3
INTRODUZIONE
La moneta antica ha da sempre suscitato un profondo interesse non solo
negli studiosi, ma anche nelle persone comuni che riescono a percepirne, pur
senza possedere conoscenze specialistiche, il grande valore di documento storico.
Moneta come indispensabile strumento di scambio, ma anche testimonianza,
a volte fondamentale, del pensiero politico, culturale e religioso di un popolo,
affascinante vestigia di un tempo che non è più.
Un oggetto che, nel suo aspetto iconografico, si fa portatore di un messaggio
simbolico preciso, la cui analisi può rivelarsi fonte preziosa. Seppur in termini
diversi, questo vale per ogni epoca e per ogni società, oggi come allora.
La moneta rappresenta, quindi, una via d’accesso privilegiata per poter
penetrare l’essenza di una civiltà, e questo, nel mondo greco, significa,
inesorabilmente, entrare in contatto con il mito.
Quello mitico è tuttavia un universo molto vasto e ciò si riflette nel
repertorio tipologico monetale, che risulta altrettanto eterogeneo: accanto alle già
di per sé numerose divinità principali, vi sono infatti divinità meno conosciute,
personaggi eroici, culti strettamente locali.
Questo particolarismo territoriale trova spiegazione alla luce della spiccata
autonomia della polis greca, un’autonomia che è innanzitutto politica ma che
coinvolge, inevitabilmente, la sfera del sacro: l’affermazione di sé passa infatti
anche attraverso l’adozione di una specifica tradizione mitica, che viene
elaborata, modificata, “resa propria”.
Questo patrimonio mitico, che non preclude né annulla l’appartenenza delle
singole città ad una comune koine culturale e religiosa, si concretizza in un
apparato iconografico, ricco e diversificato, di cui le monete rappresentano forse
l’esempio più efficace per capacità di sintesi e forte impatto simbolico. Tale
fenomeno si riscontra sia nella Grecia continentale, sia nelle compagini coloniali.
Le emissioni magnogreche sono tuttavia caratterizzate dalla presenza
ricorrente di una particolare categoria tipologica, quella degli ecisti, condottieri
posti a capo della fondazione di una colonia, la cui esistenza sfuma nella
leggenda e nel culto eroico.
4
Qual è il significato di questi miti fondatori e quale il loro ruolo, se mai c’è
stato, all’interno del movimento colonizzatore greco dell’Italia meridionale?
Quali le loro attestazioni nelle fonti letterarie e nella produzione monetale, in
particolare di Taranto e di Crotone?
E ancora: per quale motivo questi tipi iconografici attraversano spesso
indenni le diverse fasi di coniazione, tanto da poter essere considerati, anche a
distanza di secoli dalla loro adozione, emblemi delle città, veri e propri
parasema?
L’intento di questo studio è quello di dimostrare quanto sia stato importante,
in un processo storicamente rilevante come quello della creazione della Megale
Hellas, il forte senso di identità cittadina e di coesione civica veicolato dai miti
fondatori, e come la moneta ne fosse strumento comunicativo per eccellenza.
17
Vi sarà modo di vedere più avanti, parlando dei miti fondatori, quanto ciò sia
vero.
2.2. IL RUOLO DEL MITO NELL’ICONOGRAFIA
MONETALE GRECA
Avvicinarsi alla monetazione greca significa, inevitabilmente, trovarsi faccia
a faccia con il mito ed il suo variegato universo, tra culti “ufficiali”, divinità
meno conosciute, eroi fondatori, ninfe
64
, personificazioni di fiumi, città...
Il soggetto iconografico scelto, lo si è ribadito più volte, è sempre e
comunque strettamente legato alla polis emittente, al punto tale da poter essere
considerato una sorta di emblema della stessa, immediatamente riconoscibile.
La divinità, si è detto, è rappresentata nel suo aspetto antropomorfo,
frequentemente sul diritto, oppure può essere evocata tramite particolari attributi,
oggetti o animali, che si possono trovare sul rovescio, in un rapporto di
complementarietà.
