7 
 
INTRODUZIONE 
 
L’accostamento dei termini Logos e musica nel titolo di questa tesi vuole essere 
un tentativo di spiegazione della dialettica tra questi due complessi concetti.  
Anzitutto è necessario chiarire cosa si indica con le due parole in esame. 
Con logos e Logos, scritti volutamente con la lettera minuscola e maiuscola, si 
intende il duplice rinvio alla ragione, intesa nel primo caso in termini filosofici 
come sostanza o causa del mondo, vale a dire come sinolo di pensiero e 
linguaggio. Con il termine Logos invece ci si riferisce alla persona divina di 
Cristo, Verbo incarnato. Questo Logos, che da ora in poi sarà indicato unicamente 
con la iniziale maiuscola, è legato da una relazione di complementarità con il 
concetto di musica: il Logos si fa musica e la musica è manifestazione del Logos. 
Dall’ascolto del bello dei suoni è possibile cogliere le sue dinamiche: un iter che 
tende all’agostiniana Civitas Dei.  
Dal punto di vista filosofico, la trattazione della musica ha partorito due 
definizioni nel corso della sua storia. Nel primo caso la musica è concepita come 
luogo di rivelazione del divino o comunque di una realtà superiore. Rivelazione 
che dal punto di vista strettamente filosofico è una forma di conoscenza, mentre 
da quello religioso sottende un certo tipo di sentimento nei confronti della realtà 
divina. La seconda definizione di musica è invece meno metafisica e 
teologizzante, poiché implica una trattazione più tecnica: è una techne che 
concerne la sintassi dei suoni. Seguendo il filo della prima definizione, giungiamo 
a distinguere due iter. Il primo identifica l’oggetto della musica nell’armonia 
universale: qui l’universo assume carattere divino. Nell’altro percorso invece 
l’oggetto della musica coincide con il principio del cosmo e in virtù di ciò la 
musica è intesa come autorivelazione del principio stesso, sotto forma di 
sentimento. Nonostante la differenza appena evidenziata, le due concezioni hanno 
in comune la separazione della musica intesa come arte pura dalle tecniche grazie 
alle quali essa prende forma
1
. 
La disciplina in questione all’interno della quale si svilupperà la nostra 
indagine è la filosofia della religione. Essa è considerata una “filosofia seconda”, 
                                                 
1
 Cfr. N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Utet, Torino, 1968, p. 585.
8 
 
vale a dire una disciplina che si estende in un ambito particolare dell’esperienza 
umana. Essendo seconda, presuppone l’esistenza di una filosofia prima, teoretica 
e capace di auto fondarsi, tradizionalmente identificata con la metafisica (intesa 
aristotelicamente come scienza dell’essere in quanto essere) e con la logica 
(secondo il pensiero hegeliano, come struttura della realtà). Non vige disaccordo, 
bensì dialogo fra religione e filosofia; la filosofia della religione è definibile come 
“chiarificazione ermeneutica dell’esperienza religiosa”
2
. Qui si ripropone il 
problema plurisecolare del rapporto tra teologia e filosofia (filosofia della 
religione in particolare). Con teologia, in questo caso, non si fa riferimento a uno 
spazio circoscritto della filosofia come fa Aristotele, ma a quella dogmatica che 
limita la filosofia come disciplina che completa la riflessione sulla verità. Da parte 
sua la filosofia, con il suo carattere critico, trova delle difficoltà a operare in un 
contesto in cui sono accettate delle definizioni dogmatiche a priori. Come scrisse 
Hans Urs von Balthasar “Senza filosofia nessuna teologia”: in questo senso la 
presente tesi si occuperà di trattare un argomento teologico, vale a dire la musica 
liturgica, con gli strumenti razionali forniti dalla filosofia. Luigi Pareyson invitava 
a riconoscere il carattere complementare di filosofia e religione, ma allo stesso 
tempo ammetteva la differenza fra le due discipline, evitando il rischio di 
eliminare il confine tra di loro
3
. Il divario non è di oggetto, bensì di metodo, 
ovvero di orientamento nei confronti dell’oggetto: si tratta di un interrogativo di 
fondo, non di un punto di partenza. La teologia si basa su un primo elemento 
rivelato, mentre la filosofia svolge il procedimento inverso, perché il suo scopo è 
quello di ritornare a quel nucleo tramite passaggi che lo giustifichino 
razionalmente, anche se spesso giunge a riconoscere la difficoltà di darne 
un’elaborazione concettuale. Dunque, nonostante religione e filosofia si siano 
trovate spesso in conflitto tra loro, esse non sono estranee, ma condividono una 
radice unitaria: l’indagine del rapporto dell’uomo con l’Altro interpretato, a 
seconda dei casi, come essere, infinito, assoluto, Dio. Questo Altro, rispetto 
all’elemento antropologico, è suo fondamento, suo fine, sua origine e significato 
della sua esistenza. Il fatto religioso è l’oggetto della filosofia della religione e, in 
                                                 
