini, io designo questa specifica scrivania
come modello universale a partire dal quale io posso chiamare scrivania ogni altro oggetto composto da
un piano orizzontale che poggia su piedi di appoggio, indipendentemente da tutte quelle caratteristiche
secondarie e variabili che ogni specifica scrivania può possedere, ad esempio il materiale con cui è stata
fabbricata, la qualità del legno ma anche semplicemente il luogo in cui può essere posizionata. Questo
modo di procedere è uniforme e costante nelle analisi husserliane dal momento che anche quando il
fenomenologo riflette sull’io e sulla natura del corpo, il suo scopo è scorgere esclusivamente la struttura
universale e invariante in base alla quale è possibile definire l’io come tale restando, tuttavia, sempre al di
fuori del suo vissuto esperienziale.
4
Cfr., DE MONTICELLI R., L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano 2003, pp. 33-
40.
5
A questo proposito, E. HUSSERL scrive: «[…]occorre un’epoché da qualsiasi assunzione delle nozioni
delle scienze obiettive, un’epoché da qualsiasi presa di posizione critica attorno alla verità o alla falsità
della scienza, un’epoché persino dalla sua idea direttiva, dall’idea di una conoscenza obiettiva del mondo.
In breve: noi operiamo l’epoché rispetto a tutti gli interessi teoretici obiettivi, rispetto a tutte le finalità e
5
informazioni, azioni, pregiudizi e giudizi positivi o negativi che accompagna la nostra
percezione delle cose nel mondo. Tale sospensione impone una modificazione del nostro
atteggiamento naturale in modo da lasciar emergere le cose nel loro puro apparire. Il pensiero
fenomenologico, nella sua «continua aspirazione alla chiarezza assoluta e alla completezza
sistematica»
6
, ha sognato di «[realizzare] una filosofia della ragione che doveva soddisfare le
esigenze di rigorosa scientificità, di suprema chiarezza, di ordinata perspicuità e la pretesa di
fondazione ultima»
7
. La ricerca appassionata e tormentata di questa chiarezza, di questo
ordine razionale del tutto che caratterizzò l’esperienza personale oltre che quella filosofica di
Husserl, ha fatto in modo che la fenomenologia si concentrasse sulla sola individuazione di
dati oggettivi, saldi, e assolutamente indubbi al pari delle verità matematiche o dei teoremi
della geometria. L’esigenza continua di chiarezza e di oggettività derivava dall’influenza che
le scienze matematiche e geometriche avevano esercitato sulla sua formazione e proprio
questo bisogno condusse Husserl a ricercare ogni volta, attraverso ragionamenti solo in
apparenza astratti (derivanti dai continui atti di riduzione fenomenologica), quelle strutture
oggettive e invarianti mediante le quali si danno universalmente l’io, l’altro, lo spazio e così
via. Perseguendo costantemente l’obiettivo di critica e superamento della prospettiva
empirista e di quella intellettualista, Husserl ha sostituito la dicotomia classica soggetto-
oggetto con la relazione Io, Altro, mondo. Il loro rapporto non va pensato nel senso di una
giustapposizione reciproca (secondo un andamento per cui al momento dell’io seguirebbe
quello dell’altro e poi ancora quello del mondo come momento finale separato dall’io e
alle azioni che assumiamo e compiamo in quanto scienziati o in quanto soltanto uomini avidi di
sapere[…]», La crisi…, cit., p. 164. Per un ulteriore approfondimento del significato della riduzione
fenomenologica è possibile consultare on-line questo testo di DE MONTICELLI R., La fenomenologia come
metodo di ricerca filosofica e la sua attualità, documento digitale, U. R. L.:
