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1 Introduzione
li insetti appartengono al Dominio degli Eukaryota, Regno Animalia, Phylum
Arthropoda, Classe Insecta (https://fauna-eu.org/). Questa classe sistematica
rappresenta il più grande raggruppamento di biodiversità terrestre. Le specie
conosciute, suddivise in trenta ordini, sono più di un milione e hanno attraversato
un’evoluzione di circa trecento milioni di anni. La loro diversità si manifesta in una
moltitudine di caratteristiche che vanno ben oltre all’aspetto puramente morfologico. In
termini di fonti di cibo utilizzate, sono differenziati in monofagi, polifagi, oligofagi o, più
comunemente, in generalisti e specialisti. Pare evidente come la loro differenziazione
condizioni la nostra vita quotidiana a partire, sicuramente, dal contesto agroalimentare. Le
perdite sulla produzione in campo si aggirano intorno al 40%. In post-raccolta si raggiunge
il 10% soprattutto per quanto riguarda i cereali. Le specie che si ritengono più dannose
appartengono agli Ordini dei Orthoptera, Thysanoptera, Hemiptera, Coleoptera e le forme
larvali di Diptera e Lepidoptera (Civolani, 2021).
Nel corso del tempo, per limitare i danni economici causati dagli insetti, si sono evoluti
differenti approcci basati, inizialmente, sull’utilizzo di soli insetticidi. Gli insetticidi sono
catalogati come prodotti facenti parte dei fitofarmaci (o agrofarmaci). In Italia, dal punto di
vista legislativo, gli insetticidi sono classificati come Prodotti Fitosanitari (D.lgs. 17/3/1995,
n.194) e nei Presìdi Medico-Chirurgici (Leggi Sanitarie n.1265 27/7/1934, art.189; DPR n.
392 6/10/1998) nella voce Biocidi (Direttiva 98/8 della Comunità Europea, recepita dal
D.lgs. n.174/2000). Il formulato commerciale di un insetticida è composto dal principio
attivo addizionato a sostanze vettrici e coadiuvanti (attivatori) (https://www.mite.gov.it). I
principali bersagli, con cui il principio attivo (p.a.) interagisce, fanno riferimento a
meccanismi che coinvolgono i sistemi nervoso, digerente, respiratorio, escretore, secretore
esocrino, endocrino e neuroendocrino, circolatorio, immunitario e riproduttore (Le Goff e
Giraudo, 2019).
I primi impatti ambientali esercitati dall’uso di insetticidi furono segnalati dalla ricercatrice
Rachel Carson nel suo libro “Primavera Silenziosa” (titolo originale “Silent Spring”). Per la
prima volta nella storia, la ricerca documentava gli effetti dannosi degli insetticidi
sull’ambiente, in particolar modo il DDT (para-diclorodifeniltricloroetano). È stato riportato
che il suo metabolita DDE (diclorodifenildicloroetilene) influiva sulla diminuzione dello
spessore dell’uovo in alcuni rapaci. Nonostante una forte critica al libro, da quel momento
si è passati ad assumere un punto di vista più ampio, che prende in considerazione l’interezza
dell’agroecosistema nella valutazione dell’impatto della difesa fitosanitaria. Tra le ulteriori
problematiche evidenziate da questo lavoro, vi era il fenomeno dello sviluppo di fattori di
resistenza da parte dei fitofagi, che può ridurne fortemente gli effetti nel medio periodo
(Carson, 1995).
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I meccanismi molecolari di resistenza agli insetticidi: conoscenze attuali e casi studio - 2
La resistenza agli insetticidi è stata definita dall’IRAC (Insecticide Resistance Action
Committee) come “un cambiamento ereditabile nella sensibilità di una popolazione che si
riflette nel ripetuto fallimento di un prodotto nel raggiungere la soglia predefinita se
utilizzato secondo la raccomandazione dell’etichetta […]” (Civolani, 2021). Sotto un certo
punto di vista, si ha la riconferma delle potenzialità evolutive della classe Insecta, che hanno
consentito agli insetti, fin dall’Era Paleozoica (circa quattrocento milioni di anni fa) di
sopravvivere a eventi ben più catastrofici di quanti ne abbiano visto i mammiferi.
