2
dei profili di rischio di strumenti caratterizzati da relazioni non lineari rispetto ai fattori
di rischio. E’ il caso, in particolare, dei portafogli contenenti posizioni in opzioni.
Il lavoro si divide in due parti. La prima parte è essenzialmente una panoramica dei
modelli di valutazione del rischio: dai modelli più tradizionali, quali i modelli
deterministici, ai modelli dell’approccio del Valore a Rischio.
Per questi ultimi l’analisi entra più nel dettaglio, considerando sia le principali famiglie
che le diverse articolazioni di ciascuna categoria.
La seconda parte vuole fornire un’evidenza empirica dei concetti illustrati nella parte
precedente. Si affronta un esempio pratico di calcolo del VaR utilizzando due diversi
modelli (il modello Delta-Gamma e il modello di Monte Carlo) e mettendo a confronto i
due risultati.
3
PARTE I:
MODELLI DI
VALUTAZIONE DEL RISCHIO:
ASPETTI TEORICI
5
CAPITOLO PRIMO:
IL RISCHIO DI MERCATO
In questi ultimi decenni è divenuto sempre più attuale il tema della valutazione degli
investimenti, cioè il tentativo di valutare un’operazione finanziaria considerando
congiuntamente la redditività e la rischiosità.
Tale interesse ha portato allo sviluppo di diverse teorie e l’elaborazione di altrettanti
modelli, la cui applicazione viene rapidamente assorbita dagli intermediari finanziari
1
.
Si sta assistendo ad un cambiamento nella filosofia della gestione dei portafogli: alle
logiche di valutazione soggettiva e a quelle basate su fenomeni empirici si stanno
affiancando in modo preponderante metodologie di tipo quantitativo, fondate su modelli
matematici sempre più complessi con cui si cerca di rappresentare la realtà finanziaria.
Il management deve garantire la protezione della struttura economica da eventi
sfavorevoli e, in particolare, dalle conseguenze che tali eventi possano avere sulla
struttura stessa; deve, quindi, basare le sue scelte concentrando l’attenzione
sull’esposizione complessiva ai rischi di mercato, allocando le risorse ed il capitale a
rischio tra le diverse unità operative, diversificando le caratteristiche dei prodotti in
modo da limitare le perdite potenziali.
Per ottenere questi obiettivi sono necessari strumenti operativi che permettano di
conoscere in modo continuo l’esposizione ai rischi delle posizioni assunte, di riuscire a
quantificare il rischio di ogni singola posizione e di interpretare le variazioni delle
condizioni del mercato come eventuali modifiche della composizione del portafoglio.
E’ doverosa una precisazione sulla posizione che nella teoria finanziaria assumono i
fattori di rischio e di incertezza
2
.
1
Gli intermediari finanziari sono essenzialmente strutture che, basandosi sull'effetto di leva finanziaria,
prendono a prestito denaro per investirlo a un tasso maggiore. Questo spread, meno i costi operativi, è la
fonte dei ricavi e ogni variabile che ne indice instabilità è fonte di rischio. (Metelli)
2
Cfr. Basile, Erzegovesi “L’analisi del rischio degli investimenti mobiliari” Egea 1989
6
Per incertezza si intende la possibilità di variazioni inattese dei risultati a causa di eventi
cui non è possibile associare una distribuzione di probabilità, in quanto correlati a fatti
eccezionali che determinano modifiche strutturali delle condizioni reali (ad esempio
guerre, calamità naturali). Per la loro natura, gli eventi incerti non sono ricorrenti, ma
provocano variazioni dei risultati di notevole entità, per questo non possono essere
controllati mediante tecniche statistiche
3
.
Per rischio si intende la probabilità di ottenere una pluralità di valori delle variabili
obiettivo, equivale quindi alla dispersione di questi valori attorno a quello più probabile.
In una situazione in cui la distribuzione degli eventi futuri dei risultati associati sia
stimabile allora il rischio è misurabile quantitativamente mediante parametri statistici.
Il rischio che interessa l’attività di negoziazione svolta dagli intermediari finanziari è
classificato con il termine di ”rischio di mercato”.
Il termine indica il rischio di variazioni del rendimento di uno strumento (o portafoglio
di strumenti) finanziario legate a variazioni inattese delle condizioni di mercato (prezzi
di mercato, tassi di interessi, volatilità). In particolare , secondo la definizione data dal
Comitato di Basilea, va inteso come “rischio di perdite nelle posizioni di bilancio e fuori
bilancio a seguito di sfavorevoli movimenti dei prezzi di mercato
4
”
Le condizioni di mercato che possono mutare sono molte ed è impossibile che tutte
rientrino nella costruzione di un modello, dunque il concetto di rischio di mercato
difficilmente è condiviso universalmente.
