7
quest’ultima regnava incontrastata: il suo impero era talmente sconfinato
che non era nemmeno necessario parlare di “retorica generale” ma più che
altro di “retorica totalizzante”. Già nel Medioevo questo predominio
assoluto comincia ad incrinarsi, incalzato da un avversario quasi divino: la
teologia. Ma la prima svolta significativa è segnata dalla pubblicazione nel
1730 del trattato “Des Tropes” di Du Marsais: esso infatti si dedica non
tanto allo studio delle Figure in generale, quanto a quello dei tropi: il
problema del senso, dello scarto tra letterale e figurato diventa centrale;
Genette la definisce giustamente “riduzione tropologica”
2
. Un secolo dopo
Fontanier raccoglie l'eredità del Du Marsais nel suo “Traité général des
figures du discours” (1821-27): al tropo viene affidata la parte di attore
principale, tutte le altre categorie di figure sono solo dei comprimari.
Rispetto ai quattro tropi primari, ovvero metafora, metonimia, sineddoche e
ironia, il Du Marsais opera un riavvicinamento della metonimia e della
sineddoche, mentre il Fontanier esclude l'ironia. Sommando le due
sottrazioni ecco che si giunge alla dicotomia della retorica moderna tra
metafora e metonimia. E come non pensare, in tempi più recenti, al polo
metaforico e a quello metonimico del famoso articolo di Jakobson “Due
aspetti del linguaggio e due tipi di afasia”?
3
Tra le figure di "similarità", la
metafora si guadagna l'esclusiva e incomincia a diventare onnipotente
attraverso la conquista del campo analogico: il paragone esplicito con il suo
ingombrante "come" si estingue nel nome della concentrazione semantica
2
GENETTE [1976], p. 19
3
JAKOBSON [1956-1966]
8
tipica del "tropo della similarità". Stabilendo una serie di parametri, Genette
opera una soddisfacente distinzione del fenomeno-paragone e del
fenomeno-metafora tracciando un continuum dei tipi di analogia del quale il
"nostro tropo" sarebbe solo una delle tante sottocategorie. Bisogna
considerare come parametri distintivi:
1. La presenza/assenza del 1° termine di paragone
(il tenor del Richards
4
).
2. La presenza/assenza del 2° termine di paragone
(il vehicle del Richards).
3. La presenza/assenza del modalizzatore comparativo
(come, simile a, somigliare, etc.).
4. La presenza/assenza della motivazione (ground) del paragone.
In base a queste quattro caratteristiche, saremo in grado di distinguere per
esempio tra paragone immotivato (il mio amore è come una fiamma) e
paragone motivato (il mio amore brucia come una fiamma) dotato di una
portata analogica assai più limitata dal momento che amore e fiamma sono
messi in relazione solo grazie al calore. Oppure l'assenza del modalizzatore
darà vita ad un'identificazione piuttosto che ad un paragone in senso
proprio. Ma riportiamo la tabella che delinea i vari tipi delle figure di
analogia.
5
4
RICHARDS [1936-1967]
5
GENETTE [1976], p. 28
9
Figure
d’analogia
1° termine
di paragone
Motivo Modalizzatore 2° termine
di paragone
Esempi
Paragone
motivato
+
+
+
+
Il mio amore
brucia come
una fiamma
Paragone
immotivato
+
+
+
Il mio amore
somiglia ad
una fiamma
Paragone
motivato
senza 2° termine
di paragone
+
+
+
Il mio amore
brucia come...
Paragone
motivato
senza 1° termine
di paragone
+
+
+
...bruciante
come una
fiamma
Paragone
immotivato
senza 2° termine
di paragone
+
+
Il mio amore
somiglia a...
