I
INTRODUZIONE
Nel presente lavoro è stato analizzato il mercato del lavoro europeo
con riferimento alle performance occupazionali e agli indicatori della
flexicurity nei vari paesi. L’analisi è stata effettuata con l’obiettivo di
verificare l’esistenza di un processo di convergenza nei tassi di
occupazione e nei modelli occupazionali europei, in seguito alle
riforme che hanno interessato i mercati del lavoro negli anni novanta e
all’enfasi posta sull’armonizzazione delle politiche occupazionali a
livello comunitario. Nel 1997, infatti, è stato stipulato il Trattato di
Amsterdam, con il quale è stata conferita alla politica occupazionale
una dimensione comunitaria, attraverso l’introduzione di un intero
capitolo sull’occupazione (titolo VIII) nel Trattato dell’Unione
Europea (art. 125 TUE). Con il Trattato di Amsterdam, la Comunità
Europea è risultata formalmente legittimata ad influenzare ed
intervenire sulle politiche dell’occupazione e del mercato del lavoro,
che, fino ad allora, erano di competenza esclusiva degli Stati Membri.
Il raggiungimento di un elevato livello occupazionale è diventato
quindi un obiettivo comune e ha assunto un’importanza pari agli
obiettivi macroeconomici di crescita e stabilità. Con il Consiglio di
Lisbona del 2000 è stata inoltre avviata la Strategia Europea per
l’Occupazione (SEO) e sono stati individuati gli obiettivi strategici
che ogni Paese dovrebbe raggiungere attraverso riforme istituzionali e
strutturali del proprio mercato del lavoro (Gruppo Kok, 2004).
L’esigenza di armonizzazione dei mercati del lavoro è stata sentita in
seguito alle deludenti performance economiche europee degli anni
ottanta e novanta, durante i quali l’Europa ha visto aumentare
stabilmente i propri tassi di disoccupazione rispetto agli USA e
rispetto al passato. In questi anni è andata inoltre aumentando la
disoccupazione strutturale non influenzata dal ciclo economico e tale
fenomeno, che ha preso il nome di eurosclerosi, ha portato al
raggiungimento di equilibri di livelli di disoccupazione di carattere
permanente più elevati che in passato (Caroleo, 2000). Le cause
dell’eurosclerosi sono state individuate nelle rigidità istituzionali e
salariali dei mercati del lavoro e nella grande variabilità, all’interno
II
dell’Unione Europea, degli assetti istituzionali e delle strategie di
policy adottate da ciascun paese (Blanchard, 2000).
Per spiegare l’aumento della disoccupazione europea alcuni
economisti hanno avanzato una linea interpretativa alternativa a quella
dell’eurosclerosi e nota come isteresi (dipendenza di una variabile
dalla sua storia passata). Tale teoria è stata sviluppata in seguito agli
shock petroliferi e del mercato del lavoro degli anni settanta, il cui
risultato è stata la stagflazione, cioè un aumento della disoccupazione
accompagnato da un aumento dell’inflazione (Blanchard e Summers,
1986; Blanchard e Wolfers, 2000).
In un simile contesto è risultato quindi chiaro che la crescita
economica da sola non bastava per risolvere i problemi strutturali che
gravavano sul mercato del lavoro europeo e che bisognava scegliere
un nuovo assetto istituzionale in grado di adattarsi ai cambiamenti in
atto, nel rispetto delle specificità di ciascun paese (Grahl e Treagueb,
1997; Caroleo, 2000).
