7
L’attenzione si sofferma immediatamente sulla facilità con
cui il mezzo radiofonico riesce ad assorbire, facendoli propri,
gli ultimi ritrovati tecnologici (dal satellite al Dab) e sulla
naturale predisposizione all’incontro e all’integrazione con gli
altri media, la tv (soprattutto, via cavo) e il PC. Proprio la
prospettiva di una radio sempre più avanguardista e in
continuo dialogo con gli altri mezzi, fa sì che lo sguardo si
rivolga senza indugio all’esempio di Radio Deejay.
Il secondo capitolo introduce all’essenza dell’emittente:
tratta delle strade che ha scelto di intraprendere, dei tragitti
che per questo si è trovata a percorrere, lungo i quali è
entrata a contatto con eventi, che inevitabilmente, l’hanno
trasformata. Si parla, quindi, della storia della radio, di
vicende, ma anche di personaggi. Di tutti coloro che hanno
lavorato a e per Deejay, come conduttori, direttori artistici,
editori; ciascuno dei quali ha lasciato un segno, una traccia
della propria personalità che oggi si può ritrovare nel modo
di essere di Radio Deejay.
Un approccio più tecnico contraddistingue il terzo capitolo, il
quale illustra la strategia di marketing della radio; il cui
nodo centrale sta nella politica di marca, o di brand, che
lanciata già da Cecchetto, si è poi negli anni arricchita e
potenziata. La dimostrazione che il brand Deejay tende
sempre più ad imporsi, è dato sul piano visuale da un
logotipo che si accresce per dimensioni, tende ad
intensificare la sua presenza nel tempo e nello spazio, per
essere protagonista.
8
Si considera poi il posizionamento che Radio Deejay ha
conquistato nel mercato rispetto alle concorrenti e sulla base
delle sue scelte musicali e del target a cui ha deciso di
rivolgersi. Proprio agli ascoltatori si fa riferimento per capire
come l’identità di Deejay arriva al pubblico. L’immagine
percepita viene valutata qualitativamente, considerando le
associazioni e sensazione che la radio è in grado di suscitare
negli ascoltatori, e quantitativamente, guardando ai dati di
ascolto e di fedeltà, i migliori indicatori del gradimento che
una radio può avere.
Il quarto capitolo è un tuffo nella comunicazione Deejay. Si
chiarisce innanzi tutto il motivo per cui si è preferita
l’aggettivazione polimediale invece di multimediale; per poi
passare a considerare nel dettaglio le varie forme di
comunicazione. Da ciò che si comunica tramite Deejay, cioè
le inserzioni pubblicitarie che la radio o la tv (Deejay TV)
ospitano, alle forme di auto-promozione. Il modo attraverso
cui il brand Deejay comunica con l’esterno è analizzato
prendendo in esame ciascun canale: la discografia, la
stampa, le affissioni, la tv satellitare, Internet, gli eventi.
Una distinzione tra i diversi mezzi, che è funzionale a fini di
questa trattazione, in quanto contribuisce alla chiarezza
dell’esposizione, ma che non corrisponde alla realtà della
comunicazione di Radio Deejay, dove i mezzi si incontrano,
si sovrappongono, rimandando gli uni agli altri (per questo,
si parla di comunicazione polimediale). Tutti i veicoli si
uniscono in modo tale che l’immagine Deejay sia presente
con sempre maggiore frequenza nella vita degli individui,
moltiplicando le occasioni di contatto con il pubblico.
9
Infine vengono presentati i dati d’ascolto degli ultimi anni,
per dimostrare come, anche in termini numerici, la strategia
attuata da Radio Deejay sia vincente. In particolare l’ultimo
capitolo propone un approccio statistico al fenomeno,
mostrando le variazioni del trend d’ascolto in corrispondenza
di eventi cruciali nella storia della radio.
