INTRODUZIONE
Questo lavoro si pone come principale obiettivo quello di operare un’analisi sul
ruolo del Presidente della Repubblica nell’ordinamento italiano e sui poteri
attribuitigli dalla costituzione Italiana in vigore dal 1948, sia attraverso i suoi
contenuti formali definiti nella carta che in forza di quella costituzione materiale
continuamente interpretata e ridefinita dalle prassi. Alla luce dei fatti che hanno
riguardato la figura dell’attuale Capo dello stato, Giorgio Napolitano, primo ed
unico caso di Presidente rieletto per un secondo mandato, è rilevante quindi
studiare i molteplici spazi che questa figura di primo piano può ritrovarsi ad
occupare nel nostro ordinamento.
Dopo aver spiegato nella Parte Prima i poteri attribuiti alla figura presidenziale
dalla Costituzione, ponendo l’accento in particolare sui poteri di garanzia e
rappresentanza dell’unità nazionale (art. 87 Cost.), verranno analizzati gli aspetti
salienti di quell’ampliamento della fisarmonica presidenziale, che si va a
palesare nei momenti di maggiore incertezza per il sistema politico – partitico, e
in particolare nelle occasioni di crisi e formazione di nuovi governi che
connotano una fase di transizione di sistema. Lo scopo principale di questa prima
analisi è dunque quello di mostrare come cambia il comportamento del Capo
dello stato nei momenti di maggiore instabilità della vita politico – istituzionale,
costituendo la caduta anticipata dei governi, nella prassi italiana, la regola più che
l’eccezione e andando quindi a guardare quali settori può il Presidente della
Repubblica trovarsi ad occupare, in base sia alle situazioni contingenti, sia alla
propria personalità. Passando velocemente in rassegna l’atteggiamento tenuto dai
vari inquilini del Quirinale, da Luigi Einaudi a Carlo Azeglio Ciampi, nel tentare
di far uscire l’Italia da quelle situazioni di impasse politica che di frequente si
sono venute a creare nella nostra storia repubblicana, si delineerà il cambiamento
avvenuto, tra la Prima Repubblica e la Seconda Repubblica, nell’occupazione
presidenziale di sempre più ampi spazi, focalizzandosi sul ruolo che hanno avuto
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taluni Presidenti, considerati snodi fondamentali nell’analisi del cambiamento
delle funzioni e dei poteri attribuibili al Capo dello stato.
Dopo questa rassegna, il presente lavoro si concentrerà sui mandati dell’attuale
Presidente, Giorgio Napolitano, figura di grande rilievo non solo per la
fondamentale carica istituzionale che riveste, ma in particolare perché risulta
essere, come già detto, il primo ed unico caso, ad oggi, di Presidente rieletto per
il secondo mandato. Verrà quindi analizzato, nella Parte Seconda, il suo operato
nel corso dei suoi anni al Quirinale, operando una suddivisione non
corrispondente a quella del mandato presidenziale, ma che marca una netta linea
divisoria tra i suoi primi sei anni al Colle (2006 – 2012) e l’ultimo anno,
rintracciando elementi di novità e cambiamento nel modus operandi del
Presidente già dalla crisi del governo Berlusconi IV (novembre 2011, anticipata
nel dicembre 2010) e con la formazione del governo tecnico di Mario Monti.
Analizzando nel dettaglio l’elezione dell’aprile 2013 che ha conferito a
Napolitano l’incarico per il suo secondo mandato, dopo la richiesta accorata di
quasi tutto l’arco partitico, a seguito del fallimento di altre due candidature
espresse dal maggiore soggetto rappresentato in parlamento – il Pd – si tenterà di
mettere in luce il ruolo e la rilevanza, anche politica, che ha acquisito il nostro
Capo dello stato nella XVII legislatura (dal 15 marzo 2013), in particolare per ciò
che concerne la difficile situazione post – elettorale delineatasi a seguito delle
consultazioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013 e la formazione del governo di
salvezza nazionale guidato da Enrico Letta (dal 28 aprile) e, in un certo senso,
imposto da Napolitano.
La Parte Terza guarderà a quella funzione presidenziale tipicamente definita dalle
prassi, e per ciò assente nelle pur minuziose disposizioni costituzionali, che
possiamo definire come funzione di esternazione. Tale funzione ha acquisito,
dalla Presidenza Pertini (1978 – 1985), un lampante rilievo nel processo di policy
making e nella facoltà di indirizzo e persuasione operabile dal Capo dello stato.
Dopo un quadro generale riguardante la rilevanza di questo potere, si farà
esplicito rimando agli interventi di Napolitano negli anni del suo primo mandato
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e nei mesi iniziale del suo secondo, sottolineando come questi siano
costantemente aumentati e si siano diretti maggiormente ad argomenti di
domestic politic, viste la varie contingenze che si sono venute a manifestare,
divenendo progressivamente più incisivi. Per fare ciò, ci si avvarrà dell’uso di
alcuni grafici e tabelle, elaborati reperendo i dati dal sito della Presidenza della
Repubblica, ritrovabili in Appendice II, per dare anche un apporto visivo di più
immediata comprensione del trend seguito da Napolitano in questi anni.