La SEO è stata articolata in tre fasi (1998-2003, 2003-2007, 2007-
2013) e in ognuna di esse sono state definite linee guida e priorità per
raggiungere elevati livelli occupazionali e una maggiore qualità dei
posti di lavoro. Gli obiettivi occupazionali quantitativi da conseguire
entro il 2010 sono il raggiungimento di un tasso di occupazione totale,
femminile e dei lavoratori di età compresa tra i 55 e i 64 anni pari
rispettivamente al 70%, 60% e 50%. Per il raggiungimento di questi
obiettivi sono state individuate, in ogni fase, le linee guida da seguire
e le “raccomandazioni” sulla base delle quali ogni Stato dovrebbe
implementare delle riforme del mercato del lavoro nazionale
attraverso i “piani nazionali di riforma” (Ciccarone e Marchetti,
2004). La SEO si ispira alle esperienze di welfare inclusivo dei paesi
nordici ed in particolare, il modello verso il quale ci si auspica di
convergere è quello del “triangolo d’oro” danese, caratterizzato da un
mercato del lavoro flessibile, da un’elevata sicurezza sociale e da
efficaci politiche attive del lavoro incentrate sulla formazione
continua. Secondo quanto indicato dalla Commissione Europea, per
migliorare le performance occupazionali, ogni Paese dovrebbe quindi
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elaborare una strategia della flexicurity, individuando combinazioni
soddisfacenti di flessibilità e sicurezza (Jorgensen e Madsen, 2007).
La strategia della flexicurity è un concetto ampio e si fonda su quattro
componenti politiche (COM, 2007):
accordi contrattuali flessibili;
moderni sistemi di protezione sociale;
politiche attive del lavoro;
lifelong learning.
Le riforme volte ad influenzare tutti questi ambiti dovrebbero
consentire una convergenza dei modelli occupazionali europei verso la
flexicurity e, di conseguenza, permettere di raggiungere dei livelli più
elevati di occupazione (Fontanesi e Capitini, 2008).
Il presente lavoro si articola in quattro capitoli.
Nel primo capitolo è stata esposta l’evoluzione del dibattito
riguardante l’armonizzazione dei mercati del lavoro europei, le tappe
che hanno portato alla definizione della SEO e il contesto economico
in cui la stessa nasce. Sono state inoltre analizzate singolarmente le tre
fasi suddette della SEO per verificare l’esistenza di eventuali
miglioramenti e per vedere i diversi approcci adottati in ogni fase, che
hanno poi portato alla definizione di una strategia della flexicurity.
Nel secondo capitolo è stato analizzato il mercato del lavoro dell’UE-
15 con riferimento agli indicatori di flexicurity con l’obiettivo di
verificare se ci sono stati dei cambiamenti nei vari paesi in seguito al
lancio della SEO. Gli indicatori di flexicurity osservati sono quelli
indicati dalla Commissione Europea nel 2007 e riguardanti le quattro
componenti politiche suddette sulle quali la stessa si fonda. Con
riferimento agli indicatori della flessibilità sono stati analizzate le
forme contrattuali non-standard (contratti part-time e a tempo
determinato) e il valore dell’indice di Employment Protection
Legislation (EPL) considerato una buona approssimazione del livello
di rigidità del mercato del lavoro (OECD, 2004). Con riferimento agli
indicatori della sicurezza sociale è stato analizzato il tasso di rischio di
povertà prima e dopo i trasferimenti sociali, i quali avvengono, in
larga parta, sotto forma di ammortizzatori sociali; è stata quindi
IV
osservata la spesa sociale per la disoccupazione e il suo legame con il
mercato del lavoro (Esping-Andersen, 2002; Pizzuti, 2009). Con
riferimento alle politiche del lavoro è stata osservata l’entità delle
misure attive e passive in ogni paese e le loro relazioni con le
performance occupazionali (Samek-Lodovici, 2001; Sestito, 2001).
Con riferimento all’apprendimento sono state infine analizzate le
caratteristiche riguardanti i sistemi di istruzione e formazione continua
e, nello specifico, la percentuale di diplomati e laureati e quella di
popolazione tra i 25 e i 64 anni che partecipa a programmi di
formazione lungo tutto l’arco della vita; è stato inoltre osservato il
legame tra le variabili relative al capitale umano e le performance
occupazionali. I modelli teorici cui si è fatto riferimento sono la teoria
del capitale umano (Mincer, 1958; Shultz, 1961; Becker, 1964) e le
teorie di crescita endogena (Arrow, 1962; Lucas, 1988).