Nel secondo dopoguerra, epoca in cui iniziò a diffondersi l’uso massiccio di insetticidi di
sintesi, la popolazione di molti paesi (tra cui l’Italia) presentava dei fenomeni di
malnutrizione evidenti. Sicuramente, già questo fenomeno sottolinea, ancora una volta,
quanto sia scorretto e ingiusto lo scoppio di nuove guerre. L’agricoltura europea ha risposto
a questa esigenza puntando sulla massimizzazione delle rese produttive. Per fare questo era
indispensabile ricorrere a tutta una serie di mezzi innovativi, tra cui gli insetticidi. Le quantità
di risorse alimentari crebbero e l’epoca del benessere si fece sempre più vicina. L’utilizzo
massiccio degli insetticidi, oltre a creare fenomeni non trascurabili di problematiche
sanitarie, ha generato una forte pressione selettiva nei confronti degli insetti. Nel 1859
Charles Darwin, durante le sue osservazioni, afferma che “non è la più forte delle specie che
sopravvive, né la più intelligente, ma quella che si adatta meglio al cambiamento”. La
presenza costante degli insetticidi nell’ambiente ha continuato per anni a selezionare le
popolazioni resistenti fino a oggi. Attualmente, c’è una continua competizione tra la ricerca
in ambito fitosanitario e l’evoluzione degli insetti. Bisogna quindi ricercare nuove molecole
insetticide e adottare tutte le precauzioni necessarie a proteggerle dall’insorgenza di
resistenze.
Le normative sulla sicurezza nei laboratori obbligano gli operatori a proteggersi dai pericoli.
Per questo si indossano i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) come camice, occhiali,
mascherina e guanti. Seppur gli insetti non abbiano questo tipo di dotazioni, in alcuni casi
riescono a sopravvivere a un intervento volto a distruggerli. Questa relazione si interroga su
come sia possibile questo tipo di fenomeno. I capitoli che seguiranno cercheranno di fornire
una panoramica generale sulle motivazioni più profonde fino al livello molecolare. Per
comprendere al meglio questi argomenti è opportuno entrare bene nell’ottica costruendo un
bagaglio culturale utile nella comprensione delle successive sezioni.
1.1 Una breve panoramica storica degli insetticidi
Fino al 1850, prevalse l’uso di insetticidi di prima generazione. I primi furono inorganici
come l’arsenico (As), l’acido borico (H
3
BO
3
) e il polisolfuro di calcio (CaS
x
). Il successivo
sviluppo dell’industria chimica, favorito anche dalle due Guerre Mondiali e dalla conoscenza
della sintesi dei derivati vegetali, ha aperto la strada agli insetticidi organici. Questi possono
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essere di origine minerale (oli di petrolio) o di origine vegetale (come la nicotina, rotenone,
ryanodine, azadirachtine e piretro) (Le Goff e Giraudo, 2019).
La possibilità di interagire con la struttura dei composti aprì le porte, negli anni ’30, alla
scoperta degli insetticidi organici di sintesi. Principi attivi di questa tipologia sono anche
detti di seconda generazione. Nel 1939, il ricercatore svizzero Paul Hermann Müller scoprì
il DDT. Sebbene già isolato dall’australiano Othmar Zeidler nel 1874, Müller ne apprezzò
le proprietà insetticida. Ebbe così inizio lo sviluppo di composti clorurati tra cui, nel 1942,
il lindano e l’esaclorocicloesano, seguito rapidamente da aldrina, dieldrina ed endosulfan.
Questi insetticidi hanno svolto un ruolo importante dal 1940 fino al 1970, in cui il loro uso
è stato vietato in alcune parti del mondo (Stati Uniti, Francia e Regno Unito).