10
Capitolo I: La radio: ieri, oggi
e… domani
11
1.1 La Cenerentola radio ritorna
primadonna
«In radio puoi lavorare di fantasia e soprattutto far
lavorare la fantasia di chi ti ascolta. Tutto quello che
dici ha un significato, perché chi ti ascolta dispone
solo della tua voce e non viene distratto dalle
immagini. Se ami veramente la radio ti fa amare
tutto quello che non vedi»
1
.
«Solo la voce, la parola parlata può innescare la
stessa reazione emotiva. Quella voce, quella parola
che sono certamente presenti anche in TV, ma che
vengono inevitabilmente soffocate dal chiasso delle
immagini. Quella parola che, insieme agli effetti
sonori e alla musica, innesca la nostra fantasia, la
nostra creatività»
2
.
La radio può far sognare: si ascolta una canzone, una voce e
da lì si inizia a costruire delle immagini, si inizia a rendere
visibile “l’udito”, ad immaginare delle cose, cose che, però,
saranno diverse per ognuno, perché l’edificatore di queste
immagini è la fantasia.
Per più di quarant’anni, sembrava che si fosse dimenticata
la grande capacità evocativa della radio, il suo saper
emozionare.
1 Intervista a Rosario Fiorello in Paolo Del Forno e Francesco Perilli, La radio: …che
storia! , Bergamo, Laurus, 1997, pag. 8
2 Jannacone, Costantino, La radio: un medium vincente, Milano, Lupetti, 1996, pag. 9
12
Non si ricordava più che i marziani erano sbarcati sul nostro
pianeta, anche se solo su quello radiofonico, per opera di
Orson Welles; che una stazione radiofonica newyorkese nel
1975 aveva favorito la cattura di un rapinatore chiuso in una
banca con dieci ostaggi, mandandogli le canzoni del suo
cantante preferito, Bob Dylan
3
; che Hitler, utilizzando
questa “piccola scatola”, era riuscito a muovere l’odio di un
popolo intero.
In Italia questo oblio ha una data di inizio: il 3 febbraio
1954, quando viene mandata in onda la prima trasmissione
televisiva.
Nasce la TV e non si tratta solo della nascita di un nuovo
mezzo di comunicazione, ma di una vera e propria
rivoluzione culturale, destinata a modificare radicalmente i
consumi culturali degli italiani e a condizionare la gestione
del loro tempo libero.
Per anni il pubblico aveva dovuto “inseguire” i film, le
immagini in movimento: fisicamente, recandosi in un luogo
preciso, il cinema (là dove c’era, perché molti paesi, i più
piccoli, i più poveri, ne erano sprovvisti); psicologicamente,
per “vedere” bisognava pagare, e non tutti, visti i tempi,
potevano permetterselo. Niente più spostamenti, ora è il
film, l’immagine, che va verso lo spettatore, lo incontra nel
focolare domestico, per un consumo che diventa accessibile
a molti.
3 Sartori, Carlo, "Un medium di qualità nell'era della tv" da Abruzzese A., Monteleone F.,
La radio che non c'è, Roma, Donzelli, 1994, pag. 31
13
La TV arriva nelle case e subito ne diventa padrona: è lei
ora a «troneggiare nel salotto di casa»
4
, laddove prima,
poco prima, vi era la radio. Oramai gli italiani non si
accontentano più solo di ascoltare, ma vogliono anche
vedere chi parla loro.
Gli anni ’50 celebrano la vittoria dell’immagine e
dell’immagine in movimento.
Il nuovo clima culturale mette in evidenza tutta la
manchevolezza del mezzo radio: non è nient’altro che «TV
senza immagini»
5
, relegata a rivestire il ruolo di «sorella
povera»
6
, e ad essere nostalgicamente ricordata come la
«Grande Nonna Cieca»
7
.
La radio spodestata sembrava avviata ad una funzione
definitivamente marginale; in Italia e in tutta Europa vi fu
un vertiginoso calo degli abbonamenti e dell’ascolto
radiofonico insieme e, cosa di rilevante importanza, gli
investimenti diminuirono rapidamente
8
. I big spender
iniziarono ad indirizzare tutte le loro risorse verso la TV
nascente.