http://www.swif.uniba.it/lei/pdf/biblioteca/readings/fenomenologia_SWIF.pdf. In questo testo, oltre a
vari esempi particolarmente efficaci, si trova questa spiegazione dell’epoché: «Questa sospensione (la
famosa epoché) consiste in una messa fuori gioco sistematica non soltanto delle nostre risposte attive, ma
di conseguenza e indissociabilmente di tutta quell’informazione relativa alle cose che si attiva con le
nostre risposte, e che va oltre i limiti di ciò che è veramente dato (fenomeno). Questa mossa corrisponde
fra l’altro a “mettere fra parentesi” praticamente tutta la scienza empirica esistente che riguarda quel tipo
di cose. Mettere fra parentesi o fuori gioco la conoscenza corrispondente non significa, ancora una volta,
mettere in dubbio o addirittura negare (perché, poi?) le proposizioni in cui questa conoscenza empirica
consiste, ma semplicemente evitare di farne uso nella descrizione fenomenologica dell’oggetto in
questione, che è la prima fase di ogni ricerca secondo questo metodo». Per approfondire la comprensione
del metodo fenomenologico si vedano anche altri testi della stessa autrice: DE MONTICELLI R., Nulla
appare invano – Pause di filosofia, Baldini Castaldi, Milano 2006; L’ascesi filosofica, Feltrinelli, Milano
1995; La conoscenza personale. Introduzione alla fenomenologia, Guerini e associati, Milano 1998;
L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano 2003. Altri testi introduttivi allo studio
della fenomenologia sono: COSTA V., Lo sviluppo della riduzione fenomenologica. Dalla ‘Filosofia
dell’aritmetica’ a ‘Ideen’, in «Rivista di Filosofia neoscolastica», (86) 1994, n. 3, pp. 506-572 ;
LANFREDINI R., Husserl. La teoria dell’intenzionalità: atto, contenuto e oggetto, Laterza, Roma-Bari
1995; FRANZINI E., Introduzione tematica al pensiero di Husserl, Franco Angeli, Milano 1991.
6
WETZ F. J., Husserl, Il Mulino, Bologna 2003, p. 8.
7
Ivi, p. 13.
6
dall’altro); piuttosto questi tre momenti vanno immaginati come punti differenti di un unico
cerchio all’interno del quale, ciascuno di essi si costituisce in virtù della relazione che lo lega
a quello precedente e contemporaneamente a quello successivo.
Secondo la nostra esposizione i concetti di io-noi sono relativi: l’io richiede il tu, il noi e
l’altro. Inoltre l’io come persona richiede una relazione con un mondo di cose. Per cui io,
noi, il mondo siamo in un’inerenza reciproca[…]
8
.
L’ego infatti, irriducibilmente legato ad un corpo vivo, distingue all’interno del proprio
campo percettivo l’alter ego e lo riconosce come suo analogo perché anch’esso è legato ad un
corpo vivo. In tal modo, rispecchiandosi in lui (senza mai identificarsi del tutto), l’ego
conosce se stesso nel modo in cui appare agli occhi di un altro, e viceversa. Successivamente,
scambiandosi di posto con l’altro - possibilità che l’ego realizza attraverso l’empatia -, si
immette nella sua stessa visione prospettica (senza che questa sia mai del tutto identica alla
sua) all’interno della quale, confrontando la propria esperienza con quella dell’alter ego e
verificando la reciproca concordanza di queste, approda alla consapevolezza dell’esistenza di
una stessa Natura che - a questo punto - conosce come oggettivamente esistente.
8
HUSSERL E., Ideen zu einer reinen Phäenomenologie und phäenomenologischen Philosophie II, Kluwer-
Nijhoff, Dordrecht, 1976; ed. it, Id., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica II, a
cura di E. Franzini, A. Mondadori Editore 2008, p. 719.
7
1.1 IL TEMA DELL’ EINFÜHLUNG NELLA FILOSOFIA DI EDMUND HUSSERL.
Il primo nodo problematico da sciogliere riguarda la relazione inscindibile tra l’ego e il corpo.