Paragone
immotivato
senza 1° termine
di paragone
+
+
...come una
fiamma
Identificazione
motivata
+
+
+
Il mio amore
(è) una
fiamma
ardente
Identificazione
immotivata
+
+
Il mio amore
(è) una
fiamma
Identificazione
motivata
senza 1° termine
di paragone
+
+
La mia
ardente
fiamma
Identificazione
immotivata
senza 1° termine
di paragone
(metafora)
+
La mia
fiamma
Pur avendo dimostrato attraverso questa tabella come la metafora sia solo
una forma tra tante altre, essa continua la sua marcia trionfale sconfiggendo
la sua ultima e più accanita avversaria: la metonimia. Finalmente la
10
metafora viene incoronata come "il tropo dei tropi"
6
, "la figura delle figure"
7
, "la figura centrale di qualsiasi retorica"
8
.
"Così, in virtù di un centrocentrismo apparentemente universale e
insopprimibile, tende a installarsi nel cuore della retorica - o di quanto ne
rimane - non più l'opposizione polare metafora-metonimia, in cui poteva
ancora insinuarsi un po' d'aria e circolare qualche frammento di un grande
gioco, bensì la sola metafora, raggelata nella sua inutile regalità"
9
. Genette
delinea questo scenario in modo un po' nostalgico e sicuramente ad effetto
anche se parlare di "raggelamento" e di "inutile regalità" è sicuramente
ingiusto nei confronti di un "monarca" che non vedrei inoperoso ed isolato
nella sua reggia ermetica, quanto piuttosto in mezzo alla gente, nella vita di
tutti i giorni pervaso da una febbrile attività. Ma di questa resurrezione della
metafora, anche se in ambiti non previsti dalla retorica classica, parleremo
più estesamente in seguito. Del resto il "conservatorismo" di Genette può
essere condensato in una sua frase: "Torniamo all'antico, sarà un
progresso"
10
. Per lui tutte queste "teoriche ristrette" non possono certo
competere con l'antica retorica generale né con un'ipotetica neoretorica che
sia una semiotica di tutti i discorsi.
Spero di poterlo smentire dimostrando come la teoria del "Metaphorical
Reasoning" di George Lakoff e Mark Johnson
11
, pure essendo "ristretta"
6
SOJCHER [1970], p. 58
7
DEGUY [1969], p. 841
8
GRUPPO µ [1970], pp. 7 e 91
9
GENETTE [1976], p. 31
10
GENETTE [1976], p. 40
11
LAKOFF & JOHNSON [1980-1982]
11
alla sola metafora, abbia un respiro molto più ampio di tante retoriche
generali che ormai hanno ceduto il campo ad avversari più giovani ed
agguerriti che si chiamano pragmatiche, semeiotiche, prossemiche,
grammatiche generativo-trasformazionali, e chi più ne ha più ne metta.
Mi sembra utile a questo punto esaminare le conclusioni di quello che può
essere definito un pioniere del processo di rivalutazione e valorizzazione
della metafora, ovvero Ivor Armstrong Richards, nei confronti del quale
indubbiamente Lakoff & Johnson sono debitori. Nel suo libro “The
Philosophy of Rethoric” pubblicato nel lontano 1936 [ma non
dimentichiamoci il contributo di J.M. Murry in “Metaphor” (1936) dove si
rivendica la forza conoscitiva della metafora], viene criticato con forza il
fatto che “per tutta la storia della retorica, la metafora è stata considerata
un espediente eccezionale...ma che richiede straordinarie doti di capacità e
di prudenza. In breve, un decoro o un ornamento o un potere aggiuntivo del
linguaggio e non la sua forma costitutiva”.
