3
Questa molteplicità di stili artistici è riscontrabile sia all’interno di singole classi di
monumenti che in uno stesso monumento.
L’arte romana si è appellata, diversamente nel corso della sua storia, a diversi modelli
in base al contenuto, al “messaggio” storico-artistico di cui erano portatori,
applicandoli nelle opere. Da un lato, quindi, vi è lo stile unitario che caratterizza
l’arte romana; dall’altro, però, bisogna operare una profonda distinzione tra i modi
rappresentativi, le tipologie figurative e le caratteristiche di dettaglio che sono
rielaborati dall’arte romana.
Il tema trattato nell’opera stabilisce i rifacimenti ai modelli di epoche diverse
dell’arte greca: lo stile di ogni periodo dell’arte romana ha la capacità di collegare e
amalgamare questi elementi eterogenei. Questo grande processo di “ellenizzazione”
artistica a Roma fu dovuto in massima parte alla proliferazione di botteghe di
artisti greci che contribuirono a far diffondere a macchia d’olio le composizioni
tardo-ellenistiche e neo-attiche. Il concetto romano di stile è comunque legato
sostanzialmente a due riflessioni in merito: la prima lega il termine “stile” ad un
habitus comune nel tempo, con la conseguente eliminazione degli elementi ellenistici
e la sostituzione con le forme classicistiche; la seconda invece parla di “stile” in
relazione a temi specifici, soprattutto legati alla sfera politica, come l’auctoritas
imperiale. Il livello formale sarà anche, soprattutto, espressione dell’ambito collettivo
di ampi gruppi sociali legati ai diversi periodi culturali. Tonio Holscher si è
soffermato sull’importanza di questo elemento all’interno dell’arte ufficiale romana.
Quest’ultima ha creato un vero e proprio “sistema semantico” con lo scopo, partendo
dall’assunzione dei modelli greci, di trasmettere contenuti omogenei anche al di fuori
del proprio panorama artistico.
Un ruolo di primaria importanza sarà affidato alla lettura contenutistica dell’opera
d’arte: la metodologia di base di questo lavoro sarà l’iconografia, cioè la semplice
analisi filologica delle immagini, a cui si affiancherà l’iconologia, vale a dire
un’interpretazione più ampia dell’opera in sé, rapportandola al contesto sociale,
politico e religioso in cui essa è stata prodotta. Tra i più convinti assertori di questo
metodo di studio delle arti figurative vi è Moses Finley, il quale, parlando del
rapporto tra l’archeologia e la storia sociale, si sofferma sul fatto che l’analisi
iconografica degli oggetti materiali non consente da sola la possibilità di avere una
completa conoscenza dell’opera stessa né del contesto. I documenti artistici antichi in
generale devono ricostruire soprattutto quella “coscienza collettiva” di cui ci parlava
Jean-Pierre Vernant: è necessario sviscerare ogni elemento fruibile all’interno
dell’opera stessa studiandone i rapporti esistenti e arrivando a definirne il significato
sociale.
4
CAPITOLO PRIMO
LA RICOSTRUZIONE STORICA DEI RILIEVI SANTACROCE
1.1 La riscoperta dei rilievi
La storia degli studi, riguardo alla datazione e alla riscoperta dei rilievi Santacroce,
è piuttosto articolata. L’identificazione del monumento al quale vanno ricollegati i
rilievi stessi è altrettanto complessa. Numerosi sono gli studiosi che si sono
interrogati sulla cronologia e sul rapporto tra i rilievi e il contesto storico-
architettonico in cui essi sono stati rinvenuti. Adolf Furtwängler
1
fu il primo a
riconoscere ed interpretare positivamente, alla fine del XIX secolo, la connessione
che vi era tra i rilievi di Monaco e quelli del Louvre di Parigi. Egli diede inizio alla
dialettica storico-artistica riguardo la provenienza comune dei rilievi dal Palazzo
Santacroce a Roma. Partendo dall’affermazione di Furtwängler, bisogna
puntualizzare quale è stata la storia del Palazzo Santacroce e, di conseguenza, dei
rilievi stessi. La curiosità iniziale è la totale assenza di citazione dei rilievi nei
cataloghi delle opere appartenenti alle collezioni dei Santacroce fino al XVII secolo.
Bisogna arrivare alla seconda metà del ‘600 per avere una riproduzione dei rilievi nel
volume dello Spon
2
e alle due menzioni del Fabretti
3
e del Rossini
4
. La scoperta
sembrerebbe così delinearsi in un arco di tempo riconducibile alla prima metà del
XVII secolo. Filippo Coarelli, nella sua monografia sui rilievi di Santacroce, ci dà un
breve excursus storico degli avvenimenti che hanno riguardato la famiglia Santacroce
proprio nel periodo che precede il rinvenimento dei rilievi:
• 1591: Marcello Santacroce vende il suo palazzo ai fratelli Settimio e Fantino
Petrignani
• 1598-1602: Carlo Maderno
5
trasforma l’insieme degli edifici di proprietà dei
Santacroce in Piazza Branca, unificandoli in un unico palazzo
• 1603: i Santacroce cedono l’edificio al Monte di Pietà
6
• 1630-1640: all’ architetto Francesco Peparelli è affidata la direzione dei lavori
che porteranno il palazzo ad avere la forma attuale.
