9
ampiamente percepito dagli stessi gruppi di management dei
principali istituti di credito, venisse da tutti considerato come uno
dei principali punti di debolezza delle banche italiane.
Il diffondersi delle moderne tecnologie dell’informazione e della
comunicazione, unitamente al processo di privatizzazione e
liberalizzazione in atto, ha d’altronde imposto anche a questo
settore di rinnovarsi bruscamente, sotto la spinta della
concorrenza straniera e di segmenti di clientela sul mercato prima
inesistenti, come i trader online.
Qualche gruppo creditizio ha allora tentato di cogliere in questa
rivoluzione digitale una propria occasione di sviluppo e di
rinnovamento, andando oltre una semplice integrazione del
canale telematico nella propri struttura di contatto con il cliente.
Queste banche hanno optato per un ripensamento completo della
propria identità e, anche se in una fase iniziale le loro buone
intenzioni si siano poi, per alcuni gruppi, arenate su
posizionamenti di prezzo e quindi difficilmente differenziabili, con
il nuovo millennio si è assistito allo sviluppo di modelli di banca
radicalmente modificati, frutto di profonde revisioni interne.
Attraverso i risultati di analisi statistiche e di ricerche di mercato,
nella ricerca emerge come in questi casi la necessità di alcune
banche di potersi identificare e differenziare efficacemente
rispetto ai competitors diretti ha spinto verso l’adozione di
strategie di posizionamento che fossero attentamente coordinate
a tutti gli aspetti del marketing e della comunicazione, che
favorissero cioè identità di marca forti e distintive, in grado di
garantire alti livelli di notorietà, fiducia e qualità percepita.
La ricerca si concentra proprio sul tentativo del Gruppo UniCredito
Italiano di percorrere questa strada di totale rinnovamento. Nel
2001, l’amministratore delegato Alessandro Profumo dà il via ad
10
un progetto, denominato S3, con cui il gruppo realizza nel 2003
tre nuove banche nazionali, fortemente distinte tra loro, perchè
specializzate per il segmento di clientela a cui intendono
rivolgersi. La creazione della Banca Xelion rappresenta il pieno
sviluppo di questa complessa strategia di differenziazione.
Xelion nasce inizialmente come UniTrade, cioè una SIM del
Gruppo che avrebbe dovuto rispondere all’improvvisa ondata di
nuovi operatori del trading online. Il progetto viene poi
abbandonato in seguito ad una serie di analisi che indicano come
il progetto in cantiere non fosse adeguato alle condizioni che il
mercato aveva intanto stabilito..
La decisione del management si sposta così su una soluzione più
completa, che desse forma ad una banca rivolta specificamente al
segmento affluent, che fosse saldamente posizionata su
un’identità di marca assolutamente distintiva, in grado di favorire
un’immagine inconfondibile nella potenziale clientela.
Abbiamo constatato come questo cambiamento di percorso
strategico sia stato supportato molto intensamente dal Gruppo per
quanto riguarda gli investimenti pubblicitari e di marketing. A
questo proposito è interessante notare come la prima fase di
start-up sia stata caratterizzata da un uso intensivo di strategie
pubblicitarie di tipo cognitivo, al fine di costituire in tempi brevi una
solida base di notorietà ed alti livelli di riconoscibilità.
Una volta raggiunti questi obbiettivi, Xelion è entrata in una sua
seconda fase; di comunicazione emotiva. Le campagne
pubblicitarie si sono concentrate sullo sviluppo, nella mente del
cliente, di una percezione di affinità con l’identità di marca e lo
stile di vita comunicati da Xelion, e il fatto stesso che si sia deciso
di affidare al regista Roman Polanski la realizzazione degli spot ci
ha fornito una prova evidente delle decise intenzioni del
management. L’intento era ora di realizzare messaggi di forte
11
impatto visivo ed emotivo, che sviluppassero il posizionamento
comunicativo che l’agenzia TBWA aveva indicato ottimale per
Xelion.
Successivamente a questa fase di lancio, il management ha
modificato radicalmente la propria strategia, decidendo di
concentrarsi sullo sviluppo di una rete di promotori finanziari che
fosse ineguagliabile dalla concorrenza. Questa decisione deriva
dalla consapevolezza che i soli canali telematici non sarebbero
stati sufficienti a garantire una corretta gestione della relazione
con il cliente.
Come ci è stato confermato da alcune testimonianze comparse su
forum online, i risultati di questa opzione strategica sul sistema
delle comunicazioni aziendali ha suscitato qualche confusione nel
pubblico che, non comprendendo appieno gli effetti di una scelta
di carattere strettamente strategico-commerciale, ha inizialmente
avuto qualche incertezza sull’indirizzo che Xelion volesse tenere
circa il proprio posizionamento sul mercato.
Tuttavia la stessa ricerca ha dimostrato nei risultati di raccolta di
capitali realizzati, come nel medio termine la banca riuscisse a
ridurre questo fenomeno con un impegno di tutte le attività di
comunicazione e di gestione della relazione con la clientela. Un
impegno che si realizzava innanzitutto su canali più
specificamente rivolti al target group oggetto dell’offerta. Sono
state infatti attivate delle soluzioni di event marketing molto
originali, in grado di raccogliere un pubblico ampio ma al tempo
stesso altamente qualificato per l’azienda, come tornei di golf,
manifestazioni culturali o partecipazioni ad eventi esclusivi.
Con questa svolta la figura del Personal financial Adviser è quindi
diventata uno dei punti fermi nella strategia di posizionamento
sviluppata da Xelion. Il Gruppo UniCredito Italiano ha integrato
infatti sotto questa nuova banca la propria rete di consulenti, oltre
12
a quelle provenienti da alcune acquisizioni che il gruppo aveva
compiuto sul mercato negli ultimi anni.
