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CAPITOLO I: NORME, NOTIZIE E CURIOSITA’ SULLO SVILUPPO
CINEMATOGRAFICO A MILANO TRA IL 1915 E IL 1927
Immaginiamo per un momento di essere a Milano, nell’autunno del
1915, in una di quelle giornate di nebbia in cui non si riusciva a
distinguere neppure l’insegna della drogheria sotto casa; ebbene
cosa facevano i milanesi nell’anno in cui l’Italia era appena entrata in
guerra? Nonostante tutto andavano al cinema.
Quell’anno l’esercizio cinematografico a Milano non subì grandi
contraccolpi: nonostante la guerra e i naturali timori che essa sempre
comporta nell’animo umano, il numero degli spettatori si attestò
intorno ai 6 milioni e crebbe negli anni seguenti per arrivare nel 1920
ad 11 milioni di biglietti venduti. I prezzi dei biglietti, rimasti
abbastanza contenuti fino al 1915, dall’anno successivo iniziarono a
salire. Al termine del conflitto era quasi impossibile spendere meno di
50 centesimi per andare al cinema. Gli importi chiaramente
variavano a seconda delle categorie di cinema (prima, seconda,
terza visione) e a seconda delle fasce di posti all’interno della sala
stessa.
Dal momento in cui il cinema pose salde radici nel territorio furono
emanate disposizioni della Commissione di Sicurezza per i locali di
pubblico spettacolo, regole sulla censura e, nel periodo bellico,
alcune restrizioni. Una delle leggi che provocarono più polemiche tra
10
gli esercenti dei cinema fu la tassa sui biglietti d’ingresso che entrò in
vigore nel dicembre del 1914 e che negli anni successivi continuò ad
aumentare.
Ma anche la guerra fino alla fine del decennio influenzò la vita del
cinema milanese.
Furono, per esempio, stabilite limitazioni al consumo della carta,
cosa che si ripercosse sulle misure dei manifesti; l’obbligo di
chiudere le sale alle 22-22.30, inoltre, penalizzava molto gli
esercenti. Importantissime erano anche le norme di sicurezza e di
igiene che, se non rispettate, potevano portare alla chiusura delle
sale. Spesso, addirittura, durante le visite di controllo effettuate prima
dell’apertura di nuove sale da parte delle autorità competenti, oltre a
controllare la struttura in generale si verificava anche la posizione e
la quantità delle latrine e, se questa risultava in qualche modo
inadeguata, l’autorizzazione all’apertura veniva negata. Rigidissima
era anche la censura: in tempo di guerra si arrivò addirittura a vietare
la proiezione di film che avevano già ottenuto il visto di censura per
timore che alcune scene sollevassero rivolte popolari. I primi
interventi censori per il cinema si ebbero negli anni 1913-1914 a
seguito di un forte movimento d'opinione favorevole all'introduzione
della censura. Con il Regio Decreto n. 532 del 31 maggio 1914
venne introdotto un regolamento che aveva lo scopo di disciplinare la
vigilanza sulle pellicole per impedire la rappresentazione al pubblico
11
"di spettacoli offensivi della morale, del buon costume, della pubblica
decenza e dei privati cittadini; di spettacoli contrari alla reputazione e
al decoro nazionale o all'ordine pubblico, ovvero che potessero
turbare i buoni rapporti internazionali; di spettacoli offensivi del
decoro e del prestigio delle istituzioni e autorità pubbliche, dei
funzionari e degli agenti della forza pubblica; di scene truci,
ripugnanti o di crudeltà, anche a danno di animali; di delitti o di suicidi
impressionanti": in ogni caso doveva essere impedita la visione al
pubblico "di azioni perverse o di fatti che potessero essere scuola o
incentivo al delitto, ovvero turbare gli animi o eccitare al male" (art.