Gran parte della responsabilità per la situazione va attribuita
alla RAI e alla politica di gestione aziendale da questa
attuata. Accecata dalle enormi potenzialità che il nuovo
mezzo presentava, non ha fatto davvero nulla per difendere
4
Sartori, Carlo, op. cit., pag. 33
5
Monteleone, Franco, "Un secolo di voci e suoni" da Cento anni di radio: da Marconi al
futuro delle telecomunicazioni, (a cura di Janniello M.G., Monteleone F., Paoloni G.)
Venezia, Marsilio, 1995, pag. 67
6
ibidem
7
Smargiassi, Michele, “Cento anni e non li dimostra i miracoli della vecchia radio” in La
Repubblica, 6 dicembre 2001
8
Sartori, Carlo, op. cit., pag. 33
14
il proprio prodotto radiofonico
9
, dimenticando 40 anni di
grandi successi, dimenticando che per tutti quegli anni la
radio era stato l’unico “collante” unificante di un’Italia fatta
di mille paesini e di altrettanti dialetti, l’unico mezzo in
grado di costruire un’identità nazionale.
Proprio quando la radio appariva destinata ad un inevitabile
tramonto, a cedere il testimone al “mezzo con le immagini”,
vi fu un’importante scoperta, l’invenzione del transistor, da
parte dei laboratori americani della Bell Thelephone.
Minuscoli semiconduttori sostituiscono le ingombranti
valvole termoioniche; il “radiofonico”, prima imbrigliato
nell’invadente mobile da salotto, ora è libero di correre
ovunque. Arriva nelle camere da letto, fa compagnia alle
casalinghe in cucina, si può ascoltare in ufficio e persino in
auto (autoradio): si apre l’orizzonte della portabilità (il
mezzo si riduce per dimensione e può essere trasportato).
Ma la rivoluzione tecnologica ne porta con sé una culturale.
La radio prende coscienza di aver perso definitivamente la
funzione di “medium sociale”, capace di raccogliere intorno
a sé e intrattenere l’intero nucleo familiare. Oggi è la TV il
mezzo di globalizzante ricezione familiare, quello che ha
conquistato lo spazio del “domestico”.
9
Gamaleri, Giampiero, La galassia dei media, Roma, Kappa, 2001 pag. 158
15
La miniaturizzazione apre le porte ad un consumo
alternativo del mezzo, quello interstiziale e intimistico. Di
fronte ad una TV percepita come il
«soggetto dominante e in posizione di leadership, la
radio è vissuta come un mezzo collaborativo e
adattabile, con cui è possibile avere un rapporto
rilassato e non conflittuale»
10
.
La radio parla solo a me, la televisione a tutti.
E’ nata, quindi, una nuova radio: la radio totalizzante e,
talvolta, totalitaria (si pensi al fascismo) ha ceduto il passo
ad una radio capace di essere sì compagna, ma in modo
discreto, perché come diceva Mcluhan: ascoltare la radio è
«un’esperienza privata»
11
.
L’instaurarsi di un nuovo rapporto fra mezzo e pubblico è
strettamente legato ai cambiamenti valoriali che investono
la società negli stessi anni e da cui emerge una prepotente
esigenza di individualità.
Vi erano stati tempi in cui la scarsità di risorse aveva
imposto come valore primario quello della “comunanza”,
mettere in comune tutto ciò di cui si disponeva. Ora migliori
condizioni di vita facevano venir meno la condivisione
familiare di abitudini, usi e consumi. Il consumismo se da un
lato si rivolge all’intero nucleo familiare, dall’altro lo travolge
e punta a far emergere consumi individuali
12
. Da questo
punto di vista trova terreno fertile in una nuova generazione
10
Fenati, Barbara, “Pubblico e formati della radio in Italia”, in Problemi dell’informazione
n. 2 (giugno 1993)
11
Mcluhan, Marshall, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il saggiatore, 1967, pag. 318
12
Menduni, Enrico, Il mondo della radio dal transistor ad Internet, Bologna, il Mulino,
2001, pagg. 18-19
16
che sente impellente la necessità di emanciparsi dai valori e
dai condizionamenti familiari e che, in casa, si costruisce la
sua “oasi” di libertà nella propria camera da letto. Là, tra i
poster dei divi e il giradischi, è immancabile l’apparecchio
radio.