Per coordinare l’offerta dei propri PFA, l’acronimo di personal
financial adviser, sono state realizzate intense attività di
formazione del personale, e sono state studiate delle campagne
di comunicazione appositamente rivolte a questo particolare
pubblico interno.
Il fatto che gli uffici marketing siano stati recentemente integrati
sotto la direzione della sezione formazione del personale ci ha
fornito un segno evidente dell’indirizzo strategico del
management.
Anche la scelta del marchio e del logo rispecchia la volontà, da
parte del management, di coordinare al meglio tutti gli aspetti
della comunicazione intorno ad un’identità distintiva e condivisa.
Abbiamo infatti verificato come il nome stesso fosse frutto di una
ricerca molto scrupolosa commissionata alla Nomen, una delle
massime autorità nei servizi di naming. Xelion rappresenta
un’ottima sintesi ai concetti di innovazione e perfezione – che ha
un’assonanza nella radice Xel – , di splendore e trasparenza –
per il morfema elion – ed al carattere tecnologico – nel finale ion,
cioè i punti cardine che sono alla base dell’identità che il
management ha inteso sviluppare per la banca.
Anche per quanto riguarda l’identità visiva, il management ha
optato per soluzioni che fossero semplici e riconoscibili, che
richiamassero con forza il gruppo creditizio di appartenenza. Il
logo riprende infatti fedelmente quello del Gruppo UniCredito
Italiano, fornendo una base di notorietà e di affidabilità molto
solida. Le attività di comunicazione istituzionale della banca
Xelion sono così quasi completamente affidate al gruppo di
appartenenza, e abbiamo visto come attraverso un’identità visiva
13
coordinata di questo tipo gli effetti positivi in termini di notorietà e
fiducia ricadano su tutti i sotto-marchi del gruppo.
Un altro elemento fondamentale deriva poi dalle indicazioni fornite
da Kapferer, per cui il valore della marca e dell’identità con cui la
marca si rappresenta al suo pubblico vanno costruiti anche in
relazione allo sviluppo tecnologico di cui l’impresa si sa dotare e
che sa offrire nelle soluzioni per i propri clienti. Constatando allora
che Xelion è riuscita a stringere importanti partnership con leader
della fornitura di servizi tecnologici e di gestione come Accenture,
HP, Telecom, Cisco o SIA, al fine di sviluppare nuovi strumenti
per i clienti e modelli di relazione non ancora sperimentati,
l’affermazione di un carattere fortemente tecnologico per la sua
identità di marca appare del tutto giustificata.
Al canale telematico sono quindi state integrate anche piattaforme
telefoniche e successivamente, una serie di vere e proprie
boutique della finanza. Si tratta di show room ipertecnologici,
definiti nella più completa cura dei dettagli e studiati su misura per
le aspettative del cliente Xelion, la cui realizzazione è stata
affidata ad architetti ed arredatori di prestigio. L’analisi della
stampa specializzata sul settore bancario ha dimostrato come
questa soluzione abbia destato forti attenzioni da parte dei media
e del pubblico, e il grande numero di articoli e recensioni
comparse a riguardo ha contribuito a pubblicizzare ulteriormente il
carattere innovativo e non-tradizionale della personalità di Xelion.
In definitiva la ricerca è stata tesa a dimostrare come una corretta
gestione della relazione con il cliente necessiti non solo di un
attento coordinamento di tutte le attività di comunicazione alla
luce della strategia di marketing definita dal management, così
come suggerito ad esempio da Aaker, ma richieda anche un
impegno profondo, da parte dell’impresa, verso lo sviluppo di
soluzioni tecnologiche e di partnership commerciale, che creino
14
valore per l’identità della marca e per il cliente stesso, come
indicato dalle conclusioni di Kapferer.
La ricerca inizia con una sintetica presentazione del potere che il
marchio – e quindi il brand management – continua ad esercitare,
dopo una lunga tradizione storica di affermazione e
riconoscimento della proprietà o dell’identità sociale, nello
sviluppo e nel rafforzamento delle relazioni strategiche per
l’impresa moderna. Sempre nel primo capitolo, dopo aver
introdotto i più recenti cambiamenti avvenuti nello scenario
creditizio e finanziario italiano, le modifiche conseguentemente
intervenute nella scelta delle strategie e delle tecniche di
marketing bancario adottate dagli operatori principali del nostro
Paese, e le innovazioni tecnologiche alla base dello sviluppo di
forme di intermediazione diretta come il trading on line, la
trattazione prosegue con la presentazione del progetto che il
Gruppo UniCredito Italiano ha messo a punto, nel 1999, per
l’attivazione sul mercato della banca Xelion, dedicata al segmento
affluent, ed evoluzione del progetto UniTrade.
Nel capitolo successivo viene descritta l’integrazione delle
funzioni di marketing e di comunicazione da compiere nelle
attività di pianificazione e gestione strategica dell’impresa-banca,
sulla base dei principi di marketing e management proposti da
Walter Giorgio Scott. In fase di start-up è necessario realizzare
un’operazione attentamente coordinata:
• di ricerca ed osservazione sul mercato di riferimento e sulla
concorrenza attuale e potenziale;
• di segmentazione ed identificazione del target di clientela da
servire;
• di studio e selezione sul posizionamento da adottare.
15
Solo successivamente ad un’analisi sistematica dei dati risultanti
dalla raccolta, sarà possibile sviluppare un’efficace pianificazione
di marketing, da riassumere nel documento di sintesi (Piano di
Marketing).