Nella lingua italiana con la parola corpo intendiamo l’organismo che costituisce la struttura
fisica dell’uomo e degli animali; in quella tedesca, invece, le cose si complicano dal momento
che esistono due termini per dire quello che noi genericamente denominiamo ‘corpo’. Il
corpo, infatti, traduce sia ‘Körper’ che ‘Leib’ i quali, a loro volta, rimandano a due differenti
significati che Husserl evidenzia in diversi momenti della sua opera. Si tratta della differenza
tra il corpo oggetto, quello che viene chiamato in tedesco Körper, rispetto al corpo proprio,
che in tedesco si dice Leib. Questi due significati, lungi dal poter essere semplicemente
separati si intrecciano per portare il corpo ad essere qualcosa di ambiguo. Il corpo è
contemporaneamente cosa, nel senso classico di oggetto (Körper), ma è anche qualche cosa di
mio, e di mio non nel senso che mi appartiene ma, più precisamente, di qualcosa che io sono
(Leib). In realtà io sono un Leib e possiedo un Körper
9
. Muovendosi all’interno del senso
genetico della fenomenologia
10
, Husserl scopre il Leib come quell’esperienza che viene
9
Per un ulteriore approfondimento sulla differenza tra Körper e Leib si veda anche J-L. PETIT, La spazialità originaria
del corpo proprio, in M. CAPPUCCIO, Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, Mondadori, Milano
2006, pp. 163-191.
10
Per la distinzione tra il senso ‘statico’ e ‘genetico’ della fenomenologia, rimando alla riflessione di COSTA V.,
L’estetica trascendentale fenomenologica. Sensibilità e razionalità nel pensiero di Edmund Husserl, Vita e
Pensiero, Milano 1999, pp. 27-33. Anche J. Derrida ha riflettuto molto sul significato di ‘genesi’ nel pensiero di
Husserl sostenendo grossomodo che l’attributo ‘genetico’ possiede un doppio significato. La genesi, infatti, può
essere intesa sia nel senso di origine, quindi in questo caso la fenomenologia genetica sarebbe il tentativo di
ritorno all’origine della percezione, quindi all’origine dell’oggettività, a quell’istanza irriducibile all’istanza
precedente, semplicemente perché non vi è un’istanza precedente; ma la genesi ha anche un altro significato che
sta nel suo divenire dal momento che ogni genesi è prodotta da altro da sé, portata da un passato e orientata verso
un futuro. Nel momento in cui il tema genetico rinvia all’idea di un’origine assoluta, di un fondamento
incondizionato, conferma il motivo trascendentale che a sua volta consiste nel risalire alle fonti ultime di ogni
conoscenza. Ma nella sua attuazione pratica, come ha ben sottolienato Derrida, questo progetto di ritorno al
fondamento originario si scontra con il fatto che “[…]una fenomenologia genetica, per pretendere dignità
filosofica deve raggiungere questo fondamento incondizionato; ma per essere autenticamente genetica e
fenomenologica, essa deve anche descrivere, senza snaturarla, la condizionalità del fondamento; ossia descrivere
la scaturigine dei significati nel divenire dell’esperienza, concepita nel senso più ampio e più originario come
includente l’esperienza del fondamento stesso. Si scorge l’immensa difficoltà che è propria di una genesi
trascendentale: il fondamento assoluto stesso deve essere descritto nella sua apparizione genetica”, in Il
problema della genesi nella filosofia di Husserl, Jaca book, Milano 1992, p. 45. Sostanzialmente questo ritorno
alla genesi intesa come origine si va a scontrare secondo Derrida con l’altro significato di genesi che è legato al
divenire e alla consapevolezza che non vi è un presente vivente assolutamente nuovo secondo Husserl, ma che
ogni vissuto presente non è altro che la ripresentazione sotto un’aspetto diverso di uno stato o di un vissuto
passato. Di conseguenza, pur ammettendo la possibilità di un ritorno ad un fondamento incondizionato per
mezzo della fenomenologia, una volta raggiunto come lo descriverebbe? Una volta raggiunto non faremmo altro