In conclusione, alla luce di quanto esposto, si cercherà di riflettere circa il
significato dell’evoluzione della funzione presidenziale, non più configurabile
solo come un compito di garanzia e neutralità, ma piuttosto come una parte attiva
all’interno della scena politica, mettendo in luce la necessità di fornire maggiore
chiarezza per ciò che riguarda le facoltà ed in particolare i limiti dell’azione
presidenziale, che in più di un’occasione, anzi alquanto ripetutamente nel corso
soprattutto dell’ultimo anno, ha visto un allargamento della fisarmonica
presidenziale fino ai suoi più estremi limiti, portando a parlare, in taluni casi, di
una modificata forma di governo in senso semi – presidenziale. Non potendo
parlare, comunque, alla luce di quanto accaduto fino ad oggi, di una reale
modifica istituzionale in direzione di un presidenzialismo di fatto, quanto
piuttosto di un rinnovamento della figura del Capo dello stato entro una cornice
che permane quella del nostro poco razionalizzato parlamentarismo, c’è
comunque da chiedersi, facendo riferimento al ruolo di Napolitano, se quella che
egli vede come una missione istituzionale a garanzia del benessere della nazione,
che lo ha portato più di una volta nel corso dei suoi mandati a voler trovare per
forza un governo, anche non legittimato dal popolo, senza ricorrere alle
consultazioni elettorali, non stia diventando, piuttosto, un’ossessione. Certo è
che, nella situazione attuale, lo scettro del gioco politico è tutto nelle sole mani di
(come lo chiamano gli inglesi) King George.
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PARTE 1
IL RUOLO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NELLA VITA
ISTITUZIONALE DEL GOVERNO
I. La figura del Presidente della Repubblica nell’ordinamento italiano
Il Presidente della Repubblica, figura monocratica situata al vertice degli organi
centrali dello stato, è di certo una delle principali istituzioni del nostro
ordinamento repubblicano. La Costituzione del 1948 ne disciplina i compiti e le
funzioni e dedica a questa figura l’intero Titolo II, Parte Seconda, della suprema
fonte del nostro paese, snocciolando, negli articoli che vanno dal numero 83 al
numero 91, le varie prerogative di questa fondamentale figura. Nonostante però i
diversi articoli dedicati a questo ruolo di primo piano, è importante sottolineare
che spesso la disciplina che regola le forme e i limiti della sua azione è risultata
in passato, così come ancora oggi, in parte incompleta e non esaustiva, lasciando
pertanto una rilevante dose di libertà nell’interpretazione circa le reali e legittime
facoltà del Capo dello stato. E’ significativo innanzitutto sottolineare come
questa figura si trovi a cavallo tra due importanti, ma in parte separati, campi di
studio: utilizzando la spiegazione fornita da Hans Kelsen, uno dei maggiori
giuristi del Novecento, si può affermare che il Presidente della Repubblica è un
organo paragonabile ad una testa di Giano, che ricade per metà nella sfera di
competenza del diritto e per l’altra metà nella sfera di competenza della politica.
Laddove perciò la disciplina giuridica non risulti essere sufficientemente
esaustiva nella regolamentazione delle capacità del Presidente della Repubblica,
si lascia ampio spazio di manovra alla politica e alle prassi, consolidatesi nel
corso della storia istituzionale del nostro paese. E’ doveroso pertanto, al fine di
una giusta trattazione sul ruolo del Capo dello stato, tenere conto della
distinzione tra Costituzione formale, quindi le norme scritte che ne regolano
l’azione nelle sue forme e nei limiti e Costituzione materiale, cioè i
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comportamenti e le consuetudini che permettono di sfumare la sua area
d’intervento e le sue facoltà, discostandosi in parte da quanto esplicitato sulla
carta, rendendone incerti i confini nella potestà d’intervento.
L’Assemblea Costituente del 1946 ha attribuito al Presidente della Repubblica
dei compiti che lo identificano come una figura con una duplice valenza, che
rende in parte problematica un’esatta definizione di questa istituzione: egli è,
infatti, come specificato nell’articolo 87 della Costituzione, il rappresentante
dell’unità nazionale, quindi colui che simbolicamente impersona l’intero stato
italiano e gli interessi di ogni suo cittadino, personalità dunque super partes
rispetto alle diverse fazioni facenti parte del gioco politico. Allo stesso tempo
però è anche dotato di incisivi poteri che gli permettono di entrare, direttamente
o per vie secondarie, in alcune tra le più rilevanti decisioni della vita politico –
istituzionale del paese: tra queste si riconoscono la nomina del Presidente del
consiglio dei ministri e, su proposta di quest’ultimo, dei singoli ministri (articolo
92 Cost.), il potere di scioglimento anticipato delle Camere o di una sola di esse,
eccetto durante gli ultimi sei mesi del suo mandato, il cosiddetto semestre bianco
(articolo 88 Cost.), la facoltà di intervento sulla legislazione, attuabile tramite la
promulgazione di leggi e l’emanazione di decreti con forza di legge e
regolamenti, l’autorizzazione alla presentazione alle Camere di disegni di legge
di iniziativa governativa (articolo 87 Cost.) e il rinvio alle Camere delle leggi per
una nuova deliberazione con messaggio motivato, non identificabile comunque
come potere di veto in ambito legislativo (articolo 74 Cost.) e la non meno
significativa possibilità di inviare messaggi alle Camere (articolo 87 Cost.). In
questi ultimi però non possono essere comprese interamente le esternazioni
pubbliche del Capo dello stato, che permettono di indirizzare l’operato degli
attori politici secondo alcune dinamiche ed indirizzi ritenuti maggiormente
auspicabili dal Quirinale. E’ difficile stabilire la legittimità di queste esternazioni,
che diventano sempre più incisive e numerose nei periodi di maggiore instabilità
ed incertezza politica, ma è altrettanto impossibile considerarle incostituzionali.
Derivante dalla prassi vi è poi la consultazione (che precede la formazione del
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