Contemporaneamente, sono stati sviluppati i fosforganici (OPs). La scoperta avvenne nel
1937 da parte di Schrader che, per primo, apprezzò la reazione di fosforilazione. Lo sviluppo
dei carbammati iniziò nel 1947. Queste sostanze sono derivate sintetiche di alcaloidi dei
legumi come la fisostigmina o l’eserina. I piretroidi, proposti negli anni ’70 come la
permetrina e la deltametrina, sono risultati efficaci anche a bassi dosaggi ma possono
risultare acarostimolanti (Le Goff e Giraudo, 2019). Tuttavia, i rischi associati agli insetticidi
organici di sintesi, per l’uomo e per l’ambiente, hanno spostato l’interesse verso l’uso di
composti più naturali. Gli insetticidi biologici sono stati sviluppati a partire dalla scoperta
dell’attività delle endotossine di Bacillus thuringiensis (Bt) (Civolani, 2021).
Gli anni ’90-2000 hanno rappresentato l’epoca dello sviluppo dei neonicotinoidi, nel
tentativo di produrre composti ad alta specificità. I neonicotinoidi sono derivati da composti
naturali come la nicotina ed epibatidina. L’imidacloprid è stato il primo neonicotinoide
commercializzato in Italia dal 1991, seguito da thiacloprid e il dinotefuran. Al momento,
sono gli insetticidi più utilizzati nel mondo, anche se in Europa molte sostanze attive in
questo gruppo sono soggette a revoca. Le altre classi sviluppate in quegli anni (come
sulfossimine, spinosine A e D, diammidi, avermectine e fiproli) non hanno mai raggiunto
questi livelli (Le Goff e Giraudo, 2019).
Di particolare interesse è stato anche lo sviluppo di sostanze in grado di mimare l’azione
degli ormoni della crescita e dello sviluppo (IGR), definiti di terza generazione. Questi
principi attivi hanno un’azione analoga a quella degli ormoni giovanili (come il 20-
idrossiecdisone 20E, l’ormone giovanile JH o neotenina, i juvenoidi, i fitoecdisoni e gli
inibitori della chitinosintetasi) (Mancini e Pennacchio, 2014). Infine, recentemente sono stati
scoperti nuovi composti di quarta generazione, responsabili della accelerazione della muta
(MAC), come, per esempio, fenossicarb, bisacilidrazina, metoprene, metossifenozide (Le
Goff e Giraudo, 2019).
Lo sviluppo di nuove sostanze chimiche con diverse modalità di azione rappresenta una vera
sfida per l’industria agrochimica. Una prospettiva alternativa all’uso di insetticidi prevede
l’utilizzo di vibrazioni ultrasoniche o la manipolazione dei segnali chimici. Questi ultimi
I meccanismi molecolari di resistenza agli insetticidi: conoscenze attuali e casi studio - 4
sono utilizzati dagli insetti per la ricerca di piante ospiti e per la riproduzione. I feromoni
sessuali sono i principali attori nella comunicazione durante il processo di corteggiamento
che precede l’accoppiamento (Mancini e Pennacchio, 2014); la loro sintesi in laboratorio ne
ha permesso l’uso come alternativa agli insetticidi. La ricerca di alternative sostenibili è
favorita anche dalla recente marcata riduzione del numero di molecole autorizzate dalla
normativa europea, sempre più attenta all’ambiente (Civolani, 2021). Ultimamente, la
commercializzazione di nuovi insetticidi è notevolmente diminuita per due ragioni
principali. In primo luogo, lo sviluppo di un formulato richiede tra gli otto e i dodici anni
prima della distribuzione. In secondo luogo, gli insetticidi devono soddisfare diversi
requisiti, tra cui una sempre maggiore selettività, un basso rischio per l’ambiente e per la
salute dei mammiferi (Le Goff e Giraudo, 2019).
1.2 Le modalità di azione degli insetticidi
Secondo l’IRAC, esistono 34 meccanismi di azione a cui tutti gli insetticidi conosciuti fanno
riferimento. La trattazione di tutti i 34 meccanismi esula da questo contesto. Verranno fornite
le informazioni di base sui principali meccanismi utili per comprendere i successivi
argomenti. Per visionare ulteriori informazioni, tra cui i modelli molecolari, si può fare
riferimento alle pubblicazioni dell’IRAC (Figura 1): https://irac-online.org/.
Figura 1. QR-code leggibile tramite Smartphone che permette di approfondire i 34 meccanismi.
