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Introduzione
“Se non cambiamo, non cresciamo. Se non cresciamo, non stiamo davvero vivendo”, Anatole France.
Viviamo in una società globalizzata, fluida e dinamica, dove i confini (non solo a livello
geografico) diventano sempre più labili, la tecnologia espande il nostro raggio di opportunità e il
cambiamento, sotto ogni punto di vista, non può e non deve far paura: è qualcosa di così frequente
e rapido che si sta trasformando in uno stato ordinario, in una condizione che richiede un forte
spirito di adattamento. E il giornalismo, forse più di ogni altra professione, è lo specchio della
strada che sta percorrendo il mondo odierno. Per dirla alla Bourdieu, il campo giornalistico di oggi
ha ben poco a che vedere con quello di dieci o vent’anni fa. Le motivazioni sono poliedriche,
complesse e fortemente connesse con la rivoluzione digitale e l’interattività del web 2.0. Lo scopo
del mio elaborato non è sviscerarle tutte, ma mettere una lente d’ingrandimento su una di queste
cause: il monopolio di Google nell’informazione online. Come un cubo con tante facce, però,
anche il dominio dell’azienda californiana fondata da Brin e Page non può essere osservato da una
sola angolazione. Uno dei suoi aspetti più intriganti consiste in un insieme di tecniche che servono
a incanalare la comunicazione su internet nella direzione che piace all’algoritmo di Google: la
SEO (Search Engine Optimization), che verrà trattata come un sostantivo femminile (la traduzione
italiana dell’acronimo è “ottimizzazione per i motori di ricerca”). Si tratta di una serie di regole
per strutturare i contenuti giornalistici sul web; degli strumenti in continua evoluzione che hanno,
per fare un esempio, modificato l’approccio del giornalista nella scrittura del titolo e degli
“attacchi” (la frase iniziale) degli articoli. L’obiettivo è analizzare l’impatto di queste tecniche sul
mondo della stampa, con un unico filo conduttore: i mutamenti causati dalla SEO, per quanto
significativi siano, non vanno stigmatizzati negativamente solo perché lontani dall’idea di
giornalismo che c’era fino agli anni novanta. L’ecologia dei media sta cambiando e chi produce
informazione non può fare altro che prenderne atto, essere elastico e valorizzare le molteplici
novità che entrano nelle redazioni. Novità che possono essere affascinanti o meno, ma che devono
per forza entrare nel bagaglio delle conoscenze dei giornalisti. “Il cambiamento come
consuetudine”, appunto. Questo viaggio, dopo aver inquadrato l’argomento anche da un punto di
vista storico e prudentemente tecnico, inizierà con un excursus teorico sugli studi accademici che
si sono focalizzati sulla funzione di Google come gatekeeper (chi trasforma le occorrenze in
notizie) e sulla SEO come pratica fondamentale per chi, scrivendo su internet, mira a ottenere
visibilità e guadagni. Dall’importanza dei collegamenti ipertestuali alla teoria della cattura del
regolatore applicata ai nuovi media, passando per i regimi di giustificazione di Google (secondo
Roberge e Melançon) e il ruolo dell’ottimizzazione per i motori di ricerca nell’operato degli
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aggregatori di notizie: la SEO è un tema che, nel mondo della sociologia della comunicazione, sta
riscontrando sempre più interesse. Nel Capitolo 2, per continuare, la SEO verrà inserita nel suo
contesto di riferimento: il giornalismo digitale, in particolar modo quello italiano. Per descriverne
le caratteristiche e l’evoluzione, l’attenzione verrà rivolta soprattutto al boundary-work della
professione in questione: come si allargano i confini del giornalismo per quanto riguarda le
pratiche (una di queste è la SEO e tutta la tecnologia che c’è dietro), i valori e gli attori che ora ne
fanno legittimamente parte. Tale sezione si chiuderà con una esposizione del mio percorso nel
giornalismo, che verrà approfondito nel Capitolo 3. Sono proprio le esperienze dirette che hanno
stimolato il mio interesse nel portare avanti un lavoro di ricerca di questo tipo, dedicato allo studio
di una delle novità che ha maggiormente stravolto il mondo dell’informazione. È una tesi che nasce
e si sviluppa sul campo, grazie a una grande passione verso ciò che accade (accadeva e accadrà)
al suo interno. La fase etnografica della ricerca, come anticipato in precedenza, comincerà con una
testimonianza personale sull’approccio alla SEO: il modo in cui la gestisco, quali richieste arrivano
da parte di chi ha il potere decisionale in redazione, gli strumenti a disposizione e le differenze tra
le testate giornalistiche con cui ho collaborato e collaboro tuttora. Infine, verranno illustrati i
risultati della ricerca condotta per dare forma a ciò che è stato delineato: un’intervista qualitativa
a sei giornalisti, alcuni dei quali hanno toccato con mano la transizione dal cartaceo al digitale. Un
cambiamento che, se vissuto in prima persona, fornisce di conseguenza una visione d’insieme più
ampia e realistica. Questi professionisti, che ogni giorno si trovano a dover scrivere seguendo i
dettami dell’algoritmo di Google, si esprimeranno sulle potenzialità, i pregi, i difetti e la rilevanza
della SEO in tutte le sue sfumature. Il loro contributo sarà essenziale non solo per concretizzare la
riflessione teorica dell’elaborato, ma anche per rendere l’idea di come questa professione si sia
trasformata a causa della SEO e dello strapotere di Google. Una metamorfosi affascinante e che
merita di essere snocciolata con diligenza, senza scetticismi o sentimenti nostalgici.