Si afferma, dunque, un tipo di consumo personale che però
non degenera nell’isolamento
13
.
L’adolescente che ascolta la radio nella propria camera cerca
una fuga dalle regole e i vincoli imposti dai genitori, ma allo
stesso tempo pone all’emittente radiofonica una precisa
richiesta di identità: la trasmissione di valori e stili di vita
che lo facciano sentire parte di un gruppo, il gruppo dei pari,
di quei ragazzi che “vivono” e “sentono” ciò che lui “vive” e
“sente”. Per questi giovani la fruizione del mezzo significa
ascoltare la radio da soli per far parte di un comunità che ha
scelto e sceglie ogni giorno, come proprio leader, un disk-
jockey.
Non solo dai teen-ager, del resto, ma da tutti viene posta
questa richiesta alla radio: assolvere una funzione
identitaria
14
. Ciò che non si può chiedere alla TV, un “mezzo
freddo” e per sua natura generalista, lo si chiede alla radio,
il “mezzo caldo”
15
per eccellenza. Creare
13
Menduni, Enrico, Il mondo della radio dal transistor ad Internet, op. cit., pag. 63
14
Menduni, Enrico, Il mondo della radio dal transistor ad Internet, op. cit., pag. 61
15
Mcluhan, Marshall, op. cit., pag. 31
E’ caldo il mezzo che "estende un unico senso fino a un’alta definizione: fino allo stato,
cioè, in cui si è abbondantemente colmi di dati". Attraverso il medium freddo, invece, "si
riceve una scarsa quantità d’informazioni, e altrettanto dicasi, ovviamente, di ogni
espressione orale rientrante nel discorso in genere perché offre poco ed esige un grosso
contributo da parte dell’ascoltatore. Viceversa i media caldi non lasciano molto spazio che
il pubblico debba colmare o completare; comportano perciò una limitata partecipazione,
mentre i media freddi implicano un alto grado di partecipazione o di completamento da
parte del pubblico".
17
«una comunità di adesione e di riconoscimento che
può essere anche temporanea, perfino della durata di
una sola sessione di ascolto, una comunità senza
membership e senza pagamento di quote, tessere e
bollini, senza un momento vero e proprio di
accettazione del nuovo arrivato, senza attività sociali
e tenui riti di ingresso se non l’atto unilaterale di
accendere la radio»
16
.
Si affianca a questa richiesta quella di generare delle tribù, o
meglio dei “tamburi tribali” (tribal drum)
17
, come amava
definirli Mcluhan, ma tribù tutte diverse le une dalle altre,
perché diversi sono i loro totem. Tribù che ascoltano la
stessa musica, altre che condividono un’identità culturale o
politica, altre nate attorno ad una stessa località geografica,
tribù, infine, che parlano uno stesso slang e hanno gli stessi
consumi culturali.
Così sono nati i rocchettari, ed è nata la generazione dei figli
dei fiori. La radio ha dato voce, verso la fine degli anni ’60, a
idee politiche e ideali di vita alternativi e fortemente
osteggiati dal modo di pensare dominante e che non
trovavano altri canali di comunicazione. Ha aperto i
microfoni e fatto ascoltare a tutti i fermenti di un’epoca,
creando attorno alla radio uno spirito, che qualche anno
dopo nel 1976, ha portato alla liberalizzazione dell’etere
18
.
16
Menduni, Enrico, Il mondo della radio dal transistor ad Internet, op. cit., pag. 61
17
Mcluhan, Marshall, op. cit., pag. 316
18
La sentenza n. 202 della Corte Costituzionale riconosce il diritto di radiodiffusione ma
solo per trasmissioni effettuate in ambito locale. Tale decreto segnò, di fatto, la fine del
monopolio RAI e l’affermazione di un modello di tipo misto pubblico-privato.