Il terzo capitolo introduce il concetto di identità di marca,
definendone l’applicazione rispetto all’immagine di marca,
risultato invece della percezione del pubblico. Sulla base di
un’identità forte e condivisa, il management sviluppa la mission
che dovrà guidare l’impresa in tutte le sue decisioni ed attività
gestionali, produttive, distributive e relazionali; inoltre individua le
associazioni da creare con la propria marca, utili a sostenere
l’affermazione di valore compiuta con la clientela. Individuati i tratti
della propria personalità – ovvero gli elementi distintivi che
caratterizzano l’impresa – il capitolo si conclude con la
presentazione delle attività connesse allo sviluppo ed alla
gestione dell’identità visiva, cioè l’insieme di tutti gli elementi ed i
messaggi visivi che l’impresa produce o di cui si dota per
conseguire obiettivi comunicazionali o commerciali.
Il capitolo quarto introduce, sulla base delle conclusioni degli
studiosi Aaker e Kapferer, rispettivamente statunitense e
francese, dunque di due scuole di pensiero molto differenti, il
principio di valore della marca, identificando nelle attività di
potenziamento degli indici di notorietà, fidelizzazione,
soddisfazione e qualità percepita la base di valorizzazione
potenziale di una marca.
Il capitolo successivo è dedicato alla gestione, da parte
dell’istituto di credito, delle relazioni, e quindi all’attivazione di un
sistema informativo di marketing interno che sia in grado di
raccogliere, elaborare e fornire ai vari livelli organizzativi
dell’impresa – con pertinenza ed efficienza – i dati necessari ad
una gestione delle relazioni orientata alla soddisfazione del
cliente. Definiti i vincoli organizzativi e gli oneri finanziari, ma
16
anche le potenzialità reddituali che un attento e coordinato
sistema di relationship management può garantire nel medio-
lungo periodo, approfondisco il ruolo del promotore finanziario, ed
in particolare quello svolto dal personal financial adviser di Xelion
nella gestione delle relazioni con i propri clienti e nelle attività
rivolte al conseguimento dei loro obiettivi.
Il settimo capitolo descrive la necessità di coordinamento che una
gestione corretta delle relazioni richiede tra i diversi canali di
comunicazione che l’impresa sceglie di adottare, e procede alla
definizione del ruolo che le differenti opzioni di contatto con il
pubblico consentono. Iniziando dalla pubblicità – di prodotto o di
marca – percorro le possibili soluzioni comunicative che una
banca ha a disposizione, individuando le relative applicazioni: la
promozione, la sponsorizzazione, la comunicazione sul punto
vendita, quella redazionale e quella istituzionale, le relazioni
pubbliche e la gestione delle situazioni di crisi.
Al fine di garantire leggibilità e scorrevolezza al testo, ho scelto di
far procedere parallelamente le sezioni di teoria e quelle dedicate
all’esame del caso Xelion; la presentazione contestuale dei
principi generali di marketing e delle attività coinvolte invece nella
specifica gestione d’impresa, favorisce a mio giudizio la
comprensione, da parte del lettore, dei concetti proposti.
La scelta, inoltre, di associare una grafica ricca di immagini, ma
rigorosa e coordinata nell’abbinamento cromatico nero e rosso,
tende allo stesso obiettivo di linearità formale ed ordine
espressivo, nel tentativo di agevolare la percezione nel pubblico
dei contenuti espressi nel testo, attraverso l’integrazione con
elementi visivi ad esso connessi.
17
18
1 LA MARCA.
Quadro sintetico delle logiche e degli strumenti.
1.1 Il potere della marca.
Come previsto anni fa da Larry Light, uno dei più accreditati
professionisti delle ricerche di marketing, in un’intervista sul noto
Journal of Advertising Research a proposito delle prospettive del
marketing di lì a trent’anni,
“La battaglia del marketing sarà tra marche. Le aziende e
gli investitori vedranno nella marca l’asset più prezioso […]
Conterà più avere mercati che avere fabbriche, e l’unico
modo per avere i mercati è possedere le marche che
dominano il mercato.”
1
Così è stato. Dai primi anni Ottanta ad oggi la marca è divenuta
una grande realtà sociale ed economica del nostro mondo,
assumendo un’importanza crescente in tutti i settori del consumo,
della produzione, della distribuzione, sia di beni che di servizi.
La crescita del potere economico e culturale delle grandi
multinazionali occidentali è in perfetta sincronia con l’evoluzione
del prestigio e della forza del brand sui mercati globali.
Dai monitor della borsa valori al sacchetto della spesa, la marca
costituisce oggi un vero e proprio elemento strategico per
l’impresa. E questo avviene per l’indiscutibile fascino e la
conseguente forte incidenza che le marche hanno nella nostra
esistenza.
Prova ne è il fatto che nella situazione attuale risulterebbe
improponibile sul mercato un prodotto privo di un nome, di
un’immagine, di una personalità, ed altrettanto inadeguata
un’impresa incapace di trasmettere una propria identità.
1
Intervista tratta dalla rivista “Journal of Advertising Research”
19
Nonostante sia tale la forza del ruolo che la marca assume nella
nostra vita e in quella delle nostre imprese, darne una definizione
chiara e univoca risulta un’operazione purtroppo assai più
complessa. Il noto stratega di marketing David Aaker, professore
all’Università di Berkley in California, vede la marca come:
“un nome o un simbolo distintivo che serva ad identificare i
beni o i servizi di un venditore o di un gruppo di venditori e
a differenziarli da quelli di altri concorrenti.” 2
Aaker sottolinea più volte la capacità che ha la marca di creare
valore (brand equity), e la necessità che ha dunque l’impresa di
imparare a governarne strategicamente il posizionamento ed
eventuali estensioni o declini.