L’animale sacro compare già nel 600 a.C. ca sulle più antiche monete di
Mileto, caratterizzate dall’immagine di un leone accovacciato che richiama il dio
Apollo, venerato nel vicino santuario di Didima. L’isola di Samo, sede di un
celebre culto di Hera, adotta invece la tipologia della vacca, animale sacro alla
dea e suo simbolo, mentre nelle monete di Chio appare una sfinge con anfora,
legata al culto locale di Dioniso e al vino: il leggendario re dell’isola, Oinopion
(oinos = vino), sarebbe infatti figlio del dio
65
. Così, nelle monete di Efeso, il
cervo è simbolo di Artemide
66
.
Spostandoci dall’Asia Minore e dall’Egeo verso la Grecia continentale, nelle
monete ateniesi si troverà la civetta, animale della ragione e della sapienza,
simbolo della dea Atena, protettrice della città, che compare sul diritto; ad
Olimpia viene invece rappresentata l’aquila, uccello legato a Zeus, cui è dedicato
64
CAHN 2000, p. 33.
65
ALFÖLDI 2000, p. 21.
66
CATALLI 2003, p. 132.
18
il noto santuario; a Sicione la colomba, sacra a Venere; a Megara la lira, chiaro
riferimento ad Apollo.
Oggetti e animali sacri si ritrovano sulle monete della Magna Grecia e della
Sicilia: per citarne solo alcuni, il cantaro di Dioniso a Naxos, di nuovo l’aquila di
Zeus ad Agrigento.
Oltre alla divinità, le tipologie iconografiche possono ricordare specifici
episodi del mito o saghe locali: ad esempio, la vacca raffigurata sulle monete di
Bisanzio richiama la metamorfosi di Io, avvenuta sui bordi dell’Ellesponto; il
labirinto che si trova sulle monete di Cnosso ricorda la leggenda di Teseo e del
Minotauro; il Pegaso che compare sulle monete di Corinto è un chiaro
riferimento a Bellerofonte, eroe corinzio nipote di Sisifo, che, grazie all’aiuto di
Atena, riesce a domare il cavallo alato e a vincere così la mostruosa Chimera
67
.
Questo collegamento con Atena è confermato dal rovescio, che porta l’immagine
della dea
68
; accade infatti frequentemente che diritto e rovescio siano
complementari, a formare una sintetica narrazione
69
, oppure che il rovescio
ridetermini o superdetermini il diritto
70
. E ancora: il mito di Europa sulle monete
di Gortina, di Scilla a Cuma. Le fatiche di Eracle: l’idra di Lerna è attestata sulle
monete di Festo; gli uccelli Stinfalidi sulle monete di Stymphalus; il Cerbero a
Cuma; il leone Nemeo a Siracusa.
L’interpretazione di alcuni tipi monetali può tuttavia non essere univoca: è il
caso, ad esempio, dell’Apollo raffigurato sulle monete di Caulonia, identificato
ora con l’Apollo Pitico, ora con l’Apollo Iperboreo
71
.
In questa pur breve rassegna è d’uopo citare creature mitologiche quali
l’ippocampo, che compare, tra l’altro, sulle monete di Taranto; la Gorgone, a
Populonia e a Neapolis; il grifone ad Abdera; la Chimera, a Sicione e a Corinto.
Frequenti sono le personificazioni di fonti locali: così la ninfa Aretusa a
Siracusa, la ninfa Hyele a Velia, Satyria a Taranto, le ninfe Camarina, Pandosia,
67
CAHN 2000, p. 36.
68
CATALLI 2003, p. 134.
69
ARSLAN 2004, p. 239.
70
PARISE 1997, p. 132.
71
PARISE 1997, p. 131.
19
Terina e Kyme nelle rispettive città omonime
72
. Si tratta spesso di figure che
riprendono culti preellenici indigeni, strettamente legati alle acque
73
.