2
 M. Ravera, Introduzione alla filosofia della religione, Utet libreria, Torino, 1995, p. 39. 
3
 Cfr. P. Coda, P. D. Bubbio (edd.), contributi di N. Bosco [et al.], L’esistenza e il Logos: filosofia, 
esperienza religiosa, rivelazione, Città Nuova, Roma, 2007, p. 8.
9 
 
virtù di ciò, essa resta filosofia e non diventa religione. Il suo atteggiamento è 
ermeneutico, critico. Riprendendo le parole di Giuseppe Riconda, “la filosofia 
della religione è possibile solo se si stringe un patto fra filosofia e religione per 
cui l’una non fagociti o renda insignificante l’altra […] questo patto è difficile da 
realizzare e il realizzarlo costituisce propriamente il problema fondamentale della 
filosofia della religione”
4
. 
Gli strumenti di filosofia della musica che sono stati utilizzati per operare 
un’analisi della musica liturgica provengono dal testo del maestro Daniel 
Barenboim (1942-vivente), La musica è un tutto. Etica ed estetica da cui emerge 
il concetto di “tutto organico”. Con questa espressione si intende che ogni parte 
inerente al discorso musicale è collegata all’altra; non possono sussistere infatti 
una melodia senza il ritmo o una melodia senza armonia o ancora un’armonia 
senza ritmo e così via. Qui si rilevano interessanti spunti che sono serviti da 
collegamento con due dei maggiori, se non i maggiori esponenti della teologia 
degli ultimi tempi: Josef Ratzinger (1927-vivente) e Pierangelo Sequeri (1944-
vivente). Il “tutto organico” nel contesto della funzione liturgica cattolica è 
rappresentato dalla relazione tra musica e rito, infatti la prima è considerata come 
parte necessaria e integrante della liturgia.  
La scelta di questi tre autori di riferimento per la tesi ha come scopo quello 
di trovare delle categorie utili a leggere la relazione tra Logos e musica sia dal 
punto di vista filosofico sia teologico. L’ebreo Barenboim riflette sulla filosofia 
della musica dal punto di vista del direttore d’orchestra contemporaneo, il 
sacerdote cattolico Sequeri, oltre che essere un illustre teologo degli ultimi anni, si 
distingue anche come compositore liturgico, infine Ratzinger, l’odierno pontefice 
emerito, Benedetto XVI, ha spesso dimostrato nel suo pensiero teologico un nesso 
con la musica. Per il Natale 2009 Ratzinger ha firmato un disco che riunisce la 
spiritualità mariana degli ultimi due millenni e aiuta il fedele a entrare in 
un’atmosfera che ha in dono solo in alcuni particolari momenti del pellegrinaggio 
terreno
5
. 
                                                 
4
 G. Riconda, Introduzione allo studio della religione, Utet, Torino, 1992, p. 49. 
5
 Cfr. Music from the Vatican. Alma Mater. Featuring the voice of Pope Benedict XVI, Multimedia 
San Paolo Srl and Radio Vaticana, Roma, 2009.
10 
 
La relazione tra Logos e musica avviene qui in questi termini: l’incipit del 
Vangelo di Giovanni “In principio era il Logos. Il Logos era presso Dio. Il Logos 
era Dio”
6
, può essere messo a confronto con l’espressione di Barenboim “in 
principio era il suono”
7
. Unendo queste due diciture si può dunque pervenire a una 
interpretazione del Logos, del Verbo, della Ragione originaria dal punto di vista 
musicale. Anche Sequeri nel suo testo Musica e mistica. Percorsi nella storia 
occidentale delle pratiche estetiche e religiose, individua alcune tracce di 
divinazioni del ritmo originario, alcuni ritmi vitali percepibili nei fremiti, nelle 
onde sonore e nelle grida. Da parte sua, Ratzinger sollecita un allargamento del 
Logos fino alla ragione originaria della creazione e fino al pensiero dell’intima 
realtà di Dio come Amore originario
8
. Non tutte le forme di musica possono 
entrare a far parte della liturgia cattolica se non si sorreggono sul criterio del 
Logos. Lo Spirito Santo conduce al Logos, dunque si tratta di una musica che 
innalza il cuore, chiama alla lode: Sursum corda. Come diceva San Cipriano, 
“Quando la Chiesa celebra cantando esprime nel modo più autentico la verità del 
suo essere Corpo e Sposa di Cristo”.  
Nel Logos che si fa musica entra in gioco l’elemento della musica come 
oggetto dell’estetica. Qui non si tratta dell’estetica nel senso moderno, intesa 
come riflessione della filosofia sull’arte, bensì di áisthesis, vale a dire di 
percezione, in questo caso del divino. L’intento è quello di scoprire come si possa 
sentire attraverso la sensibilità dell’udito la bellezza del mistero divino. Per questo 
motivo, nella prima parte di questo lavoro si dedicherà lo spazio opportuno 
all’esame dell’inventore, come lo definisce Sequeri, di una estetica teologale 
cristiana: Sant’Agostino. Il vescovo d’Ippona scrisse “Tardi ti ho amato, Bellezza 
tanto antica e tanto nuova; tardi ti ho amato”
9
. Questa affermazione sembra essere, 
in questo contesto, la risposta alla domanda presente nell’Idiota di Fëdor 
Dostoevskij: “quale bellezza salverà il mondo?”. 
A questo punto è necessario definire meglio che cosa si intende con 
“musica sacra”, perché da essa discendono le definizioni di musica liturgica e 
                                                 