che parlarne con il linguaggio che utilizziamo che è storicamente e quindi temporalmente costituito; e allora è il
linguaggio stesso, con il carico di significati che rivestono le sue parole che rappresenta il primo insormontabile
ostacolo alla descrizione di un fondamento incondizionato. Perché nel descriverlo utilizzeremmo il nostro
linguaggio fatto di concetti e parole che già portano con sé una determinata rappresentazione del mondo. Per cui
è come parlare di un ritorno ad un fondamento originario dell’oggettività a partire da una visione inevitabilmente
già data di questa stessa oggettività. Derrida mette in evidenza il fatto che pur raggiungendo questo fondamento
8
isolata o individuata dopo successivi atti di riduzione fenomenologica. Nella sfera di ciò che
mi appartiene «tra i corpi di quella che chiamiamo mera natura colti in modo appartentivo io
trovo poi il mio corpo nella sua peculiarità unica, cioè come unico a non essere mero corpo
fisico [Körper] ma proprio corpo organico [Leib], oggetto unico entro il mio strato astrattivo
del mondo […] questo corpo è la sola e unica cosa in cui io direttamente governo e impero,
dominando singolarmente in ciascuno dei suoi organi […]»
11
. Pensando il Leib come «latore
di sensazioni localizzate, come realtà cinestetica e tattile, ma anche organo di volizione
[…]»
12
, come un composto di facoltà insieme psichiche e somatiche, Husserl ne ha fatto il
veicolo della percezione. «Il corpo vivo [Leib] è il mezzo di qualsiasi percezione […]. In tutte
le ostentazioni fornite dalla percezione (esperienza) è presente il corpo vivo […] e perciò che,
in virtù di questo fondamento originario, qualsiasi cosa, qualsiasi realtà del mondo circostante
dell’io ha una propria relazione con il corpo proprio»
13
. In breve, secondo Husserl, il Leib è
quel punto di contatto irriducibile e genetico che lega l’uomo al mondo e, in quanto tale, «[…]
assume un particolare significato per la costruzione del mondo»
14
. Infatti, l’ego percepisce il
mondo (e quindi vede, sente, tocca, ode i fenomeni del mondo) sempre a partire da una
determinata prospettiva, che è quel ‘punto zero’ occupato dal corpo proprio.
[…]ogni io ha un suo ambito percettivo cosale, e necessariamente percepisce le cose
secondo una certa orientazione. Le cose si manifestano e si manifestano da questo o da
quel lato, in questo modo di manifestazione è fatalmente implicita la relazione con un qui
e con le sue direzioni fondamentali. […]Ora per il proprio io il corpo vivo ha un posto
privilegiato, determinato dal fatto di portare in sé il punto zero di tutte queste
orientazioni. […]Così tutte le cose del mondo circostante hanno una loro orientazione
rispetto al corpo, così come tutte le espressioni dell’orientazione portano con sé questa
relazione […]
15
.
Ad ogni io - spiega Husserl - corrisponde un determinato campo percettivo che questo io
conosce a partire dalla posizione occupata dal proprio Leib. Percepire le cose a partire da
questo ‘punto zero’ significa dire che le cose stesse occupano un determinato posto e
incondizionato, sarebbe comunque impossibile descrivelo perché la sua purezza sarebbe contaminata
dall’artificio linguistico (e del pensiero intrinsecamente connesso ad esso). Ma al di là del problema legato al
linguaggio che Derrida mette in evidenza; nella riflessione husserliana la genesi è contemporaneamente
l’origine, intesa come fondamento incondizionato, e il divenire. Perché più che essere due significati separati in
realtà sono tenuti insieme da Husserl attraverso il concetto di io/monade La monade di cui parla Husserl, anziché
essere senza porte né finestre - come in Leibniz -, è aperta. Questa apertura ontologica, originaria dell’io, è
condizione di possibilità della costituzione, e quindi del divenire, degli altri e contemporaneamente del mondo.
11
HUSSERL E., Meditazioni cartesiane, Bompiani, Milano 1960, p. 119.