Altrettanto ricorrenti le personificazioni di fiumi: il toro androprosopo
rappresenta l’Amenanos a Catania, l’Hipparis a Camarina
74
, il Gelas a Gela,
l’Acheloo a Metaponto
75
, mentre un giovinetto cornuto personifica l’Aisaros a
Crotone.
Vi è poi il caso della raffigurazione della divinità eponima: Eracle ad
Eraclea, Poseidone a Poseidonia.
Le emissioni monetali greche e magnogreche sono quindi caratterizzate da
una sorta di “onnipresenza” del mito, “onnipresenza” che si è già visto essere uno
dei tratti peculiari della civiltà greca.
72
ARSLAN 2004, p. 241.
73
ARSLAN 2004, p. 242.
74
ARSLAN 2000, p. 40.
75
STAZIO 1983, p. 129.
45
CAPITOLO V
TARANTO: PHALANTHOS
5.1 PHALANTHOS O TARAS? LE FONTI LETTERARIE
Taranto viene fondata da un gruppo di fuoriusciti spartani verso la fine
dell’VIII secolo a.C., più precisamente nel 706-705 a.C., secondo una notizia di
Eusebio, riportata da Girolamo (Chronicon: ad a. 706). La città, dal forte
carattere aristocratico e dall’economia prevalentemente agricola, sembra non
risentire delle lotte per la conquista del territorio che coinvolgono, tra le altre,
Sibari e Crotone, nel corso del VI secolo a.C.. Essa appare piuttosto interessata,
almeno fino agli inizi del V , alla conquista dell’entroterra indigeno, ma senza
particolare successo, come testimonia lo stesso Diodoro (XI, 52) che ci riporta la
notevole sconfitta subita dai bellicosi Iapigi nel 473 a.C.
195
, “la più grande strage
di Greci” secondo Erodoto (VII, 170).
L’inizio della monetazione è tardo (ultimo decennio del VI secolo a.C. circa)
e l’andamento delle prime emissioni alquanto incerto
196
. Il tipo monetario
caratteristico di Taranto è la figura di un giovane su un delfino, che compare
costantemente, sul diritto o sul rovescio, fino a diventare il parasemon,
l’emblema della città
197
. Questa figura è stata interpretata in diverso modo, sia
come l’eroe eponimo Taras, figlio della ninfa locale Satyria e di Poseidone,
giunto dal mare sul dorso di un delfino, personaggio mitico di cui parlano
Aristotele (Tar. Pol., fr. 590 Rose, ap. Poll., IX, 6, 80), Probo (Georg., II, 197) e
Pausania (X, 10), sia come l’ecista, Phalanthos, naufragato nel golfo di Crisa e
raccolto da un delfino che lo porta in salvo sulle coste italiane
198
, secondo quanto
riportato da Pausania (X, 13, 10).
Phalanthos è capo dei Parthenoi, figli di donne spartane nati fuori dal
matrimonio durante gli anni della I guerra messenica (740-724 a.C.). Terminato il
195
RUTTER 2001, p. 92.
196
STAZIO 1983, p. 139.
197
GUZZETTA 1987, p. 21.
198
GUZZETTA 1987, p. 20.
46
conflitto, essi non vengono riconosciuti cittadini a tutti gli effetti, e, dopo un
tentativo di rivolta scoperto dagli Spartiati, sono costretti a lasciare la città,
inviati in esilio a fondare una delle poche colonie spartane.
Le fonti concordano sull’illegittimità dei Parteni, ma divergono sulla loro
origine: chi, come Antioco (FGrHist, 555 F 13), li considera figli di schiavi iloti;
chi, come Eforo (FGrHist, 70 F 216), Dionigi di Alicarnasso (Ant. Rom., XIX, 1)
e Giustino (III, 4) li ritiene frutto dell’unione con giovani che, per questioni di
età, non avevano potuto prendere parte alla guerra perché, all’epoca del
giuramento, ancora fanciulli.