1
A.Furtwängler (1853-1907), Intermezzi, Leipzig 1896, pp. 35 sgg.
2
J. Spon (1647-1685), Miscellanea Eruditae Antiquitatis, Lugdunum 1685, p. 310 sgg.
3
R. Fabretti (1618-1700), De columna Traiani Syntagma,Roma 1683, p. 155
4
P. Rossini, Il Mercurio Errante, Roma 1693 (prima ediz.)
5
Architetto vissuto tra il 1556 e il 1629, famoso soprattutto perché autore della facciata della Basilica di San Pietro;
realizzò, sempre a Roma, la chiesa barocca di Sant’Andrea della Valle, Palazzo Mattei e Palazzo del Quirinale
6
M. Tosi, Il Sacro Monte di Pietà di Roma e le sue Amministrazioni, Roma 1937, pp. 122 sgg.
5
• 23 febbraio 1640: contemporaneamente a questi lavori il Monte di Pietà
edifica la chiesetta di S. Salvatore in Campo, opera sempre del Peparelli
Questa sequenza di avvenimenti comporta una riflessione molto importante sul
rapporto, eventualmente esistente, tra i lavori della chiesa e il rinvenimento dei
rilievi. Grazie anche ad una ricerca svolta dallo stesso Coarelli presso l’Archivio di
Stato, riguardo le proprietà dei Santacroce, e presso l’Archivio del Monte di Pietà,
riguardo l’acquisizione del palazzo Santacroce da parte del Monte di Pietà e
l’edificazione della chiesa di S. Salvatore, risulta che probabilmente i rilievi erano
collocati nel basso fregio che si estendeva intorno al cortile del palazzo, sopra le
arcate, e al di sotto delle finestre del primo piano
7
.
Un elemento significativo è la misurazione del “marmo istoriato” sotto la cimasa:
5,57 m di lunghezza × 0,67 m di altezza e 0,23 m di profondità. Procedendo ad un
confronto con le misure del rilievo di Parigi (5,66 × 0,80 × 0,18) risulta evidente che
l’ipotesi precedente è da prendere fortemente in considerazione. Una data spartiacque
sembrerebbe essere quella del 1630 circa: all’ inizio dei lavori nel palazzo, i rilievi
non erano presenti e, per tanto, Peparelli procedette a degli adattamenti (come
l’abbassamento dell’ altezza dei rilievi) per far sì che i rilievi venissero inglobati
nell’architettura del cortile. Il 1638-1639 sembrerebbero gli anni in cui anche gli altri
rilievi, quelli che ora si trovano a Monaco, sarebbero stati posti nel cortile.
Alcuni bassorilievi in stucco completarono le parti del fregio che rimasero vuote
dopo che furono stati collocati i rilievi.
7
H. Kähler, Seethiasos und Census. Die Reliefs aus dem Palazzo Santa Croce in Rom (Monumenta Artis Romanae VI),
Berlino 1966, pp. 11 sgg.
6
1.2 Il Circo Flaminio e l’area di S. Salvatore in Campo
Per capire il rapporto tra i rilievi Santacroce e S. Salvatore in Campo, Coarelli
procedette all’analisi dei documenti conservati presso l’archivio del Monte di Pietà
che riguardavano proprio la chiesa di S. Salvatore. La storia di questa chiesetta è
particolare: questo nome infatti era affibbiato precedentemente alla chiesa che
anticamente sorgeva dalla parte opposta di dove si trova tuttora, dove oggi vi è la
piazza Trinità dei Pellegrini. Nel 1639 essa fu demolita e ricostruita sul lato opposto.
Il procedimento di edificazione della chiesa vide, per opera del Peparelli, lo scavo
della trincea di fondazione su 4 lati e l’abbassamento delle cantine affinché fosse
ricavato lo spazio per la cripta sepolcrale. Progressivamente furono estratti “pezzi di
marmi cavati dalli fondamenti”
8
e numerati: tra di essi non vi è alcun frammento che
possa essere ricondotto per dimensioni ai rilievi di Santacroce. Studiando però
attentamente la numerazione dei marmi, si nota come manchino tre pezzi in coppia
con altri nove. La coincidenza con il fatto che il rilievo del Louvre sia composto di tre
lastre e che anche i tre lati del rilievo di Monaco siano composti da nove pezzi
è forte. Si potrebbe trattare quindi, come afferma lo stesso Coarelli, di uno
spostamento dei rilievi presso il cortile del palazzo Santacroce avvenuto nel periodo
dei lavori della chiesa. La datazione di questa eventuale scoperta dei rilievi e del
possibile spostamento sembrerebbe essere anteriore al 24 febbraio 1639, data di
inizio dell’edificazione della chiesa. I primi ad essere rinvenuti sarebbero i rilievi del
Louvre, i quali costituivano la parte anteriore del basamento. Furtwängler mise in
connessione i rilievi Santacroce con un edificio preesistente alla chiesa di
S. Salvatore in Campo, il quale fu scoperto nel 1837 e studiato dal Vespignani
9
.