1)
1
. Una commissione nominata appositamente dal Ministro
dell’Interno si occupava della valutazione delle pellicole e suggeriva
le eventuali modifiche che era necessario apportare per ottenere il
nulla osta alla proiezione pubblica. Inoltre all’inizio degli anni Venti si
stabilì che “alla revisione ministeriale potevano essere ammesse solo
le pellicole i cui soggetti (copioni) fossero stati preventivamente
sottoposti ad esame da parte degli stessi organi e da questi ritenuti
rappresentabili”
2
. Con l’avvento del fascismo la legislazione censoria
non subì particolari modifiche. Venne per lo più perfezionata anche in
virtù del fatto che il regime intuì fin da subito le potenzialità a fini
propagandistici di un mezzo di comunicazione di massa come il
1
Sito internet www.aedon.mulino.it, saggio di R. Viriglio, La censura cinematografica: libertà dello spettatore,
tutela dei minori e censura economica, in «Rivista di arti e diritto on line», numero 1, 2000, Issn 1127-1345
2
P. Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione: stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni,
teatro e cinema, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 225
12
cinema e cercò sempre di sfruttarlo a suo favore. Tra le novità più
interessanti del periodo in materia legislativa ci fu l’introduzione di
una prima forma specifica di tutela dei minori: il R.D. del 6 novembre
1926, n. 1848, art. 76, consentì all'Amministrazione di vietare la
visione dei film ai minori di anni 16, nulla disponendo però in ordine
ai motivi del possibile divieto.
Negli anni tra il 1915 e il 1920 le sale cominciarono a cambiare sia
nel modo di organizzare la programmazione sia nella loro architettura
interna. Questo perché iniziava ad affermarsi un nuovo genere di
spettacolo, il lungometraggio, che richiedeva “orari fissi per l’inizio
delle rappresentazioni e la presenza simultanea di una gran folla”
3
.
I cinema erano strutturati in modo simile: solitamente una volta
oltrepassati l’ingresso e la biglietteria si accedeva alla sala d’aspetto.
Nei cinema centrali spesso ce n’era più d’una ed ognuna era
riservata agli occupanti delle diverse categorie di posti. Da lì si
passava poi alla sala vera e propria per assistere alla proiezione.
In questo stesso periodo cominciò ad avere particolare importanza
anche il lancio pubblicitario delle pellicole. Oltre ai manifesti ed alla
pubblicità vera e propria un altro elemento che aveva il compito di
richiamare il pubblico era il portiere. Rispetto al cinema delle origini,
in cui fuori dai baracconi l’imbonitore invitava la gente ad entrare, il
3
E. Mosconi, “Venghino Signori, si va ad incominciare!” Nascita ed evoluzione dell’esercizio
cinematografico, in R. De Berti, a cura di, Un secolo di cinema a Milano, Il Castoro, Milano, 1996, pag. 112.
13
portiere aveva modi più urbani, indossava una divisa e “presentava
la sala” ai passanti in modo più discreto.
Proprio attraverso la sua presenza spesso si distinguevano le sale di
prima visione dalle popolari, che ancora ricorrevano alla figura
dell’imbonitore.
Altro fenomeno che si sviluppò negli anni del primo conflitto mondiale
è quello del divismo. Nel 1916 la Sala Volta indisse un concorso per
conoscere il nome dell’attrice preferita dal pubblico: in poco più di
dieci giorni viene stilata una classifica che vide la Bertini in testa con
12.638 voti. Tra i suoi film si possono ricordare Assunta Spina
(1915), La donna nuda (1918) e I sette peccati capitali (1919). La
seguiva a grande distanza, con 3007 voti, Leda Gys interprete di
film quali Histoire d’un Pierrot (1914), I figli di nessuno (1921) e
Vedi Napule e po' mori! (1924). Al terzo posto si classificò Lyda
Borelli, con 2557 voti, di cui si possono ricordare le interpretazioni in
Ma l’amor mio non muore (1913), Fior di male (1915), Malombra
(1916) e Carnevalesca (1917).
“Il cinema è ormai uscito dagli schermi e si è intrecciato con la vita
quotidiana, l’ha animata (…), ha suscitato anche una schiera di
imitatori, di gente che vive la vita come se fosse un film. (…) Il gesto,
appreso al cinema, viene poi ripreso e moltiplicato nella vita
quotidiana”
4
.
4
Ibidem, pagg. 127/128.