12
COSTA V.- FRANZINI E.- SPINICCI P., La fenomenologia, Einaudi, Torino 2002, p. 195.
13
HUSSERL E., Ideen…, cit., p. 493.
14
Ivi, p. 493.
15
Ivi, p. 592-593.
9
appaiono con specifiche caratteristiche che sono provocate dalla relazione che lega queste al
Leib. Ad esempio, posso dire che la lampada è vicina o lontana; ma la vicinanza o la
lontananza della lampada sono determinate dalla vicinanza o dalla lontananza della lampada
rispetto al corpo proprio. Lo stesso vale per la destra, la sinistra, l’alto o il basso. Ma la
posizione del corpo non influisce soltanto sulla percezione dell’ordinamento spaziale degli
oggetti che appartengono al suo campo percettivo, ma anche sulle loro caratteristiche. Infatti,
secondo Husserl, a qualsiasi costituzione di una cosalità spaziale partecipano necessariamente
due ordini di sensazioni che svolgono funzioni completamente diverse. Ci sono quelle
sensazioni che «costituiscono, mediante adombramenti, le corrispondenti note caratteristiche
della cosa»
16
. Se ad esempio osservo un qualsiasi oggetto che si trova nelle vicinanze di una
fonte di luce, non vi è dubbio che la mia visione dell’oggetto sarà condizionata da questa luce
e che quindi l’oggetto mi apparirà con una sfumatura di colorazione più chiara rispetto a
quanto accadrebbe in condizioni ‘normali’
17
. In sostanza la percezione di una determinata
sensazione di colore, di sapore, o di calore è costituita ed identificata nella cosa sempre in
riferimento al corpo vivo. Cioè noi abbiamo la sensazione del caldo rispetto al corpo vivo,
così come avvertiamo la ruvidezza di una superficie per mezzo del tatto (strumento percettivo
del corpo vivo) e addirittura le sensazioni di colore sono determinate dal corpo vivo, in base
alla posizione che questo occupa e alla gradazione di illuminazione che, da questa posizione,
investe l’oggetto percepito. A tal proposito, scrive Husserl: «Una stessa forma immutata
modifica il suo aspetto a seconda della sua posizione rispetto al corpo vivo […] uno stesso
16
Ivi, p. 493.
17
Secondo Husserl ci sono delle condizioni «normali» nella percezione di una cosa. Ma la sua idea è che questa
normalità si possa mettere facilmente in discussione. Se per esempio consideriamo normale, e quindi legittima,
la visione di una cosa alla luce naturale del sole (quindi senza l’intervento di altri corpi luminosi che ne possano
alterare il lume naturale) dovremmo comunque fare i conti con il fatto che la percezione visiva della cosa è ad
ogni modo soggetta a delle alterazioni. La prima alterazione normale è quella naturale data dall’alternarsi del
giorno e della notte che impedisce ad un soggetto di vedere una cosa sempre con la stessa luminosità. Al
contrario la cosa può rimanere immutata dal punto di vista della percezione tattile. Infatti, nonostante
l’alternanza tra giorno e notte, la superficie di una cosa resta la stessa. Husserl, inoltre problematizza il ritorno
alla cosa stessa e mette in evidenza le difficoltà di questo processo nel momento in cui si rende conto che la
percezione della cosa stessa, della sua oggettività può essere facilmente falsata da quelli che definisce medium
estranei. Ad esempio dice: «se mi metto davanti agli occhi un paio di occhiali colorati, tutto assume un colore
diverso. Se non sapessi dell’esistenza di questo medium, tutte le cose avrebbero per me questo colore. Ma appena
so per esperienza qualche cosa di questo medium, questo giudizio viene meno». La stessa cosa secondo Husserl
accade quando percepiamo una cosa avendo un’anomalia fisica. Lo strabismo non ci permette di cogliere la cosa
nella sua normalità, laddove la normalità della cosa è determinata dalla quantità di esperienze di uno o più
soggetti che convergono tra loro. In altre parole le esperienze che tra loro sono analoghe, si assomigliano
finiscono per coincidere e il loro numero contribuisce a delineare i caratteri oggettivi, o se preferiamo normali
della cosa. Quando mangiamo la santonina o ci mettiamo degli occhiali colorati noi crediamo che le cose stesse
siano quelle che vediamo attraverso il medium che è la santonina o, nel secondo caso, gli occhiali. Ma se
facciamo l’esperienza della visione di un mondo che ha una tonalità diversa rispetto a quella di cui è caricato per
mezzo degli occhiali colorati, allora «deve necessariamente prodursi una mutazione nell’apprensione, in virtù
della quale la modificazione vista perde il suo senso di motivazione e assume il carattere della “parvenza”», in
Ideen, cit., p. 499.