6
 Gv 1,1 in La Bibbia di Gerusalemme, Bologna, Dehoniane, 2000. 
7
 D. Barenboim, La musica sveglia il tempo, Feltrinelli, Milano, 2007, p. 29. 
8
 Cfr. P. Sequeri, L’amore della ragione. Variazioni sinfoniche su un tema di Benedetto XVI, EDB, 
Bologna, 2012, quarta di copertina. 
9
 Sant’Agostino, Confessioni, X, 27, tr. It. A. Landi, Paoline, Milano, 1995.
11 
 
musica religiosa. Non tutta la musica sacra è musica liturgica, ma solo quella che 
la Chiesa ammette quando vi riconosce la sua preghiera ed è conforme ai criteri 
liturgici approvati dalla Santa Sede. Da parte sua, invece, la musica religiosa è 
quella che esprime il sentimento religioso senza essere destinata al culto; la sua 
collocazione è il concerto spirituale. Per chiarezza ulteriore si possono distinguere 
le seguenti quattro accezioni, ovvero categorie canoniche di musica sacra. Il canto 
della liturgia che è propriamente liturgico; il canto nella liturgia con cui si intende 
quello che insieme alla musica accompagna la liturgia; il canto intorno alla 
liturgia impiegato in cerimonie non strettamente liturgiche; infine il canto fuori 
della liturgia, vale a dire la musica religiosa extraliturgica
10
. 
La nozione di musica sacra - che non si trova definita né nelle Scritture, né 
nella Chiesa primitiva, né presso gli scolastici - apparve per la prima volta nel 
titolo di un’opera di Michaël Praetorius del 1614. Essa stava a indicare solamente 
una classificazione di opere, non la definizione di un genere. Sarà solamente nel 
1884 che, in occasione della promulgazione di un’ordinanza della Sacra 
Congregazione dei Riti sulla “musica sacra”, questa nozione vide la luce nella 
Chiesa Cattolica. Tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del 
Novecento, era intesa come musica sacra quella destinata al culto. In 
contrapposizione a questa, la musica d’arte viene caratterizzata da argomento o 
testo religioso, senza dover rispettare i canoni liturgici di riferimento quali il 
gregoriano e la musica palestriniana. In entrambi casi (musica sacra e d’arte) si 
tratta di musica colta, non popolare o di consumo. Dunque si può considerare 
come vera arte sacra, quella che si impegna a essere a servizio del culto e che 
dedica a Dio ciò che è più eccellente e degno di lui: essa non è mera ars gratia 
artis, bensì arte plasmata dalla sua destinazione liturgica. In effetti nel XIX secolo 
la teatralizzazione progressiva della musica caratterizzò anche riti e celebrazioni 
liturgiche nella Germania meridionale e nell’Austria. Una corrente opposta prese 
posizione per proporre un ritorno alla heilige Musik. Il termine in questione fece la 
sua prima apparizione in un documento ufficiale della Chiesa al Sinodo 
provinciale di Colonia. La corrente giungerà alla fondazione, tra XIX e XX 
secolo, del Movimento Ceciliano (dal nome di Santa Cecilia, patrona di musici e 
                                                 