14
Il numero dei cinematografi aperti a Milano negli anni Venti era in
continua crescita. Secondo la Guida Commerciale Savallo nel 1920
c’erano 43 locali aperti e nel 1927 si arrivò a contarne 67.
In questo periodo, inoltre, il numero dei fallimenti nella gestione delle
sale fu di gran lunga inferiore al numero delle nuove aperture.
Tendenzialmente arrivavano al fallimento i gestori più improvvisati e
ad essi subentravano alcune società che, nel giro di pochi anni,
diedero vita a veri e propri circuiti cinematografici cioè alla gestione
di più sale da parte di pochi esercenti (Paolo Bosia, per esempio,
concentrava nelle sue mani il controllo dei locali Silenzioso,
Commenda, Aquila d’Oro, Garibaldi e Monforte).
Un altro elemento che nel decennio ’20-’30 caratterizzò lo sviluppo
cinematografico a Milano fu il decentramento delle sale: tra il 1920 e
il 1925 solo quattro nuovi locali vennero costruiti in centro, mentre
nuove sale vennero edificate in zone sempre più periferiche. Nel
1922 furono aperti il Gran Cinema Teatro S. Ambrogio in Viale
Padova e il Cinematografo Farini nella Via omonima. Nel 1924 venne
inaugurato il Cinema Teatro Franco-Belga in Viale Monza e il
Cinema Centrale ad Affori; l’anno successivo il Cinema Ferravilla in
Via Tiepolo. Negli anni successivi l’area cinematografica milanese
venne sempre più ampliata. Nel 1927 furono aperti tra gli altri il
Cinema Radio a Baggio e il Cinema Teatro Pace a Musocco.
15
Naturalmente gli spettacoli più importanti e nuovi continuarono ad
essere rappresentati nell’area del Duomo. In questa zona i cinema
più rinomati e frequentati erano il Cinema Centrale, il Cinema Santa
Radegonda e la Sala Volta. Pur trattandosi di cinema costruiti tra il
1905 ed il 1908 erano ancora molto eleganti e dotati di ogni comfort.
La Sala Volta ad esempio aveva un riscaldamento a termosifone
mentre le altre due sale avevano locali completamente arieggiati da
potenti ventilatori e aspiratori. Il Centrale forniva ai suoi clienti un
servizio in più: inviava a domicilio cartoncini riportanti i titoli dei film in
programmazione e su richiesta ne forniva trame e recensione
(sempre benevola!). Negli anni successivi vennero inaugurate in
centro sale sempre più grandi e sfarzose. Vanno ricordati tra gli altri il
Cinema Corso e il Cinema Reale. Il primo situato in Corso Vittorio
Emanuele fu inaugurato nel 1926. Aveva 1700 posti a sedere,
macchinari di qualità per le proiezioni ed un avanzato impianto di
aerazione. Nell’aprile 1929 fu, insieme con il Gran Cinema Teatro
Impero, il primo cinema a Milano a convertirsi al sonoro. Il Cinema
Reale sorse invece nel 1924 in Via Carlo Alberto (oggi via Mazzini).
Dotato di 1450 posti era uno dei cinema più lussuosi della città. Tra
le altre cose aveva una galleria a gradinata con le poltrone più belle
per gli ospiti di maggior riguardo (ossia quelli che pagavano di più).
“Il tono esclusivo delle rappresentazioni e della programmazione ed i
servizi offerti da questi locali – bar, sale da thè, buffet – che servono
16
ad integrare la proiezione con altri momenti di svago, li rendono
luoghi di ritrovo per un pubblico benestante ed abituato al teatro che
comincia a frequentare anche il cinema”
5
. I film nelle sale del Centro
dopo la prima venivano solitamente mantenuti in cartellone per circa
una settimana e replicati dalle tre alle cinque volte al giorno. I biglietti
d’ingresso a queste sale avevano prezzi molto elevati, accessibili
solo ad un pubblico benestante e signorile. In caso di spettacoli
particolarmente prestigiosi si poteva arrivare addirittura a pagare
dalle 25 alle 40 lire per poltrone di platea e galleria.
Nel periodo tra le due guerre Milano è una città in trasformazione:
ovunque sono in corso lavori che hanno lo scopo di trasformarla, nel
giro di pochi anni, in una moderna capitale europea.