Esso dipende dal tipo di strumenti cui si fa riferimento assumendo connotazioni
differenti.
Generalmente si classificano in cinque principali categorie
5
:
• rischio di cambio: il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a
variazioni di tassi di cambio;
• rischio di interesse: il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a
variazione dei tassi di interesse;
• rischio azionario: il valore di mercato delle posizione assunte è sensibile
all’andamento dei mercati azionari;
3
Recentemente sono stati sviluppati modelli finalizzati alla previsione di quelli che vengono definiti
“eventi estremi”. Cfr. Embrechts P. “Extremal Value Theory”
4
Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria “Progetto di supplemento all’accordo sui requisiti
patrimoniali per incorporare i rischi di mercato” (Basilea, Aprile1995)
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• rischio merci: il valore delle posizioni assunte è sensibile a variazioni dei prezzi
delle commodities;
• rischio di volatilità: il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a
variazioni delle volatilità delle variabili considerate nei punti precedenti.
Le classificazioni non sono mai univoche, è possibile costruire una seconda tassonomia
dei rischi, particolarmente utile trattando con strumenti derivati poiché si distingue
l’esposizione rischiosa in funzione del fattore esplicativo della variazione del valore di
mercato:
• rischio assoluto di prezzo o rischio delta: l’esposizione a variazione del valore di
mercato di una posizione (o dell’intero portafoglio) conseguente a una variazione
del prezzo dell’attività sottostante;
• rischio convessità o rischio gamma: il rischio che emerge quando la relazione fra il
valore di mercato di una posizione (e/o del portafoglio) e il prezzo dell’attività
sottostante non è lineare;
• rischio volatilità o rischio vega: tipicamente associato ai contratti di opzione,
rappresenta l’esposizione a variazioni della volatilità attesa del prezzo dell’attività
sottostante;
• rischio di time decay o rischio theta; tipicamente associato ai contratti di opzione,
rappresenta la perdita di valore di mercato di una posizione (e/o di un portafoglio)
connessa al passaggio del tempo;
• rischio di base o correlazione: l’esposizione a differenze nelle variazioni di prezzo di
una posizione (e/o di un portafoglio) e di quelle relative agli strumenti di copertura
utilizzati;
• rischio di tasso o rischio rho: l’esposizione a variazioni nel valore di una posizione
(e/o di un portafoglio) connesse a una variazione del tasso di interesse utilizzato per
attualizzare i flussi di cassa futuri.
I rischi di mercato stanno assumendo una rilevanza crescente in seguito a due fenomeni
in particolare: il processo di titolarizzazione (securization) e la crescita degli strumenti
derivati
6
sul mercato.
5
Cfr. Fabrizi “Nuovi modelli di gestione dei flussi finanziari delle banche” Giuffrè , 1995
6
Gli strumenti derivati devono la loro definizione al fatto che il loro valore è direttamente collegato a
quello dei più tipici strumenti sottostanti (valute, tassi d’interesse, azioni, indici azionari). Le principali
tipologie di stumenti derivati sono i futures e le opzioni.
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Il primo sta portando alla progressiva sostituzione di attività illiquide con attività dotate
di un mercato secondario liquido e quindi di un prezzo.
Questo ha inoltre favorito lo sviluppo delle tecniche di misurazione delle posizioni
evidenziando in tempo reale perdite o profitti connessi alle variazioni del mercato.
Gli strumenti offerti dal mercato sono sempre in crescita per permettere combinazioni
sempre più convenienti tra rendimento e rischio.
Dunque il rischio è un elemento chiave nella gestione di un portafoglio, l’elemento che,
essendo un’incognita, ci impedisce di prevedere con certezza il rendimento futuro di
qualsiasi strumento.
Negli anni è stato considerato in modo diverso: in origine collegato solo a singoli
strumenti ora, invece, nella sua complessità mettendo in evidenza la correlazione che
può sussistere tra le diverse aree di mercato.
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CAPITOLO SECONDO:
I MODELLI DETERMINISTICI
L’approccio tradizionale alla gestione dei rischi si fonda su valori nominali delle singole
posizioni assunte, ogni strumento viene considerato a sé stante, senza tenere presente gli
altri strumenti presenti in portafoglio.
L’impiego di questo approccio comporta vari problemi:
• Non permette di quantificare la perdita potenziale, ovvero l’ammontare
effettivamente a rischio in un orizzonte temporale.
• Le singole posizioni non seguono le condizioni del mercato (volatilità), poiché le
posizioni vengono considerate al loro valore nominale che non rispecchia variazioni
all’esposizione al rischio dovute a mutazioni delle condizioni di mercato.