10
 Cfr. J. Gelineau, Canto e musica nel culto cristiano: principi, leggi e applicazioni, LDC, Torino, 
1963, p. 102.
12 
 
cantori, festeggiata il 22 novembre), che attraverso interpretazioni storicamente 
fedeli aveva come scopo la diffusione della cultura e della pratica della musica 
sacra. Il movimento ebbe l’approvazione nel 1870 da papa Pio IX. Da allora la 
Chiesa Cattolica ha lavorato per definire il ruolo, il criterio e lo spazio della 
musica sacra nella liturgia, ben formulato nella Costituzione sulla sacra liturgia: 
la Sacrosanctum Concilium. Come si vedrà nella seconda parte della tesi, il fine 
della musica liturgica è la glorificazione di Dio e la santificazione dei fedeli: così 
il Concilio Vaticano II ha attribuito solennemente una funzione ministeriale alla 
musica nella funzione liturgica
11
. 
La tesi è suddivisa in due parti. Nella prima è sviluppato il rapporto tra la 
musica e la storia della filosofia. Si darà inizialmente spazio ai soggetti di 
trattazione, vale a dire alla filosofia della musica di Daniel Barenboim, di 
Pierangelo Sequeri e Joseph Ratzinger. Con l’ausilio delle categorie offerte da 
questi autori, lo studio metterà in luce la questione a partire dal mondo antico, per 
poi evidenziare le origini medievali del canto liturgico, le accezioni di 
quest’ultimo nel periodo moderno e infine nell’età contemporanea. Alla parte 
medievale sarà dedicato maggior spazio col fine di evidenziare gli autori su cui si 
è basata l’estetica teologica della Chiesa cattolica dalla prime formulazioni sino al 
periodo postconciliare. 
Nella seconda sezione è presentato il rapporto tra la musica e la religione. 
Il nocciolo concettuale è rappresentato dall’espressione “il Logos si fa musica 
liturgica”. È proposta così un’analisi della musica liturgica con gli strumenti 
ermeneutici forniti da Barenboim ed esegetici dati dai teologi Ratzinger e Sequeri. 
Questi ultimi si rifanno ai documenti della Sacrosanctum Concilium, già citata, 
che presenta una sistemazione teologica del materiale sulla musica liturgica.  
Si partirà dall’utilizzo della musica colta occidentale nel rito cattolico, 
analizzando la teologia della creazione nella musica di Giovanni Pierluigi da 
Palestrina; quindi la grande figura del primo musicista-teologo, vale a dire Johann 
Sebastian Bach, per poi passare attraverso l’itinerario “pasquale” di Franz Joseph 
Haydn. Per introdurre alcune espressioni di Ratzinger si verrà poi toccati da “un 
                                                 
11
 Cfr. J. M. Bodo, Musique sacrée et inculturation, in Musica sacra, una sfida liturgica e 
pastorale: atti della II Giornata di studio nell’anniversario della “Sacrosanctum concilium”, 
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2008, pp. 96 sgg.
13 
 
raggio di bellezza dal cielo” ascoltando la musica di Wolfgang Amadeus Mozart e 
si percepirà “il fiume che collega alle origini” nei brani di Luigi Cherubini. 
Avvicinandoci al nostro secolo, due esempi di interpretazione singolare della 
musica liturgica: Ludwig van Beethoven che vi esprime la trinità di Umanità, Dio 
e Natura e Anton Bruckner che presenta l’estremizzazione dell’interiorizzazione 
romantica. Si farà accenno a due figure di spicco della musica sacra italiana 
recente: Pietro Alessandro Yon e Lorenzo Perosi. Nonostante i successi ottenuti 
oltreoceano dal canavesano Yon, egli resta pressoché sconosciuto nel mondo 
organistico italiano, ma vale la pena citarlo (anche per ragioni “sentimentali”) per 
l’opera di innovazione stilistica in un fine Ottocento in cui l’organo aveva una 
prevalente funzione di abbellimento. Seguirà poi un capitolo sulla musica nella 
cappella sistina, considerata da Ratzinger, esempio per il mondo intero: qui Perosi 
segnò un periodo di splendore.  
Infine la musica liturgica contemporanea d’uso comune, quella che ha 
cercato di mettere in pratica le “regole” dettate dal Vaticano II, è esemplificata 
dalla “Rivoluzione d’amore” dei Gen, uno dei movimenti sorti spontaneamente 
all’interno della chiesa postconciliare. E ancora, guardando al panorama 
contemporaneo è proposto uno studio del simbolo musicale nei brani di due autori 
italiani: Pierangelo Sequeri e Marco Frisina. In conclusione, per richiamare il 
carattere ecumenico della Chiesa e il valore del silenzio si tratterà della musica di 
Taizé, composta da Jacques Berthier e Joseph Gelineau.  
Il Logos continua a farsi musica dai primi secoli del cristianesimo fino a 
oggi, affondando le proprie radici nella ragione originaria discussa nel mondo 
antico.