Anche l’esercizio cinematografico rientrò nel piano di ristrutturazione
dell’assetto urbano. Sono di questo periodo le “cattedrali” del cinema,
“ambienti cioè che si stagliano nello spazio urbano con una propria
monumentalità; edifici solenni che si prestano attraverso lo sfarzo
decorativo e il lusso degli arredi a celebrare i nuovi riti, laici,
dell’immaginario di massa”
6
. Da ricordare, tra gli altri, l’inizio dei
lavori nel 1927 al Cinema Odeon in via Santa Radegonda.
5
Maria Giulia Marcora, La collezione dei manifesti pubblicitari delle sale cinematografiche milanesi presso la
Cineteca Italiana di Milano. Contributi alla catalogazione e all'analisi dell'esercizio cinematografico tra le due
guerre, Tesi di laurea della facoltà di Lettre e Filosofia, Università Cattolica di Milano, anno accademico
2000/2001, pag. 36
6
A. Garni, E. Mosconi, I cinematografi milanesi. Struttura e vita dell’esercizio cittadino tra il 1921 ed il 1945,
in R. De Berti, a cura di, Un secolo di cinema a Milano, Il Castoro, Milano, 1996, pag. 166
17
In quegli anni lo spettacolo cinematografico spesso era abbinato ad
altri generi di intrattenimento. Si tentava di attirare gli spettatori
attraverso l’unione di teatro di varietà e cinema. Anche a livello
strutturale questa unione era evidente: poiché i nuovi edifici offrivano
spettacoli misti, anche alcuni storici teatri milanesi (tra cui il Fossati, il
Carcano e il Dal Verme) si adeguarono trasformandosi in cinema.
Alla pellicola cinematografica potevano essere associati numeri di
varietà, esibizioni musicali e di danza, commedie dialettali. I film
erano solitamente scelti tra quelli di seconda e terza visione; quelli di
prima visione continuavano chiaramente ad avere un richiamo tale
per cui non era necessario ricorrere ad altri espedienti.
Nel periodo tra le due guerre a Milano, oltre alle sale di prima,
seconda e terza visione, esisteva però anche un’altra tipologia di
locali: le sale rionali. Queste non si trovavano solo nelle zone più
decentrate della città, spesso sorgevano fianco a fianco con i cinema
di prima visione o in zone eleganti. “Un esempio è il Cinema
Garibaldi locale piuttosto malfamato e frequentato da un pubblico di
bassa estrazione sociale, situato nelle vicinanze di Foro Bonaparte,
dunque in zona semicentrale, accanto a locali di prim’ordine, come
gli antichi teatri Dal Verme, Fossati ed Eden”
7
. Spesso si trattava di
sale ricavate da baracche o magazzini e le immagini, proiettate su
piccoli schermi, apparivano deformate e alterate anche a causa delle
7
Maria Giulia Marcora, La collezione dei manifesti pubblicitari…, op. cit., pag. 38/39
18
condizioni delle pellicole. “Queste infatti erano vecchie di diversi mesi
e venivano replicate senza integrazioni per tutto il giorno di solito
dalle 14 alle 24”
8
. Nonostante ciò queste sale erano sempre molto
affollate poiché, grazie ai prezzi molto contenuti, erano alla portata
del pubblico meno abbiente. Un biglietto costava infatti tra le 0,50 e
le 2,50 lire. Il pubblico di questi locali viveva la proiezione come un
momento di evasione dalla vita quotidiana e vi partecipava
attivamente con applausi, fischi e commenti ad alta voce. Oltre al già
citato Cinema Garibaldi si possono ricordare come sale povere (o
rionali) anche il Cinema Teatro Pathè, aperto nel 1914 in Viale Coni
Zugna, dove i militari ed i ragazzi avevano diritto a riduzioni fino a
metà prezzo, il Cinema Ambrosiano in zona Porta Ticinese-Meda, il
Cinema Varietà Aquila d’Oro in zona Sempione e il Nuovo cinema
Farini. Quest’ultimo, inaugurato nel 1924 nell’omonima Via,
proiettava film di terza e quarta categoria a prezzi molto contenuti.