Si assiste dunque ad un progressivo “ammorbidirsi” delle fonti nei confronti
dei dati più scabrosi, quali il ruolo degli iloti e la macchia dell’adulterio:
quest’ultimo sarà addirittura trasformato, paradossalmente e
contraddittoriamente, in adulterio programmato, e quindi avvallato dagli stessi
mariti al fronte
199
. È molto probabilmente la tradizione aristocratica cittadina a
respingere il coinvolgimento dell’elemento servile nell’episodio di fondazione:
Aristotele (Pol., V , 1306 b 29 ss.), che parlando di Locri Epizefirii ne riporta
senza esitazioni l’origine servile, sottolinea come i Parteni siano nati dai “pari”
(homoioi) ed è proprio questa affermazione non richiesta, ed apparentemente
inutile, ad essere rivelatrice di una tale tendenza, sicuramente locale
200
, che il
filosofo poteva conoscere attraverso il peripatetico Aristosseno.
Anche per quanto riguarda l’identità di Phalanthos gli studiosi si sono divisi:
secondo una radicata esegesi tradizionale del passo di Antioco (da Ciaceri
201
a
Bérard
202
, da Wuilleumier
203
a Pugliese Carratelli
204
, a Musti
205
, per citarne solo
alcuni) Phalanthos sarebbe partenio, mentre una più recente lettura ne ribadisce
l’appartenenza ad una cittadinanza di pieno titolo (Maddoli
206
e Nafissi
207
). La
199
MUSTI 2005, pp. 233-234.
200
MUSTI 2005, p. 235.
201
CIACERI 1927, p. 84 ss.
202
BÉRARD 1957, p. 162 ss.
203
WUILLEUMIER 1939, p. 33 ss.
204
PUGLIESE CARRATELLI 1971, p. 133 ss.
205
MUSTI 1988, p. 155 ss.
206
MADDOLI 1983, p. 555 ss.
207
NAFISSI 1995, p. 293.
50
Taras è invece figlio di Poseidone e della ninfa Satyria, a sua volta
figlia di Minosse ed eponima di Satyrion.
Si legga Pausania (X, 10, 6-8):
“[…] dicono che l’eroe Taras sia figlio di Poseidon e di una ninfa del
luogo, e che dall’eroe siano stati posti i nomi alla città ed al fiume: si
chiama infatti Taras allo stesso modo della città anche il fiume”.
Egli è dunque l’eroe eponimo della città che sarebbe sorta molto prima
dell’arrivo degli Spartani, in età minoica, nonché del piccolo fiume, il Tara, che
scorreva ad Occidente di quest’ultima e in cui il giovane sarebbe morto annegato.
Secondo le parole di Servio (Aen., III, 551):
“Taras l’aveva fondata, e Phalantus la fece grande”.
Di nuovo Strabone:
“Giunsero dunque i Parteni con Phalanthos, e li accolsero i barbari ed
i Cretesi che in precedenza avevano occupato il luogo. Questi dicono siano
quelli venuti per mare con Minosse in Sicilia che, lasciata la Sicilia dopo la
sua morte, avvenuta in Camico, presso Cocalo, furono spinti fuori rotta su
questa costa durante il ritorno; alcuni di loro, in seguito, fatto per via di
terra il giro dell’Adriatico fino in Macedonia, presero il nome di Bottiei. E
dicono che tutti, fino alla Daunia, si chiamino Iapigi da Iapyx, che a quanto
dicono nacque a Dedalo da una donna cretese ed era capo dei Cretesi.
Chiamarono Taranto la città dal nome di un eroe”.
Secondo il mito, Minosse si reca in Sicilia per inseguire Dedalo, il
costruttore del labirinto, dal quale era fuggito insieme al figlio Icaro grazie ad ali
di cera. La leggenda è nota: Icaro si avvicina troppo al sole, le sue ali si
sciolgono ed egli precipita in mare; Dedalo si rifugia invece a Camico, in Sicilia,
presso il re Cocalo, ed è qui che Minosse giunge. Ma il re lo fa uccidere, ed i
Cretesi, per vendicare la sua morte, effettuano una seconda spedizione ma fanno
naufragio sulle coste dell’Apulia. Il territorio prenderà il nome di Iapigia da
Iapige, capo della spedizione e figlio di Dedalo
210
.