12
Il linguaggio è infatti
organicamente metaforico, poiché permette di sottolineare rapporti tra le
cose non scorti in precedenza, anche se poi la forza di questi rapporti
associativi va svanendo man mano che le espressioni che li veicolano
divengono convenzionali. La metafora è dunque, per il Richards, “un
principio onnipresente nel linguaggio” e questa affermazione può essere
dimostrata già con la semplice osservazione: l’uomo infatti non sarebbe
capace di mettere insieme nemmeno tre frasi senza usare la metafora ed è
12
RICHARDS [1936-67], p. 86
12
impossibile trovare una parola o una descrizione di concetti astratti che non
risulti presa, attraverso il meccanismo metaforico, dalla descrizione di un
fatto fisico (è sufficiente ricostruire l’etimologia delle parole). Anche nella
filosofia vale la stessa legge “perché quanto più essa si fa astratta, tanto più
insistentemente pensiamo per mezzo di metafore alle quali, tuttavia,
dichiariamo di non ricorrere. Le metafore che evitiamo guidano il nostro
pensiero proprio come quelle che accettiamo”.
13
Viene quindi esplicitato una sorta di teorema metaforico: quando
adoperiamo una metafora abbiamo due pensieri di cose differenti
contemporaneamente attivi e sorretti da una singola parola o frase, il cui
significato risulta dalla loro interazione. Mi sembra quindi di poter
individuare in Richards due processi di evoluzione, rigorosamente speculari,
nel modo di concepire la metafora:
1- Da un livello puramente linguistico (ornamento) si passa ad un livello
concettuale (“commercio di pensieri”
14
).
2- Da una concezione sostitutiva (il traslato sostituisce il significato
letterale) si passa ad una concezione interattiva (livello metaforico e
letterale sono compresenti e interagiscono
15
).
“Il pensiero è metaforico e procede per comparazioni, e le metafore del
linguaggio derivano da queste...Il metodo giusto consiste nel prender nota
più accuratamente di un’abilità di pensiero che possediamo e di cui siamo
13
RICHARDS [1936-67], p. 88
14
RICHARDS [1936-67], p.90
15
A questo punto il riferimento alla “concezione interattiva” di M. BLACK [1962-83] mi sembra
doveroso.
13
consapevoli soltanto di quando in quando. Dobbiamo...elevare la nostra
consapevolezza implicita a capacità di distinzione esplicita”
16
.
E con queste ultime affermazioni non solo si compie un processo di
evoluzione ma una vera e propria rivoluzione copernicana: infatti “il tropo
dei tropi” viene considerato prima di tutto un Concetto dal quale nasce per
generazione la Metafora Linguistica (per un’ipotesi di “retorica generativa”
è sufficiente leggere più avanti in questo stesso capitolo). Inoltre si afferma
la spontaneità del processo metaforico che ha luogo al livello inconscio e
raramente fa visita al regno della consapevolezza.
Rinuncerò a descrivere la ormai famosa distinzione tra tenore e veicolo
(tenor/vehicle) dal momento che è meno interessante per gli sviluppi della
mia tesi. Nel proseguire la lettura di questo capitolo, soprattutto dove
descrivo le teorie di Lakoff & Johnson, salterà agli occhi come le idee e le
conclusione del Richards che ho riportato siano di fondamentale
importanza: infatti tutti gli autori che, dopo di lui, hanno avuto a che fare
con la metafora, gli sono in qualche modo debitori e ne hanno raccolto
l’eredità pur essendo andati anche molto lontani su questo cammino.
La teoria dei “conceptual metaphorical systems” viene presentata nel libro
di Lakoff & Jonnson “Metaphors we live by” (The University of Chicago
Press, 1980) e tradotto in Italia col titolo di “Metafora e vita quotidiana”
(Editori Europei Associati, 1982). Per prima cosa è necessario inquadrare
gli autori, entrambi americani: Mark Johnson è un filosofo, e George Lakoff
16
RICHARDS [1936-67], p.90
14
un linguista che s’inserisce nell’alveo della grammatica generativo-
trasformazionale. Mi sembra chiaro che la compresenza del filosofo e del
linguista dia la misura del carattere proteiforme della metafora, in bilico tra
pensiero e linguaggio.