Jean Noël Kapferer, psicosociologo francese, rivolge invece la
sua attenzione alla relazione da instaurare e gestire con il cliente.
Egli sposta l’accento su una necessaria attitudine all’ascolto da
parte degli uomini di marketing e degli imprenditori, attraverso
strumenti di rilevazione e misurazione delle loro attese.
“Essere marca significa soddisfare costantemente le
aspettative dei consumatori o, meglio, prevenirle, rilevare i
fattori ambientali che determinano queste attese e proporre
prodotti adatti.” 3
Solo in questo modo, sostiene, può nascere una marca solida e di
successo.
Kapferer introduce così la dimensione temporale del branding. La
marca è la memoria del prodotto, il magazzino delle impressioni
reiterate del consumatore dopo il suo uso, l’effetto di
2
Aaker David, Brand Equity. La gestione del valore della marca (FrancoAngeli
Editore – Milano, 2003)
3
Jean Noel Kapferer, La marca: motore della competitività delle imprese e della
crescita dell'economia (Guerini&Associati Editore – Milano, 1991)
20
stratificazione di una serie di giudizi e valutazioni che prendono
forma e identità nella coscienza e nelle percezioni del
consumatore. Da qui la missione etica e responsabile delle
imprese considerata ineluttabile dallo studioso transalpino.
Dello stesso parere John Mariotti, studioso di marketing di scuola
statunitense, che dà risalto al dovere all’attendibilità della marca:
“Una marca è una descrizione sintetica di un pacchetto di
valori su cui i clienti ed i potenziali consumatori possono
contare, sapendo che questa sarà coerentemente uguale a
se stessa (o migliore) per lunghi periodi di tempo. La marca
distingue un prodotto o servizio dall’offerta competitiva.” 4
Mariotti chiama in causa un package of value, che sembra
caratterizzarsi per la presenza di prestazioni intangibili, cui le
imprese vogliono fare affidamento, evolvendo così la marca in
un’entità relazionale e discorsiva. Sulla stessa lunghezza d’onda
è il punto di vista sviluppato da Davis:
“Un consumatore generalmente non ha una relazione con
un prodotto o un servizio, ma può avere una relazione con
una marca. In parte la marca è un aggregato di promesse.
Implica fiducia, coerenza ed un preciso insieme di
aspettative.” 5
1.1.1 Un interesse crescente per la marca.
Sin dalle origini della società capitalista, il principale obiettivo di
tutte le economie industrializzate è stato quello di produrre merce.
4
John Mariotti, Smart things to know about brands & branding (Capstone –
Milford, 1999)
5
Scott M. Davis, Brand Asset Management. Driving profitable growth trough your
brands (Jossey-Bass – San Francisco, 2000)
21
Oggi, invece, le imprese costruiscono essenzialmente marchi.
Uno dei motivi alla base di questo fenomeno è stato il generale
rallentamento della crescita economica avvenuto tra la fine degli
anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, accompagnato da una
sostanziale riduzione dei livelli occupazionali. La recessione
assesta duri colpi anche ai gruppi industriali più forti e consolidati,
facendo vacillare in breve tempo tutto il sistema economico della
produzione e della distribuzione.
Alcune aziende più lungimiranti di altre allora si rendono presto
conto della sostanziale evoluzione che il loro modello di
rappresentazione verso l’esterno del prodotto necessita. Il
problema non è nella quantità assemblata, come il sistema
precedente avrebbe scontatamente sentenziato, ma nella qualità
comunicata. Non negli oggetti e negli impianti, ma nelle idee e nei
simboli.
Queste imprese intuiscono che il loro futuro risiede nel nuovo
valore della marca, sconvolgendo così, con un terremoto di
rinnovamento culturale, l’assetto economico globale. Nike e
Microsoft divengono presto precursori del nuovo modello di
business, costringendo i competitors a rincorrere una leadership
diventata difficilmente attaccabile.
Questo deciso passaggio dalla merce alla marca implica tuttavia
una sorta di contratto stipulato implicitamente tra azienda e
cliente, un patto di fiducia. La marca si svincola da ogni legame
con il prodotto, conquistando una propria identità e autonomia.
Deve però dare garanzia al cliente di saper far fronte alle sue
aspettative e bisogni, in un rapporto relazionale e colloquiale.
Avviene una sorta di rivoluzione strutturale nel concetto di valore:
oggi il valore della marca sembra annullare il valore referenziale,
quello di produzione e di sostanza; la marca cessa di designare il
prodotto tangibile e le sue performance effettive, concentrando
22
l’attenzione sulla percezione che il consumatore ha della marca,
dei suoi prodotti, del loro possesso e utilizzo.
Le imprese iniziano così a riorganizzare i propri piani a lungo
termine in funzione della missione, del futuro e della gestione
delle proprie etichette.
Lo sviluppo del branding rende obsolete, e criticate da più fronti,
parti importanti della teoria economica classica che sostiene il
concetto del ciclo di vita del prodotto. Se un prodotto muore è
perché l’impresa non ha saputo garantirne la sopravvivenza sul
mercato.
Hiroyuki Itami, leader del marketing giapponese l’aveva detto a
chiare lettere che il futuro sarebbe stato di chi avrebbe saputo
coniugare i “tangible assets” con gli “intangible assets”, ovvero i
valori emozionali e la carica affettiva e simbolica, che solo il
marchio possiede.
È questo il punto di vista ora condiviso. Anche la relazione tra
diffusione e valore sembra mutare sostanzialmente: per il
marketing contemporaneo il valore può aumentare in maniera
direttamente proporzionale alla sua diffusione (Coca-Cola, Guru,
Swatch).