Nel terzo capitolo sono state effettuate le analisi di convergenza dei
tassi di occupazione e dei modelli occupazionali comunitari verso la
flexicurity, nell’intervallo temporale che va dal 1997 (anno di entrata
in vigore del Trattato di Amsterdam per il mercato del lavoro) e il
2008. Per valutare la convergenza dei tassi di occupazione sono state
utilizzate la beta e la sigma convergenza. La sigma-convergenza
permette di osservare se la varianza di un certo indicatore (tassi di
occupazione nel nostro caso) si riduce nel lasso di tempo considerato;
la beta-convergenza permette invece di verificare se i paesi che
presentano un livello iniziale meno elevato dei tassi di occupazione
fanno registrare un tasso di crescita maggiore per tali tassi, rispetto ai
paesi che godono di condizioni di partenza migliori (Lichtenberg,
1994).
Per spiegare le ragioni che hanno innescato il processo di convergenza
dei tassi di occupazione sono stati analizzati i cambiamenti nei
modelli occupazionali europei tra il 1997 e il 2008, con riferimento a
tutti gli indicatori della flexicurity osservati nel capitolo secondo, che
hanno un forte correlazione con i tassi di occupazione. Tale analisi è
stata effettuata attraverso l’analisi in componenti principali (ACP) e
l’analisi dei cluster (Duntenam, 1989; Coppi, 1998; Bolasco, 1999).
V
L’ACP ha permesso di studiare contemporaneamente tutte le variabili
relative alla flexicurity e verificare la posizione di ciascun paese
rispetto ad esse; l’analisi dei cluster ha permesso di raggruppare i
paesi in gruppi il più possibile omogenei. Queste due analisi hanno
permesso di verificare quali cambiamenti hanno interessato il mercato
del lavoro nell’intervallo temporale considerato e, di conseguenza, di
capire le motivazioni di determinati andamenti dei tassi di
occupazione.
Nel quarto capitolo sono stati infine valutati i risultati dell’analisi
effettuata nei capitoli precedenti e si è cercato di comprendere le
principali riforme che hanno interessato i vari mercati del lavoro e che
hanno generato un cambiamento nei modelli occupazionali. In questo
capitolo si è cercato inoltre di mettere in evidenza alcuni limiti della
SEO e di proporre eventuali implicazioni di policy e prospettive
future.
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CAPITOLO PRIMO
IL DIBATTITO SULL’ARMONIZZAZIONE DEI
MERCATI DEL LAVORO EUROPEI
1.0. Introduzione
In questo capitolo ci si propone di esporre l’evoluzione del dibattito
riguardante l’armonizzazione dei mercati del lavoro europei, seguendo
le tappe e le motivazioni che hanno portato alla realizzazione di una
politica dell’occupazione a livello comunitario e le varie fasi che
hanno caratterizzato la Strategia Europea per l’Occupazione.
Nel primo paragrafo verranno ripercorse tali tappe per poi analizzare,
nel secondo paragrafo, le deludenti performance del mercato del
lavoro europeo negli anni Novanta, con l’obiettivo di individuarne le
principali cause. E’ infatti nell’intento di rimuoverne le stesse che si è
avvertito, sul fronte del dibattito teorico e politico, l’esigenza di
riformare alcuni aspetti del mercato del lavoro a livello comunitario.
Nei paragrafi successivi verranno esposti le linee guida e gli obiettivi
che sono stati proposti nelle tre fasi della Strategia Europea per
l’Occupazione: 1998-2003, 2003-2007, 2007-2013. Per ogni fase
verranno rilevati gli eventuali miglioramenti in termini di osservanza
delle priorità e di avvicinamento agli obiettivi strategici fissati.