In figura: ecco un chiaro esempio di uso della Metafora come semplice ornamento in una
vignetta di “Snoopy” disegnata da Charles M. Schulz
Rispetto a quella tradizione che ha visto la metafora come ornamento del
linguaggio ascrivibile esclusivamente al campo della stilistica, i due autori
compiono una svolta decisiva, rifiutando con decisione di considerare la
metafora esclusivamente una figura retorica, e affermando come essa sia
15
soprattutto forma di pensiero, meccanismo concettuale che ci permette di
categorizzare le nostre esperienze.
La metafora è ovunque: geneticamente nel nostro pensiero, nelle nostre
azioni e infine nel nostro linguaggio.
Si potrebbe quasi parlare di una “retorica generativa”
17
nella quale da un
livello profondo e difficilmente descrivibile (il livello concettuale) si genera
per successive trasformazioni un livello superficiale, manifesto e
analizzabile (il livello del linguaggio). La dimensione metaforica
percorrerebbe allora questo tragitto assumendo la forma di metafora
concettuale a livello profondo e generando le corrispondenti espressioni
metaforiche linguistiche al livello manifesto.
Ho abbozzato due schemi che illustrano questa “ipotesi generativa”.
17
BERTINETTO [1975], p. VII, Introduzione, in HENRY [1975]; il riferimento alla Grammatica
generativo-trasformazionale di CHOMSKY [1965] è evidente; vedere anche la Semeiotica
generativa di MARSCIANI-ZINNA [1991]
16
Figura 1 - Lo schema generale
Figura 2 - Applicazione pratica dello schema generale
17
Grazie a questa interpretazione appare chiaro perché anche le espressioni
apparentemente più “letterali” discendano da metafore concettuali
“attraverso le quali viviamo”. Il concetto di “letteralità” si dissolve in una
gerarchia di livelli metaforici che può essere identificata nel processo di
generazione dal livello profondo a quello manifesto. La metafora diventa in
questo modo il punto di partenza per una ridiscussione della natura stessa
delle espressioni linguistiche: per comprendere come il linguaggio significhi
bisogna spostarsi ad un livello diverso da quello del linguaggio stesso.
Bisogna investigare sui nessi tra le struttura cognitive (metaforiche) e le
strutture linguistiche; e a questo punto entra in scena prepotentemente la
dimensione culturale: le nostre strutture cognitive infatti dipendono non
solo dal patrimonio genetico innato tipico della nostra specie, ma anche
dall’ambiente, ovvero dagli usi e dalle consuetudini dettati dalla cultura in
cui viviamo. Per questo motivo si potrebbe dire che il libro di Lakoff &
Johnson sia un libro sulla metafora americana, e non poteva essere
altrimenti dal momento che entrambi gli autori sono cresciuti e vivono negli
Stati Uniti. La mappa del senso comune che essi tracciano grazie
all’esplorazione del continente linguistico, è la parte più interessante del
loro libro: le linee di questa mappa regolano in modo implicito le nostre
azioni e il nostro parlare quotidiano all’interno di una certa cultura
(americana in questo caso, occidentale per estensione). Toccherà quindi a
me compiere un lavoro sulla metafora italiana, scegliendo un ambito ideale
di osservazione nel linguaggio della politica. Ma andiamo ad analizzare più
18
da vicino le parti più illuminanti di “Metaphors we live by” di Lakoff &
Johnson.
“La metafora è da molti considerata come uno strumento
dell’immaginazione poetica, un artificio retorico, qualcosa insomma che ha
più a che vedere con il linguaggio straordinario che con quello comune.
Non solo, la metafora è anche considerata come caratteristica del solo
livello linguistico, una questione di parole piuttosto che di pensiero o
azione...Noi abbiamo invece trovato che la metafora è diffusa ovunque nel
linguaggio quotidiano, e non solo nel linguaggio ma anche nel pensiero e
nell’azione: il nostro comune sistema concettuale, in base al quale
pensiamo ed agiamo è essenzialmente di natura metaforica”
18
.