Le forze che trainano verso l’interesse per la gestione della marca
si rivelano essere quindi sempre più numerose e sostenute da
argomentazioni sempre più valide:
• innanzitutto le imprese che hanno pianificato forti
investimenti nella difesa della marca, consci delle difficoltà
legate allo sviluppo e al consolidamento di nuovi brand;
• i professionisti del marketing che, resosi conti della scarsa
redditività che deriva da posizionamenti centrati su politiche
di prezzo, vedono con favore il valore aggiunto derivante da
prestazioni intangibili quali la marca offre;
• i manager che, tentando di sfruttare al massimo gli assets
per massimizzare la performance del loro business, si
23
rendono presto conto di come la marca risulti essere un
asset fondamentale.
Tuttavia va ricordato che un accento troppo focalizzato sull’utilizzo
tattico delle potenzialità che la marca offre, seppur concedendo
discreti risultati nel breve periodo, può nascondere il pericolo di
uno sfruttamento eccessivo della marca, fino ad indebolirla.
Ancora David Aaker sottolinea la necessità strategica per
l’impresa per cui:
“la marca sia gestita come una risorsa, al pari della foresta
nel caso del legname. I profitti a breve termini possono
anche risultare rilevanti, ma la risorsa viene distrutta.” 6
La marca ha anzi bisogno di essere alimentata e difesa nel suo
posizionamento, ma giustificare investimenti rilevanti nel
consolidamento della marca esige la capacità di saper stabilire
correttamente il nesso tra risorse della marca e risultati futuri, e
questo non sempre risulta facilmente quantificabile. Ci vuole una
certa lungimiranza, appunto.
1.1.2 L’evoluzione della marca.
Quando si parla di marca si allude inevitabilmente al marketing,
dimenticando spesso le sue antiche origini; da sempre ogni civiltà,
ogni attività artigianale, commerciale o artistica ha utilizzato i
marchi per distinguere la proprietà, la qualità, la provenienza ed
altre caratteristiche di beni ed oggetti.
“L’atto di marchiatura è un’operazione antica quanto le
nozioni d’identità e di proprietà.” 7
6
Aaker David, Brand Equity. La gestione del valore della marca (FrancoAngeli
Editore – Milano, 2003)
24
Anzi con esso forse l’uomo sancisce il definitivo passaggio dalla
natura alla cultura, nel suo cammino di civiltà, diventando in breve
tempo fenomeno trasversale ad ogni popolo e riscontrabile in ogni
tempo. Von Weizsacker, che individua tre differenti livelli
nell’evoluzione della gerarchia delle transazioni:
1. Appropriazione di beni e servizi,
2. Produzione di beni e servizi,
3. Produzione di informazioni,
identifica nei diritti di proprietà intellettuale una naturale barriera
d’ingresso per la concorrenza al terzo livello. La differenziazione
nell’offerta sui mercati che ne consegue concede all’impresa,
prosegue Kapferer, una condizione di concorrenza monopolistica,
che isola uno specifico segmento di mercato, garantendole un
profitto aggiunto. Il profitto monopolistico permetterà dunque al
produttore di finanziare le attività di R&S, l’investimento produttivo
ed il marketing, consentendo un miglioramento qualitativo e
l’innovazione dei prodotti.
Semprini ha identificato quattro funzioni fondamentali che
convivono nella marca primordiale ed in quella moderna:
• identificazione: contrassegnare un qualsiasi elemento
equivale ad inserirlo in uno statuto di riconoscibilità;
• appropriazione: marchiare un oggetto spesso significa var
valere su di esso un diritto di proprietà;
• differenziazione: differenziare significa mettere in risalto le
caratteristiche specifiche delle cose, distinguendole tra loro;
• qualificazione: ecco la vera novità. Oggi la marchiatura
permette di riconoscere, oltre alle prestazioni oggettive del
prodotto già anticamente riconoscibili, anche le performance
cosiddette intangibili. È così che il segno inizia a consentire
7
A. Semprini, Marche e mondi possibili. Un approccio semiotico al marketing
della marca (FrancoAngeli Editore – Milano, 1993)
25
di conoscere pregi e difetti di un prodotto senza doverlo
provare.
La diffusione del marchio prosegue per le epoche classiche e per
tutto il Medioevo ed il Rinascimento, tuttavia la sua
emancipazione verso il carattere distintivo dell’azienda avviene
solo agli inizi della società dei consumi, così come osserva
Alberoni:
“Nel 1929 gli USA superano il dissesto attraverso
l’invenzione di un nuovo modo di organizzazione sociale
che carica di significati etici settori dell’agire che ne erano
esclusi, costituendo così una nuova normativa che è
scoperta di nuovi valori e risoluzione di un problema di
efficienza del sistema capitalista.” 8
Avviene così un lento e graduale processo di trasformazione da
un’economia di sussistenza ad un’economia capitalistica,
caratterizzata dalla produzione in serie. Negli ultimi anni
dell’Ottocento la marca vive una sorta di fase propulsiva, di
“incubazione”, in cui compaiono i grandi marchi che domineranno
il secolo successivo. La drammatica crisi del 1929 trova così la
sua soluzione nella reinterpretazione in chiave morale e sociale
del consumo privato, caricato così di una simbologia che riesce
ad equilibrare il surplus produttivo di quegli anni. Il crack
finanziario rallenta solo parzialmente questa corsa al
rinnovamento: ormai i desideri dei consumatori si stanno facendo
sempre più specifici ed articolati, e intuire la necessità di rendere i
prodotti più appetibili ed interessanti, segmentando dunque
l’offerta, appare cosa ormai inevitabile.