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Capitolo 1 – Giornalismo e ottimizzazione per i motori di ricerca: la
SEO come simbolo del monopolio di Google
GOTCHA - Our lads sink gunboat and hole cruiser. È così che il Sun, storico tabloid inglese,
nel 1982 presentò (in prima pagina) un avvenimento a dir poco rilevante della guerra delle Falkland
tra Argentina e Regno Unito: una nave sudamericana, la General Belgrano, venne infatti affondata
dalla marina britannica, che provocò la morte di più di 300 persone. Stiamo parlando di uno dei
titoli più famosi e discussi della storia del giornalismo del secondo dopoguerra. Un titolo che,
proprio come tutti (o quasi) quelli dei giornali cartacei, sul web non farebbe neanche lontanamente
quel rumore e quel successo. Salvo eccezioni, infatti, su una testata giornalistica digitale è difficile
leggere una notizia con un Gotcha (che nel caso citato significava “presa!”) in maiuscolo prima
del corpo dell’articolo. Si tratterebbe quindi di un titolo inadatto a una scrittura online, e la
motivazione principale riguarda una sigla che i giornalisti di oggi conoscono molto bene: la SEO.
Search Engine Optimization, ottimizzazione per i motori di ricerca. E considerando che Google,
dal 1998 al 2013, è arrivato a occupare il 90% del mercato globale dei motori di ricerca
(StatCounter, 2013), si capisce subito che questo tema concerne quasi esclusivamente l’azienda
californiana di Mountain View.
1.1 La visibilità di un articolo sul motore di ricerca
La SEO racchiude tutte quelle attività, pratiche e strategie per scrivere un articolo online e
renderlo, di conseguenza, il più visibile possibile nei meandri di un motore di ricerca. È una
valigetta virtuale che contiene degli attrezzi utili per convogliare la comunicazione su internet, in
modo tale da uniformarla ai gusti di Google. Queste tattiche hanno stravolto le procedure di stesura
di un “pezzo” sotto molti punti di vista, obbligando i giornali che operano in rete ad adattarsi a un
nuovo metodo di lavoro. Senza una scrittura SEO, infatti, un articolo avrebbe molte meno
possibilità di essere rintracciato e di essere letto: non potrà mai raggiungere il suo massimo
potenziale in termini di visibilità. E la testata giornalistica, di conseguenza, rischia di avere poche
visite e meno opportunità di monetizzare grazie alla pubblicità. Si tratta una catena che parte da
un modo diverso di scrivere un articolo, di dargli un titolo e di caricarlo sul sistema editoriale di
un sito web. Un cambiamento per certi versi radicale, che un giornalista di oggi non può
permettersi di ignorare. La SEO è stata progettata per aumentare la popolarità di una pagina web
e il traffico non a pagamento su di essa, così da permettere ai motori di ricerca di saperla
posizionare correttamente tra i risultati (Christ, 2005). I posizionamenti da parte dei motori di
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ricerca avvengono per mezzo di un complesso algoritmo (un sistema basato su una serie di calcoli)
che, nella maggior parte dei suoi meccanismi, è segreto. Ecco perché l’ottimizzazione per i motori
di ricerca è complicata e sempre in continua evoluzione a seconda del tipo di contenuto che il
giornalista promuove.
Con l’affermazione del giornalismo digitale e l’importanza della SEO, le pratiche quotidiane e
le competenze del giornalista sono cambiate. Non basta avere delle ottime capacità di scrittura e
un particolare fiuto per la notizia, il titolo accattivante o la domanda giusta da fare all’intervistato.
Ora serve scegliere la parola chiave (keyword) più opportuna e inserirla nel titolo, nell’URL, nel
sottotitolo e nel testo (più volte, anche a costo di cadere in qualche ripetizione); trovare i corretti
collegamenti ipertestuali; avere una buona dimestichezza con i codici HTML e molto altro ancora.