Già nelle prime righe del libro i nostri autori introducono i punti
fondamentali della loro teoria; da sottolineare è soprattutto l’affermazione
che il nostro sistema concettuale è “essenzialmente di natura metaforica”,
ma purtroppo esso è anche per la maggior parte inconscio: infatti quando
pensiamo, agiamo o parliamo nella vita di tutti i giorni, lo facciamo in modo
più o meno automatico. Per definire il sistema concettuale sottostante (ecco
rispuntare la “retorica generativa” al suo livello profondo) bisogna basarsi
sull’analisi dell’evidenza linguistica (livello manifesto). Per spiegare come
un concetto sia metaforico e come esso strutturi le nostre attività quotidiane
Lakoff & Johnson fanno subito un esempio: del resto tutta la loro opera ha
18
LAKOFF & JOHNSON [1982], p. 19
19
un taglio estremamente empirico che porta gli autori a supportare ogni loro
affermazione con abbondanti esempi.
Viene considerato il concetto di discussione e la metafora concettuale “La
discussione è una guerra”:
LA DISCUSSIONE E’ UNA GUERRA
Le tue richieste sono indifendibili.
Egli ha attaccato ogni punto debole della tua argomentazione.
Le sue critiche hanno colpito nel segno.
Ho demolito il suo argomento.
Non ho mai avuto la meglio su di lui in una discussione.
Non sei d’accordo? Va bene, spara!
Se usi questa strategia, lui ti fa fuori in un minuto.
Egli ha distrutto tutti i miei argomenti.
19
Come si può notare, la maggior parte di questi esempi non vengono
normalmente percepiti come metafore o perché considerati espressioni
letterali grazie ad un uso consolidato e spontaneo o perché non rientrano
nella definizione di metafora adottata da molte “auctoritates” (al limite
vengono etichettati col termine onnicomprensivo ma un po’ vago di
espressioni metaforiche). Lakoff & Johnson ci tengono comunque a
sottolineare che non solo si parla di una discussione in termini di guerra, ma
si agisce come se si stesse discutendo con un nemico, come se si stabilisse
una strategia, come se si attaccassero le sue posizioni, insomma come se si
perdesse o vincesse realmente. “In questo senso la metafora LA
19
LAKOFF & JOHNSON [1982], p. 20
20
DISCUSSIONE E’ UNA GUERRA è una di quelle metafore con cui
viviamo in questa cultura: essa struttura le azioni (oltre al linguaggio) che
noi compiamo quando discutiamo...L’essenza della metafora è comprendere
e vivere un tipo di cosa nei termini di un altro...Le discussioni e le guerre
sono cose diverse...Ma una discussione è parzialmente strutturata,
compresa, eseguita e definita in termini di guerra. Il concetto è strutturato
metaforicamente, l’attività è strutturata metaforicamente, e
conseguentemente il linguaggio stesso è strutturato
metaforicamente...Inoltre, questo è il nostro modo consueto di avere una
discussione e di parlarne...Il nostro modo convenzionale di parlare delle
discussioni presuppone una metafora di cui non siamo quasi mai
consapevoli”.
20
Tre sono i concetti-chiave che mi preme sottolineare:
1. Una definizione molto ampia dell’essenza di metafora che viene così
praticamente a coincidere con la definizione stessa di tropo (traslato);
ecco rispuntare le due coppie di processi speculari di “restringimento
della retorica” ed “espansione della metafora” e di “riduzione
tropologica” e “regalizzazione della metafora” denunciati da Genette
2. Una gerarchizzazione concetto/azione/linguaggio che porta a considerare
la metafora innanzitutto una forma di pensiero la quale, attraverso un
processo di “generazione” (vedi sopra l’ipotesi di “retorica generativa”),
dà vita alla metafora linguistica.
20
LAKOFF & JOHNSON [1982], p. 21