8
F. Alberoni, in AA.VV. Pubblicità e Televisione (ERI Edizioni Rai – Roma,
1968)
26
È la battaglia che vede sconfitto il Modello T di Ford, come
confermato dalle stesse parole del suo creatore:
“Un’automobile è un prodotto moderno, e dev’essere
costruita non per rappresentare qualcosa, ma per poter
prestare il servizio per cui è prevista.” 9
In Italia la società dei consumi prende avvio solo al termine della
fase della prima ricostruzione post-bellica, e anche
successivamente la cultura di massa statunitense trova dure
resistenze nel nostro Paese. La marca riesce solo lentamente a
prendere corpo, e sviluppando modelli rigorosamente basati su
archetipi e valori condivisi ed universali, saldamente ancorati alla
forma mentis dell’italiano medio. Saranno innanzitutto le abitudini
di acquisto quotidiano ad essere modificate, attraverso la
marginalizzazione del prodotto sfuso, fino ad allora elemento
cardine della cultura italiana, realizzata dapprima dalle
innovazioni tecnologiche delle grandi marche, e successivamente
dagli obblighi legislativi.
Fino verso la fine degli anni Sessanta, in Italia dunque la marca
non raggiunge quello status di elemento differenziante già
fortemente radicato nel mercato statunitense. I tumultuosi anni del
Sessantotto, e la crisi petrolifera scoppiata nel 1973 in seguito allo
scoppio del conflitto arabo-palestinese, portano ad una
riconsiderazione del modello di sviluppo capitalistico intrapreso, e
ad una generazione di una nuova classe di valori non più
riconducibili alla società preindustriale degli anni precedenti. Non
è infatti un caso la comparsa, due anni dopo, della marca “Mulino
Bianco”, tra le prime realtà italiane a saper comunicare oltre i
benefici tangibili e le performance funzionali del prodotto.
9
Henry Ford, Today and Tomorrow (New York, 1926)
27
È questa la fase in cui vive la marca moderna. Ed è anche la sua
fase più florida. Ora la marca è diventata un’entità inseparabile
dal prodotto, caricato così di tutte le valenze intangibili (e del
relativo surplus economico) che un’attenta e strategica gestione di
marca sa sviluppare attraverso le corrette associazioni
simboliche.
“Negli anni Ottanta è subentrata l’ossessione dei marchi.
[…] Con l’acquisto della Kraft era stato attribuito un valore
smisurato a qualcosa di astratto e non quantificabile.
Un marchio.” 10
1.1.3 La tutela della marca.
La situazione di crescente valorizzazione dei marchi nello
sviluppo delle dinamiche di mercato attuale ha imposto
all’attenzione del mondo economico e politico internazionale
l’urgenza di risolvere la questione relativa alla tutela della marca.
Il processo di liberalizzazione dei mercati, e di conseguente
globalizzazione degli stessi, e la rapida crescita industriale in aree
del mondo dove la cultura del diritto d’autore non ha ancora diritto
di cittadinanza, ed in cui gli strumenti di sorveglianza che
sarebbero necessari risultano impossibili da attivare, sono
elementi che certamente hanno una responsabilità ampia nello
sviluppo di questo fenomeno.
Tuttavia esiste anche un altro settore in cui la marca risulta
particolarmente esposta ad usi illeciti, fuorvianti, o non autorizzati.
L’abitudine di utilizzare versioni simili o modificate di marchi
conosciuti ed apprezzati dal pubblico ha goduto infatti di una
improvvisa accelerazione con la diffusione della rete internet; sul
web, infatti, questo fenomeno risulta particolarmente utilizzato da
10
Naomi Klein, No logo. Economia globale e nuova contestazione
(Baldini&Castaldi – Milano, 2001)
28
siti e piccole aziende che tentano di intercettare il forte traffico di
utenza sviluppato da siti di marchi noti.
È innanzitutto bene ricordare che la Convenzione di Nizza ha
individuato 45 categorie merceologiche in cui è possibile applicare
la protezione del proprio marchio; questa classificazione aiuta a
redigere l’elenco dei prodotti e servizi per la registrazione del
marchio nazionale.
PRODOTTI:
1. - Prodotti chimici destinati all’industria, alle scienze e fotografia, come pure all’agricoltura,
all’orticoltura e alla silvicoltura; resine artificiali allo stato grezzo, materie plastiche allo stato
grezzo; concimi per i terreni; composizioni per estinguere il fuoco; preparati per la tempera e la
saldatura dei metalli; prodotti chimici destinati a conservare gli alimenti; materie concianti;
adesivi (materie collanti) destinati all’industria.
2. - Colori, vernici, lacche; prodotti preservanti dalla ruggine e dal deterioramento del legno;
materie tintorie; mordenti; resine naturali allo stato grezzo; metalli in fogli ed in polvere per
pittori, decoratori, tipografi ed artisti.
3. - Preparati per la sbianca ed altre sostanze per il bucato; preparati per pulire, lucidare,
sgrassare e abradere; saponi; profumeria, olii essenziali, cosmetici, lozioni per capelli;
dentifrici.
4. - Olii e grassi industriali; lubrificanti; prodotti per assorbire, bagnare e legare la polvere;
combustibili (comprese le benzine per motori) e materie illuminanti; candele e stoppini per
l’illuminazione.
5. - Prodotti farmaceutici e veterinari; prodotti igienici per scopi medici; sostanze dietetiche per
uso medico, alimenti per bebè; impiastri, materiale per fasciature; materie per otturare i denti
e per impronte dentarie; disinfettanti; preparati per distruggere gli animali nocivi; fungicidi,
erbicidi.