Per dare l’idea di come le pratiche SEO abbiano modificato l’approccio alla scrittura giornalistica,
il giornalista Shane Richmond, all’interno di un suo articolo sul British Journalism Review (vol.19,
n. 4, 2008), ha riscritto in ottica SEO il titolo del Sun sulla vittoria militare della Gran Bretagna
contro l’Argentina: Falklands conflict: Royal Navy sinks Argentinean warship. La differenza con
quello riportato all’inizio del capitolo (GOTCHA - Our lads sink gunboat and hole cruiser) è a dir
poco abissale ed è spiegata, per esempio, dall’importanza della parola chiave (keyword), sempre
più essenziale per rendere la pagina web visibile e rintracciabile su Google. Cercando “Falkland
conflict”, non a caso, gli articoli in cima ai risultati saranno quelli dove la keyword verrà utilizzata
in modo più consono alle tattiche di ottimizzazione per il motore di ricerca. Si tratta di una tecnica
fondamentale e che verrà approfondita nel corso dello svolgimento del capitolo. Il cambiamento è
ben visibile anche perché le testate giornalistiche stanno iniziando ad assumere degli esperti per
delle consulenze SEO continuative (vengono chiamati SEO Strategist e SEO Specialist): il 40%
di tali figure professionali, almeno negli Stati Uniti, guadagna in media una cifra tra i 30mila e i
40mila dollari all’anno (Moody & Bates, 2013). Inoltre, le tecniche SEO vengono insegnate nei
master in comunicazione e giornalismo, e i corsi privati dedicati all’ottimizzazione per i motori di
ricerca sono sempre più numerosi.
1.1.1 La nascita della SEO
La diffusione di internet e dei siti web cominciarono ad avere un impatto concreto sul
giornalismo intorno alla metà degli anni novanta, proprio quando (non a caso) l’acronimo SEO
iniziò a essere usato da alcuni esperti del settore. Nel 1994 nacque WebCrawler, il primo motore
di ricerca, seguito da BackRub (il precursore di Google) nel 1997. In quell’anno si contavano già
più di un milione di siti web e le testate online divennero sempre più popolari: in Italia, per fare
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un esempio, la prima in assoluto fu l’Unione Sarda nel 1994. Il cambiamento era nell’aria, nel
1998 arrivò Google e in quell’anno venne pubblicato il primo articolo che approfondì il concetto
di algoritmo nei motori di ricerca: The Anatomy of a Large-Scale Hypertextual Web Search
Engine, scritto da due brillanti studenti di Stanford (compagni di stanza, non a caso) di nome
Sergey Brin e Larry Page: i fondatori di Google. Gli autori spiegarono il modo in cui la loro azienda
si stava imponendo come gatekeeper del giornalismo online, dicendo che l’unico modo per dare
senso a una quantità sempre più fitta di informazioni digitali fosse attraverso l’automazione e il
conseguente uso di un algoritmo (Roberge & Melançon, 2017). Sono stati proprio Brin e Page a
sdoganare il concetto di PageRank (l’algoritmo di posizionamento di Google), che venne da loro
definito come il “portatore dell’ordine sul web” anche dal punto di vista della qualità dei contenuti
degli articoli su un sito o una testata giornalistica online. Si inizia quindi a capire che, per essere
ben visti dal PageRank, è necessario seguire dei criteri, delle pratiche e delle regole. Ed ecco che,
specialmente dopo la nascita di Google News in seguito agli attentati dell’11 settembre, divenne
popolare la nozione di “keyword”, ossia la prima strategia della SEO ad essere studiata e
sperimentata: così partì la corsa alle parole più cliccate e indicizzate. Nel corso degli anni, di
conseguenza, le componenti dell’algoritmo di Google continuarono ad aggiornarsi in modo sempre
più costante, così da premiare non più solo la furbizia nell’usare le prime tattiche della SEO ma
anche (e soprattutto) la qualità di un “pezzo”. Ad esempio, nel 2005 venne introdotto Google Panda
Update (analizza i contenuti e penalizza i duplicati) e nel 2015 uscì un sistema di intelligenza
artificiale (il RankBrain di Google) in grado di premiare, in termini di visibilità sul motore di
ricerca, gli articoli migliori dal punto di vista della ricchezza e della qualità dei contenuti. Negli
ultimi 3-5 anni, inevitabilmente, Google ha dovuto sviluppare degli algoritmi in grado di
ricompensare i siti maggiormente adatti alla lettura sui dispositivi mobili. Tutte queste novità
hanno rafforzato il ruolo di Google come King Kong culturale del mondo digitale (Roberge &
Melançon, 2017), perché è “lui” a scegliere cosa gli utenti devono leggere e non leggere. E il modo
ideale per rientrare nella prima categoria è fare giornalismo con un’attenzione sempre più
strategica alle pratiche di ottimizzazione per i motori di ricerca.
1.1.2 Distinzioni chiave
Google, in termini di SEO, è solito a imporre una cesura (non particolarmente netta e precisa,
in quanto il sistema è in continua evoluzione) tra le pratiche che si possono adottare o meno durante
l’inserimento di un articolo nel sistema editoriale di una testata online. La visibilità che il motore
di ricerca dà a una pagina web è anche legata, come vedremo più avanti quando parleremo dei