210
PRESICCI 1990, p. 33.
51
Anche per Taras le fonti riportano il salvataggio da parte di un delfino,
probabilmente inviato dal padre Poseidone. Ce lo dice Probo (Georg., II, 197),
sebbene nella versione da lui riportata Satyria sia moglie e non madre del
giovane:
“Si dice d’altronde che il lacedemonio Taras figlio di Nettuno abbia
avuto un figlio da Saturia, figlia del re dei Cretesi Minosse. Costui [Taras]
cacciato dalla città e fatto naufragio si dice un delfino lo portasse in Italia:
e di ciò ancora oggi rimane un documento. Nel municipio dei Tarentini
infatti vi è una statua che rappresenta un uomo che siede sul delfino. Si dice
che chiamasse quel luogo Saturio dal nome della moglie Saturia e che poi
gli abbia posto dal suo il nome Taranto”.
Il giovane sul delfino raffigurato sulle monete antiche è dunque Taras o
Phalanthos? Il dibattito rimane aperto; è tuttavia importante sottolineare
l’abbondante presenza di Phalanthos e del delfino nella tradizione letteraria e
figurativa, elemento che farebbe propendere per questa interpretazione, almeno
per quanto concerne le monete più antiche. Inoltre, secondo una notizia riportata
da Stefano di Bisanzio (Habron, fr. 12 Bernd ap. Herodianus Grammaticus, ii
817,22 ed. A. Lentz, Stefano di Bisanzio, Etnica), lessicografo del VI secolo
d.C., le famiglie tarentine più nobili dichiaravano essere discendenti di
Phalanthos, ed, in quanto tali, si facevano chiamare Falantiadi. E’ quindi
plausibile che in un regime oligarchico, quale quello di età arcaica, i ghene
controllassero anche la zecca cittadina
211
, veicolando il loro repertorio simbolico,
mitologico, leggendario.
Come si spiega allora la testimonianza di Aristotele (Tar. Pol., fr. 590 Rose,
ap. Poll., IX, 6, 80) riportata da Polluce?
“Aristotele nella Politeia dei Tarentini dice che presso di loro la
moneta viene chiamata noummos e che su di esso è impressa la figura di
Taras figlio di Poseidone che cavalca il delfino”.
211
GUZZETTA 1987, p. 21.
97
CONCLUSIONI
Alla luce di questo lungo percorso, risulta chiaro il ruolo fondamentale
ricoperto dai miti fondatori nella compagine coloniale magnogreca, in quanto
elemento di coesione civica, ideologica, religiosa. Approdati in una terra
sconosciuta, a migliaia di chilometri di distanza dalle città d’origine, questi
uomini hanno sentito il bisogno di aggrapparsi ad un racconto mitico-
leggendario, incentrato su una figura umana eroicizzata, con il duplice intento di
mantenere un legame con la madrepatria ed al tempo stesso creare le basi di una
nuova, ma altrettanto ricca civiltà.
L'esigenza di conservare un patrimonio mitico di fondazione in cui potersi
identificare si è trasmessa nei secoli, di generazione in generazione.
Quale migliore veicolo di diffusione se non la moneta? Oggetto della
quotidianità, eccellente strumento comunicativo, la moneta è portatrice di un
messaggio simbolico preciso, messaggio che per risultare efficace deve essere
riconoscibile e comprensibile a tutti, e che viene quindi mantenuto il più
possibile costante nel tempo.
Il tipo del giovane sul delfino, che caratterizza tutte le fasi della monetazione
tarentina, dai primordi alle battute finali, sia esso l'ecista Phalanthos, o l'eroe
eponimo Taras, rappresenta un felicissimo esempio di tale continuità. Una
continuità che non implica monotonia ma che, al contrario, costituisce un terreno
fertile per il genio creativo greco, capace di variare sensibilmente i dettagli
iconografici, pur mantenendo fissa la tipologia.