6. - Metalli comuni e loro leghe; materiali da costruzione metallici; costruzioni trasportabili
metalliche; materiali metallici per ferrovie; cavi e fili metallici non elettrici; serrami e
chincaglieria metallica; tubi metallici; casseforti; prodotti metallici non compresi in altre classi;
minerali.
7. - Macchine e macchine-utensili; motori (eccetto quelli per veicoli terrestri); giunti e organi di
trasmissione (eccetto quelli per veicoli terrestri); strumenti agricoli diversi da quelli azionati
manualmente; incubatrici per uova.
8. - Utensili e strumenti azionati manualmente; articoli di coltelleria, forchette e cucchiai; armi
bianche; rasoi.
9. - Apparecchi e strumenti scientifici, nautici, geodetici, fotografici, cinematografici, ottici, di
pesata, di misura, di segnalazione, di controllo (ispezione), di soccorso (salvataggio) e
d’insegnamento; apparecchi e strumenti per la conduzione, la distribuzione, la trasformazione,
l’accumulazione, la regolazione o il controllo della elettricità; apparecchi per la registrazione, la
trasmissione o la riproduzione del suono o delle immagini; supporti di registrazione magnetica,
dischi acustici; distributori automatici e meccanismi per apparecchi di prepagamento;
registratori di cassa, macchine calcolatrici, corredo per il trattamento dell’informazione e degli
elaboratori elettronici ; estintori.
10. - Apparecchi e strumenti chirurgici, medici, dentari e veterinari, membra, occhi e denti
artificiali; articoli ortopedici; materiale di sutura.
11. - Apparecchi di illuminazione, di riscaldamento, di produzione di vapore, di cottura, di
refrigerazione, di essiccamento, di ventilazione, di distribuzione d’acqua e impianti sanitari.
12. - Veicoli; apparecchi di locomozione terrestri, aerei o nautici.
13. - Armi da fuoco; munizioni e proiettili; esplosivi; fuochi d’artificio.
14. - Metalli preziosi e loro leghe e prodotti in tali materie o placcati non compresi in altre
classi; gioielleria, bigiotteria; pietre preziose; orologeria e strumenti cronometrici.
15. - Strumenti musicali.
16. - Carta, cartone e prodotti in queste materie, non compresi in altre classi; stampati; articoli
per legatoria; fotografie; cartoleria; adesivi (materie collanti) per la cartoleria o per uso
domestico; materiale per artisti, pennelli; macchine da scrivere ed articoli per ufficio (esclusi i
mobili); materiale per l’istruzione e l’insegnamento (tranne gli apparecchi); materie plastiche
per l’imballaggio (non comprese in altre classi); caratteri tipografici; clichés.
17. - Caucciù, guttaperca, gomma, amianto, mica e prodotti in tali materie non compresi in
altre classi; prodotti in materie plastiche semilavorate; materie per turare, stoppare e isolare;
tubi flessibili non metallici.
18. - Cuoio e sue imitazioni, e articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di
animali; bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni e bastoni da passeggio; fruste e articoli di selleria.
19. - Materiali da costruzione non metallici; tubi rigidi non metallici per la costruzione; asfalto,
pece e bitume; costruzioni trasportabili non metalliche; monumenti non metallici.
20. - Mobili, specchi, cornici; prodotti non compresi in altre classi in legno, sughero, canna,
giunco, vimini, corno, osso, avorio, balena, tartaruga, ambra, madreperla, spuma di mare,
succedanei di tutte queste materie o in materie plastiche.
21. - Utensili e recipienti per il governo della casa o la cucina (né in metalli preziosi né in
placcato ); pettini e spugne; spazzole (ad eccezione dei pennelli); materiali per la fabbricazione
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di spazzole; materiali per pulizia; paglia di ferro; vetro grezzo o semilavorato (tranne il vetro da
costruzione); vetreria, porcellana e maiolica non comprese in altre classi.
22. - Corde, spaghi, reti, tende, teloni, vele, sacchi (non compresi in altre classi); materiale
d’imbottitura e riempimento (tranne il caucciù o le materie plastiche); fibre tessili grezze.
23. - Fili per uso tessile.
24. - Tessuti e prodotti tessili non compresi in altre classi; coperte da letto e copritavoli .
25. - Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria.
26. - Merletti, pizzi e ricami, nastri e lacci; bottoni, ganci e occhielli, spille ed aghi; fiori
artificiali.
27. - Tappeti, zerbini, stuoie e materiali per tappeti, linoleum ed altri rivestimenti per
pavimenti; tappezzerie da pareti (non tessili).
28. - Giochi, giocattoli; articoli per la ginnastica e lo sport non compresi in altre classi;
decorazioni per alberi di Natale.
29. - Carne, pesce, pollame e selvaggina; estratti di carne; frutta e ortaggi conservati, essiccati
e cotti; gelatine, marmellate, composte; uova, latte e prodotti derivati dal latte; olii e grassi
commestibili.
30. - Caffè, tè, cacao, zucchero, riso, tapioca, sago, succedanei del caffè; farine e preparati fatti
di cereali, pane, pasticceria e confetteria, gelati; miele, sciroppo di melassa; lievito, polvere per
fare lievitare; sale, senape; aceto, salse (condimenti); spezie; ghiaccio.
31. - Prodotti agricoli, orticoli, forestali e granaglie, non compresi in altre classi; animali vivi;
frutta e ortaggi freschi; sementi, piante e fiori naturali; alimenti per gli animali, malto.
32. - Birre; acque minerali e gassose ed altre bevande analcoliche; bevande di frutta e succhi di
frutta; sciroppi ed altri preparati per fare bevande.