Negli anni Trenta cambiò proprietario e subì due interventi di
rinnovamento che lo trasformarono una sala moderna ed elegante,
che non aveva nulla da invidiare, per quanto concerneva comodità e
decoro, ai locali più famosi.
La prima guerra mondiale e gli anni che seguirono però non ebbero
influenza solo sulla struttura e ubicazione delle sale cinematografiche
e sul desiderio o meno del pubblico di frequentarle ma anche sulle
8
Ibidem, pag. 39
19
case di produzione. Le industrie di produzione cinematografica
milanesi iniziarono nel 1914 ad entrare in una grave crisi dalla quale
non furono o non vollero essere in grado di uscire neppure nel corso
degli anni Venti. Tra le principali case di produzione milanesi va
ricordata la Milano-Films che già nel 1909, anno in cui venne
ufficialmente creata, immise sul mercato 4 pellicole. Nel 1912 su 123
film prodotti a Milano 88 erano suoi. Durante la guerra subì una
drastica riduzione della produzione e, ancora negli anni Venti, pur
restando attiva, diede pochissimi segni di vita nonostante
producesse film di una certa ambizione.
L’interesse crescente per il cinematografo accese numerosi dibattiti,
soprattutto per quanto riguarda “la sua moralità e le sue implicazioni
di carattere educativo, didattico e culturale. […] Nel 1923 il giornale
“L’Ambrosiano” lancia un filantropico appello per la costruzione di un
“Cinema dei piccoli”: un vero e proprio cinematografo destinato
esplicitamente alle programmazioni per ragazzi, caratterizzato da
spettacoli brevi, di argomento distensivo e istruttivo”
9
.
A Milano, negli anni Venti, nacque anche il primo esempio di cine-
club in Italia. Collegato all’opera di diffusione culturale del Circolo de
“Il Convegno”, il Cine-Circolo venne inaugurato la sera del 14
dicembre 1926; attraverso il suo operato promosse la diffusione di
9
A. Garni, E. Mosconi, I cinematografi milanesi. Struttura…, op. cit., pag. 170.
20
una vasta cultura cinematografica, anche se ancora rivolta ad una
ristretta élite.
Anche la Chiesa non poté fare a meno di interessarsi al cinema e a
tutto ciò che il suo diffondersi comportava. “Fin dal 1906 si aprono le
prime sale cinematografiche parrocchiali e nel 1909 nasce a Milano
una “Federazione cinematografica diocesana” per coordinarne
l’attività e avere maggior forza contrattuale con le case di produzione
e distribuzione”
10
. Già nel 1911 la Federazione aveva provveduto a
creare un elenco di pellicole ritenute adatte per essere proiettate nei
cinema parrocchiali. Questo dato è interessante soprattutto se si
considera che fino al 1913 non esistono, nella legislazione italiana,
leggi specifiche, valide per tutto il territorio nazionale, che regolino
l’esercizio. Durante la prima guerra mondiale il circuito dei cinema
oratoriali subì una forte battuta d’arresto ma già negli anni Venti
risultava di nuovo in crescita. La Chiesa, così come lo Stato, aveva
infatti capito che “rappresentava una delle vie ottimali per la
divulgazione di messaggi educativi e formativi”
11
. Nel 1926 nacque a
Milano il Consorzio Utenti Cinematografi Educativi che, raccogliendo
l’eredità della Federazione, aveva lo scopo di facilitare, nelle diocesi
della Lombardia, la distribuzione e la valutazione delle pellicole.