La maggior parte degli insetticidi agisce sul sistema nervoso degli insetti. Sebbene tutti gli
insetticidi potrebbero non avere lo stesso bersaglio, i sintomi sono spesso simili e possono
essere descritti in quattro fasi consecutive: eccitazione, convulsioni, paralisi e morte (Le
Goff e Giraudo, 2019).
Carbammati e organofosfati (rispettivamente classe 1A e 1B dell’IRAC) inibiscono l’enzima
acetilcolinesterasi (AchE), che interviene nella trasmissione dell’impulso nervoso. L’enzima
scompone l’acetilcolina attiva nella sua forma disattivata (colina e acido etanoico). Gli
insetticidi si legano al sito attivo di AchE e causano iperstimolazione (https://irac-
online.org/).
I composti clorurati (classe 2A e 2B dell’IRAC) interagiscono sui recettori dell’acido γ-
amino butirrico (GABA). Il legame del neurotrasmettitore GABA ai recettori provoca
l’apertura del canale e l’aumento della permeabilità del cloruro (Cl
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). Gli insetticidi sono in
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grado di legarsi al recettore GABA e inibire il flusso di Cl
-
. Questi composti, agendo sul
sistema nervoso, comportano dei sintomi di ipereccitazione che precedono la morte (Le Goff
e Giraudo, 2019).
L’effetto tossico del DDT e dei piretroidi (rispettivamente classe 3A e 3B dell’IRAC) è
determinato dalla chiusura dei canali del sodio voltaggio-dipendenti. L’effetto che si osserva
è detto “knock-down”, in cui gli insetti rimangono paralizzati (https://irac-online.org/).
I neonicotinoidi (classe 4A dell’IRAC) agiscono sui recettori nicotinici dell’acetilcolina
(nAChR) presenti sui neuroni. In condizioni normali, l’acetilcolina si lega ai recettori
provocando la stimolazione nervosa. Il legame dei neonicotinoidi a nAChR è irreversibile e
ne provoca l’attivazione letale (https://irac-online.org/).
Le tossine Bt (classe 11A dell’IRAC) sono incapsulate nel cristallo parasporale prodotto da
diverse sottospecie di batteri della specie Bacillus thuringiensis, nello specifico var.
israelensis, var. aizawai, var. kurstaki, var. tenebrionensis. Una volta assimilate, vengono
solubilizzate nell’intestino e rilasciate sottoforma di δ-endotossine. A seguito
dell’attivazione, si legano alle proteine dell’epitelio intestinale che andrà in contro a lisi
(Civolani, 2021).
Le bisacilidrazine (classe 18 dell’IRAC) mimano l’ormone della muta, l’ecdisone,
inducendo una muta precoce (Le Goff e Giraudo, 2019).
1.3 L’ambiente e gli insetticidi
Nonostante la ricerca di una maggiore specificità, l’impiego degli insetticidi ha fatto
emergere non poche preoccupazioni per la salute, per l’ambiente e per gli organismi non
bersaglio (non-target) (Carson, 1995). Spiccano tra queste le perdite per lisciviazione e
deriva nell’agroecosistema (Civolani, 2021), con conseguenti contaminazioni a notevole
distanza da dove è avvenuto l’apporto. Paradossalmente, lo spargimento di elevati
quantitativi di sostanze chimiche ha ridotto drasticamente la popolazione di possibili
predatori naturali (come pipistrelli e uccelli insettivori).
Fin dai primi rapporti sugli impatti ambientali del DDT del 1962, i clororganici (OC) sono
stati ampiamente valutati a causa del loro elevato bioaccumulo a vari livelli nelle catene
alimentari. Per rendersi conto di quanto sia stato devastante l’impatto, basti pensare che
residui di lindano ed endosulfan sono stati rilevati perfino nelle acque Antartiche. La
concentrazione, nello zooplancton e in varie specie ittiche, era maggiore rispetto agli
ambienti più temperati. Effetti negativi sono stati anche rilevati nei confronti delle api da
miele (Apis mellifera L.) che rivestono una elevata importanza economica a livello mondiale
(Le Goff e Giraudo, 2019).
Gli insetticidi fosforganici (OPs), come già detto, inibiscono l’enzima acetilcolinesterasi
(AchE). La misura della attività dell’AchE è stata utilizzata come biomarcatore