1.1. Verso la definizione di una Strategia Europea per
l’Occupazione
Il Trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità Europea, non
prendeva esplicitamente in considerazione le politiche
dell’occupazione, se non in pochi riferimenti testuali (come nell’ex
articolo 123 -ora 146- relativo al Fondo Sociale Europeo, dove si
prevedeva genericamente la necessità di promuovere, all’interno della
Comunità, le possibilità di occupazione, oltre che la mobilità
geografica e professionale dei lavoratori).
2
Il trattato di Maastricht del 1992 ha permesso di fare un passo in
avanti per quanto riguarda le politiche per il mercato del lavoro,
infatti, nell’articolo 2 dei Trattati dell’Unione Europea, ha più
chiaramente incluso tra gli obiettivi dell’Unione la promozione di un
“elevato livello di occupazione”.
Nel 1993 la Commissione ha avviato un’ampia consultazione sul
futuro della politica sociale europea. Il libro bianco della
Commissione Crescita, Competitività e Occupazione ha suscitato un
intenso dibattito sul modo in cui l’Unione Europea avrebbe potuto
assicurare posti di lavoro sostenibili e migliori opportunità per le
persone svantaggiate in cerca di lavoro.
Prima del 1997, a livello europeo i tentativi di armonizzazione degli
interventi sul mercato del lavoro sono stati tuttavia generalmente
fallimentari. Sia la definizione di livelli minimi di diritti sociali (Carta
Sociale Europea nel 1989), che la promozione di un “dialogo sociale
europeo” sono stati inefficaci e caratterizzati da frequenti interruzioni.
Una Strategia Europea per l’Occupazione (SEO) vera e propria è stata
prevista dal Trattato di Amsterdam, concordato nel 1997 ed entrato in
vigore nel 1999. Ad Amsterdam, i capi di Stato o di governo hanno
aggiunto al Trattato dell’Unione Europea un intero capitolo
sull’occupazione (titolo VIII), conferendo così alla politica
occupazionale una dimensione comunitaria. Gli Stati membri e la
Comunità (l’UE) (…) si adoperano per sviluppare una strategia
coordinata a favore dell’occupazione e, in particolare, a favore della
promozione di una forza lavoro competente, qualificata, adattabile e
di mercati del lavoro in grado di rispondere ai mutamenti economici
(…) (art. 125 TUE). I principali obiettivi della SEO riguardano quindi
la promozione di una società inclusiva e la partecipazione dei singoli
cittadini ai mutamenti del mondo del lavoro in un’epoca di
globalizzazione e di rapido cambiamento tecnologico e il suo compito
è quello di sostenere gli Stati Membri e le parti sociali nello sforzo
dell’ammodernamento (COM, 2003).
La Comunità risulta, dopo il Trattato di Amsterdam, formalmente
legittimata a dispiegare la propria influenza con riguardo all’area delle
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politiche dell’occupazione e del mercato del lavoro, sino ad allora di
competenza esclusiva dei singoli Stati membri (Roccella, Treu, 2007).
La competenza in materia occupazionale diventa competenza “di
coordinamento” (come quella in materia di politica economica), da
esercitarsi secondo i principi di sussidiarietà e di proporzionalità (art.
5 TCE).
Con il Trattato di Amsterdam il raggiungimento di un elevato livello
occupazionale diviene un obiettivo comune agli Stati Membri e
assume un’importanza pari agli obiettivi macroeconomici di crescita e
stabilità. Gli Stati Membri, in particolare, si impegnano a coordinare
le rispettive politiche dell’occupazione, considerando anche l’impatto
occupazionale di tutte le politiche comunitarie (principio di
mainstreaming), come previsto dall’articolo 127 del TUE. L’articolo
128 prevede la creazione di un framework, che ha l’obiettivo di
valutare e indirizzare le politiche dei diversi Stati Membri. In
particolare, il Consiglio e la Commissione esaminano annualmente nel
Joint Employment Report le politiche occupazionali dei diversi Paesi.