33. - Bevande alcoliche (tranne le birre).
34. - Tabacco; articoli per fumatori; fiammiferi.
SERVIZI:
35. - Pubblicità; gestione di affari commerciali; amministrazione commerciale; lavori di ufficio.
36. - Assicurazioni; affari finanziari; affari monetari; affari immobiliari.
37. - Costruzioni edili; riparazione; servizi d’installazione.
38. - Telecomunicazioni.
39. - Trasporto; imballaggio e deposito di merci; organizzazione di viaggi.
40. - Trattamento di materiali.
41. - Educazione; formazione; divertimento; attività sportive e culturali.
42. - Servizi scientifici e tecnologici come servizi di ricerca e progettazione relativi a ciò; servizi
di analisi e ricerche industriali; progettazione e sviluppo di computer e di programmi per
computer; servizi legali.
43. - Servizi di ristorazione(alimentazione); alloggi temporanei.
44. - Servizi medici; servizi veterinari; cure d’igiene e di bellezza per persone ed animali;
servizi per l’agricoltura, l’orticoltura e la silvicoltura.
45. - Servizi personali e sociali, resi da terzi, per il soddisfacimento di bisogni individuali; servizi
di sicurezza per la protezione di beni e di persone.
Per un’impresa italiana che decide di proteggere il proprio
marchio è possibile affidarsi a tre diversi livelli di protezione
territoriale: se si decide per un marchio nazionale, andrà
contattato l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, che si occuperà della
registrazione del marchio indicato conducendo tuttavia soltanto
una ricerca di distintività su di esso, e non garantendo così da
eventuali sovrapposizioni con marchi già esistenti.
La disciplina normativa attualmente vigente presuppone che la
registrazione di un marchio non crei confusione o possibilità di
associazioni con un marchio esistente. Molto spesso questo
aspetto non viene considerato e vengono di conseguenza
registrati marchi passibili di una pronuncia di nullità.
Per minimizzare questo genere di rischio vanno compiute ricerche
su apposite banche dati al fine di evitare l'eventualità che,
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successivamente alla registrazione, possano essere fatti valere
dei diritti anteriori.
I diritti anteriori sono essenzialmente costituiti da marchi
d'impresa (registrati o solo depositati); ragioni / denominazioni
sociali, che siano utilizzati per contraddistinguere i prodotti o
l'attività di un'impresa. Questa ricerca viene effettuata su data
base elettronici che raccolgono tutti i marchi registrati o per i quali
sia stata depositata la relativa domanda.
In base al risultato di tale ricerca si possono desumere indicazioni
in merito alla tipologia di deposito, marchio denominativo,
figurativo, a colori o in bianco e nero, con l'aggiunta di ulteriori
diciture distintive, nonché in merito alla strategia di deposito:
nazioni in cui procedere e procedure da attivare.
Gli esiti della ricerca potrebbero infatti confermare la validità del
marchio o, al contrario sconsigliarne non solo il deposito (rischio
di nullità del marchio) ma anche l'uso stesso del marchio (rischi di
contestazione da parte di terzi).
Il 1º ottobre 2004 la Comunità europea ha aderito al sistema del
Protocollo di Madrid, circostanza grazie alla quale i detentori di
marchi hanno la possibilità di servirsi dei marchi comunitari come
base per le domande di marchi internazionali e di richiedere i
marchi comunitari servendosi del sistema internazionale. Questo
ha notevolmente favorito le registrazioni di marchi comunitari, cioè
segni di identificazione e di distinzione dei prodotti o dei servizi
validi nell'intera Comunità europea, il cui ufficio di competenza è
l’OAMI. Il sistema del MC non ha alcuna incidenza sui sistemi
nazionali di marchi degli Stati membri (e, per quanto riguarda
Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, sull'Ufficio dei marchi del
Benelux). Le imprese commerciali sono libere di depositare
domande di marchio nazionale, una domanda di MC o entrambe.
I numerosi marchi nazionali esistenti e registrati negli Stati
membri restano validi. Il ricorso alla tutela del MC in maniera
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esclusiva o unitamente a quella offerta dai marchi nazionali
dipende interamente dalla strategia dei richiedenti e dei titolari dei
marchi. I marchi nazionali anteriori costituiscono però un diritto
anteriore ad un marchio comunitario e viceversa.
Possono costituire marchi comunitari tutti i segni che possono
essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi
nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma dei prodotti
o del loro confezionamento, a condizione che tali segni siano
adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di
altre imprese.
Pertanto, i segni che possono essere registrati come marchi sono
marchi composti da parole, lettere, numeri o da combinazioni di
tali elementi; marchi figurativi, comprendenti o meno parole;
marchi figurativi a colori; colori o combinazioni di colori; marchi
tridimensionali; marchi sonori.
Naturalmente le attività di protezione del proprio marchio non si
limita alla sua registrazione, ma proseguono con un attenta
sorveglianza e monitoraggio del mercato, in modo che eventuali
tentativi di contraffazione siano immediatamente identificati e
bloccati sul nascere attraverso la tutela giuridica che la
registrazione del marchio ha reso disponibile. È ovvio, tuttavia,
come queste attività di controllo risultino sempre più difficili ed
onerose con il moltiplicarsi degli operatori commerciali e dei canali
di vendita.
La crescente attenzione rivolta inoltre ai domain names, i nomi dei
domini internet, ha introdotto recentemente un nuovo fronte di
difficile risoluzione giuridica, e cioè quello relativo alla legittimità di
utilizzo, da parte del proprietario di un marchio, del relativo
indirizzo web.
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