10
oggetto si manifesta a seconda della sua posizione rispetto a un corpo luminoso, con diversi
colori e ha diversi colori a seconda della sua posizione rispetto a corpi luminosi diversi»
18
. A
questo punto resta da chiedersi che cosa differenzia concretamente il Leib da tutte le altre cose
materiali. Husserl spiega che le altre cose non hanno la possibilità di spostarsi liberamente nel
mondo, mentre io ho la libertà di modificare, a piacimento, la mia posizione di fronte a esse e
perciò, insieme, di modificare come voglio le diverse manifestazioni attraverso le quali le
cose mi appaiono, a seconda del posto che occupo. Tuttavia l’ego non ha mai la possibilità di
allontanarsi dal Leib o di allontanare il Leib da lui. Per cui quello che per Husserl è il veicolo
della percezione contemporaneamente rappresenta un ostacolo alla percezione di sé stesso.
Bisogna, però, precisare che se è vero che il Leib non ha la possibilità di conoscersi come
Körper e, cioè, di rappresentarsi (nel senso di porre davanti a sé quell’oggetto particolare che
corrisponde al suo corpo materiale); è anche vero, però, che il Leib può vedere o sentire
‘parti’ del proprio Körper, ma mai può percepire (tantomeno rappresentarsi) ‘tutto’ l’oggetto
che corrisponde al suo stesso corpo. Infatti, per quanto riguarda la percezione visiva, alcune
parti del corpo sono visibili a partire da un peculiare scorcio prospettico, per cui alcune sono
perfettamente visibili (come le mani o le gambe); altre, invece, mi sono completamente
invisibili (come la testa); e se è vero che posso percepire la testa per mezzo di un’altra facoltà
percettiva, che è quella tattile, è anche vero che non potrò mai toccare con mano i meccanismi
neuronali che si sviluppano al suo interno. Il corpo vivo quindi è il ‘punto zero’ a partire dal
quale percepiamo il mondo, ma è contemporaneamente quel punto che resta sempre cieco a se
stesso. L’individuazione del corpo vivo come sostrato ultimo, fenomenologicamente
irriducibile nella sua appartenenza all’ego, rappresenta il punto di partenza per
l’identificazione e il riconoscimento dell’alter ego da parte dell’ego. Se, infatti, il corpo vivo è
ciò che indissolubilmente resta legato all’ego (anche dopo ripetute riduzioni), non c’è dubbio
che questa oggettività, fenomenologicamente individuata, non appartenga ad un solo ego, ma
a chiunque si percepisca, a partire dal proprio ‘punto zero’, come un ego. «E’ evidente come
l’apprensione del corpo vivo svolga un ruolo particolare per l’intersoggettività»
19
:
[…]Ammettendo che un altro uomo entri nel nostro dominio percettivo […] poiché in
questo mondo il corpo organico è in effetti l’unico corpo fisico che sia originariamente
costituito e che possa originariamente costituirsi come organico, ossia come organismo
funzionale, anche quell’altro corpo, che è pur compreso come organico, deve possedere il
senso di una trasposizione appercettiva proveniente dal mio corpo
20
.
18
Ivi, p. 494.
19
Ivi, p. 515.
20
HUSSERL E., Meditazioni cartesiane…., cit., p. 131.