Lo stesso discorso vale per il parasemon di Crotone, ovvero il tripode, tipo
che attraversa indenne quasi tre secoli di emissioni e che richiama il ruolo
ricoperto dall'oracolo di Delfi nell'episodio di fondazione da parte dell'eroe
Miskellos.
La fissità del tipo garantisce dunque la trasmissione del mito.
Il mito, così radicato nella cultura greca da poter esserne considerato la più
intima essenza, è tuttavia per sua natura un racconto multiforme, in perenne
evoluzione: uno stesso mitema può infatti essere reinterpretato, ampliato,
98
aggiornato e persino “sostituito” più volte nel corso del tempo, adattandosi di
volta in volta alla realtà politica e culturale del momento.
Questa sorta di “fluidità” dei miti è emersa chiaramente dall’analisi delle
“saghe” di fondazione presenti nelle fonti letterarie, in particolare nel caso di
Taranto: la narrazione della fondazione da parte di Phalanthos, capo dei ribelli
Parteni, figli illegittimi di donne spartane, subisce infatti un progressivo
“ammorbidirsi” dei dati più scabrosi, quali l’adulterio od il coinvolgimento di
schiavi iloti, particolari che vengono modificati od addirittura censurati.
Anche il racconto di fondazione di Crotone subisce variazioni: l’ecista
Miskellos, originario di Ripe dell’Acaia, viene indirizzato verso il sito della
futura colonia ora dall’oracolo di Delfi, ora da Eracle, apparsogli in sogno. Ed è
interessante notare come l’iconografia monetale possa riflettere e veicolare, se
necessario, due versioni dello stesso mito: verso la fine del IV secolo a.C., infatti,
accanto alla consueta tipologia del tripode sul rovescio, fa la sua comparsa, sul
diritto, proprio Eracle, rappresentato nelle vesti di ecista. Il riferimento ad un
personaggio tipicamente dorico, in corrispondenza dell’apice del successo di
Atene, ha un’evidente funzione di contrapposizione polemica.
Come uno stesso mito può declinarsi in diverse versioni, così il medesimo
elemento narrativo può comparire in due miti distinti, e, se scelto come soggetto
iconografico, creare seri problemi di interpretazione: è il caso del delfino,
animale che compare sia nel mito di Phalanthos, naufragato nel golfo di Crisa e
portato in salvo sulle coste italiane, sia di Taras, figlio di Poseidone e della ninfa
Satyria, eponimo della polis di età minoica, giunto dal mare sul dorso di un
delfino inviatogli in aiuto dal padre.
La questione dell’identità del fanciullo è annosa e tuttora oggetto di dibattito;
è tuttavia possibile che, fino all’avvento della democrazia nel 473 a.C., il tipo sia
stato interpretato come l’ecista Phalanthos, e che questi sia stato in seguito
“sostituito” con l’eroe eponimo Taras: all’interno del regime oligarchico di epoca
arcaica, Phalanthos avrebbe infatti rappresentato la memoria della ktisis, la base
storica ed ideologica dei privilegi aristocratici, mentre Taras il simbolo di una
trasformazione politica e sociale.
99
Che si tratti di Taras o di Phalanthos, il tipo del giovane sul delfino
attraversa la produzione monetale tarentina e la sua storia, come il tripode a
Crotone: ecco dunque che la forza di un'immagine, di un “emblema”, in cui
un'intera comunità si riconosce per secoli e secoli, costituisce un sorprendente
esempio di “comunicazione di massa”, un termine anacronistico che ben esprime,
tuttavia, i meccanismi di trasmissione e conservazione del mito attraverso la
moneta.
La moneta: un oggetto dalle dimensioni così esigue eppure storicamente così
importante e simbolicamente così pregnante, al punto tale da rappresentare una
via privilegiata per conoscere ed apprezzare, seppur parzialmente, il ricchissimo
patrimonio mitico-religioso greco, l’essenza stessa di una meravigliosa civiltà.