• Le posizioni non sono messe in relazione con il mercato e per questo non è possibile
confrontare il grado di rischio delle posizioni relative ai vari tipi di strumenti che
sono offerti.
Non è quindi possibile aggregare il rischio relativo ad uno stesso strumento acceso in
posizioni differenti.
Tuttavia la semplicità, il costo ridotto e le scarse necessità di tipo informatico di un
sistema di gestione e controllo dei rischi di mercato sono i vantaggi che rendono il
metodo ancora in uso in caso di portafogli non complessi e in ogni caso come strumento
di confronto.
L’approccio tradizionale fa già uso di modelli matematici che fondano le loro ipotesi
sulla traslazione della curva dei rendimenti in modo parallelo.
La curva dei rendimenti rappresenta la frontiera di combinazioni efficienti tra prezzo e
rendimento, dunque vengono considerate tutte le variabili del mercato.
La frontiera è sensibile alle variazioni del mercato, ad ogni cambiamento dello scenario
le combinazioni vengono aggiornate; per questo motivo la teoria è definita sensitivity
analysis.
Questo approccio è basato sul calcolo della duration (D, durata media finanziaria): nata
come indicatore della durata effettiva di un investimento mobiliare ha il pregio di tener
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conto di tutti i flussi in entrata generati dal titolo in esame e dalla loro distribuzione nel
tempo; è in definitiva la media ponderata dei tempi tm in cui i pagamenti vengono
effettuati con pesi pari all’importo dell’m-esimo pagamento (cm) considerato al valore
attualizzato al tasso di rendimento i. Il peso di ciascun flusso all’interno della media è
dato dal rapporto fra il suo valore attuale ed il prezzo tel quel del titolo (P).
P
ect
D
n
m
it
mm
m
=
−
=
1
La duration dipende da molte variabili: innanzitutto la durata residua e il piano di
rimborso.
I titoli a cedola zero rappresentano il caso estremo in cui la durata finanziaria coincide
con la durata residua; nei titoli con cedola la duration sarà inferiore alla vita del titolo,
quanto più saranno elevate le cedole di rimborso.
La duration è inversamente proporzionale anche al tasso di rendimento. Questa è una
variabile che va stimata; nel calcolo della duration viene utilizzato il TRES, tasso di
rendimento effettivo a scadenza, cioè il tasso di attualizzazione che rende uguale la
somma dei valori attuali dei flussi futuri al prezzo tel quel.
La determinazione della duration si sviluppa in condizioni di incertezza e la verifica
può avvenire solo ex post, dopo che sia stato definito il periodo di riferimento sul quale
commisurare la durata finanziaria e misurare la redditività dello strumento considerato.
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Consideriamo un titolo a cedola semestrale con le seguenti caratteristiche:
Tabella 2.1 Titolo a cedola semestrale
Data di emissione 01/03/90
Data di scadenza 01/03/93
Prezzo di emissione (P) 98,5
Tasso nominale annuo 12%
Ritenuta fiscale 12,50%
Tasso semestrale 6%
Data di valutazione 01/03/90
Numero di cedole 6
TRES semestrale 5,52%
Si considerano i flussi attesi e si calcola la duration:
Tabella 2.2 Determinazione della duration
Tk
(semestrali)
Flussi Pesi
percentuali
netti
Tk pesi
percentuali
netti
Lordi Netti Netti attualizzati
1 6.00 5.25 4.98 5.05 0.051
2 6.00 5.25 4.41 4.79 0.096
3 6.00 5.25 4.47 4.54 0.136
4 6.00 5.25 4.23 4.30 0.172
5 6.00 5.25 4.01 4.07 0.204
6 106.00 105.06 76.10 77.25 4.635
Pzotelqu Duration
98.50 5.294
È stato dimostrato che la duration di un titolo rappresenta anche, con un grado di
approssimazione accettabile, l’elasticità del relativo prezzo a fronte di variazione del
tasso d’interesse; infatti:
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D
i
i
P ⋅
+
∆
−≅∆
1
∆P = variazione percentuale del prezzo
∆ i/i+1 = variazione relativa al rendimento atteso
D = duration
Graficamente l’equazione è rappresentata da una retta che non descrive esattamente le
effettive variazioni dei prezzi; la retta presuppone una relazione lineare tra prezzi e
rendimento, relazione che nella realtà ha invece una forma convessa.
La retta e la curva convessa sono tangenti nel punto di origine, allontanandosi dal quale
la divergenza tra le relazioni aumenta e l’errore di approssimazione della duration
diviene più rilevante.