Urlichs identificò tale edificio con il Tempio di Nettuno in circo Flaminio
10
.
La presenza di questo tempio è stata riconosciuta su un aureus del 42/40 a.C., recante
il testo NEPT CN DOMITIVS L F IMP, che lo raffigura come un tetrastilo su podio,
e successivamente su un’iscrizione dei età flavia. L’aureus è stato attribuito a
Cn. Domitius Ahenobarbus: costui, fuggito nel 42 a.C. da Philippi dopo la morte di
Bruto, costituì una flotta con la quale si unì ad Antonio all’epoca della pace di
Brindisi del 40 a.C. Nel decennio successivo egli rimase dalla parte di Antonio e nel
32 a.C. fu console con C. Sosius. La moneta sarebbe quindi la prima testimonianza
dell’esistenza del tempio di Nettuno. Se si accetta l’ipotesi di una fondazione del
tempio da parte di un Domitius, ad esempio il console del 192 a.C. o un importante
restauro di un santuario più antico da parte del Domitius censore del 115 a.C.,
Cn. Domitius presente sulla moneta potrebbe essere intervenuto sul tempio solo in età
cesariana. Più verosimilmente questi sembrerebbe evocare uno dei più antichi
santuari del Circo Flaminio, fondato forse da un suo antenato e sacro alla divinità da
8
F. Coarelli, L’ ”ara di Domizio Enobarbo” e la cultura artistica in Roma nel II sec. a.C., in “Dialoghi di
Archeologia”, 1969, p. 322
9
Virginio Vespignani (1808 e il 1882) fu uno dei più importanti architetti dell’ accademismo classicistico romano
10
L. Urlichs, Skopas, Greifswald 1863, pp. 126 sgg.
7
cui dipendevano le sue vittorie navali. Notevoli infatti furono i rifacimenti, a partire
dalla tarda età repubblicana, di edifici molto antichi da parte di personalità influenti.
Già a partire dall’epoca medio e tardo-repubblicana la committenza urbana è
costituita dalle grandi famiglie della nobilitas patrizio-plebea. Il tempio, infatti, è
votato da costoro in occasione di un evento militare, ad una particolare divinità
ritenuta favorevole nei confronti dell’autore del voto per antico culto familiare o per
scelte propagandistiche. Il tempio diventa, nell’avvicinarsi al periodo imperiale, uno
strumento di autoaffermazione personale e, contemporaneamente, un possesso del
donatore. Vanno annoverati su tutti il tempio di Apollo Sosiano, restaurato da
C. Sosio, generale antoniano dedicatario del tempio in occasione del trionfo sui
Giudei nel 34 a.C. e il tempio di Diana sull’Aventino, ricostruito nella stessa epoca da
L. Cornificio
11
e che assunse il nome di aedes Cornificiana. Nel tempio di Nettuno in
Circo Plinio
12
cita la presenza di alcune opere di Skopas (secondo Coarelli si
tratterebbe di Skopas Minore, scultore neoattico probabilmente vissuto a Roma alla
fine del I sec. a.C.): Nettuno, Thetis, Achille, Nereidi, Tritoni, Phorcus e il thiasos
marino. Non è chiara però la disposizione delle statue né in che modo fossero
raggruppate. Numerose obiezioni all’ipotesi dell’eventuale provenienza dei rilievi dal
tempio sotto S. Salvatore in Campo e all’identificazione di questo con il santuario di
Nettuno, sono state mosse da diversi studiosi, tra cui il Kähler, che ha proposto
l’eventuale provenienza dei rilievi da un santuario di Nettuno diverso però da quello
in circo Flaminio e collocato invece nel Campo Marzio. Questa ipotesi però
sembrerebbe da abbandonare definitivamente poiché, in seguito agli studi effettuati
13
,
siamo a conoscenza del fatto che il tempio sotto la chiesa di S. Salvatore in Campo è
definitivamente da considerare in circo Flaminio grazie anche all’apporto della
dettagliata analisi topografica operata dal Castagnoli.
11
Lucio Cornificio fu console romano nel 35 a.C. assieme a Sesto Pompeo, in base alla cronologia varroniana
12
Plinio, Naturalis Historia xxxvI, 25 sg.: “Scopae laus cum his certat… Nunc vero praeter supra dicta, quaeque
nescimus, Mars etiamnum est sedens colossiaeus eiusdem manu in templo Bruti Callaeci apud circuì eundem, praeterea
Venus in eodem loco nuda Praxiteliam illam antecedens et quemcumque alium locum nobilitatura“
13
G. Gatti, Capitolium xxxv, 1960, pp, 3 sgg.