18
Nascono le radio libere (denominazione prettamente
italiana), nasce una radio libera.
Il pubblico ancora oggi, anzi soprattutto oggi, di fronte a
emittenti con una personalità sempre più marcata, cerca
identificazione in termini di stili, gusti, bisogni; si specchia in
una stazione, nei suoi contenuti, nei suoi speaker, per avere
conferma del proprio io.
Dal canto suo la radio risponde a tale bisogno con la
segmentazione.
Non più un’offerta indifferenziata, così come quella
televisiva, ma un’offerta mirata a target diversi per età,
sesso, livello socio-professionale e culturale e per stili di
vita. In un’ottica sempre più imprenditoriale che pervade il
pianeta radio, la priorità viene attribuita ad un’offerta
capace di incontrare la domanda, di parlare all’ascoltatore,
al singolo ascoltatore, come se lui fosse il suo unico
pubblico, e come se quella stazione radiofonica avesse, quel
giorno, iniziato a trasmettere solo per lui.
La radio si inizia a porre il problema dei formati e dei
palinsesti: diventa un mezzo a “target”
19
.
Tutto ciò non sarebbe stato possibile se non fossero stati
introdotti dei parametri di misurazione accurati e completi
del fenomeno ascolto.
Chi ascolta la radio, quale tipo di radio ascolta, come e dove
ascolta, quando, quanto e soprattutto perché sceglie quella
data emittente? A tutte queste domande ha dato risposta, a
partire dal 1988, Audiradio, un’indagine che fornisce la
19
Zucchelli, Piero, "Un pubblico in ascolto" da Cento anni di radio: da Marconi al futuro
delle telecomunicazioni, op. cit., pag. 71
19
stima degli ascoltatori e il loro profilo socio-demografico
20
.
Senza Audiradio non ci sarebbe oggi una radio
targhettizzata.
Gli ascoltatori, di certo, sembrano apprezzare una tale
gestione dell’offerta: ad una radio fatta di palinsesti sempre
più personalizzati, il pubblico promette fedeltà: la
fidelizzazione alle singole emittenti raggiunge livelli superiori
a quelli di ciascun altro mezzo. Lo zapping radiofonico è
pressoché inesistente, ognuno ha la sua radio
21
.
Incontrando il transistor, la radio è diventata compagna
delle nostre attività quotidiane; il pubblico le ha chiesto
identità, lei ha creato tribù; la radio ha offerto programmi a
target, l’ascoltatore le ha giurato fedeltà.
Sono questi i fattori (accanto alla crescita degli investimenti
pubblicitari, di cui si tratterà ampiamente nel prossimo
paragrafo) che hanno riportato alla ribalta il mezzo
radiofonico. E i numeri lo dimostrano!
20
Audiradio nasce nel 1988 come organismo associativo su iniziativa dell’UPA. Nel 1996
diventa una S.r.l. i cui soci sono: SIPRA, UPA, RAI, RADIO E RETI, SPER, UNICOM,
ASSOCOMUNICAZIONE, ASSOMEDIA.
Il presidente è Felice Lioy.
Durante l’anno vengono realizzate quattro tornate di indagini telefoniche su base
campionaria: due tra febbraio e giugno e due tra settembre e dicembre.
21
Menduni, Enrico, “Ragazzi buttiamoci sull’onda” in L’Espresso, 9 agosto 2001
20
Anno Ascolto medio
1990 26.120
1991 29.844
1992 30.981
1993 33.051
1994 33.749
1995 33.788
1996 34.845
1997 35.244
1998 35.523
1999 34.471
2000 36.084
2001 34.998
2002 35.425
Fonte Audiradio
Dal 1990 al 2002 l’ ascolto radiofonico nel giorno medio è
aumentato di più di nove milioni.
E’ così che la Cenerentola radio è tornata ad essere
primadonna.
Ascolti nel g. m. dal 1990 al 2002