10
R. De Berti, Introduzione, in D. Viganò, Un cinema ogni campanile: Chiesa e cinema nella diocesi di
Milano, Il Castoro, Milano, 1997, pag. 8
11
D. Viganò, Un cinema ogni campanile: Chiesa e cinema nella diocesi di Milano, Il Castoro, Milano, 1997,
pag. 34
21
CAPITOLO II: L’ARCHIVIO DELLA BIBLIOTECA TRIVULZIANA E
LE SALE CINEMATOGRAFICHE A MILANO TRA IL 1915 E IL 1927
A Milano tra il 1915 e il 1927 furono aperti numerosi cinema. Nel
corso della mia ricerca presso l’archivio del Castello Sforzesco di
Milano ho cercato di individuare ed analizzare tutte le cartelle
contenenti i documenti riguardanti l’apertura o l’ampliamento di sale
cinematografiche nel periodo sopra indicato. Mentre facevo questo
lavoro di ricerca, attraverso la lettura dei documenti ho compreso
meglio come funzionava la procedura per ottenere la licenza di
pubblico esercizio. Inoltre, confrontando i dati dei diversi locali, ho
riscontrato svariati elementi comuni.
La procedura che si doveva seguire per aprire una nuova sala era
sempre la stessa. Si presentava presso gli uffici del Comune di
Milano una domanda di approvazione del progetto in cui si faceva
una dettagliata descrizione delle opere che si intendevano eseguire.
Ad essa era necessario allegare delle tavole, realizzate dall’architetto
o ingegnere che si sarebbe dovuto occupare dei lavori, nelle quali le
opere che si intendevano eseguire dovevano essere rappresentate
nel modo più chiaro possibile. La domanda doveva essere firmata,
oltre che dal proprietario della sala o dello stabile, anche
dall’architetto o ingegnere responsabile del progetto e dal
capomastro o dal titolare dell’impresa che si sarebbe dovuta
occupare di eseguire materialmente i lavori.
22
A questo punto il Comune, una volta valutato il progetto, poteva
approvarlo permettendo così ai proprietari delle sale di iniziare i
lavori oppure respingerlo qualora i responsabili dello stesso non si
fossero dimostrati disponibili ad effettuare le modifiche “consigliate”.
Spesso, quando i progetti dovevano per qualche ragione essere
modificati, si realizzavano nuove tavole che poi venivano conservate
insieme a quelle allegate alla domanda di approvazione.
Durante i lavori, alcuni incaricati del Comune effettuavano delle visite
di controllo per verificare che tutto fosse in regola. Solitamente le
visite di controllo erano tre. Una prima visita era fatta all’inizio dei
lavori e serviva soprattutto per verificare le dimensioni dello stabile.
Una seconda visita veniva effettuata quando la maggior parte del
progetto era stato realizzato e la terza e ultima visita avveniva a
conclusione dei lavori. Spesso erano gli stessi proprietari o
responsabili del cantiere a sollecitare il Comune affinché mandasse
degli ispettori perché speravano, in questo modo, di accelerare l’iter
burocratico ed ottenere più velocemente la licenza per aprire
l’esercizio.
La terza visita era la più importante. Da essa dipendeva la possibilità
di ottenere o meno la licenza d’esercizio (e in alcuni casi anche
quella di abitabilità). Solitamente quando veniva realizzata
quest’ispezione si compilava anche un foglio in cui era indicata la
tipologia di edificio e si faceva una descrizione molto dettagliata di
23
tutti i locali che lo componevano. Se si riscontravano delle anomalie
rispetto al progetto originale o si trovavano locali non a norma, latrine
in numero insufficiente, etc. si invitavano i proprietari a regolarizzare
il tutto entro breve tempo.
Inoltre per ottenere la licenza era necessario pagare al Comune una
tassa. Una volta effettuato il pagamento si poteva procedere al ritiro
della licenza.
Nella mia ricerca in archivio ho rilevato che, solitamente, dalla
presentazione della domanda alla concessione della licenza
passavano da uno a due anni. I tempi erano più bervi se si trattava di
domande presentate da proprietari di sale già in funzione che
dovevano solo apportare modifiche ai loro cinema e non costruirli ex
novo. Quando invece i tempi si allungavano in maniera eccessiva, la
causa era spesso il proprietario stesso che esitava a lungo prima di
eseguire le modifiche ai progetti imposte dal Comune. Un esempio è
il Cinema Ferravilla, in Via Tiepolo, i cui lavori iniziarono nel 1924 ma
che ottenne la licenza solo nel 1927 perché il Comune richiese che
fossero rese più solide le armature portanti del tetto e che il bagno e
le latrine fossero secondo il vigente regolamento.