Il Consiglio adotta inoltre, su proposta della Commissione, delle linee
guida per l’occupazione (Employment Guidelines) sulla cui base ogni
Stato Membro deve realizzare un Piano Nazionale per l’Occupazione
(NAP). Infine, il Consiglio può adottare, sempre su proposta della
Commissione, Recommendations, specifiche o generali, agli Stati
Membri (figura 1.1).
4
Figura 1.1. Il ciclo della Strategia Europea per l’Occupazione (come
riformato nel 2005)
L’articolo 129 prevede la possibilità di effettuare delle analisi
comparative dei modelli e delle soluzioni praticati nei singoli Stati
(social benchmarking) e di trasferire le migliori prassi (best practices)
da un Paese all’altro. L’articolo 130 prevede infine la creazione di un
Comitato per l’Occupazione incaricato di:
seguire la situazione dell'occupazione e le politiche in materia
di occupazione negli Stati membri e nella Comunità;
(…) formulare pareri su richiesta del Consiglio o della
Commissione o di propria iniziativa, e contribuire alla
preparazione dei lavori del Consiglio di cui all'articolo 128.
1.2. Il contesto economico-occupazionale in cui nasce la
SEO
Fino al 1970 il tasso di disoccupazione era molto più basso in Europa
che negli Stati Uniti. Il grafico 1.1, che mostra i tassi medi di
disoccupazione nell’Unione Europea e negli Stati Uniti a partire dal
1970, ci suggerisce che la disoccupazione europea ha iniziato ad
aumentare stabilmente negli anni Settanta. Nel 1979 i tassi di
disoccupazione europeo e statunitense erano simili, intorno al 6%.
Negli anni Ottanta c’è stato un ulteriore aumento della disoccupazione
in entrambi i casi. Dal 1982, però, mentre il tasso statunitense ha
5
iniziato a diminuire regolarmente, il tasso europeo è rimasto molto
alto. La disoccupazione europea è diminuita un poco alla fine degli
anni Ottanta, ma tale risultato è stato vanificato dalla recessione dei
primi anni Novanta. Fra il 1991 e il 1996 l’economia europea registra
infatti i risultati peggiori dal dopoguerra per quel che concerne
sviluppo e occupazione e, nel 1994, il tasso di disoccupazione assume
il valore più alto dalla Grande Depressione (9,78% contro 6,1% degli
USA).
L’andamento del tasso di occupazione è piuttosto simile in Europa e
negli Stati Uniti, nonostante il tasso europeo si assesti sempre su
valori inferiori rispetto a quello statunitense. Negli anni Novanta,
anche il tasso di occupazione crolla dal 63,13% del 1990 al 61,67%
del 1996 e si registra il risultato più basso nel 1993 con un tasso di
occupazione del 60,66%. Nello stesso periodo il tasso corrispondente
negli USA passa dal 72,2% del 1990 al 72,9% del 1996 (grafico 1.2).
Grafico 1.1. Tasso di disoccupazione nell’UE-151 e negli USA. Anni
1970-2007.
Fonte: Elaborazione su dati OECD - Factbook 2009.
1
L’Unione Europea si è estesa nel corso del tempo, dai sei Paesi originari del 1957
ai 15 Paesi del 1998, fino ai 27 Paesi del 2007. Il gruppo dei 15 Paesi è composto
da: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia,
Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia, Regno Unito.
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Grafico 1.2. Tasso di occupazione nell’UE-152 e negli USA. Anni
1970-2007.
Fonte: Elaborazione su dati OECD - Factbook 2009.
In Europa si registrano inoltre forti disparità tra i tassi di
disoccupazione dei paesi membri, come si può vedere dalla figura 1.2:
nel 1996, per esempio, si va da 2,9% e 4,4% in Lussemburgo e in
Austria a 17,8% e 14,9% in Spagna e in Finlandia.
Figura 1.2. Tassi di disoccupazione nei Paesi dell’EU-15 nel 1996.
Fonte: Elaborazione su dati OECD - Factbook 2009.
2
Cfr. nota 1 a pagina 5.